Alberto Basciani, L’illusione della modernità. Il sud-est dell’Europa tra le due guerre mondiali
Alberto Basciani, L’illusione della modernità. Il sud-est dell’Europa tra le due guerre mondiali, Soveria Mannelli, Rubbettino, 2016, 476 pp.
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Credits: Alberto BASCIANI, L’illusione della modernità. Il sud-est dell’Europa tra le due guerre mondiali, Soveria Mannelli, Rubbettino, 2016, 476 pp.
- 1 Tra le eccezioni a questo trend storiografico, Basciani isola i lavori di una parte della storiogra (...)
1La storia del Sud-Est dell’Europa tra le due guerre mondiali è complessa e controversa. La storiografia sulla Guerra fredda ha evidenziato l’arretratezza dell’area, concentrandosi sui regimi autoritari e fascisti, malgrado tali aspetti non rappresentassero una caratteristica distintiva di questa regione. Negli anni Novanta del secolo scorso la storiografia ha voluto considerare gli anni Venti e Trenta come una parentesi non particolarmente felice, vent’anni di interludio prima della Guerra fredda1. Proprio nell’intento di rivalutare la storia interbellica di quest’area va L’illusione della modernità di Alberto Basciani, in cui l’autore pone al centro della sua analisi uno degli aspetti più rilevanti, quello dei numerosi tentativi operati per modernizzare la regione e legarla più strettamente all’Europa occidentale.
- 2 BASCIANI, Alberto, Un conflitto balcanico: la contesa fra Bulgaria e Romania in Dobrugia del Sud, 1 (...)
2In questa monografia Basciani – già autore e curatore di numerosi lavori sulla storia contemporanea di quest’area2 – analizza il periodo tra le due guerre in Serbia, Croazia, Slovenia, Bulgaria, Romania, Albania e Grecia. L’autore lo fa inserendo la storia economica, culturale e sociale all’interno della più vasta storia politica dell’area; metodologicamente mette in luce le circostanze, i movimenti e le personalità che contribuirono a influenzare profondamente la storia dell’epoca:
- 3 BASCIANI, Alberto, L’illusione della modernità. Il sud-est dell’Europa tra le due guerre mondiali, (...)
Il volume è nato, infatti, con l’ambizione di cercare di presentare i tratti più specifici della regione, le principali linee di sviluppo politico, economico e sociale che caratterizzarono i cosiddetti Paesi balcanici nel corso del ventennio interbellico da una prospettiva differente da quella della sola storia politica3.
3La monografia è divisa in tre sezioni principali: le conseguenze della Prima guerra mondiale, gli anni Venti e gli anni Trenta.
4La narrazione di Basciani riconosce come i cambiamenti colossali prodotti dal primo conflitto mondiale finirono per risultare una cupa e pesante eredità per la popolazione dell’area: l’etnia e la religione erano state impiegate sin dalle guerre balcaniche del 1912-1913 per demonizzare il nemico. La propaganda di guerra aveva prodotto una cultura di odio senza precedenti, in cui la popolazione era divenuta al contempo carnefice e vittima. L’odio etnico aveva causato umiliazioni gratuite, requisizioni indiscriminate, deportazioni di massa e distruzioni di interi villaggi e città, con l’effetto di trasformare una popolazione cosmopolita e multiculturale in una massa di rifugiati in movimento a cui gli Stati belligeranti concedevano viveri in cambio di un’attiva collaborazione negli sforzi bellici.
- 4 Ibidem, p. 46.
Come nella parte occidentale del continente anche nel Sud-est dell’Europa il conflitto aveva avuto dei costi umani e materiali di proporzioni davvero notevoli. A differenza di altre regioni europee, nei Balcani forse, le popolazioni erano maggiormente abituate a scontare direttamente le conseguenze della guerra […]. Tuttavia quanto avvenne nel corso del primo conflitto mondiale non aveva precedenti nonostante la prova generale rappresentata dalle sanguinose guerre del biennio 1912-13 che pure, secondo alcuni storici, con gli attacchi deliberatamente portati dagli eserciti contro i civili, costituirono una vera e propria svolta nell’evoluzione della guerra moderna4.
5Il nazionalismo etnico promosso dagli Stati assieme al fanatismo religioso crearono uno stato di guerra che si protrasse per tutta la prima parte degli anni Venti. Gli Stati-nazione proclamavano incessantemente lo stato di emergenza di fronte alla propaganda comunista e alle insurrezioni irredentiste delle minoranze nazionali. I problemi non vennero risolti dai pacificatori e dai cartografi di Versailles, ma semplicemente trasformati: la firma dei trattati era infatti stata considerata dalle élites dell'Europa sud-orientale come una forzata limitazione dell’autorità e della sovranità dei loro Stati. Questa percezione persisteva anche negli anni Venti e Trenta, quando queste compagini nazionali intrapresero un percorso specifico di modernizzazione.
6Uno degli effetti della Prima guerra mondiale fu l’abbattimento della produttività e dei commerci della regione, causato dalla distruzione delle fabbriche e delle infrastrutture di comunicazione e dalla costituzione di confini militarizzati. Di fronte a una crescita demografica senza precedenti e alla mancanza di moderne tecnologie agricole, i paesi furono costretti ad importare prodotti agricoli pagati con crediti ottenuti dalle potenze occidentali. Il protezionismo e l’industrializzazione forzata furono le risposte fornite all’emergenza economica, che sortirono il risultato di produrre una progressiva nazionalizzazione dell’economia. Ma la buona volontà iniziale dei governi non si trasformò in una tendenza dinamica e costante in grado di cambiare la struttura economica del sud-est europeo; l’unica certezza era invece costituita dal destino costantemente in bilico della regione, pencolante tra le tendenze revisioniste e il persistente timore di un’incursione della Russia sovietica.
- 5 Ibidem, p. 122.
Al contrario, gli effetti della guerra parvero deleteri sulla tenuta delle locali borghesie duramente colpite dagli eventi bellici. La classe media, infatti, fino allo scoppio del conflitto aveva professato una fede quasi incrollabile sui destini progressivi dei rispettivi Paesi. Questi parevano destinati a una rapida modernizzazione attraverso il calco dei modelli politici, sociali, economici e militari occidentali. La piega degli eventi bellici scompaginò quelle aspettative e le borghesie balcaniche emersero dalle guerre scosse nelle loro antiche sicurezze. Una civiltà che pareva incrollabile era scomparsa e il futuro appariva incerto come non mai5.
7Gli Stati non potevano cambiare l’equilibrio politico della regione di fronte alle superpotenze occidentali, che fornivano il capitale necessario per uno sviluppo economico sino ad allora sconosciuto.
8La crisi del 1929 annientò i successi delle riforme agrarie e della modernizzazione del commercio e dell’agricoltura. I paesi occidentali istituirono misure protezionistiche e ridussero drasticamente i prestiti a paesi stranieri; gli Stati dell’Europa sudorientale reagirono allora istituendo rigidi controlli sul commercio e stipulando trattati bilaterali. Il risultato fu l’impoverimento delle masse contadine e la creazione di una netta divisione tra debitori insolventi e creditori bisognosi di capitale liquido. Poiché la crisi aveva annientato il benessere che i Balcani avevano vissuto a partire dalla metà degli anni Venti in tutti gli aspetti della vita, la modernità cominciò a essere percepita come un’illusione.
9Le risposte dei governi occidentali alla crisi erano state timorose e incoerenti: non avevano mostrato alcun interesse per fornire assistenza agli stati dell'Europa sudorientale salvo che questo aiuto non veicolasse, come contropartita, un riconoscimento dell’egemonia geopolitica; non fecero inoltre alcun passo deciso per la ristrutturazione di un’economia continentale, preferendo invece rivolgere la loro attenzione alle colonie. L’Europa sudorientale venne perciò abbandonata a se stessa e ai trattati bilaterali vincolanti offerti dalla Germania. Allo stesso tempo, l’industria statale era diventata centrale nei piani politici per lo sviluppo di ciascun paese, ma insufficiente a garantire la crescita economica. Inoltre, protezionismo e politiche fiscali oppressive colpivano duramente proprio le masse contadine, il cui lavoro costituiva la vera spina dorsale delle economie nazionali.
10L’autoritarismo della fine degli anni Trenta era riuscito a spazzare via le premesse democratiche che erano state il lievito dei fermenti, degli impulsi e delle idee di trasformazione che avevano contribuito a modernizzare la regione. Ancora una volta, come dopo il 1929, la modernità si rivelò un’illusione. Nel 1940, gli Stati dell’Europa sudorientale erano divenuti regimi autoritari e fascisti. Rimasti soli e divisi, si schierarono tutti con la Germania o cedettero al suo espansionismo militare. La modernità illiberale che seguì non risolse nessuna delle tensioni emerse nei due decenni precedenti tra agricoltura e industria, meccanizzazione e artigianato, centro e periferia.
11Gli alleati decisero il destino dell’Europa orientale durante le conferenze, senza tenere conto delle realtà dei paesi.
- 6 Ibidem, p. 476.
Si può davvero dire che la fine della Seconda guerra mondiale rappresentò per l’intero Sud-est dell’Europa (fatta salva l’eccezione ellenica) una cesura netta. Al di là della trasformazione politica, economica e sociale simboleggiata dall’eliminazione fisica del modello politico ed economico sovietico, quale unico orizzonte di riferimento, il dato forse più importante fu espresso dalla radicale estirpazione di contatti e legami con la parte occidentale del continente e con l’avvio di un processo di modernizzazione tanto forzato quanto distorto e fondamentalmente alieno a quelle realtà6.
12Alcune élites comuniste, come quella romena, mandarono i loro paesi in bancarotta e costrinsero alla fame le loro popolazioni; altre realtà giunsero al 1989 attraverso esperienze meno tragiche, ma conseguendo risultati assai modesti.
- 7 Come osservava Mark Mazower già nel 1998 nel suo Dark Continent: «[…] l’economia non è tutto e la g (...)
13In tempi recenti molti hanno iniziato a considerare l’Unione europea alla stregua di un’illusione di modernità. Le somiglianze con le tensioni scatenatesi tra le due guerre descritte nella monografia di Basciani sono evidenti: il contrasto tra i giganti economici e i piccoli stati è il più evidente. Alcuni paesi, come l’Ungheria e la Polonia, stanno aprendo la strada verso una modernità illiberale; queste risposte cariche di paura alle sfide della modernità avranno esiti difficilmente prevedibili, alcuni dei quali sono presagi oscuri per l’intero continente7.
14La storia dell’area fornisce spunti per pensare a un cambiamento. Durante la crisi del debito del 2010 in Grecia, i leader europei hanno mostrato il loro scarso interesse nei confronti di una conduzione dell’Europa improntata agli alti ideali, considerando l’economia come Moloch piuttosto che uno strumento per creare uno sviluppo armonioso. La crisi ha mostrato anche l’incoerenza di quei populisti che proponevano l’insolvenza come una soluzione.
15L’Illusione della modernità è una monografia ben scritta, bibliograficamente ricca e che fornisce un quadro esaustivo delle speranze e delle aspettative tradite dell’Europa sud-orientale. Fornisce gli elementi per identificare modelli sociali, economici e politici ricorrenti, che hanno reso la modernità una ciclica illusione durante tutto il XX e il XXI secolo. Il volume di Basciani è anche una buona lettura per comprendere come, se non verranno attuati cambiamenti strutturali nelle relazioni Est-Ovest, l’integrazione europea e i suoi potenziali vantaggi rimarranno sempre un’illusione non solo per i partner più piccoli, ma per tutti quanti.
Note
1 Tra le eccezioni a questo trend storiografico, Basciani isola i lavori di una parte della storiografia anglosassone, come ad esempio quelli di Barbara e Charles Jelavich, Leften Stavrianos, Stravro Skendi e Peter Sugar. Vale la pena rievocare quanto affermava lo storico Nikos Svoronos a proposito della storiografia greca, ma che può essere esteso a tutta l’area: «[…] it was time for the historians to turn away from the well-researched theme of foreign interference […] towards the study of the interplay of domestical political, economic, and social forces». MAZOWER, Mark, Greece and the Inter-War Economic Crisis, Oxford, Clarendon Press, 2002, p. 3. In questa chiave lo studio del periodo fra le due guerre risulta decisivo.
2 BASCIANI, Alberto, Un conflitto balcanico: la contesa fra Bulgaria e Romania in Dobrugia del Sud, 1918-1940, Cosenza, Periferia, 2001; ID., La difficile unione: la Bessarabia e la Grande Romania, 1918-1940, Roma, Aracne, 2005; BASCIANI, Alberto, D’ALESSANDRI, Antonio (a cura di), Balcani 1908: alle origini di un secolo di conflitti, Trieste, Beit, 2010; BASCIANI, Alberto, RUSPANTI, Roberto (a cura di), La fine della grande Ungheria fra rivoluzione e reazione (1918-1920), Trieste, Beit, 2010.
3 BASCIANI, Alberto, L’illusione della modernità. Il sud-est dell’Europa tra le due guerre mondiali, Soveria Mannelli, Rubbettino, 2016, p. 27.
4 Ibidem, p. 46.
5 Ibidem, p. 122.
6 Ibidem, p. 476.
7 Come osservava Mark Mazower già nel 1998 nel suo Dark Continent: «[…] l’economia non è tutto e la globalizzazione del capitale non significa che lo Stato nazionale sia finito in Europa come molti oggi sostengono. L’italiano Luciolli criticò il nuovo ordine nazista perché esso presupponeva che i beni materiali bastassero a creare un senso di appartenenza tra le diverse entità nazionali europee, ma la sua accusa potrebbe benissimo essere girata all’Unione europea, con il suo inquietante «deficit democratico». MAZOWER, Mark, Le ombre dell’Europa. Democrazie e totalitarismi nel XX secolo, Milano, Garzanti, 2016, p. 393 [ed. orig.: Dark continent. Europe's twentieth century, London, Penguin Books, 1999].
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Notizia bibliografica digitale
Francesco Zavatti, «Alberto Basciani, L’illusione della modernità. Il sud-est dell’Europa tra le due guerre mondiali», Diacronie [Online], N° 38, 2 | 2019, documento 10, online dal 19 juillet 2019, consultato il 10 décembre 2024. URL: http://0-journals-openedition-org.catalogue.libraries.london.ac.uk/diacronie/11608; DOI: https://0-doi-org.catalogue.libraries.london.ac.uk/10.4000/diacronie.11608
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