Navigazione – Mappa del sito

HomeNumeriN° 42, 2II. Là dove Eupalla non regna: st...Wahoo e la sua tribù. L’“indiano ...

II. Là dove Eupalla non regna: storia e dinamiche identitarie non calcistiche
7

Wahoo e la sua tribù. L’“indiano bianco” dei Cleveland Indians

Jacopo Bassi

Abstract

In questo articolo analizzeremo i presupposti e le ragioni per cui si è consolidata la white indianness all’interno della fandom dei Cleveland Indians. Verrà presa in esame la narrazione prodotta dalla fandom attraverso i social media, in particolare facebook e twitter. L’appropriazione della cultura e della storia dei nativi americani, di cui i fan pro-wahoo pretendono di avere l’esclusiva della narrazione e della rappresentazione pubblica, è una pratica che è in atto da secoli e che manifesta se stessa anche nel rassicurante contesto della pratica sportiva.

Torna su

Testo integrale

“Cleveland Indians vs. Toronto Blue Jays”Visualizza l'immagine
Credits: by Erik Drost on Flickr

1. Cleveland, ma non solo. Mascotte e nativi negli Stati Uniti

  • 1 Fornire una bibliografia esaustiva sul tema – che ha originato, da più di vent’anni a questa parte, (...)
  • 2 KING, Richard C., On Being a Warrior: Race, Gender and American Indian Imagery in Sport, in ID. (ed (...)

1A Cleveland è in corso da anni una disputa che non ruota intorno ai risultati sportivi, ma a un particolare tipo di mascotte, quelle che raffigurano, stereotipandoli, i nativi americani. Il fenomeno non è esclusivo di questa città dell’Ohio: continua a far discutere fans e difensori della causa nativoamericana a Washington (con la squadra di football dei Redskins), ad Atlanta (con un’altra franchigia di baseball, quella dei Braves) e in molte altre realtà sportive professionistiche e universitarie degli Stati Uniti. Come è stato evidenziato da molti studiosi di diverse discipline1, questo avviene perché le mascotte si prestano facilmente a divenire terreno di scontro per via dell’efficacia con cui contribuiscono alla creazione di identità, senso di comunità e storia2.

  • 3 CRAWFORD, Garry, Consuming Sport. Fans, sport and culture, London – New York, Routledge, 2004, p. 1 (...)

2In questo articolo, dopo avere fissato le coordinate generali della questione delle mascotte nativo americane, ripercorreremo la genesi dell’“immaginario indiano” dei Cleveland Indians: lo faremo soffermandoci prevalentemente sulla prospettiva “bianca”, ovverosia di quella parte della tifoseria che sostiene l’impiego di Capo Wahoo, mascotte ufficiale della franchigia sino al 2019. Analizzeremo poi quali siano i presupposti in base ai quali si è consolidata la white indianness della fandom di Cleveland; le rappresentazioni offerte dai media hanno contribuito alla creazione di un immaginario che si riverbera nella (ri)produzione di una narrazione storica egemonica “bianca”. Osserveremo poi come quest’ultima si sia legata indissolubilmente ad altri elementi (ricordi personali, senso di appartenenza alla fandom, opinioni politiche, …): lo faremo combinando ricerche condotte su specifici siti web con lo spoglio sistematico dei post di alcuni forum di discussione, gruppi, blog e altre pagine su cui gli utenti interagiscono. In questo senso internet dovrà perciò essere considerata, come sostiene il sociologo Garry Crawford, come una comunità di immaginazione, poiché è «[…] not just a medium through which individuals gain access to a particolar text (be that a sport or whatever), but it is in itself a cultural text, which is not just passively consumed by its users, but created and ricreated a significant proportion of these»3.

  • 4 ROSALDO, Renato, Cultura e verità: ricostruire l’analisi sociale, Roma, Meltemi, 2002 [ed. or.: Cu (...)
  • 5 DENZIN, Norman K., Symbolic Interactionism and Cultural Studies, Oxford, Blackwell Publishing, 2007

3Sarà così possibile tentare un’interpretazione della cultura popolare e dei meccanismi che animano la riproduzione (consapevole o inconsapevole) di stereotipi identitari. L’approccio che si è scelto di adottare è quello proposto dalla Grounded Theory di Anselm Strauss e dall’interpretazione dei cultural studies fornita da Renato Rosaldo4 e Norman Denzin5: le identità culturali sono oggetto di una contrattazione continua che si gioca sulle loro rappresentazioni in forma simbolica.

  • 6 WEHLER, Hans-Ulrich, Storia e sociologia, in KOCKA, Jürgen, WEHLER, Hans-Ulrich, Sulla scienza dell (...)

4L’intento è quello di combinare – seguendo l’invito di Hans Ulrich Wehler6 – storia e sociologia per costruire uno schema interpretativo efficace.

1.1. Un passo indietro. Che cos’è una mascotte nativoamericana?

  • 7 THE TROGGS, Wild Thing, 1966.

Wild thing
you make my heart sing
you make everything groovy
wild thing7

  • 8 WARD, David S., Major League, Morgan Creek Productions – Mirage Productions, Stati Uniti, 1989, 107 (...)

5In un contesto in cui l’immaginario e la sua percezione assumono una dimensione rilevante, una sequenza del film Major League8 riassume in maniera significativa le caratteristiche incarnate dalla mascotte. È il nono inning dello spareggio tra le squadre capolista di American League East, Cleveland Indians e New York Yankees; la squadra dell’Ohio si è guadagnata l’occasione di giocare questa partita sovvertendo tutti i pronostici, ma ora, giunta all’atto decisivo, si trova in difficoltà, con il rischio concreto che gli Yankees si portino in vantaggio. Il manager degli Indians decide allora di chiamare a risolvere la situazione il lanciatore emergente della stagione, Ricky Vaughn, interpretato da Charlie Sheen. Vaughn, sbandato, ex galeotto, lanciatore miope e (almeno inizialmente) indisciplinato – ma dal braccio potentissimo – è divenuto un beniamino dei fans e si è guadagnato il soprannome di “Wild Thing”, perfettamente in linea con la “squadra dei selvaggi”. Richiamato dal bullpen raggiunge il monte di lancio del Jacobs Field sulle note di Wild Thing dei Troggs, walk-up song perfetta per Vaughn. I tifosi in visibilio ballano mentre l’immagine di Chief Wahoo spunta fra i cartelloni sugli spalti, sulle magliette dei fan e ammicca anche dal tabellone dello stadio.

6È anche attraverso il cliché e gli stereotipi riprodotti da una pellicola sul baseball – peraltro oggetto di una venerazione da parte dei tifosi degli Indians, che l’hanno vivisezionata in numerosissimi meme – che si può comprendere quanto l’immagine del selvaggio sia intimamente legata a quella della franchigia di Cleveland. È uno stereotipo che ha acquisito valore in ambito sportivo per via dell’idea di aggressività e bellicosità che sembra incarnare e che tanto sta a cuore ai fans.

  • 9 SYDNOR SLOWIKOWSKI, Synthia, «Cultural performances and sport mascots», in Journal of Sport and Soc (...)
  • 10 TARVER, Erin C., The I in Team. Sports Fandom and the Reproduction of Identity, Chicago – London, U (...)

7Prima di addentrarci nei dettagli della vicenda che riguarda Cleveland e la sua squadra di baseball è opportuno però soffermarci su cosa sia una mascotte e sul suo potenziale in termini di creazione di sentimenti di appartenenza. Come è stato sottolineato dalla chinesiologa Synthia Sydnor Slowikowski, la mascotte è un feticcio benaugurante9, un simbolo che da molti secoli accompagna le performance sportive. Erin Turner, studiosa di filosofia dello sport, sostiene inoltre che una mascotte: «draw into an artificial unity (1) a variety of teams existing over a period of time and thereby (2) a community of individuals who are thus able to use that team as their own symbolic use of unification»10.

  • 11 Ibidem, p. 67.

8Dunque, assieme al nome, ai colori, al campo di gioco e ad elementi caratterizzanti, permette ai tifosi, stagione dopo stagione, di creare un’affezione nei confronti di una squadra che è sempre la stessa ma, al contempo, non è sempre la stessa perché, ad esempio, cambiano i giocatori che la compongono. La mascotte rende quindi possibile l’autoidentificazione di una comunità di tifosi11.

9Quella delle mascotte nativo americane è, però, un’identificazione del tutto peculiare, perché comporta il fatto che la fandom si identifichi non con una comunità etnica, ma con le caratteristiche che si ritiene che questa incarni o, per fare riferimento ancora alla Tarver:

  • 12 Ibidem, pp. 59-60.

when I refer to a team’s “mascot”, I am referring both to its nickname and to the various forms of iconography that represent it […]. I am choosing to foreground the mascot feature of these practices, rather than the nickname, the colors, or something else, because it makes these practices salient as a system of symbols that relies on idealized representations of things they purport merely to signify, which, […] is important for their functionality12.

  • 13 HORSMAN, Reginald, Race and Manifest Destiny. The Origins of American Racial Anglo-Saxonism, Cambir (...)
  • 14 Il riferimento è agli «abitanti delle nostre frontiere gli spietati selvaggi indiani, la cui nota r (...)

10La funzione della mascotte è dunque quella di incarnare una rappresentazione idealizzata o stereotipata: nel caso specifico l’immagine dell’indiano evoca nell’immaginario dominante quella del selvaggio, coraggioso e indomito, che combatte eroicamente la sua battaglia. Questo tipo di costruzione identitaria, sorta all’alba dell’insediamento inglese negli Stati Uniti13 e sancita persino nella Dichiarazione di indipendenza14, ha dimostrato una longevità straordinaria giungendo sino a oggi.

11Lo scrittore Louis Owens così riassume questo processo

  • 15 OWENS, Louis, As If an Indian Were Really an Indian: Native American Voices and Postcolonial Theory(...)

European America holds a mirror and a mask up to the Native American. […] The mask is one realized over centuries through Euro-America’s construction of the ‘‘Indian’’ Other. In order to be recognized, and to thus have a voice that is heard by those in control of power, the Native must step into that mask and be the Indian constructed by white America15.

  • 16 TURNER STRONG, Pauline, American Indians and the American Imaginary. Cultural Representation across (...)
  • 17 COHAN, Noah, We Average Unbeautiful Watchers, Lincoln, University of Nebraska Press, 2019, p. 163.

12I nativi americani – confinati fuori dalla realtà – finiscono così per essere relegati a una collocazione nello spazio sociale che è quella del «mascot slot», coincidente con il «savage slot»16: la condizione di indiano/selvaggio consente perciò ai tifosi, tramite un mascheramento, una sorta di rappresentazione carnevalesca, di adottare comportamenti ritenuti propri o dei bambini o, per l’appunto, di quelli che vengono considerati “selvaggi”. Del resto, come sottolinea Noah Cohan, «[…] sports fans—traditional modes of team attachment do not necessarily represent the baseline “reality” of their practices of self-identification»17.

  • 18 Wahoo è stato definito dagli attivisti come “red Sambo”, facendo riferimento all’immagine razzista (...)

13La particolarità del logo di Capo Wahoo, che rappresenta un ulteriore elemento di attrito con gli attivisti nativo americani18, è che non si tratta semplicemente di uno stereotipo, ma che è stato realizzato con tratti caricaturali. La sua natura ambigua – volto amichevole e selvaggio al contempo – contribuisce a perpetuare proprio questa immagine, volutamente distorta, del nativo americano come selvaggio. Un ruolo del tutto funzionale alla rappresentazione messa in scena durante la “battaglia” della partita.

1.2. La questione delle mascotte nativo americane e la sua mediatizzazione

  • 19 Sul concetto di appropriazione culturale del patrimonio nativo americano, cfr. COMBE, Rosemary J., (...)
  • 20 Risale al 1972, ad esempio, la causa da 9 milioni di dollari intentata da Russell Means, all’epoca (...)
  • 21 Committee of 500 Years of Dignity and Resistance, URL: < http://www.committeeof500yearsofdignityand (...)
  • 22 PRUCHA, Francis Paul, The Indians in American Society, Berkeley – Los Angeles – London, University (...)

14I fenomeni di cultural appropriation19, a cui il logo Capo Wahoo può essere a buon diritto ascritto, sono stati duramente contrastati dalle associazioni che difendono i diritti dei nativi americani. È infatti attraverso l’appropriazione – e la riproduzione in chiave stereotipata e consumistica – e del patrimonio culturale delle nazioni indiane da parte dell’“America bianca” che i nativi sono stati spogliati della loro identità. Si è così fatta strada la necessità di porre fine anzitutto alle pratiche di “reificazione dell’Indiano”. A partire dagli anni Settanta le azioni di sensibilizzazione, i sit-in, ma anche le iniziative legali – a Cleveland come nel resto degli Stati Uniti – si sono moltiplicate20. All’AIM si è affiancato, a partire dal 1992 – 175esimo anniversario della fondazione della città – il Committee of 500 Years of Dignity and Resistance, che ha regolarmente messo in atto proteste in occasione degli opening day delle stagioni degli Indians: l’obiettivo era quello di ottenere la rimozione del logo21. Il metodo messo in pratica era quello della denuncia dell’uso strumentale e razzista del patrimonio culturale delle popolazioni native operato dalla franchigia di Cleveland: l’intento era quello di rivendicare un diritto all’autodeterminazione e alla riappropriazione della propria immagine22.

  • 23 GRAHAM, Regina F., «Racism of Sports Logos Put Into Context By American Indian Group», in CBS Cleve (...)

15Sulla scorta di questo orientamento, le associazioni che lottano per i diritti delle popolazioni native hanno progressivamente lanciato campagne sempre più provocatorie, confidando nella crescente copertura mediatica per far giungere all’opinione pubblica la loro posizione sul tema. Una di queste – promossa nel 2013 dell’NCAI (National Congress of American Indians) – giocava proprio sugli stereotipi razziali: affiancava al cappello da baseball degli Indians con l’immagine di Capo Wahoo, quelli di due squadre immaginarie, i New York Jewish e i San Francisco Chinamen. Ovviamente anche in questi ultimi due casi le mascotte presentavano un’immagine caricaturale dei soggetti23.

16Al successo della lotta dei nativi ha contribuito in maniera decisiva la progressiva penetrazione della questione delle mascotte nel circuito dei media sportivi, che ha dato avvio a un dibattito crescente e alla progressiva sensibilizzazione di una parte dei tifosi e dell’opinione pubblica. La svolta in questa direzione può essere collocata all’inizio degli anni Novanta, quando giornali e televisioni iniziarono a dare spazio al fenomeno delle proteste dei nativi.

  • 24 ROSENSTEIN, Jay, In Whose Honor? Mascots, and the Media, in KING, Richard C., FRUEHLING SPRINGWOOD, (...)
  • 25 LIDZ, Franz, «Not a Very Sporting Symbol: Indians Have Ceased to Be Appropriate Team Mascots», in S (...)
  • 26 ROSENSTEIN, Jay, In Whose Honor?, POV – PBS, Stati Uniti, 1997, 48’.

17Un punto di partenza è sicuramente rappresentato dall’uscita su «Sports Illustrated»24 dell’editoriale Franz Lidz25: da allora l’attenzione da parte della stampa crebbe esponenzialmente e con essa il dibattito pubblico. Le proteste inscenate durante le World Series del 1995 (che avevano come protagonista un’altra squadra con una mascotte nativoamericana, gli Atlanta Braves) ottennero grande visibilità sui media statunitensi. La discussione fu ulteriormente ravvivata dall’uscita, nel 1997, del documentario In Whose Honor?26, in cui il regista Jay Rosenstein analizzava il caso di Capo Illiniwek, la mascotte della squadra di basket dell’Università dell’Illinois. Da allora il moltiplicarsi delle voci di denuncia del fenomeno delle mascotte indiane, additate come razziste, denigratorie e fattore di emarginazione per i nativi americani da un numero crescente di giornalisti, ha contribuito allo sviluppo di una reale sensibilità sul tema.

2. Immaginario e storia degli Indians e della loro mascotte

2.1. Come Cleveland diventò “indiana”…

  • 27 Sulla vicenda sportiva e umana di Sockalexis, tra le numerose pubblicazioni si segnalano: FLEITZ, D (...)

18I responsabili della comunicazione degli Indians – almeno sino al 1999 – fornivano una narrazione ufficiale (presa per buona dalla stragrande maggioranza dei tifosi) per giustificare l’origine della denominazione della squadra. Nel corso del 1914 i funzionari della franchigia avrebbero contattato un giornale locale con l’intento di indire un concorso per trovare un nuovo nome alla squadra, sino ad allora chiamata “Naps” (e, in precedenza, “Spiders”). “Indians” sarebbe perciò nato dalla proposta di un tifoso (rimasto anonimo) che avrebbe voluto con questo nome celebrare la memoria di Louis Francis Sockalexis, uno dei primi nativi americani a giocare in Major League con quelli che all’epoca erano i Cleveland Spiders. La carriera di Sockalexis ad alti livelli fu tuttavia brevissima (appena due stagioni27, dal 1897 al 1899). Il giocatore morì nel 1913, un anno prima che venisse rinominato il club: è dunque – almeno teoricamente – possibile che qualche tifoso avesse in mente di onorarne la presenza facendo diventare quella di Cleveland “la squadra degli indiani”.

  • 28 STAUROWSKY, Ellen J., «An Act of Honor or Exploitation: The Cleveland Indians’ Use of the Louis Soc (...)

19Diverse cose, però, non quadrano in questa narrazione ufficiale. Come è stato evidenziato dalla prima seria ricerca condotta sul tema28, il giornale che avrebbe promosso l’iniziativa non veniva mai menzionato, così come il tifoso che avrebbe proposto l’adozione del nuovo nome. In più, come rimarcava l’autrice della ricerca, la storica Ellen Staurowsky, la temperie culturale in cui si svolsero gli eventi – a soli 24 anni di distanza dal massacro di Wounded Knee – non era certamente la più adatta perché sorgesse spontaneamente la proposta di intitolare una franchigia a un nativo americano.

20Spogliando le principali testate – sportive e non – di Cleveland, Staurowsky scoprì una realtà completamente diversa. Per decidere il nuovo nome fu infatti organizzata una conferenza, rivolta ai giornalisti sportivi locali: fu da alcuni di loro che partì l’appello ai tifosi affinché li aiutassero a scegliere la denominazione. La scelta definitiva venne comunque operata dai cronisti: tuttavia “Indians” non era mai stato menzionato dalla stampa nei giorni precedenti tra i nomi papabili.

21È da notare, sottolinea la storica, l’efficacia mediatica dell’operazione: già nei giorni immediatamente successivi alla decisione comparvero sui giornali una serie di stereotipi legati all’immagine dei nativi americani; non era tuttavia la prima volta, dal momento che, quando la franchigia di Cleveland ancora si chiamava Spiders, l’ingresso in squadra di Sockalexis aveva fatto guadagnare alla squadra, almeno sui giornali, la nomea di “squadra degli indiani”.

22La figura di Sockalexis risulta quindi tanto strumentale quanto essenziale per fondare l’“identità indiana” degli Indians; ne rimane – peraltro anche oggi – l’unica giustificazione storica. Ma, come abbiamo visto, la storia è stata parzialmente mistificata: questa è la ragione per cui, nel 2000, la Media Guide della squadra è stata cambiata eliminando la parte riguardante il concorso e introducendo quanto indicato da Staurowsky29, seppur enfatizzando ancor più la volontà di onorare Sockalexis adottando questo nome. Questa operazione venne realizzata riprendendo un articolo del «The Plain Dealer» dell’epoca: «The ‘fans’ throughout the country began to call the Clevelanders the ‘Indians’. It was an honorable name, and while it stuck the team made an excellent record»30. Tutto questo mentre nello stesso anno una risoluzione della nazione Indiana Penobscot – la stessa di cui era originario Sockalexis – condannava l’uso di Wahoo, considerandolo «an offensive, degrading, and macis stereotipe that firmly places Indian people in the past, separate from our contemporary cultural existence»31.

  • 32 ROWE, David, Sport, Culture and the Media, Maidenhead, McGraw-Hill, 2008; BOYLE, Raymond, Sports Jo (...)
  • 33 STAUROWSKY, Ellen, Sockalexis and the Making of the Myth, in KING, Richard C., FRUEHLING SPRINGWOOD (...)

23La franchigia anche in questo frangente dimostrò di avere un’alta consapevolezza dell’importanza della storia: il valore del binomio Indians/Cleveland è stato perciò preservato, protetto ed enfatizzato. La narrazione prodotta dagli organi di stampa della squadra – parte di un più vasto sistema mediatico connesso allo sport32 – è divenuta così il luogo di custodia della memoria, che viene tramandata anche dai tifosi: una memoria mistificata, volta a perpetrare la tradizione delle relazioni fra bianchi e nativi, basata sull’insabbiamento della realtà, a volte consapevole e deliberato, a volte frutto dell’inconsapevolezza33.

24Malgrado questa inconsistenza del legame, la squadra – e parallelamente la città – si è costruita, nel corso degli anni, quella che potremmo definire un’“immagine indiana”. Se è difficile trovare traccia del tributo a Sockalexis e alla sua breve parentesi sportiva a Cleveland, di certo è assai più semplice individuare ciò che è stato fatto a posteriori per creare questo legame.

2.2. …e come creò la sua mascotte

25Nello studiare il modo in cui viene comunicata l’immagine dei Cleveland Indians, abbiamo osservato come la franchigia abbia intrapreso una lotta per rivendicare la legittimità del legame con il retaggio nativoamericano.

  • 34 RICCA, Brad, «The Secret History of Chief Wahoo», in The Belt Magazine, 19 giugno 2014, URL: https (...)
  • 35 Brad Ricca evidenzia come il nomignolo “Wahoo” fosse abitualmente affibbiato ai nativi americani, m (...)
  • 36 OKKONEN, Mark, Baseball Uniforms of the 20th Century: The Official Major League Baseball Guide, New (...)

26Nella costruzione dell’“identità indiana di Cleveland al nome Indians, a partire dal 1947, venne ad aggiungersi un nuovo elemento: il logo di un capo indiano (APP. FIG. 1). In quell’anno il proprietario degli Indians, William Veeck, aveva infatti incaricato un diciassettenne, Walter Goldbach di disegnare una mascotte per la squadra: questi lo fece prendendo spunto da una serie di disegni molto popolari, opera di Fred George Reinert, disegnatore del «The Plain Dealer»34; i fumetti, comparsi per la prima volta nel 1932, erano impiegati a corredo delle cronache delle partite di baseball e raffiguravano un piccolo indiano. Sulla denominazione della mascotte sono state formulate diverse ipotesi35: l’attribuzione ufficiale del nome giunse solo nel 1952, anche se nel frattempo il logo era cambiato assumendo le attuali fattezze36 (APP. FIG. 2).

  • 37 CRONON, William, The trouble with wilderness; or, getting back to the wrong nature, in ID (ed.), Un (...)
  • 38 LIMERICK, Patricia, The Adventures of the Frontier in Twentieth Century, in GROSSMAN, James R., The (...)

27La visione stereotipata dell’indiano come valoroso guerriero era in quegli anni il riflesso dell’altrettanto stereotipato immaginario che vedeva nella conquista del West un coraggioso sforzo degli europei per “addomesticare” un continente selvaggio e con esso i suoi abitanti, salvo poi bandirli da questi luoghi37. L’esaltazione del concetto di frontiera e il suo consolidarsi come mito fondativo della nazione sviluppò rapidamente un versante commerciale che ne ha rafforzato il potere simbolico e la capacità di creare un immaginario collettivo propugnato attraverso i beni di consumo38.

  • 39 DAVIS, Laurel R., The Problems with Native American Mascots, in KING, Richard R., The Native Americ (...)

28All’epoca in cui venne creato il logo, le immagini – giustapposte – della barbarie e della conquista erano un modo per affermare lo status del moderno e civilizzato spettatore/consumatore39. Il problema insito nell’impiego di simboli come le mascotte nativo americane, tuttavia, è che, come abbiamo visto, sono potenti forme culturali in grado di riflettere una disparità storicamente presente nelle relazioni sociali fra le comunità e di cristallizzarle nel tempo poiché esse diventano patrimonio identitario della fandom.

29Quel che avviene con l’utilizzo di questi simboli è infatti che:

  • 40 STAUROWSKY, Ellen, Sockalexis and the Making of the Myth, cit., p. 92.

Through a combined process of imitation, contact, and ownership, the commercialized symbols of Native American experience serve as a means of undermining the oppressed group because the symbols become owned and overtaken by the dominant group40.

  • 41 MERSKIN, Debra, «Sending up signals: A survey of Native American media use and representation in th (...)
  • 42 MORLEY JOHNSON, Daniel, «From the Tomahawk Chop to the Road Block: Discourses of Savagism in Whites (...)

30Vale la pena di soffermarsi su quanto abbia contribuito al radicamento di questa tendenza l’atteggiamento dei media, che ancora negli anni Novanta, seppur nel contesto dell’apertura di un primo vero dibattito, sembrava ancora indirizzato a consolidare e tramandare un’immagine stereotipata dei nativi americani41, del tutto funzionale al sensazionalismo di un certo tipo di giornalismo sportivo. La volontà, ad esempio, di mantenere una fraseologia ammiccante rispetto alla presunta natura selvaggia e guerriera dei nativi/Indians42 – che di volta in volta, “erano sul piede di guerra”, “prendevano lo scalpo di”, “disseppellivano l’ascia di guerra”, “erano in caccia”, … – perpetuava uno stereotipo che si traduce istantaneamente in (mis)conoscenza storica. Stabilire quanto quest’ultima sia inconsapevole e quanto, invece, deliberata, sarà oggetto del prossimo paragrafo.

3. Stereotipi e (ab)uso dell’immagine: il white indian di Cleveland

  • 43 ROSENSTEIN, Jay, In Whose Honor?, cit.

«“we love our chief”. That’s what they say.
Of course you love him: you manufactured him!
See that’s not our image, that’s not our perception of ourselves:
it’s their perception of who we are».
(Charlene Teters, at
tivista nativo americana)43

31Gli attivisti delle associazioni che operano in favore dei diritti degli indigeni americani denunciano il fenomeno di monumentalizzazione del passato che viene operato attraverso le mascotte, che da una parte nasconde la realtà attuale delle comunità, dall’altra relega il passato a una sola, irrealistica, interpretazione. La costruzione dello stereotipo dell’aggressività del nativo americano – realizzata anche e soprattutto attraverso simboli popolari come le mascotte – è frutto della costruzione ideologica operata dai discendenti dei coloni europei, il cui ruolo egemonico (anche in campo culturale) non è ancora stato messo seriamente in discussione.

32Come sostengono Omi e Winant, negli Stati Uniti

  • 44 OMI, Michael, WINANT, Howard, Racial Formation in the United States, New York – London, Routledge, (...)

Race is a fundamental organizing principle of social stratification. It has influenced the definition of rights and privileges, the distribution of resources, and the ideologies and practices of subordination and oppression. The concept of race as a marker of difference has permeated all forms of social relations. [...] The corporeal distinction between white men and the others over whom they ruled as patriarchs and masters, then, links race to gender, and people of color to women44.

  • 45 PEWEWARDY, Cornel D., Educators and Mascots Challenging Contradictions, KING, Richard C., FRUEHLING (...)

33Questo tipo di distinzione è basato anche sullo stereotipo, che viene inculcato sin dall’età prescolare e genera schemi razziali duraturi che si consolidano e perdurano in età adulta45.

  • 46 FLEITZ, David L., op. cit., p. 188.
  • 47 WARD, David, Major League, cit.; WARD, David, Major League II, Morgan Creek Productions, Stati Unit (...)

34La creazione delle mascotte nativoamericane risale a un’era in cui il white racism non era messo in discussione, era esplicito. I loghi hanno avuto buon gioco nel consolidarsi sino a divenire simboli identitari in cui una fandom poteva riconoscersi: la loro forza è stata accresciuta dall’azione pervasiva del marketing46. Considerando il caso specifico degli Indians, si può notare come, a partire dal 1986, le vendite del merchandising (in particolare del cappellino su cui campeggiava l’immagine di Capo Wahoo) siano incrementate in modo esponenziale. Negli anni Novanta, in concomitanza con le vittorie dell’American League (1995 e 1997) e con la pubblicità indiretta effetto dei due film di David Ward47 aumentò la produzione e la vendita di ogni tipo di accessorio “indiano”, anche fuori dagli Stati Uniti: di fatto la franchigia aveva trovato una vera e propria miniera d’oro vendendo l’immagine di Wahoo.

  • 48 DOANE, Woody, «White-Blindness: The Dominant Group Experience», in MYERS, John (ed.), Minority Voic (...)
  • 49 FRANKENBERG, Ruth, White Women, Race Matters. The Social Construction of Whiteness, Minneapolis, Un (...)
  • 50 «Carter Defends Use of the Chop», in The New York Times, 24 ottobre 1991, p. 13, URL: < https://www (...)
  • 51 LIPSYTE, Robert, «How Can Jane Fonda Be a Part of the Chop?», in The New York Times, 18 ottobre 199 (...)

35Le mascotte, sospinte anche dal marketing, si sono affermate e hanno contribuito alla diffusione della narrazione propria della white blindness48, basata sull’inconsapevolezza da parte dei bianchi di essere portatori di una visione culturale egemonica che conforma il mondo ai propri standard e stereotipi. La white blindess rispecchia quella che la sociologa Ruth Frankenberg ritiene essere una delle tre dimensioni della whiteness, ossia un «set of cultural practices that are usually unmarked and unnamed»49 e che sono proprie della cultura dominante: non essendo evidenti perché non esplicitate, divengono una sorta di norma invisibile. Quanto queste pratiche finiscano per essere pervasive ed emarginanti lo si può notare proprio osservando il comportamento dei tifosi delle squadre che hanno come simbolo i nativi americani: basterebbe citare la partecipazione di Jimmy Carter50 o Jane Fonda51 – personaggi del cui orientamento politico progressista (e dunque della loro buonafede) non si può certamente dubitare – al tomahawk chop degli Atlanta Braves.

36In conclusione

  • 52 KING, Richard C., Media Images and Representations, cit., p. 56

[…] the emergence of Native American mascots reflected the trajectory of the American empire: On the one hand, such mascots are trophies, the prize of conquest, replicating the propensity of settlers to take and remake Native places and practices without permission; on the other hand, they encourage citizens and communities to affirm who they are and where they came from – the rightful heirs of once-proud people who valiantly fought against a superior civilization52.

  • 53 Sul tema si vedano i classici: BERKHOFER, Robert F., The white man’s Indian: the history of an idea (...)

37L’appropriazione di una storia non propria, di cui si pretende di avere l’esclusiva della narrazione e della rappresentazione pubblica, è il risultato finale di questa visione: una pratica che è in atto da secoli53 e che si presenta anche nel rassicurante contesto di un’attività ludica.

  • 54 ECO, Umberto, Travels in Hyperreality, in ID., Travels in Hyperreality, New York, Harcourt Brace & (...)
  • 55 SYDNOR SLOWIKOWSKI, Synthia, op. cit., p. 28

38Viene così creato quello che Sydnor Slowikowski definisce, basandosi sulle considerazioni di Umberto Eco in Travels in Hyperreality54, il «simulacro nativo americano»55. Quella che rivendicano i tifosi pro-wahoo è dunque, più o meno consciamente, il diritto di riprodurre una narrazione storica di cui si sentono depositari.

  • 56 ROBERTSON, Dwanna L., «Invisibility in the Color-Blind Era Examining Legitimized Racism against Ind (...)
  • 57 Jennifer Guiliano riporta ad esempio i problemi personali in cui è incorsa nel corso della sua rice (...)

39Questo tipo di visione è, inevitabilmente, escludente56: lo è per i nativi americani, che rifiutano di riconoscersi in un’immagine stereotipata e offensiva, e lo è per chi non accetta questo tipo di denigrazione di stampo razzista. Chi non sostiene la mascotte – come sottolinea la storica Jennifer Guiliano facendo riferimento alla sua esperienza personale di studiosa – finisce spesso per porsi non solo al di fuori della fandom, ma della stessa comunità locale perché la critica esplicitamente, mettendone in discussione un simbolo identitario57. Un destino che in parte è toccato anche a Larry Dolan. Proprietario della squadra dal 2000 – quando la ha rilevata dai Jacobs – Dolan si è sempre mostrato più disponibile della precedente proprietà a valutare l’eliminazione del logo di Wahoo dalla maglia degli Indians. La decisione – che risale al gennaio del 2018 – di eliminare il logo dalle maglie della squadra nella stagione successiva ha scatenato la ferma opposizione di una parte della tifoseria, che non dimette l’idea di dover rinunciare a Capo Wahoo.

4. Fighting for Chief Wahoo

  • 58 Cit. in FENELON, James V., Introduction. Redskins, Wahoos and Racism through the Ages, in ID., op. (...)

40«We’re the Indians now»
(tifoso degli Indians, rivolto ai manifestanti dell’AIM
58)

  • 59 APPIAH, Kwame Anthony, The Lies that Bind. Rethinking Identity, New York – London, Liveright, 2018.
  • 60 Nell’anno 2019 la media di spettatori a partita era di 21.4635; l’anno precedente era di 23.786. I (...)

41Per osservare meglio i meccanismi identitari59 che spiegano questi fenomeni di “resilienza bianca” ci siamo soffermati sull’uso (e sull’abuso) della storia – consapevole e inconsapevole – operato dalla tifoseria pro-wahoo degli Indians. Per analizzare la narrazione prodotta dalla fandom sono stati presi in esame i social media (facebook e twitter in particolare), alcuni filmati realizzati durante le manifestazioni anti-Wahoo (utili per osservare la reazione dei fans più intransigenti) e alcune immagini autoprodotte dai tifosi. Il periodo d’analisi privilegiato dalla ricerca è l’anno 2019 – quello in cui l’immagine di Wahoo è scomparsa, per scelta della dirigenza, dalle divise della squadra – ma verrà fatto qualche sporadico riferimento anche agli anni precedenti. L’elenco completo dei siti presi in esame e della loro consistenza in termini di visite – dove disponibile – è riportato nell’appendice; la consistenza numerica degli utenti delle pagine web prese in esame può essere valutata prendendo in considerazione la media di spettatori al Progressive Field60. Nel raccogliere e interpretare questi dati si è cercato di contestualizzare il dibattito e ricostruire il contesto, cercando di disarticolare le eventuali aspettative preconcette. È stato così possibile isolare tre schemi intorno a cui si articolano le argomentazioni pro-wahoo dei tifosi: a queste corrispondono altrettante narrazioni (contro)storiche.

4.1. «It is just a name!»

  • 61 KING, C. Richard, Media Images and Representations, Philadelphia, Chelsea House Publishers, 2006, p (...)

42La principale giustificazione fornita dai supporters di Capo Wahoo, in linea con la visione dei sostenitori delle mascotte nativo americane, è riassumibile nella frase “it is just a name!”, che porta con se un corollario di affermazioni analoghe, tutte tese a considerare l’aspetto giocoso della questione o che invitano a «stare al gioco»61.

  • 62 ID., On Being a Warrior: Race, Gender and American Indian Imagery in Sport, in ID. (ed. by), Native (...)
  • 63 OMI, Michael, WINANT, Howard, op. cit., p. 108.

43L’affermazione è in realtà uno schermo difensivo per poter continuare a esercitare un rapporto egemonico sull’immagine del nativo americano62. Come ricordano Omi e Winant «Whether they were defined by their racial status (as enslaved or “free,” black, Indian, mestiz@), or by the patriarchal family (as daughters, wives, mothers), they were corporeally stigmatized, permanently rendered as “other than,” and the possessions of, the white men who ruled»63.

  • 64 KING, C. Richard, Media Images and Representations, cit., p. 64.

44La minimizzazione della questione si avvale anche di altre strategie: una di queste, come suggerisce King64, è l’equiparazione delle origini etniche dei fans bianchi con quella dei nativi. Vale la pena riportare un commento particolarmente significativo dell’utente takemytalentstosoutheuclid comparso il 3 ottobre sulla pagina della NBC dedicata alla MLB: rappresenta una summa del pensiero dei fan pro-wahoo e introduce già alcune dei temi che affronteremo successivamente. Si tratta di una replica al feroce articolo del giornalista sportivo Craig Calcaterra che stigmatizzava il comportamento di tre fans degli Indians sorpresi in diretta televisiva con la faccia dipinta e un improbabile kostoweh in testa.

As a lifelong Tribe fan, I have no issue with their use of Chief Wahoo at all. The bottom line for me is, if enough people voiced their opinion as being in line with yours, Craig, they would have changed it. I’ve been to dozens of games, and seen the handful of protestors, and have no issue with people voicing their opinion on the matter, but as is said so many times, baseball is a business. If Chief Wahoo was having a negative impact on the bottom line, you can bet your rear end they would change it in a heart beat. Sad? Most definitely, but it is reality. As an an Italian American, should I be offended by every Jersey Shore or Married to the Mob episode? What about the Sopranos, and Pauly Walnuts sweatsuits? All italians are in the mob, you know, or at least connected. Fugetaboutit!! I take it as it is. Sometimes funny, sometimes stupid as hell, but just not offensive to me.

45La presunta visione “ludica” che viene evocata non è in realtà disgiunta da uno stuolo di considerazioni politiche: si accusa di ipersensibilità chi ritiene che le mascotte nativo americane possano essere considerate offensive, congetturando l’esistenza di una volontà politica di “creare un problema” altrimenti inesistente. Una presunta lobby liberale – identificata di volta in volta con élites intellettuali, sportive o giornalistiche – impiegherebbe la questione delle mascotte come un pretesto per combattere il sano spirito americano. La loro arma, secondo i tifosi pro-wahoo, è il P.C., il politically correct, visto come un metodo per imbavagliare le tradizioni, i simboli e il sentire comune: Capo Wahoo perciò deve essere difeso dalla minaccia che essi rappresentano (APP. FIG. 3).

46Sulla pagina facebook Keep the Chief l’utente Charlie Delgado scriveva il 1° luglio 2019:

Long live Chief Wahoo,,,,, the "P.C"crowd has ruined this country!!!

  • 65 Il modello in questione è stato criticato, fra gli altri, da Colin Kaepernick. La querelle nasce da (...)
  • 66 HENNINGER, Daniel, «Wahooing Betsy Ross», in Wall Street Journal, 10 luglio 2019, URL: < https://ww (...)

47Accuse di questo tipo inframmezzano tanto le pagine facebook Keep the Chief e Save the Chief, quanto i forum dei siti sportivi americani. Essere P.C. – caratteristica a cui di norma si associa d’ufficio la figura del liberal – qualifica automaticamente chi ne viene accusato di essere guastafeste e antiamericano. Capo Wahoo è divenuto, per una certa corrente di pensiero, l’emblema della potenziale minaccia di censura dittatoriale operata da una minoranza. Daniel Henninger ad esempio ha coniato il termine «wahoohing» in riferimento alla decisione della Nike di ritirare un modello di scarpe accusato di promuovere il razzismo65: si tratterebbe di un pericoloso ed evidente eccesso di politically correctness, almeno secondo l’editorialista del Wall Street Journal66.

  • 67 BATTISTUZZI, Giovanni, «Il politicamente corretto cancella un pezzo di storia del baseball: via l'i (...)

48Questo tipo di retorica, basata sul ridimensionamento della questione, troppo giocosa per essere presa seriamente, risulta particolarmente efficace nel produrre messaggi semplificati, così immediati da trovare ricezione anche in Italia67 dove l’attenzione per il tema è, di norma, molto ridotta. Produce inoltre un sarcasmo che prende di mira la questione razziale sfruttandone le retorica e le armi comunicative (APP. FIG. 4).

  • 68 PAUL, Heike, The Myths That Made America: An Introduction to American Studies, Bielefeld, transcrip (...)
  • 69 DIPPIE, Brian, The Vanishing American, Middletown, Wesleyan University Press, 1982, pp. 243-266, in (...)

49Complementari a questo tipo di considerazioni sono le affermazioni secondo cui capo Wahoo omaggerebbe i nativi americani. Lo sconcerto con cui molti tifosi pro-wahoo reagiscono dimostrando di non comprendere le ragioni per le quali il logo non può in alcun modo onorare la comunità nativo americana sembra rispecchiare – oggi in chiave simbolica – le logiche assimilazioniste68 ottocentesche; l’alternativa che veniva allora imposta agli indiani era tra lo sterminio e il “dissolvimento” all’interno della società americana69; oggi la scelta per i nativi – secondo i wahooers – è tra riconoscersi nell’immagine distorta che è stata prodotta o accettarne passivamente l’esistenza. Queste valutazioni – che del resto ricalcano la narrazione ufficiale della franchigia – rappresentano anch’esse un’espressione della white blindness poiché derubricano gli effetti dell’uso delle mascotte nativo americane al solo ambito ludico.

4.2. «We, are the indians now!»

  • 70 WHITERS, Tom, «Indians walk their way to 5-3 win over White Sox in opener», in AP News, 2 aprile 20 (...)

50Il 2 aprile 2019 si svolse la prima partita degli Indians senza il logo di Wahoo sulle maglie dei giocatori; parallelamente, all’esterno dello stadio, i manifestanti dell’AIM davano luogo alla consueta manifestazione, chiedendo che la rimozione del logo fosse totale e non limitata alla sola divisa della squadra70. Il ricevitore Roberto Perez divenne in quell’occasione un eroe per i wahooers perché portò in campo, durante il suo turno in battuta, un passamontagna con il logo di Wahoo (APP. FIG. 5): l’immagine rimbalzò sui social media raccogliendo i commenti entusiastici dei fan. Era il primo giocatore a rompere il tabù e il gesto venne vissuto come una sorta di atto di resistenza ad un’imposizione piovuta dall’alto. Per alcuni rappresentava il segno di un attaccamento alla storia e alle tradizioni di Cleveland.

  • 71 SCHNEIDER, Russell, The Cleveland Indians Encyclopedia, Champaign, Sport Publishing, 2004, pp. 523 (...)
  • 72 PLUTO, Terry, HAMILTON, Tom, Glory Days in Tribe Town. The Cleveland Indians and Jacobs Field 1994- (...)

51Proprio questo aspetto gioca un ruolo fondamentale nel coagulare i sostenitori di Wahoo intorno al loro logo. Presente nell’immaginario collettivo dei tifosi da più di settant’anni, questo è inestricabilmente legato alla storia della franchigia, ma anche alla memoria individuale dei tifosi. Un’idea di questo inscindibile binomio ce la offre la prefazione – significativamente intitolata When Cleveland Really Was a Tribe Town – di un libro dedicato all’epopea degli Indians negli anni Novanta (un’epoca soprannominata «the Era of Champions»71): «Close your eyes and think back to the middle 1990s. Those weren’t baseball seasons, they were year-long celebrations. It was the end of baseball’s darkest decades in Cleveland. It was Jacobs Field packed with fans wearing Wahoo red, white and blue»72. Il giornalista sportivo Terry Pluto e del radiocronista Tom Hamilton mettendo in scena il connubio fra baseball, patriottismo, divertimento e una golden age da rimpiangere non mancano di inserirvi Wahoo.

52Tuttavia come osservava un sostenitore “pentito” di Wahoo sulla pagina web Let’s go tribe!

I will admit that I was torn. Every time I look at Chief Wahoo, I always thought "baseball". I thought of great childhood memories of going to the old Municipal Stadium with my Dad in the 70s and 80s to see a team that we always in the cellar. The stadium was always half-empty, with plenty of hot dogs to go around. That what the Chief meant to me.

Starting in the late 90s, things started changing. I see the protesters outside what is now Progressive Field every year. One day, I am asked by a male Native American protesters whether if I would accept a caricature of stereotypical Asian as a team logo or the "Cleveland Chinks" (his actual words) . I would think about it and respond with "I don't think I care". I may be Korean, but I am not tied to my heritage that tightly.

The protesters did get me thinking about it. I know it is a racist caricature, but am I willing to let Chief Wahoo, a symbol of Cleveland baseball for 70+ years, go out to pasture? For the longest time, I thought that it shouldn’t because of "history". In reality, I didn't want to let it go because of "memories". Once I realized this, the answer is very clear.

RIP Chief Wahoo

53L’autoanalisi operata dall’utente nel commento non si può però considerare una prassi comune. Inoltre, quando alla memoria personale si unisce il senso di appartenenza ad una comunità (anche attraverso i luoghi comuni) il sentimento di affezione nei confronti del logo-feticcio si rafforza.

  • 73 Vale la pena di sottolineare come nello Stato dell’Ohio siano presenti ben due franchigie di MLB: i (...)

54Il 14 maggio 2019 l’amministratore dell’account Keep Chief Wahoo pubblicò una bandiera dell’Ohio in cui campeggiava Wahoo73 al posto del tradizionale cerchio bianco (APP.: FIG. 6). La foto raccolse molti commenti, tra cui vale la pena di isolare quelli dell’utente Bobby Fatica, che notava polemicamente, in riferimento agli scarsi successi sportivi:

They don’t seem to be having much luck since dropping the chief...just sayin....

55Corroborato da un’altra osservazione sarcastica dell’utente David Liggit:

Bobby Fatica - Agree, Hard to be ultra liberal & PC in a conservative to moderate hard working State like Ohio‼

  • 74 Sul profondo radicamento del tifo degli Indians in Ohio si può fare riferimento alle statistiche of (...)
  • 75 Sul processo di segregazione nelle periferie e nei sobborghi di Cleveland, un buon compendio storic (...)
  • 76 WINANT, Howard, Racial Conditions Politics, Theory, Comparisons, Minneapolis - London, University o (...)
  • 77 Ibidem, p. 66.

56Questa tipo di affermazioni scavano, ancora una volta, un solco fra la figura del PC liberal e l’hard worker (conservatore o moderato) dell’Ohio; si tratta, anche in questo caso, dell’ostentazione di figure stereotipate appartenenti ad un immaginario collettivo. A partire dagli anni Novanta l’Ohio è diventato stabilmente un red State (sette elezioni su otto alla carica di governatore sono state vinte dai repubblicani), invertendo un trend che dagli anni Settanta vedeva prevalere i democratici. Alla base di questo mutamento delle preferenze politiche vi sono sicuramente le ragioni che porta con sé una prolungata crisi economica74: il declino dell’industria degli anni Settanta portò alla chiusura di molte fabbriche e a una difficile riconversione, che in molte aree di quella che oggi è la rust belt non si è mai realizzata pienamente. In termini di immaginario l’Ohio incarna perciò l’America profonda, tanto in chiave agricola quanto industriale. Cleveland in particolare ha patito la crisi dell’industria i cui effetti hanno portato a una diminuzione costante della popolazione residente, con un parallelo aumento (in proporzione) della popolazione afroamericana; tutto ciò ha accentuato il processo di segregazione nelle periferie75. La crisi dell’Ohio si è assommata a una più generale crisi dell’identità bianca76, che si è manifestata sotto forma di un’«anomic absence of a clear culture and identity, the perceived disadvantages of being white with respect to the distribution of resources, and the stigma experienced in thinking of one’s group – even somewhat facetiously – as the “oppressors of the nation”»77. Alla perduta prosperità (e identità) industriale si sono sostituite le suggestioni offerte dalla nostalgica rievocazione del passato. Si può in buona sostanza applicare ai tifosi degli Indians quanto rilevava Andrew Linden riferendosi al caso della squadra di football dei Clevand Browns. La nostalgia, in questo caso

  • 78 LINDEN, Andrew J., «Blue-Collar Identity and the “Culture of Losing”: Cleveland and the “Save Our B (...)

represented their desire not only for a past that included an idealized blue-collar identity but one that specifically consisted of expressions of heteronormative, white masculinity. Many Browns fans associated the team’s blue-collar associations with their (heteronormative) family, along with their personal identity. Both male and female fans, thus, aligned with a gender order that offered expressions of conventional masculinity and femininity78.

57Nella controversia su Capo Wahoo finiscono così per sovrapporsi due narrazioni storiche differenti, non compatibili fra loro: da una parte si trova il diritto all’autorappresentazione storica da parte della comunità indiana, dall’altra il retaggio storico del simbolo – indissolubilmente legato all’imposizione dell’immaginario bianco – per i tifosi pro-wahoo.

  • 79 BILLINGS, Andrew C., BLACK, Jason Edward, op. cit., p. 198.
  • 80 BRADBURN, Michael, «Indians remove Chief Wahoo from jersey during series in Toronto», in the Score, (...)

58La difesa del simbolo identitario si manifesta in due modalità: intercomunitaria e intracomunitaria. La prima di queste riguarda la rivalità fra squadre: l’eliminazione del logo viene percepita come un tentativo di cancellare l’identità della squadra e scatena una dinamica di ostilità fra comunità che si percepiscono come diverse. Questo è il caso, ad esempio, di quanto occorso in occasione degli incontri fra Toronto Blue Jays e Cleveland Indians del settembre 2018. I precedenti avevano già posto le basi per creare attrito fra le due franchigie proprio a partire dell’“identità indiana” di Cleveland: già nel 2016 la decisione del giornalista canadese Jerry Howarth di rifiutarsi di pronunciare il termine “Indians” durante gli incontri aveva creato polemiche79. Nello stesso anno un attivista nativo americano aveva fatto appello al Canadian Human Rights Tribunal dell’Ontario per impedire l’utilizzo della mascotte; dapprima rigettata e poi riammessa, la controversia giuridica suggerì alla dirigenza degli Indians di presentarsi in Canada per giocare la prevista serie di quattro partite senza il logo di Wahoo sulle uniformi80. La decisione scatenò una reazione stizzita nei tifosi degli Indians, che si trasformò in una spietata vendetta – espressa attraverso un meme (APP. FIG. 7) – al termine della serie, impattata 2-2, con conseguente eliminazione della squadra canadese.

59Parallelamente, tuttavia, rappresentare il nativo americano con le sembianze di Wahoo significa rappresentare se stessi e il proprio posto (egemone o auspicabilmente tale) nella società: innesca dunque una dinamica di ostilità intracomunitaria. Possiamo ritrovare la tematica del contrasto fra memorie individuali e identità della fandom nei tweet del 24 agosto 2019, in occasione della celebrazione di un anniversario particolare. Il 24 agosto 1973 John Adams entrò infatti per la prima volta al Jacobs Field con il suo tamburo: da allora accompagna con il suo strumento gli Indians ed è divenuto un beniamino della tifoseria, oltre che un importante pezzo di storia della fandom. Grazie al suo “tamburo di guerra” si è guadagnato l’installazione di una targa commemorativa all’interno dello stadio: «#1 Tribe fan».

60L’anniversario di questa prima storica presenza venne ripreso e celebrato da molti tifosi, anche dall’account ChiefWahoo47. Al suo retweet fecero seguito quelli di altri wahooers che postavano congratulazioni e foto-ricordo in compagnia di Adams. Tra i commenti, tuttavia, se ne trova uno fortemente polemico dell’utente T.J. Bratz:

We paying homage to dudes who appropriate sacred Native American traditions for a team with a notoriously racist mascot now? Taking a sacred part of a culture your country almost wiped of the face of the earth and using it to hype people at the white man’s pass time is gross.

61Il commento ironico – espresso attraverso un meme – dell’utente Scott Keller è «Lighten up»: l’invito “a rilassarsi” riporta ancora una volta alla prima categoria giustificatoria, “è solo un gioco”.

  • 81 TARVER, Erin, op. cit., p. 75
  • 82 CLARK, David A. T., NAGEL, Joane, White Men, Red Masks: Appropriation of “Indian” manhood in Imagin (...)
  • 83 Vale la pena di accennare alla necessità, evidenziata fra gli altri da Arnold Krupat, di prendere i (...)

62L’irrisione o l’aggressività dei bianchi si indirizza contro quella che viene vissuta come una “dittatura delle minoranze” che imporrebbe di rinunciare a ciò che vuole la maggioranza: lo stereotipo risulta in questo senso un instrumental facilitator della fantasia collettiva. L’utilizzo della caricatura dei nativi americani prevede però la loro esclusione perché ciò disturberebbe l’immagine fantasiosa e stereotipata che la fandom ha prodotto81, attingendo a un vasto campionario consolidatosi nel corso dei decenni82, che aliena la comunità nativo americana dalla gestione della propria immagine, tanto in prospettiva storica83 quanto politica.

  • 84 CLEVELAND.COM, «Watch Indians fans go off on Chief Wahoo protesters», URL: < https://www.youtube.co (...)
  • 85 CLEVELAND.COM, «Chief Wahoo fans hurl insults at Native Americans», URL: < https://www.youtube.com/ (...)

63Questo emerge con chiarezza guardando alle reazioni dei tifosi pro-wahoo di fronte ai manifestanti che chiedevano la rimozione del logo nel 201784 e nel 201885. Se l’uomo con la tuta dei Dallas Cowboys che si infuria davanti ai dimostranti urlando che la mascotte è «solo una caricatura!» rappresenta in sé una plastica rappresentazione dell’immaginario bianco del West e dei suoi feticci, non sono da meno gli altri tifosi che si producono in una serie di pratiche (grida di guerra, tomahawk chop, …) di quella che potremmo definire white indianness di fronte ai nativi.

4.3. Baseball is a business

64Vi è infine un lato economico della vicenda che costituisce una delle argomentazioni preferite dei tifosi pro-wahoo e che bisogna prendere in considerazione. L’eliminazione del logo comporta conseguenze anche dal punto di vista del marketing e, dunque, del bilancio della franchigia. Una stima (non esistono dati ufficiali) delle entrate derivanti dal merchandising direttamente legato a Capo Wahoo è stata fatta dal giornalista Kevin Kleps: questa cifra corrisponderebbe a 13,8 milioni di dollari, pari a circa il 5%86 delle entrate. È difficile però valutare il peso indiretto che ha il brand degli Indians – negli Stati Uniti e all’estero – anche per merito del suo logo. Un’interessante statistica del 2016 (prima dunque della vittoria delle World Series da parte dei Cubs) mostra come i Chicago Cubs e i Cleveland Indians avessero all’epoca il miglior rapporto proporzionale fra vendita di merchandising e risultati sportivi: in altri termini si trattava di squadre vincenti più nelle vendite che sul campo87.

65Questo aspetto era ben chiaro anche al commissioner della MLB Rob Manfred – che ha sempre caldeggiato l’eliminazione di Wahoo, da lui ritenuto “inappropriato” – quando iniziarono le discussioni sul logo e la sua rimozione. La decisione intrapresa da Dolan di eliminare capo Wahoo dalle maglie ha quindi fatto sospettare ai tifosi che ci fosse da tempo un accordo fra Manfred e Dolan per compensare, almeno parzialmente, le possibili perdite: la cancellazione del simbolo in cambio dell’organizzazione dell’All-Star Game 2019.

66A partire dagli ultimi mesi del 2018 si possono infatti rinvenire tutta una serie di commenti sulla falsariga di quello dell’utente Malcolm Aalders, che il 10 ottobre 2018, sulla pagina facebook Save the Chief, scriveva:

I'm only buy fake merchandise now. If the team doesn't respect me enough to keep it on the uniform, I won't pay it for the logo.

  • 88 HILLS, Matt, Fan Cultures, London – New York, Routledge, 2005, pp. 3-19.

67Preannunciando così un’astensione dal proprio ruolo di tifoso/consumatore di prodotti originali, nel solco di una consolidata tradizione di “resistenza” del fan attraverso la negazione del proprio ruolo di consumatore88.

68Il 29 gennaio 2018, giorno dell’annuncio ufficiale della dismissione di Wahoo, l’utente xxxczema così commentava

  • 89 L’articolo raccolse il rilevante numero di 431 post in 3 giorni. LYONS, Matt, «Indians officially m (...)

No matter where one stands on this, have to acknowledge the astute political maneuvering by Manfred. "Oh… I see you made a number of significant and wonderful changes to your ballpark. I understand you’d like to show it off and profit in the various ways made possible by an All-Star Game. Perhaps that can be arranged…"89

69Gli faceva eco VA tribe fan, proponendo un’interpretazione leggermente differente:

Or possibly the astute political maneuvering by ownership. "Hey, we’ve decided to get rid of this logo. What do you think we can get out of Manfred for doing what were already going to?"

70Man mano che l’All Star Game si approssimava, i fans pro-wahoo si mobilitavano, stigmatizzando il comportamento di Dolan e promettendo di mettere in atto una protesta visibile, denunciando platealmente le loro congetture (APP. FIG. 8). Il 1° luglio 2019 Alex MacFarlane affermava sulla pagina facebook di Keep the Chief:

he went away for money so this shit hole city could host a all star game. the fact that the team was named in honor of a native indian who played should be enough to keep the chief

71Mentre Kris Kantor, prometteva:

Will go out of my way to make sure the Chief Wahoo I’m wearing is seen by someone that is a prominent MLB spokesperson.

72L’All-Star game si tenne, come previsto, il 9 luglio; su twitter vennero lanciati gli hashtag #FreeWahoo e #FreetheChief che campeggiavano anche sulle magliette di molti tifosi presenti al Progressive Field.

  • 90 BARRY, Kevin «Cleveland Indians start Home Opener without Chief Wahoo, but will continue to sell Wa (...)

73Ma l’eliminazione dalle divise dell’immagine di Wahoo, lungi dallo stimolare una maggior consapevolezza nei tifosi pro-wahoo, ha ingrossato il mercato parallelo dei paraphernalia contenenti il logo: per acquistare un capo di abbigliamento o un gadget con la mascotte è sufficiente andare nei negozi di Cleveland o cercare sui siti non ufficiali. Il webstore nazionale della MLB, infatti vende solo materiale con il nuovo logo, la “C” di Cleveland. La franchigia ha però mantenuto i diritti su Wahoo, così da evitare che possa svilupparsi un brand non autorizzato: il logo dell’indiano è perciò tollerato e impiegato per l’uso e il consumo di quella parte di pubblico che rifiuta di abbandonare il proprio simbolo identitario. Capo Wahoo è stato ufficialmente abbandonato dal club, lasciando però ai tifosi uno spazio di azione e di narrazione (che strizza l’occhio anche alle vendite del merchandising90).

5. Conclusioni. Quali “Indians” hanno vinto?

  • 91 STAUROWSKY, Ellen J., Searching for Sockalexis: Exploring the Myth at the Core of Cleveland’s “Indi (...)

«The Cleveland Indians name and logo has a huge history behind them. If the Native American protesters would look at the history they’d realize they are being honored»91
(tifoso degli Indians).

74L’epilogo della vicenda del logo, conclusasi con la dismissione dalle divise di Wahoo, sembrerebbe costituire un successo nella lotta portata avanti dagli attivisti dell’AIM e, per molti versi, è così. Ci sono tuttavia tutta una serie di ragioni per sostenere che questa eliminazione ha risolto solo parzialmente i problemi.

  • 92 DAVIS, Laurel R., op. cit.

75Un utilizzo delle mascotte nativoamericane che possa essere politicamente corretto e rispettoso non è possibile, come sottolinea Davis92: questo tipo di loghi è inevitabilmente custode di una memoria parziale (quella bianca, maschile ed eurocentrica) delle relazioni fra bianchi e nativi americani.

76L’eliminazione di Wahoo è stata perciò vissuta dai tifosi pro-wahoo come una sottrazione identitaria: quella che è stata eliminata è infatti la loro white indianness, corrispondente alla libertà di rappresentare i nativi americani in modo caricaturale e stereotipato e, proprio in virtù della loro alterità rispetto a questa rappresentazione, di consolidare la loro posizione egemonica.

  • 93 FENELON, James V., op. cit., p. 131.

77La classe dominante bianca “controlla” l’uso della storia anche attraverso Capo Wahoo. La supremazia bianca assume così le sembianze di un fenomeno occulto, tanto per i bianchi quanto per i non-bianchi e la mascotte nativo americana è quindi, come afferma Fenelon «[…] little more than another tool in the arsenal of White America to continue historical and current supremacist ideologies, so it is no wonder that it produces anxiety among dominant group members when effectively challenged in civil rights discourse»93. Molti tifosi perpetuano stereotipi in maniera inconscia: anche per questa ragione faticano a riconoscersi nel ruolo di oppressori.

  • 94 CHAKRABARTY, Dipesh, «Minority Histories, Subaltern Pasts», in Perspectives on History, 35, 8/1997, (...)
  • 95 SLOTKIN, Richard, Regeneration through Violence: The Mythology of the American Frontier, 1600-1860, (...)

78La mancata dismissione della mascotte permetteva perciò di mantenere il passato stesso della comunità nativa americana in una condizione di subalternità94, di fatto negando la possibilità di integrarne la storia nella narrazione storica mainstream. La presunta celebrazione del nativo americano attraverso il logo era in realtà una celebrazione del mito fondativo della nazione, basato sulla conquista del territorio ai selvaggi95. Ma la brusca interruzione di questa narrazione ufficiale ha improvvisamente posto la tifoseria di Cleveland di fronte a un bivio: comprendere le ragioni dell’eliminazione di Wahoo oppure opporvisi – non necessariamente in maniera consapevole – in nome della nostalgia di un tempo in cui l’egemonia bianca (e la sua narrazione) era indiscussa.

79I wahoeers continuano a rifiutare l’eliminazione del logo perché interpretano questo gesto, imposto dall’alto e non frutto di una loro decisione, come la cancellazione con un colpo di spugna della loro storia, che è al contempo memoria personale e patrimonio condiviso dalla comunità dei tifosi.

  • 96 La questione della denominazione della squadra è un’incognita ancora aperta. Oltre alle associazion (...)

80Tutto questo è avvenuto senza che si desse realmente voce ai nativi consentendo loro di partecipare al processo di rimozione della mascotte: ci si è semplicemente limitati a intaccare la narrazione egemonica bianca e a farlo solo marginalmente. Cosa potrebbe avvenire se i vertici della MLB dovessero nuovamente fare pressione sulla dirigenza della franchigia di Cleveland, magari per modificarne il nome96?

  • 97 SANGIACOMO, Michele, «Native Americans to mark Cleveland Indians 1st games with annual protest of C (...)
  • 98 PLUTO, Terry, «Cleveland Indians owner Paul Dolan speaks out about dropping Chief Wahoo», in clevel (...)

81L’atteggiamento ambiguo della dirigenza degli Indians – più che altro una linea programmatica delineata già dalle dichiarazioni del portavoce della squadra Bob Di Biasio nel 201297 e rimarcata da Dolan nel 201898 – ha posto le condizioni perché la mascotte potesse sopravvivere e con essa una narrazione identitaria e storica parallela: le magliette con Wahoo convivono con quelle con il logo “C”. In questo spazio libero lasciato dal club si è aperto un terreno di scontro su cui ancora oggi si affrontano la visione dei sostenitori di Wahoo e quella degli oppositori.

82Mettere in discussione i simboli, distinguendo fra i ricordi del passato e la visione che si ha di una comunità – sportiva, ma non solo – è un compito anzitutto delle istituzioni. La dirigenza della franchigia dovrà impegnarsi attivamente per destrutturare la narrazione storica consolidata nell’America bianca spiegando ai propri tifosi le ragioni della propria scelta di dismettere Wahoo e prendendo una posizione chiara sulla questione dei paraphernalia con la mascotte: l’alternativa è rassegnarsi a convivere con una fandom divisa al suo interno, su cui continuerà ad aleggiare il fantasma di Capo Wahoo, l’indiano bianco.

Torna su

Allegato

Appendice

I. Elenco dei siti e delle pagine web prese in esame

Let’s go tribe, URL: < https://www.letsgotribe.com/​ >.

Keep the Chief , URL: < https://www.facebook.com/​KeepChiefWahoo/​ >. Il 14 marzo 2020 la pagina contava 18.063 “mi piace” e 17.899 followers.

Save chief Wahoo, URL: < https://www.facebook.com/​Save-chief-wahoo-688510031195967/​ >. Il 14 marzo 2020 la pagina contava 1334 “mi piace” e 1.332 followers.

MLBMemes, URL: < https://twitter.com/​MLBMeme >. Il 14 marzo 2020 il profilo twitter contava 316.041 followers.

Chief Wahoo, URL: < https://twitter.com/​ChiefWahoo47 >. Il 14 marzo 2020 il profilo twitter contava 3.146 followers.

II. Immagini e meme

Fig. 1. Il logo degli Indians disegnato da Walter Goldbach nel 1947: il logo è applicato su un cimelio conservato all’interno del museo del baseball di Cooperstown.

Fig. 1. Il logo degli Indians disegnato da Walter Goldbach nel 1947: il logo è applicato su un cimelio conservato all’interno del museo del baseball di Cooperstown.

Cleveland Indians 1948 World Series by Michelle on flickr (CC BY-NC-ND 2.0)

Fig. 2. Il logo attuale di Capo Wahoo sul berretto di un tifoso.

Fig. 2. Il logo attuale di Capo Wahoo sul berretto di un tifoso.

Cleveland Indians vs. Toronto Blue Jays by Erik Drost (CC BY 2.0)

Fig. 3. Un meme pubblicato il 23 aprile 2016 sulla pagina facebook Save the Chief: “Non lasciare che io sia vittima della prepotenza liberal”. È da notare il ribaltamento della posizione: il white indian (Capo Wahoo) è vittima della “prepotenza” del pensiero politicamente corretto.

Fig. 3. Un meme pubblicato il 23 aprile 2016 sulla pagina facebook Save the Chief: “Non lasciare che io sia vittima della prepotenza liberal”. È da notare il ribaltamento della posizione: il white indian (Capo Wahoo) è vittima della “prepotenza” del pensiero politicamente corretto.

Fig. 4. Un meme pubblicato sulla pagina facebook Keep the Chief. È evidente il riferimento sarcastico al movimento Black Lives Matters (BLM).

Fig. 4. Un meme pubblicato sulla pagina facebook Keep the Chief. È evidente il riferimento sarcastico al movimento Black Lives Matters (BLM).

Tratto da un post pubblicato dall’utente Larry Stewart sulla pagina facebook Keep the Chief il 29 maggio 2019.

Fig. 5. Un fermo immagine di Roberto Perez nel box di battuta; nel sottogola è riconoscibile il logo di Wahoo; l’hashtag è eloquente: “#SneakTheChief”.

Fig. 5. Un fermo immagine di Roberto Perez nel box di battuta; nel sottogola è riconoscibile il logo di Wahoo; l’hashtag è eloquente: “#SneakTheChief”.

Tratto dal profilo twitter di ChiefWahoo47, pubblicato il 2 aprile 2019.

Fig. 6. Uno dei meme più popolari creati per celebrare la “sopravvivenza” di Capo Wahoo nella serie giocata contro la franchigia di Toronto. Protagonista involontario della scena è il dominicano José Bautista, uomo simbolo dei Blue Jays.

Fig. 6. Uno dei meme più popolari creati per celebrare la “sopravvivenza” di Capo Wahoo nella serie giocata contro la franchigia di Toronto. Protagonista involontario della scena è il dominicano José Bautista, uomo simbolo dei Blue Jays.

Tratto dal profilo twitter di ChiefWahoo, retwettato il 17 ottobre 2018.

Fig. 7. La bandiera dell’Ohio con Wahoo al posto del cerchio bianco.

Fig. 7. La bandiera dell’Ohio con Wahoo al posto del cerchio bianco.

Tratto dal profilo facebook di Keep Chief Wahoo, pubblicato il 14 maggio 2019.

Fig. 8. Uno dei cartelloni preparati in occasione dell’All-star game: “The Dolan’s biggest trade: Wahoo for All-star game”.

Fig. 8. Uno dei cartelloni preparati in occasione dell’All-star game: “The Dolan’s biggest trade: Wahoo for All-star game”.

Pubblicato da Frank Piasecki sulla pagina facebook Keep the Chief il 29 maggio 2019.

Torna su

Note

1 Fornire una bibliografia esaustiva sul tema – che ha originato, da più di vent’anni a questa parte, un dibattito vastissimo – va oltre gli intenti di questo saggio. In questa sede ci limiteremo a segnalare alcune monografie tra le più importanti: SPINDEL, Carol, Dancing at Halftime Sports and the Controversy over American Indian Mascots, New York, New York University Press, 2000; KING, C. Richard, SPRINGWOOD, Charles (eds.), Team Spirits: Essays on the History and Significance of Native American Mascots, Lincoln, University of Nebraska, 2001; KING, C. Richard, The Native American Mascot Controversy. A Handbook, Lanham – Toronto - Plymouth, Scarecrow Press, 2010; ID., Redskins. Insult and brand, Lincoln-London, University of Nebraska Press, 2016; FENELON, James V., Redskins? Sports Mascots, Indian Nations and White Racism, New York, Routledge, 2017; BILLINGS, Andrew C., BLACK Jason Edward, Mascot Nation: The Controversy over Native American Representations in Sports, Urbana, University of Illinois Press, 2018.

2 KING, Richard C., On Being a Warrior: Race, Gender and American Indian Imagery in Sport, in ID. (ed.), Native Americans and Sport in North America. Other People’s Games, London – New York, Routledge, 2008, pp. 178-193, p. 178.

3 CRAWFORD, Garry, Consuming Sport. Fans, sport and culture, London – New York, Routledge, 2004, p. 144.

4 ROSALDO, Renato, Cultura e verità: ricostruire l’analisi sociale, Roma, Meltemi, 2002 [ed. or.: Culture and truth, The Remaking of Social Analysis, Boston, Beacon Press, 1989].

5 DENZIN, Norman K., Symbolic Interactionism and Cultural Studies, Oxford, Blackwell Publishing, 2007.

6 WEHLER, Hans-Ulrich, Storia e sociologia, in KOCKA, Jürgen, WEHLER, Hans-Ulrich, Sulla scienza della storia, Bari, De Donato, 1983, pp. 35-61.

7 THE TROGGS, Wild Thing, 1966.

8 WARD, David S., Major League, Morgan Creek Productions – Mirage Productions, Stati Uniti, 1989, 107’.

9 SYDNOR SLOWIKOWSKI, Synthia, «Cultural performances and sport mascots», in Journal of Sport and Social Issues, 17, 1/1993, pp. 23-33, p. 24.

10 TARVER, Erin C., The I in Team. Sports Fandom and the Reproduction of Identity, Chicago – London, University of Chicago Press, 2017, p. 58.

11 Ibidem, p. 67.

12 Ibidem, pp. 59-60.

13 HORSMAN, Reginald, Race and Manifest Destiny. The Origins of American Racial Anglo-Saxonism, Cambiridge (Mass.) – London, Harvard University Press, 1981, pp. 103 et seq.

14 Il riferimento è agli «abitanti delle nostre frontiere gli spietati selvaggi indiani, la cui nota regola di guerra è la distruzione indistinta delle persone di ogni età, sesso e condizione».

15 OWENS, Louis, As If an Indian Were Really an Indian: Native American Voices and Postcolonial Theory, in BATAILLE, Gretchen M., Native American Representations First Encounters, Distorted Images, and Literary Appropriations, Lincoln, University of Nebraska Press, 2001, pp. 11-25, p. 17.

16 TURNER STRONG, Pauline, American Indians and the American Imaginary. Cultural Representation across the Centuries, New York, Routledge, 2016, p. 156.

17 COHAN, Noah, We Average Unbeautiful Watchers, Lincoln, University of Nebraska Press, 2019, p. 163.

18 Wahoo è stato definito dagli attivisti come “red Sambo”, facendo riferimento all’immagine razzista e caricaturale di Little Black Sambo.

19 Sul concetto di appropriazione culturale del patrimonio nativo americano, cfr. COMBE, Rosemary J., The Cultural Life of Intellectual Properties. Autorship, Appropriation, and the Law, Durham – London, Duke University Press, 1998, pp. 208-247.

20 Risale al 1972, ad esempio, la causa da 9 milioni di dollari intentata da Russell Means, all’epoca direttore del Cleveland American Indian Center e uno dei principali leader dell’AIM, contro gli Indians per l’uso del logo di Wahoo, ritenuto offensivo e degradante. MEANS, Russell, Where White Men Fear to Tread, New York, St. Martin’s Press, 1995, p. 155.

21 Committee of 500 Years of Dignity and Resistance, URL: < http://www.committeeof500yearsofdignityandresistance.com/history.html> [consultato il 9 maggio 2020].

22 PRUCHA, Francis Paul, The Indians in American Society, Berkeley – Los Angeles – London, University of California Press, 1988, p. 81.

23 GRAHAM, Regina F., «Racism of Sports Logos Put Into Context By American Indian Group», in CBS Cleveland, URL: < https://cleveland.cbslocal.com/2013/10/08/racism-of-sports-logos-put-into-context-by-american-indian-group/ > [consultato il 13 febbraio 2020].

24 ROSENSTEIN, Jay, In Whose Honor? Mascots, and the Media, in KING, Richard C., FRUEHLING SPRINGWOOD, Charles (ed. by), Team Spirits. The Native American Mascots Controversy, Lincoln – London, University of Nebraska press, 2001, pp. 241-256, p. 248.

25 LIDZ, Franz, «Not a Very Sporting Symbol: Indians Have Ceased to Be Appropriate Team Mascots», in Sports Illustrated, 17 settembre 1990, URL: < https://vault.si.com/vault/1990/09/17/not-a-very-sporting-symbol-indians-have-ceased-to-be-appropriate-team-mascots > [consultato il 9 febbraio 2020].

26 ROSENSTEIN, Jay, In Whose Honor?, POV – PBS, Stati Uniti, 1997, 48’.

27 Sulla vicenda sportiva e umana di Sockalexis, tra le numerose pubblicazioni si segnalano: FLEITZ, David L., Louis Sockalexis: The First Cleveland Indian, Jefferson, McFarland & Co., 2002; RICE, Ed, Baseball’s First Indian, West Hartford (CT), Tide-Mark Press, 2003.

28 STAUROWSKY, Ellen J., «An Act of Honor or Exploitation: The Cleveland Indians’ Use of the Louis Sockalexis Story», in Journal of the Sociology of Sport, 15, 1998, pp. 299-316.

29 FLEITZ, David L., op. cit., p. 186.

30 Indians. 2019 Information & Record Book, p. 9, URL: < https://pressbox.athletics.com/Publications/MLB%20Media%20Guides/2019%20Cleveland%20Indians%20Media%20Guide.pdf > [consultato il 19 febbraio 2020].

31 Cit. in BILLINGS, Andrew C., BLACK, Jason Edward, op. cit., p. 121.

32 ROWE, David, Sport, Culture and the Media, Maidenhead, McGraw-Hill, 2008; BOYLE, Raymond, Sports Journalism Context and Issues, London, Sage, 2006; BOYLE, Raymond, HAYNES, Richard, Power Play Sport, the Media and Popular Culture, Edinburgh, Edinburgh University Press, 2009.

33 STAUROWSKY, Ellen, Sockalexis and the Making of the Myth, in KING, Richard C., FRUEHLING SPRINGWOOD, Charles (ed. by), Team Spirits. The Native American Mascots Controversy, Lincoln – London, University of Nebraska press, 2001, pp. 82-106, p. 88.

34 RICCA, Brad, «The Secret History of Chief Wahoo», in The Belt Magazine, 19 giugno 2014, URL: < https://beltmag.com/secret-history-chief-wahoo/ > [consultato il 4 febbraio 2020].

35 Brad Ricca evidenzia come il nomignolo “Wahoo” fosse abitualmente affibbiato ai nativi americani, ma suggerisce anche un’ipotesi più suggestiva, che legherebbe il nome della mascotte a un celebre lanciatore di origine muscogee, Allie Reynolds. Pur avendo militato per un breve lasso di tempo negli Indians, il pitcher passò agli acerrimi rivali degli Yankees, ma rimase nel cuore dei suoi vecchi tifosi a tal punto che il «The Plain Dealer» ci teneva a tenerli informati sulle sue sorti. Nel 1950 la stampa di Cleveland attribuiva dunque l’appellativo di «Chief Wahoo» a Reynolds, ma Capo Wahoo non era ancora – almeno ufficialmente – il nome della mascotte disegnata da Goldbach. Ibidem.

36 OKKONEN, Mark, Baseball Uniforms of the 20th Century: The Official Major League Baseball Guide, New York, Sterling Publishing Company, 1993, p. 37.

37 CRONON, William, The trouble with wilderness; or, getting back to the wrong nature, in ID (ed.), Uncommon Ground: Toward Reinventing Nature, New York, W. W. Norton & Company, 1995, pp. 69-90; SPENCE, Mark David, Dispossessing the Wilderness: Indian Removal and the Making of the National Parks, Oxford, Oxford University Press, 2000.

38 LIMERICK, Patricia, The Adventures of the Frontier in Twentieth Century, in GROSSMAN, James R., The Frontier in American Culture, Berkeley - Los Angeles - London, California University Press, 1994, pp. 66-102.

39 DAVIS, Laurel R., The Problems with Native American Mascots, in KING, Richard R., The Native American Mascot Controversy A Handbook, Lanham, Scarecrow Press, 2010, pp. 23-31.

40 STAUROWSKY, Ellen, Sockalexis and the Making of the Myth, cit., p. 92.

41 MERSKIN, Debra, «Sending up signals: A survey of Native American media use and representation in the mass media», in Howard Journal of Communications, IX, 4/1998, pp. 333-345.

42 MORLEY JOHNSON, Daniel, «From the Tomahawk Chop to the Road Block: Discourses of Savagism in Whitestream Media», in American Indian Quarterly, 35, 1/2011, pp. 104-134.

43 ROSENSTEIN, Jay, In Whose Honor?, cit.

44 OMI, Michael, WINANT, Howard, Racial Formation in the United States, New York – London, Routledge, 2015, pp. 107-108.

45 PEWEWARDY, Cornel D., Educators and Mascots Challenging Contradictions, KING, Richard C., FRUEHLING SPRINGWOOD, Charles (ed. by), op. cit., pp. 257-278, p. 264.

46 FLEITZ, David L., op. cit., p. 188.

47 WARD, David, Major League, cit.; WARD, David, Major League II, Morgan Creek Productions, Stati Uniti, 105’.

48 DOANE, Woody, «White-Blindness: The Dominant Group Experience», in MYERS, John (ed.), Minority Voices: Linking Personal Ethnic History and the Sociological Imagination, Boston, Allyn & Bacon, 2004, pp. 187-199.

49 FRANKENBERG, Ruth, White Women, Race Matters. The Social Construction of Whiteness, Minneapolis, University of Minnesota Press, 1999, p. 1.

50 «Carter Defends Use of the Chop», in The New York Times, 24 ottobre 1991, p. 13, URL: < https://www.nytimes.com/1991/10/24/sports/baseball-carter-defends-use-of-the-chop.html > [consultato il 13 febbraio 2020].

51 LIPSYTE, Robert, «How Can Jane Fonda Be a Part of the Chop?», in The New York Times, 18 ottobre 1991, p. 10, URL: < https://www.nytimes.com/1991/10/18/sports/baseball-how-can-jane-fonda-be-a-part-of-the-chop.html > [consultato il 13 febbraio 2020].

52 KING, Richard C., Media Images and Representations, cit., p. 56

53 Sul tema si vedano i classici: BERKHOFER, Robert F., The white man’s Indian: the history of an idea from Columbus to the present, New York, Knopf, 1978; DELORIA, Philip, Playing Indian, New Haven – London, Yale University Press, 1998.

54 ECO, Umberto, Travels in Hyperreality, in ID., Travels in Hyperreality, New York, Harcourt Brace & Co, 1986, pp. 3-58.

55 SYDNOR SLOWIKOWSKI, Synthia, op. cit., p. 28

56 ROBERTSON, Dwanna L., «Invisibility in the Color-Blind Era Examining Legitimized Racism against Indigenous Peoples», in The American Indian Quarterly 39, 2/2015, pp. 113-153.

57 Jennifer Guiliano riporta ad esempio i problemi personali in cui è incorsa nel corso della sua ricerca su Chief Illiniwek. GUILIANO, Jennifer, «Chasing Objectivity? Critical Reflections on History, Identity, and the Public Performance of Indian Mascots», in Cultural Studies ↔ Critical Methodologies, 11, 6/2011, pp. 535-543.

58 Cit. in FENELON, James V., Introduction. Redskins, Wahoos and Racism through the Ages, in ID., op. cit., pp. 1-13, p. 3.

59 APPIAH, Kwame Anthony, The Lies that Bind. Rethinking Identity, New York – London, Liveright, 2018.

60 Nell’anno 2019 la media di spettatori a partita era di 21.4635; l’anno precedente era di 23.786. I dati sono ricavati da Baseballreference.com, URL: < https://www.baseball-reference.com/teams/CLE/attend.shtml > [consultato il 7 maggio 2019].

61 KING, C. Richard, Media Images and Representations, Philadelphia, Chelsea House Publishers, 2006, p. 63.

62 ID., On Being a Warrior: Race, Gender and American Indian Imagery in Sport, in ID. (ed. by), Native Americans and Sport in North America Other People’s Games, London – New York, Routledge, 2008, pp. 178-193.

63 OMI, Michael, WINANT, Howard, op. cit., p. 108.

64 KING, C. Richard, Media Images and Representations, cit., p. 64.

65 Il modello in questione è stato criticato, fra gli altri, da Colin Kaepernick. La querelle nasce dalla scelta di usare la Betsy Ross flag (impiegata dai suprematisti bianchi): secondo alcuni non può essere un simbolo unificante perché è stata concepita in un’epoca in cui la schiavitù era ancora in vigore.

66 HENNINGER, Daniel, «Wahooing Betsy Ross», in Wall Street Journal, 10 luglio 2019, URL: < https://www.wsj.com/articles/wahooing-betsy-ross-11562799662 > [consultato il 10 febbraio 2020].

67 BATTISTUZZI, Giovanni, «Il politicamente corretto cancella un pezzo di storia del baseball: via l'indiano dal logo di Cleveland», in Il Foglio, 30 gennaio 2018, URL: < https://www.ilfoglio.it/sport/2018/01/30/news/baseball-cleveland-indians-perdono-simbolo-chief-wahoo-176015/ > [consultato il 20 febbraio 2020]. Vale la pena sottolineare come il linguaggio giornalistico punti alla personificazione del “politicamente corretto” sin dal titolo e come la narrazione dell’attribuzione del nome di Indians (“per onorare” Sockalexis) non tenga conto neppure delle rettifiche operate dalla franchigia nel 2000.

68 PAUL, Heike, The Myths That Made America: An Introduction to American Studies, Bielefeld, transcript Verlag, 2014, pp. 263 et seq.

69 DIPPIE, Brian, The Vanishing American, Middletown, Wesleyan University Press, 1982, pp. 243-266, in particolare p. 244.

70 WHITERS, Tom, «Indians walk their way to 5-3 win over White Sox in opener», in AP News, 2 aprile 2019, URL: < https://apnews.com/8c45a8ea968b4416bda296979af2eed5 > [consultato il 29 febbraio 2019].

71 SCHNEIDER, Russell, The Cleveland Indians Encyclopedia, Champaign, Sport Publishing, 2004, pp. 523 et seq.

72 PLUTO, Terry, HAMILTON, Tom, Glory Days in Tribe Town. The Cleveland Indians and Jacobs Field 1994-1997, Cleveland, Gray & Company Publishers, 2014.

73 Vale la pena di sottolineare come nello Stato dell’Ohio siano presenti ben due franchigie di MLB: i Cleveland Indians e i Cincinnati Reds. La competizione fra le due squadre è definita Battle of Ohio, una definizione che riecheggia la Battle for Ohio (le guerre del Nord-Ovest combattute dai coloni americani contro i nativi tra il 1785 e il 1795).

74 Sul profondo radicamento del tifo degli Indians in Ohio si può fare riferimento alle statistiche offerte da Seatgeek (una delle principali piattaforme per l’acquisto e la vendita di ticket online): nella parte nordorientale dello Stato nel 2019 si è registrata una netta prevalenza di persone che hanno acquistato biglietti per assistere alle partite al Progressive Fields, URL: < https://seatgeek.com/tba/articles/where-do-mlb-fans-live-mapping-baseball-fandom-across-the-u-s/ > [consultato il 7 maggio 2020]. Quest’area coincide con quella in cui la diminuzione degli addetti al settore manifatturiero tra il 1954 e il 2002 ha toccato percentuali comprese fra il 31 e il 58%.

75 Sul processo di segregazione nelle periferie e nei sobborghi di Cleveland, un buon compendio storico dal dopoguerra fino alla prima metà degli anni Novanta è offerto da: KEATING, W. Dennis, The Suburban Racial Dilemma: Housing and Neighborhoods, Philadelphia, Temple University Press, 1994, pp. 53-66.

76 WINANT, Howard, Racial Conditions Politics, Theory, Comparisons, Minneapolis - London, University of Minnesota Press, 2002, pp. 64-67.

77 Ibidem, p. 66.

78 LINDEN, Andrew J., «Blue-Collar Identity and the “Culture of Losing”: Cleveland and the “Save Our Browns” Campaign», in Journal of Sport History, 42, 3/2015, pp. 340-360, p. 342.

79 BILLINGS, Andrew C., BLACK, Jason Edward, op. cit., p. 198.

80 BRADBURN, Michael, «Indians remove Chief Wahoo from jersey during series in Toronto», in the Score, URL: < https://www.thescore.com/mlb/news/1599677 > [consultato il 2 marzo 2020].

81 TARVER, Erin, op. cit., p. 75

82 CLARK, David A. T., NAGEL, Joane, White Men, Red Masks: Appropriation of “Indian” manhood in Imagined West, in BASSO, Matthew, McCALL, Laura, GARCEAU, Dee (ed. by), Across the Great Divide. Cultures of Manhood in the American West, New York, Routledge, 2001, pp. 109-130.

83 Vale la pena di accennare alla necessità, evidenziata fra gli altri da Arnold Krupat, di prendere in considerazione il concetto di storia e la storiografia prodotta dai nativi americani. KRUPAT, Arnold, Red Matters, Philadelphia, University of Pennsylvania Press, 2002, pp. 48-75.

84 CLEVELAND.COM, «Watch Indians fans go off on Chief Wahoo protesters», URL: < https://www.youtube.com/watch?v=uBiz83QolcY > [consultato il 20 febbraio 2020].

85 CLEVELAND.COM, «Chief Wahoo fans hurl insults at Native Americans», URL: < https://www.youtube.com/watch?v=GayKDkIcL9A&t= > [consultato il 20 febbraio 2020].

86 KLEPS, Kevin, «Logo isn’t primary producer», in Crain’s Cleveland Business, 4 aprile 2018, URL: < https://www.crainscleveland.com/article/20180202/news/150791/chief-wahoo-logo-isnt-primary-revenue-producer-indians > [consultato il 15 febbraio 2020].

87 URL: < http://www.rakutenintelligence.com/blog/2016/baseball-merchandise-sales-2016 > [consultato il 15 febbraio 2020].

88 HILLS, Matt, Fan Cultures, London – New York, Routledge, 2005, pp. 3-19.

89 L’articolo raccolse il rilevante numero di 431 post in 3 giorni. LYONS, Matt, «Indians officially moving away from Chief Wahoo logo after 2018», in SB Nations, URL: < https://www.letsgotribe.com/2018/1/29/16945968/indians-officially-moving-away-from-chief-wahoo-logo-after-2018 > [consultato il 23 febbraio 2020].

90 BARRY, Kevin «Cleveland Indians start Home Opener without Chief Wahoo, but will continue to sell Wahoo merchandise», in News5 Cleveland, 2 aprile 2019, URL: < https://www.news5cleveland.com/sports/baseball/indians/cleveland-indians-start-home-opener-without-chief-wahoo-but-will-continue-to-sell-wahoo-merchandise > [consultato il 2 febbraio 2020].

91 STAUROWSKY, Ellen J., Searching for Sockalexis: Exploring the Myth at the Core of Cleveland’s “Indian” Image, in ALTHERR, Thomas L. (ed. by), The Cooperstown Symposium on Baseball and American Culture, 1998, Jefferson (NC) – London, McFarland & Company, pp. 138-155, p. 149.

92 DAVIS, Laurel R., op. cit.

93 FENELON, James V., op. cit., p. 131.

94 CHAKRABARTY, Dipesh, «Minority Histories, Subaltern Pasts», in Perspectives on History, 35, 8/1997, URL: < https://www.historians.org/publications-and-directories/perspectives-on-history/november-1997/minority-histories-subaltern-pasts > [consultato il 20 febbraio 2020]; CARRINGTON, Ben, Post/colonial Theory and Sport, in GIULIANOTTI, Richard, Routledge Handbook of the Sociology of Sport, London – New York, Routledge, 2015, pp. 105-115.

95 SLOTKIN, Richard, Regeneration through Violence: The Mythology of the American Frontier, 1600-1860, Middletown, (CONN.), Wesleyan University Press, 1973.

96 La questione della denominazione della squadra è un’incognita ancora aperta. Oltre alle associazioni dei nativi americani, il nome “Indians” – seppur non nella misura del logo di Wahoo – viene comunque ritenuto inadeguato o offensivo per molti dei partecipanti ai sondaggi che sono stati realizzati nel corso degli anni. Per quello che riguarda il tema dei sondaggi sull’uso di Wahoo e del nome “Indians”, cfr. tra gli altri: BILLINGS, Andrew C., BLACK, Jason Edward, op. cit., pp. 103 et seq; FENELON, James V., op. cit., pp. 78-97. Va sottolineato come lo strumento del sondaggio come cartina di tornasole della sensibilità comune venga impiegato anche dai tifosi pro-wahoo in chiave ironica oppure impiegando dati di dubbia provenienza.

97 SANGIACOMO, Michele, «Native Americans to mark Cleveland Indians 1st games with annual protest of Chief Wahoo logo (poll)», in cleveland.com, 2 aprile 2012, URL: < https://www.cleveland.com/metro/2012/04/native_americans_to_mark_cleve.html > [consultato il 17 febbraio 2020].

98 PLUTO, Terry, «Cleveland Indians owner Paul Dolan speaks out about dropping Chief Wahoo», in cleveland.com, 29 gennaio 2018, URL: < https://www.cleveland.com/pluto/2018/01/cleveland_indians_chief_wahoo_paul_dolan.html#incart_2box > [consultato il 17 febbraio 2020].

Torna su

Indice delle illustrazioni

Titolo Fig. 1. Il logo degli Indians disegnato da Walter Goldbach nel 1947: il logo è applicato su un cimelio conservato all’interno del museo del baseball di Cooperstown.
Credits Cleveland Indians 1948 World Series by Michelle on flickr (CC BY-NC-ND 2.0)
URL http://0-journals-openedition-org.catalogue.libraries.london.ac.uk/diacronie/docannexe/image/13475/img-1.jpg
File image/jpeg, 111k
Titolo Fig. 2. Il logo attuale di Capo Wahoo sul berretto di un tifoso.
Credits Cleveland Indians vs. Toronto Blue Jays by Erik Drost (CC BY 2.0)
URL http://0-journals-openedition-org.catalogue.libraries.london.ac.uk/diacronie/docannexe/image/13475/img-2.jpg
File image/jpeg, 663k
Titolo Fig. 3. Un meme pubblicato il 23 aprile 2016 sulla pagina facebook Save the Chief: “Non lasciare che io sia vittima della prepotenza liberal”. È da notare il ribaltamento della posizione: il white indian (Capo Wahoo) è vittima della “prepotenza” del pensiero politicamente corretto.
URL http://0-journals-openedition-org.catalogue.libraries.london.ac.uk/diacronie/docannexe/image/13475/img-3.jpg
File image/jpeg, 16k
Titolo Fig. 4. Un meme pubblicato sulla pagina facebook Keep the Chief. È evidente il riferimento sarcastico al movimento Black Lives Matters (BLM).
Credits Tratto da un post pubblicato dall’utente Larry Stewart sulla pagina facebook Keep the Chief il 29 maggio 2019.
URL http://0-journals-openedition-org.catalogue.libraries.london.ac.uk/diacronie/docannexe/image/13475/img-4.jpg
File image/jpeg, 12k
Titolo Fig. 5. Un fermo immagine di Roberto Perez nel box di battuta; nel sottogola è riconoscibile il logo di Wahoo; l’hashtag è eloquente: “#SneakTheChief”.
Credits Tratto dal profilo twitter di ChiefWahoo47, pubblicato il 2 aprile 2019.
URL http://0-journals-openedition-org.catalogue.libraries.london.ac.uk/diacronie/docannexe/image/13475/img-5.jpg
File image/jpeg, 64k
Titolo Fig. 6. Uno dei meme più popolari creati per celebrare la “sopravvivenza” di Capo Wahoo nella serie giocata contro la franchigia di Toronto. Protagonista involontario della scena è il dominicano José Bautista, uomo simbolo dei Blue Jays.
Credits Tratto dal profilo twitter di ChiefWahoo, retwettato il 17 ottobre 2018.
URL http://0-journals-openedition-org.catalogue.libraries.london.ac.uk/diacronie/docannexe/image/13475/img-6.jpg
File image/jpeg, 109k
Titolo Fig. 7. La bandiera dell’Ohio con Wahoo al posto del cerchio bianco.
Credits Tratto dal profilo facebook di Keep Chief Wahoo, pubblicato il 14 maggio 2019.
URL http://0-journals-openedition-org.catalogue.libraries.london.ac.uk/diacronie/docannexe/image/13475/img-7.jpg
File image/jpeg, 55k
Titolo Fig. 8. Uno dei cartelloni preparati in occasione dell’All-star game: “The Dolan’s biggest trade: Wahoo for All-star game”.
Credits Pubblicato da Frank Piasecki sulla pagina facebook Keep the Chief il 29 maggio 2019.
URL http://0-journals-openedition-org.catalogue.libraries.london.ac.uk/diacronie/docannexe/image/13475/img-8.jpg
File image/jpeg, 6,6k
Torna su

Per citare questo articolo

Notizia bibliografica digitale

Jacopo Bassi, «Wahoo e la sua tribù. L’“indiano bianco” dei Cleveland Indians»Diacronie [Online], N° 42, 2 | 2020, documento 7, online dal 29 juin 2020, consultato il 08 décembre 2024. URL: http://0-journals-openedition-org.catalogue.libraries.london.ac.uk/diacronie/13475; DOI: https://0-doi-org.catalogue.libraries.london.ac.uk/10.4000/11uhv

Torna su

Autore

Jacopo Bassi

Jacopo Bassi ha conseguito la laurea specialistica in Storia della Chiesa presso l’Università di Bologna con una tesi dal titolo Epiro crocifisso o liberato? La Chiesa ortodossa in Epiro e in Albania meridionale nel XX secolo (1912-1967). Attualmente lavora per le case editrici Il Mulino e Zanichelli.
URL: < http://www.studistorici.com/progett/autori/#Bassi >

Articoli dello stesso autore

Torna su

Diritti d'autore

CC-BY-SA-4.0

Solamente il testo è utilizzabile con licenza CC BY-SA 4.0. Salvo diversa indicazione, per tutti agli altri elementi (illustrazioni, allegati importati) la copia non è autorizzata ("Tutti i diritti riservati").

Torna su
Cerca su OpenEdition Search

Sarai reindirizzato su OpenEdition Search