Laurent Joly, L’état contre les juifs. Vichy, les nazis et la persécution antisémite
Laurent Joly, L’état contre les juifs. Vichy, les nazis et la persécution antisémite, Paris, Bernard Grasset, 2018, 361 pp.
Testo integrale
Credits: Laurent JOLY, L’état contre les juifs. Vichy, les nazis et la persécution antisémite, Paris, Bernard Grasset, 2018, 361 pp.
- 1 JOLY, Laurent, Vichy et le commissariat général aux Questions juives (1941-1944), Thèse de doctorat (...)
1Laurent Joly è uno storico francese specializzato negli studi sull’antisemitismo. Ha sostenuto una tesi di Dottorato dal titolo Vichy et le commissariat général aux Questions juives (1941-1944) presso l’Università Paris 1 Panthéon-Sorbonne1. I suoi temi di ricerca principali si concentrano sulla propaganda antisemita sotto il regime di Vichy e sulle pratiche amministrative legate alla persecuzione degli ebrei durante l’occupazione della Francia da parte della Germania nazista. Questi punti sono stati approfonditi nel libro L’état contre les juifs. Vichy, les nazis et la persécution antisémite. In particolare, l’autore francese si pone le seguenti domande: perché nell’estate del 1940 il regime del Maresciallo Pétain decise di portare avanti una politica antisemita? Perché, due anni più tardi, quest’ultimo accettò di contribuire a una massiccia deportazione degli ebrei per ordine delle autorità naziste? Cercò forse di salvaguardare gli ebrei francesi a scapito di quelli stranieri? E in che modo i francesi reagirono all’arresto degli ebrei?
- 2 JOLY Laurent, L’état contre les juifs. Vichy, les nazis et la persécution antisémite, Paris, Bernar (...)
- 3 Ibidem, p. 10.
2Nel tentativo di rispondere a tali quesiti, Joly inizia interrogandosi sulla possibile esistenza in Francia di due politiche antisemite differenti. Poiché, come si sa, a nord della linea di demarcazione l’amministrazione francese aveva l’obbligo di sottostare agli ordini tedeschi; mentre nella zona a sud, detta “libera”, il regime di Pétain, istituito nel 1940, poteva esercitare liberamente la politica che riteneva più opportuna, conservando quella che apparentemente poteva sembrare una forma di sovranità. In merito a questo punto, lo studioso francese sostiene che ci fosse una forte correlazione tra le politiche francesi e quelle tedesche e sottolinea come la Francia di Vichy non fosse effettivamente libera nella scelta delle proprie politiche interne. Nemmeno però vi era alcuna forma di opposizione, anzi, i ministri di Vichy erano ben disposti a collaborare: secondo i maggiori personaggi di spicco del Governo di Vichy, tra cui Pierre Laval e René Bousquet, la Germania sarebbe uscita vincitrice dalla guerra e per tale motivo, c’era la necessità da parte loro di sostenere apertamente e con il massimo sforzo tutte le iniziative da parte dei tedeschi2. Il dato più eclatante, in tal senso, venne registrato il 10 settembre del 1940 quando il Consiglio dei Ministri di Vichy, sotto la pressione dei tedeschi, decise di indire un vero e proprio statuto contro gli ebrei. Su questo punto, Joly ci tiene a precisare che lo statuto d’ottobre del 1940 non fu una semplice attuazione della tradizione antisemita francese, divenuta già celebre con l’affaire Dreyfus; al contrario, fu il Ministro dell’Interno Marcel Peyrouton a battersi in prima linea per portare avanti questo statuto con l’ambizioso obbiettivo di compiacere i vincitori tedeschi che governavano sul territorio francese3.
- 4 Ibidem, p. 76.
- 5 Ibidem, p. 53.
3Da questo punto in poi, il regime di Vichy iniziò una politica di natura repressiva e apertamente antiebraica che si intensificò di anno in anno, seguendo di pari passo i vicini europei come l’Italia e la Germania. Per di più, secondo le cifre presentate da Reinhard Heydrich durante la Conferenza di Wannsee (20 gennaio 1942), la Francia appariva come il principale territorio in cui era necessario intervenire nei confronti degli ebrei. In base alle stime che vennero fornite, nella zona occupata erano presenti 165.000 ebrei, mentre nella zona libera 700.0004. Fu per questo motivo che Bousquet, segretario generale della polizia francese dal 1942 al 1943, riunificò la polizia nazionale sotto un unico corpo grazie a un accordo con il generale delle SS Carl Oberg (Polizeiführer). Lo scopo era quello di favorire la collaborazione tra la polizia francese e quella tedesca nei territori occupati, dando il via a una vera e propria operazione di déjudaïsation della Francia5.
- 6 Ibidem, p. 78.
- 7 Ibidem, p. 89.
4A tal proposito, l’autore dedica un intero capitolo al rastrellamento del Velodromo d’Inverno (16-17 luglio 1942) che rappresentò uno dei momenti più bui della storia francese. Egli si domanda per quale motivo le autorità francesi decisero di non opporsi. Anche perché, come giustamente fa presente Joly, non un solo tedesco prese parte a questa operazione ma il tutto fu condotto interamente dalla polizia francese. La verità è che dietro a questa scelta vi era un obbiettivo politico ben preciso: riacquistare l’autonomia della polizia nazionale e l’autonomia amministrativa nella zona occupata6. Il bilancio ufficiale fu di 12.884 ebrei arrestati: 3.031 uomini, 5.802 donne, 4.051 bambini di meno di 16 anni7.
- 8 CONAN, Eric, ROUSSO, Henry, Vichy un passé qui ne passe pas, L’Étang-la-Ville, Fayard, 1994, p. 271
- 9 Ibidem, p. 272.
5Su questo argomento si sono espressi diversi autori come Eric Conan e Henry Rousso. Secondo quest’ultimi, il rastrellamento del Velodromo d’Inverno può essere paragonato ad altre azioni che avvennero nel nord come nel sud della Francia, la cui causa starebbe in una forma di collaborazione di Stato, più che di antisemitismo di Stato. Nel senso che le scelte dei vertici politici di Vichy non derivavano da un fanatismo antiebraico, ma da una scelta politica specifica da parte di un regime ben disposto a pagare un “prezzo di sangue” nel tentativo di difendere il principio di “sovranità nazionale”8. Inoltre, se è vero che certe azioni di rappresaglia appoggiate e compiute dalla polizia francese favorivano il processo della “Soluzione Finale”, allo stesso tempo, è anche vero che lo statuto contro gli ebrei emesso nel 1940 non aveva come obbiettivo principale quello di uno sterminio degli ebrei, bensì esprimeva un principio di esclusione politica e sociale tipica della tradizionale destra francese anti-dreyfusarda9.
6Da questo punto di vista, Joly sembra avere un’idea diversa rispetto a Rousso e Conan: secondo Joly il rastrellamento del Velodromo così come anche altre azioni di cui il Governo di Vichy si rese responsabile rappresentarono un simbolo per eccellenza di antisemitismo francese e, pertanto, non si può sminuire e ricondurre tutto questo a un semplice rapporto di collaborazione; pur tenendo conto della tradizione antisemita che aveva caratterizzato la Francia prima dello scoppio della guerra e che ebbe, in questo senso, sicuramente un certo peso.
- 10 JOLY Laurent, L’état contre les juifs, cit., pp. 112-113.
- 11 Ibidem, p. 112.
- 12 Ibidem, p. 113.
- 13 Ibidem, p. 114.
- 14 Ibidem, p. 123.
7L’altro aspetto di cui si occupa lo studioso francese riguarda la scelta da parte dello Stato francese, sotto pressione delle SS, di deportare gli ebrei stranieri con lo scopo di salvare gli ebrei di nazionalità francese10. In base a questo ragionamento, la Francia di Vichy sarebbe vista come il “minore dei mali”, poiché avrebbe sacrificato gli ebrei stranieri tentando di salvare quelli francesi11. La seguente giustificazione venne data da Pierre Laval (capo del governo francese dal 18 aprile 1942 al 19 agosto 1944) nel processo tenutosi nei suoi confronti nell’ottobre del 194512. Secondo Joly, invece, non si trattò per nulla di una politica di salvataggio e, anche se così può sembrare, lo fu solamente per delle ragioni marginali, nonché accidentali. Egli rivela come questa non fu che una semplice storia inventata dal regime di Pétain, nel tentativo di giustificare una misura contro gli ebrei che non sarebbe mai stata difendibile. Fecero questo cercando di alleggerire le proprie coscienze e salvaguardare il loro avvenire13. Sostanzialmente, non volevano passare alla storia come i carnefici di turno, come coloro che avevano consegnato ai nazisti gli ebrei francesi. Alla fine, come viene riportato nel testo, i numeri non lasciano dubbi: da marzo del 1942 a giugno del 1943, 8.445 dei 50.838 deportati sono francesi, mentre tra luglio del 1943 e agosto del 1944, 10.907 su 23.307 sono francesi. Dunque, è certo che più del 50% dei deportati fossero francesi14. Questi numeri significarono un nuovo duro colpo per il Governo di Vichy che si trovò ad accettare un principio di cooperazione verso una politica di deportazione che vedeva coinvolti i propri concittadini. Dunque, l’idea che in questo contesto Vichy avesse rappresentato il minore dei mali è da considerarsi totalmente errata e fuorviante. Non ci fu un vero e proprio tentativo di salvaguardare gli ebrei francesi dalla minaccia nazista. Al contrario, nel caso l’occupazione si fosse prolungata, probabilmente ci sarebbero state altre deportazioni e altre vittime tra gli ebrei francesi.
- 15 Ibidem, p. 127.
8L’altro tema che viene affrontato da Joly riguarda la reazione da parte della popolazione civile di fronte alla deportazione di massa di cittadini stranieri ebrei e, in seguito, francesi. Risulta chiaro che era impossibile rimanere indifferenti di fronte a questo scenario, era impossibile restare impassibili di fronte alle operazioni di polizia, alla caccia all’uomo, ai numerosi convogli che trasportavano centinaia di persone nel campo di smistamento di Drancy e successivamente verso i campi di concentramento ad est. Una parte della popolazione, infatti, cercò di opporsi ai rastrellamenti degli ebrei. Tali azioni costituirono una parte importante da segnare nel bilancio storico dell’esperienza francese nella Secondo Guerra Mondiale, una valvola morale alla quale aggrapparsi. Nell’insieme però, malgrado dei casi isolati di disobbedienza, il sistema non vacillò; questo sia a Parigi che nella zona libera. Non ci fu quella spinta necessaria per affossare le azioni intraprese dai nazisti. Tutti i soggetti coinvolti, perfino quelli più “umani”, rispettarono gli ordini e arrestarono gli ebrei come era stato ordinato15.
- 16 Ibidem, p. 194.
9Un discorso diverso andrebbe fatto per i funzionari di Vichy: questi grigi burocrati che decisero di scendere a patti con i nazisti ebbero una responsabilità diretta nella persecuzione degli ebrei? O furono anche loro, in una certa maniera, vittime della situazione? Joly sottolinea come fosse difficile per un funzionario, un poliziotto, un magistrato o per chiunque rappresentasse un’istituzione rifiutarsi di eseguire un ordine, sebbene rappresentassero uno Stato che si faceva promotore di azioni immorali e violente. Dall’altra parte però, vi erano anche dei funzionari che approfittarono della loro posizione di potere per ottenere dei privilegi accettando di buon grado di scendere a patti con i vertici nazisti e quindi, sostanzialmente, non si fecero scrupoli a sacrificare delle vite pur di fare carriera16.
- 17 Ibidem, p. 190.
- 18 Ibidem, p. 236.
10Lo storico francese, inoltre, fa presente come al termine della guerra i crimini contro gli ebrei non vennero messi in primo piano come ci si poteva aspettare, ma si cercò di punire e condannare tutti coloro che avevano appoggiato le scelte del Terzo Reich, a prescindere dal fatto che avessero agito direttamente contro gli ebrei. Permettere la severa e ferma condanna di tali soggetti rappresentava l’urgenza politica del momento17. Ciò, chiaramente, non voleva dire “occultare” il dramma vissuto dagli ebrei presenti sul territorio francese, ma significava non scollegare i crimini antisemiti con i crimini di collaborazione. Dunque, non è che i crimini contro la comunità ebraica vennero cancellati o messi da parte, ma non vennero dissociati da quello che era considerato come il crimine supremo: ovvero, aver agito in favore della Germania nazista18.
11In generale, i problemi analizzati dall’autore sono posti in maniera chiara e scientifica. Tuttavia, per quanto le descrizioni dei fatti storici siano condotte in maniera accurata, mi permetto di esternare alcuni dubbi riguardo alla struttura dei capitoli: specialmente nei primi due sembra che i contenuti vengano mischiati fra loro creando una certa confusione. Tantoché, risulta difficile capire a che punto della narrazione storica si sia arrivati e ciò può creare un certo senso di disorientamento da parte del lettore. Detto questo, le soluzioni e le conclusioni proposte derivano in maniera logica dagli argomenti esposti, in quanto l’autore evidenzia più volte i motivi che spinsero il Governo di Vichy ad attuare delle azioni ostili nei confronti degli ebrei. È curioso cercare di capire cosa effettivamente potesse cambiare dalla Francia di Vichy rispetto alla Francia occupata. Soprattutto, è interessante domandarsi se il fatto che il Paese sia stato occupato e diviso possa essere sufficiente come giustificazione per le violenze antisemite che vennero applicate su vasta scala sia nella Francia occupata che nella cosiddetta “zona libera” amministrata e governata da Vichy. Questo è il concetto che viene ribadito a più riprese dall’autore, il quale crede che sia doveroso da parte della Francia assumersi le proprie responsabilità, invece di nascondersi dietro all’etichetta di Paese invaso da una forza straniera.
12In merito a questo ultimo punto, sarebbe interessante poter avanzare una comparazione con la situazione che vivevano gli altri Paesi occupati dalla Germania e valutare se i governi locali accettarono di buon grado una politica antisemita imposta dalle autorità naziste. Anche se, personalmente, ritengo che la Francia rappresenti un caso unico nel suo genere, dato dal fatto che il Paese fosse solamente per metà occupato, a differenza di altri Paesi appartenenti alla stessa area geografica come Belgio e Paesi Bassi.
13In conclusione, potremmo dire che Joly cerca di smarcarsi da una letteratura che aveva sempre messo sullo stesso piano sia i crimini contro gli ebrei che i rapporti di collaborazione tra i francesi e le autorità naziste ed è questa la grande novità che vuole portare attraverso la sua opera. Così facendo, viene dato risalto, attraverso una prospettiva nuova, a un dibattito che in Francia è sempre visto con molta sensibilità e interesse. L’autore, inoltre, presenta un’analisi approfondita di certi episodi controversi di quell’epoca basati su fonti inedite: archivi amministrativi, dossier legati alle attività lavorative che svolgevano gli ebrei e documenti che dimostrano la loro deportazione; tutti elementi che permettono di restituire preziose testimonianze delle vittime e delle loro persecuzioni. In questo senso, l’opera in questione rappresenta un nuovo ed interessante spunto di indagine da cui partire verso ricerche più dettagliate.
Note
1 JOLY, Laurent, Vichy et le commissariat général aux Questions juives (1941-1944), Thèse de doctorat, Université de Paris 1 Panthéon-Sorbonne, 2004. Cfr. ID., Vichy dans la solution finale. Histoire du Commissariat général aux questions juives (1941-1944), Paris, Bernard Grasset, 2006.
2 JOLY Laurent, L’état contre les juifs. Vichy, les nazis et la persécution antisémite, Paris, Bernard Grasset, 2018, p. 9.
3 Ibidem, p. 10.
4 Ibidem, p. 76.
5 Ibidem, p. 53.
6 Ibidem, p. 78.
7 Ibidem, p. 89.
8 CONAN, Eric, ROUSSO, Henry, Vichy un passé qui ne passe pas, L’Étang-la-Ville, Fayard, 1994, p. 271.
9 Ibidem, p. 272.
10 JOLY Laurent, L’état contre les juifs, cit., pp. 112-113.
11 Ibidem, p. 112.
12 Ibidem, p. 113.
13 Ibidem, p. 114.
14 Ibidem, p. 123.
15 Ibidem, p. 127.
16 Ibidem, p. 194.
17 Ibidem, p. 190.
18 Ibidem, p. 236.
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Notizia bibliografica digitale
Mattia Gozzi, «Laurent Joly, L’état contre les juifs. Vichy, les nazis et la persécution antisémite», Diacronie [Online], N° 38, 2 | 2019, documento 8, online dal 19 juillet 2019, consultato il 10 décembre 2024. URL: http://0-journals-openedition-org.catalogue.libraries.london.ac.uk/diacronie/11574; DOI: https://0-doi-org.catalogue.libraries.london.ac.uk/10.4000/diacronie.11574
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