Raoul Pupo, Fiume città di passione
Raoul Pupo, Fiume città di passione, Roma-Bari, Laterza, 2018, 328 pp.
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Credits: Raoul PUPO, Fiume città di passione, Roma-Bari, Laterza, 2018, 328 pp.
- 1 PUPO, Raoul, Fiume città di passione, Roma-Bari, Laterza, 2018.
- 2 Per ricordare solo alcuni fra i più recenti lavori: PUPO, Raoul, Il confine scomparso. Saggi sulla (...)
1Gli anniversari sono spesso occasioni per pubblicazioni à l’occasion de, frutto più di calcoli editoriali che di una reale attenzione al tema. Il 2019, con l’imminente ricorrenza dei cento anni dall’impresa di Fiume, potrebbe non fare eccezione rispetto a questa regola. Non è certo questo il caso di Fiume città di passione1, volume frutto di un lavoro di ricerca sul confine orientale che nel caso del suo autore, Raoul Pupo ha segnato l’intera carriera accademica2.
- 3 Su Salonicco si veda, ad esempio il volume di Mazower: MAZOWER, Mark, Salonicco, città di fantasmi: (...)
- 4 PUPO, Raoul, Fiume città di passione, cit., pp. 284-285.
- 5 Ibidem, p. 285.
2Quel che emerge dalle sue pagine è il valore paradigmatico di Fiume, città contesa dopo la dissoluzione degli imperi – al pari di Salonicco3, Königsberg, Smirne – fra realtà culturali ed etniche differenti. La storia della città quarnerina è quella dei «molti dopoguerra di un secolo fin troppo lungo, che hanno poi visto moltiplicarsi, lungo tutta la fascia che va dal Baltico all’Egeo, le città mutilate, vale a dire, da plurali che erano, talvolta viventi quasi l’una dentro l’altra, ridotte a città monocrome – oppure rovesciate da un ricambio pressoché totale di popolazione»4. Fiume rappresenta perciò uno «[…] dei luoghi storici delle brutali fratture novecentesche»5.
3Nel libro di Pupo, Fiume diviene soggetto – e non oggetto – della ricostruzione storica. Questo approccio aiuta il lettore a non cadere in facili teleologismi, prodotto di visioni nazionalistiche. Per ovviare a questa possibile stortura l’autore mette in luce passo passo l’operato delle élites locali, che si destreggiano nei rapporti con una pluralità di attori – tra cui i differenti “centri” nazionali intorno a cui orbitano – e le sue divisioni interne. Come viene evidenziato sin dal primo capitolo, ripercorrere la storia della città adriatica comporta rievocare la questione della nascita di stereotipi storiografici. Trattando dell’occupazione croata della città del 1848, l’autore evidenzia come sin da allora avesse fatto la sua comparsa:
- 6 Ibidem, p. 13.
l’archetipo di un’immagine che poi a lungo ricorrerà nelle ossessioni dei ceti urbani di cultura italiana delle città dalmate e istriane, da Zara fino a Trieste: quella delle plebi rurali slave pronte a «calarsi» in città per spazzarne via ricchezza e potere, caricando sempre più di contenuti etnici la tradizionale volontà di rivalsa dei contadini poveri nei confronti dei centri urbani, percepiti come doviziosi e parassiti. Gli eventi successivi alla seconda guerra mondiale, ovviamente, conferiranno a tali incubi una dimensione concreta e drammatica6.
- 7 Ibidem, p. 17.
- 8 Si veda, tra gli altri, il volume di Deák sugli ufficiali dell’esercito austroungarico: DEÁK, Istvá (...)
4Si creano così le premesse per la costruzione di una vera e propria mitologia politica: «nella dialettica politica all’interno dell’Impero prende a diffondersi la metafora delle “isole” cittadine, circondate da un “mare” di nazionalità diverse, che – prima o poi – necessariamente le assorbirà»7 e del conseguente mito elaborato dagli intellettuali italiani della città come oasi culturali (italiane) nel deserto slavo. Principale sostenitore dell’aumento della presenza italiana nelle città fu in questo contesto il governo ungherese, che vide in essa uno strumento da opporre alle rivendicazioni croate sulla città: Fiume era infatti divenuta la città portuale di riferimento della Corona ungherese. Pupo fornisce in questo caso alcune cifre relative agli italofoni presenti in città: il criterio linguistico – benché vada comunque adoperato con una certa cautela, come è stato del resto evidenziato anche in altri importanti lavori sull’Austria-Ungheria8 – restituisce l’immagine di una consistente comunità italiana. La collaborazione tra questa e il governo di Budapest fu però di breve durata: la classe dirigente italiana – desiderosa di mantenere e incrementare la propria autonomia – era destinata a trovarsi in contrasto anche con il governo ungherese. È in un quadro generale di nazionalizzazione delle masse e di esclusivismo linguistico – del resto comune a gran parte dell’Impero – che si colloca l’atteggiamento ambivalente degli autonomisti, che caratterizzerà tutto il periodo prebellico.
- 9 Ibidem, p. 90.
- 10 Cfr. fra gli altri: CONTI, Fulvio, Italia immaginata. Sentimenti, memorie e politica fra Otto e Nov (...)
5Il secondo capitolo è invece dedicato all’emergere della “questione fiumana”, che – come sottolinea l’autore – è un problema del tutto legato al dopoguerra e successivo alla dissoluzione dell’impero asburgico. Calibrando il focus della narrazione, ora sulle vicende diplomatiche, ora su quelle della politica locale fiumana e mostrando i nessi di causa-effetto, Pupo ricostruisce minuziosamente la vicenda della città sino al drammatico epilogo del “Natale di sangue”, naturale conclusione dell’avventura fiumana dopo lo stipula del trattato di Rapallo. E lo fa mettendo in luce come quest’ultima fosse stata un’esperienza profondamente connessa alle fratture – non ricomposte – del conflitto, relative alla «gestione dell’“economia morale della mobilitazione”»9. La volontà dei militari, sfiduciati nei confronti delle élites politiche, fu il motore degli eventi; in questo quadro entrò in scena D’Annunzio: Pupo si concentra proprio nell’individuarne la funzione (catalizzatore e fautore del coinvolgimento delle masse, nonché creatore di una vera e propria mistica nazionalista) all’interno del contesto. A riprova di come l’esperienza abbia rappresentato un unicum, a Fiume trovarono spazio anche tutta una serie di sperimentazioni, che non sono semplicemente derubricabili a storia del costume. Tra di esse quella della sessualità “libera” – tanto per i legionari quanto per la popolazione locale – in cui si inserirono anche le legionarie, il cui ruolo, tuttavia fu ancora «a cavaliere fra retaggio garibaldino e nuove forme di emancipazione», ricalcando in ciò una dinamica ancora attiva dall’epoca risorgimentale10. Nella città alto adriatica comparve anche la cocaina, retaggio dell’esperienza del conflitto in grado di creare dipendenza fra i “nuovi padroni” della città. In questo contesto ambientale la figura di D’Annunzio adombrava ancora quella di Mussolini che, di fronte all’attivismo del poeta, appariva sin troppo insabbiato in calcoli politici riguardo l’opportunità di esporsi in maniera palese. L’esperienza fiumana rappresentò, tuttavia, una parentesi: il fiumanesimo stesso venne assorbito dal fascismo, che lo avrebbe spogliato dalle sue coloriture libertarie: ai suoi epigoni non sarebbe rimasto che scegliere se schierarsi con il fascismo o nelle fila dell’antifascismo.
- 11 PUPO, Raoul, Fiume città di passione, cit., pp. 156-158.
- 12 Ibidem, p. 158.
- 13 Ibidem, p. 165.
6L’autore dedica il terzo capitolo – il più ampio del volume – allo Stato libero di Fiume. Con il governo Bonomi avvenne infatti il passaggio dei poteri nelle mani delle autorità fiumane, ma si trattò di un semplice passaggio formale dal momento che lo Stato italiano si era già assicurato – dapprima tramite il sequestro delle infrastrutture e successivamente con l’erogazione di prestiti capestro – un controllo totale sull’attività economica dello Stato libero. L’annessione italiana di Fiume, sancita dal Patto di Roma, finì per condurre a uno scenario di crisi i territori dell’alto Adriatico, facendoli passare dallo stato di «periferie immediate» a quello di «estremo lembo della patria», con tutto ciò che ne sarebbe conseguito da un punto di vista economico11: è per questa ragione che Pupo sottolinea, riferendosi agli anni immediatamente successivi all’annessione, la marginalità politica della classe dirigente locale, incapace di influire sulle scelte del “centro”, come a una «storia di ripieghi»12. Solo la parte conclusiva degli anni Trenta, segnati dalle politiche di riarmo italiane, vedrà una ripresa dell’economia cittadina. Quella che si produsse parallelamente nella città fu quindi un’«italianizzazione senza sviluppo»13, sostanzialmente politica, che non toccò in maniera tangibile la morfologia della città.
7Pupo sottolinea uno dei punti nodali nell’interpretazione di quello che viene definito “fascismo di confine”:
- 14 Ibidem, p. 166.
[…] che certo è una realtà, ma non nel senso che i fascisti operanti nelle province di frontiera abbiano mai dato vita a un movimento unitario, mostrandosi invece capaci o addirittura ostili all’idea di un’azione coordinata su scala regionale, men che mai con i cugini trentini. Piuttosto, quella del «fascismo di confine» è un’autorappresentazione che il fascismo ha voluto dare di sé e della sua funzione politica nella Venezia Giulia, con una formula che è stata volentieri recepita dagli storici estendendola anche alla Venezia Tridentina, perché ha il pregio di rinviare immediatamente alle due dimensioni comuni e fondanti dell’esperienza fascista nelle «terre redente»14.
8Queste due dimensioni erano rappresentate, da una parte dalla Grande guerra – elemento legittimante del fascismo, in particolare nelle regioni più direttamente coinvolte nel conflitto –, dall’altra dalla presenza tangibile dell’“altro nazionale” oltreconfine.
- 15 Ibidem, pp. 166-167.
Di quel confine armato i fascisti vogliono essere sentinelle sempre all’erta e guardie insuperabili, ma c’è un problema, un grosso problema: l’altro il nemico, sta già dentro i confini che nella visione nazionalista la natura ha donato all’Italia e la storia invece ha violato. La soluzione è la medesima verso la quale convergono tutti gli stati […] nati sulle ceneri imperiali dal Baltico all’Egeo: le minoranze rimaste «dalla parte sbagliata della frontiera» devono sparire – o quantomeno venir depotenziate al massimo – perché costituiscono un impedimento insopportabile alla piena realizzazione delle nazioni che sono riuscite a guadagnare per sé la forma stato15.
- 16 Ibidem, pp. 174-176.
- 17 Ibidem, p. 177.
9È in questo contesto che si avvia il processo di denazionalizzazione, il tentativo di sradicamento di ogni identità etnica e culturale diversa da quella italiana, che toccò persino l’ambito ecclesiastico16. Questa politica si risolse comunque in un notevole insuccesso dal momento che all’interno dei confini, alla vigilia della Seconda guerra mondiale, si trovavano ancora più di 400.000 slavi17.
- 18 Ibidem, p. 215.
10Pupo consacra il quarto capitolo proprio al conflitto, dedicando particolare attenzione processo di “creazione” di un nuovo nemico – la comunità ebraica italiana – da parte del fascismo e alle sue conseguenze sulla città di Fiume. Le vicende belliche conducono al tornante dell’8 settembre 1943: a partire dal quella data sarebbe divenuta cruciale la questione del ruolo dei comunisti italiani nella città quarnerina, che sin da subito riconobbero l’egemonia croata nella lotta di liberazione. La propaganda e la mobilitazione degli antifascisti italiani sarebbe dovuta avvenire «sulla base delle parole d’ordine scelte dal partito comunista croato: ruolo oggettivamente progressista della lotta di liberazione dei popoli jugoslavi, colpa collettiva del popolo italiano “prestatosi sempre alla politica del fascismo”»18 criticando quindi le voci di quanti si erano espressi in favore di un rinvio della questione dei confini al dopoguerra. Quella italiana diviene così, formalmente, una “minoranza nazionale con i massimi diritti”: una categoria che sarebbe stata però applicata ad un numero molto ristretto di persone, sostanzialmente agli operai, attivi soprattutto nella cantieristica. Nel progetto jugoslavista i nuclei di classe operaia delle città costiere adriatiche erano particolarmente appetiti in una regione che aveva conosciuto un’industrializzazione assai modesta. Molti altri italiani sono invece considerati slavi di recente italianizzazione, dunque da “rislavizzare” al più presto. Proprio per effetto di questa reticenza, mentre Trieste fu in grado di organizzare due insurrezioni “concorrenziali” per anticipare la liberazione – tanto da parte degli angloamericani quanto degli jugoslavi –, i fiumani, in preda ad una passiva rassegnazione, attesero gli eventi finendo per subire la totale distruzione delle infrastrutture portuali da parte delle truppe tedesche in ritirata.
- 19 Ibidem, p. 225.
11Nel sesto capitolo Pupo si sofferma sul dopoguerra, trattando della “resa dei conti” e della sistematica epurazione degli italiani direttamente coinvolti nella vita politica della città: non solo i fascisti e gli appartenenti alle forze di polizia vennero travolti dalla repressione jugoslava, ma anche gli autonomisti, che rappresentavano la pericolosa possibilità che potesse risorgere uno Stato libero fiumano. I tribunali popolari istituiti in Jugoslavia al termine del conflitto operarono adottando un concetto di collaborazionismo decisamente esteso, utile a poter operare confische e condanne nei confronti degli italiani: Fiume non fece eccezione. Parallelamente Fiume e Sušak vennero a costituire, unite, una nuova realtà cittadina, Rijeka. Come sottolinea l’autore: «Nel primo dopoguerra il borgo oltreponte, già gravitante in toto su Fiume, era divenuto una vera città e, mentre Fiume si italianizzava, Sušak si balcanizzava. Ora, è Sušak che si appresta a inglobare Fiume e a renderla simile a essa»19. Pupo ripercorre quindi alcuni degli episodi che videro coinvolti gli italiani fiumani: l’infoibamento e le sparizioni, l’esodo, ma anche episodi minori, utili a ricostruire la temperie dell’immediato dopoguerra. Non manca un focus sul «controesodo», con cui la Jugoslavia riuscì ad attirare (soprattutto da Monfalcone) quegli italiani che, delusi dall’epilogo dell’epopea resistenziale nella Penisola, cercavano nella nuova patria socialista un luogo in cui veder realizzate le proprie utopie. Un ulteriore approfondimento è dedicato anche alle conseguenze della rottura fra Stalin e Tito: la comunità italiana dovette allora subire una nuova epurazione, quella dei cominformisti.
- 20 Ibidem, p. 287.
12Quel che emerge dal testo di Pupo – uno studio di caso paradigmatico, che conserva il suo valore tanto nella particolarità e nell’approfondimento della ricerca quanto nell’universalità del processo che prende in esame – è una dinamica che si è verificata in diversi luoghi del globo nel corso del XX secolo: la permanenza delle città (urbs) e la parallela emigrazione delle civitas. Ma qual è il principale imputato di questa trasformazione? L’autore non ha dubbi quando lo individua nella «[…] nazionalizzazione, drammaticamente convertitasi da orizzonte di libertà rispetto alle angustie della Restaurazione in strumento d’omologazione forzata, intollerante – se pur con diversi stili – delle differenze e delle volontà individuali»20.
13La cartina di tornasole di questo mutamento radicale, di questa “nazionalizzazione delle città”, ci viene offerta semplicemente dando uno sguardo alle cifre, seppur con tutte le prudenze del caso, come ci suggerisce, ancora una volta, Pupo. Le vittime di episodi di violenza politica passarono dalle poche decine del primo dopoguerra alle centinaia del periodo immediatamente successivo alla Seconda guerra mondiale. Un aumento esponenziale che si giustificava con il fatto che l’ultimo conflitto avesse:
- 21 Ibidem, p. 289.
fatto completamente saltare la distinzione fra militari e civili, divenuti questi ultimi non solo vittime sfortunate di operazioni belliche affatto noncuranti delle ricadute sulle popolazioni, ma bersagli di azioni di guerra mirate, intimidatorie, punitive e terroristiche. In particolare, a partire dal fronte orientale si è diffusa la pratica dello stragismo, rispetto alla quale nessuna delle parti in causa si è tirata indietro […]21.
14Fiume, però – è doveroso ricordarlo – ha rispecchiato molti aspetti del Novecento, ospitando anche quel desiderio di sperimentazione e di utopia che ha connaturato il secolo scorso quanto la storia degli eccidi e delle guerre.
- 22 Ibidem, p. 291.
Fra il 1919 e il 1920, […] per una manciata di mesi il sogno di un poeta è divenuto fatto politico e quasi stato, l’impresa dannunziana le ha guadagnato un posto d’onore sotto i riflettori dell’intero continente: naturalmente è stato solo un bagliore fuggente, ma capace d’impressionare durevolmente la memoria collettiva contemporanea. […] Assai più umbratile e per niente carnascialesco è stato invece il tentativo degli operai italiani, delusi dal destino della patria, di trovarne una migliore nella Fiume del socialismo realizzato22.
15In conclusione Fiume città di passione è un’interessante caso di studio per lo specialista – una semplice occhiata alle note e agli archivi consultati fornisce un’idea del lavoro di ricerca alla base del volume –, ma anche per chi, desideroso di conoscere la storia di questa città, voglia farsene un’idea complessiva collocando la storia fiumana nei più generali processi novecenteschi.
Note
1 PUPO, Raoul, Fiume città di passione, Roma-Bari, Laterza, 2018.
2 Per ricordare solo alcuni fra i più recenti lavori: PUPO, Raoul, Il confine scomparso. Saggi sulla storia dell'Adriatico orientale nel Novecento, Trieste, IRSML, 2007; CRAINZ, Guido, PUPO, Raoul, SALVATICI, Silvia (a cura di), Naufraghi della pace. Il 1945, i profughi e le memorie divise d'Europa, Roma, Donzelli, 2008; PUPO, Raoul, TODERO, Fabio (a cura di), Fiume, D’Annunzio e la crisi dello Stato liberale in Italia, Trieste, IRSML, 2010; PUPO, Raoul, Trieste ’45, Roma-Bari, Laterza, 2010.
3 Su Salonicco si veda, ad esempio il volume di Mazower: MAZOWER, Mark, Salonicco, città di fantasmi: cristiani, musulmani ed ebrei tra il 1430 e il 1950, Milano, Garzanti, 2007 [ed. orig.: Salonica, city of ghosts: Christians, Muslims and Jews 1430-1950, New York, Vintage Books, 2006]. Su Smirne (ma anche su Alessandria e Beirut): MANSEL, Philip, Levante: Smirne, Alessandria, Beirut: splendore e catastrofe nel Mediterraneo, Milano, Mondadori, 2016 [ed. orig.: Levant: splendour and catastrophe on the Mediterranean, London, Murray, 2010].
4 PUPO, Raoul, Fiume città di passione, cit., pp. 284-285.
5 Ibidem, p. 285.
6 Ibidem, p. 13.
7 Ibidem, p. 17.
8 Si veda, tra gli altri, il volume di Deák sugli ufficiali dell’esercito austroungarico: DEÁK, István, Gli ufficiali della monarchia asburgica: oltre il nazionalismo, Gorizia, LEG, 2003 [ed. orig.: Beyond nationalism : a social and political history of the Habsburg officer corps, 1848-1918, New York, Oxford university press, 1990].
9 Ibidem, p. 90.
10 Cfr. fra gli altri: CONTI, Fulvio, Italia immaginata. Sentimenti, memorie e politica fra Otto e Novecento, Pisa, Pacini, 2017, pp. 23-26.
11 PUPO, Raoul, Fiume città di passione, cit., pp. 156-158.
12 Ibidem, p. 158.
13 Ibidem, p. 165.
14 Ibidem, p. 166.
15 Ibidem, pp. 166-167.
16 Ibidem, pp. 174-176.
17 Ibidem, p. 177.
18 Ibidem, p. 215.
19 Ibidem, p. 225.
20 Ibidem, p. 287.
21 Ibidem, p. 289.
22 Ibidem, p. 291.
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Notizia bibliografica digitale
Jacopo Bassi, «Raoul Pupo, Fiume città di passione», Diacronie [Online], N° 38, 2 | 2019, documento 7, online dal 19 juillet 2019, consultato il 11 décembre 2024. URL: http://0-journals-openedition-org.catalogue.libraries.london.ac.uk/diacronie/11559; DOI: https://0-doi-org.catalogue.libraries.london.ac.uk/10.4000/diacronie.11559
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