L’autonomia universitaria e i suoi critici in parlamento e nelle piazze (1989-1990)
Abstract
Dal 1948, anno dell’entrata in vigore della Carta Costituzionale, l’Università italiana dovette attendere circa un quarantennio per veder approvata una riforma dell’Istruzione superiore; la paralisi legislativa sembrò arrestarsi solo nel 1989 con l’approvazione della riforma dell’autonomia universitaria. Il contributo intende analizzare gli anni del ministero Ruberti (1988-1992) e la riforma dell’autonomia attraverso l’esame degli atti parlamentari inerenti i due provvedimenti di legge 168/89 e 341/90 e la documentazione prodotta dal movimento studentesco della Pantera e dalla comunità accademica, sviluppatasi in contrasto alle disposizioni legislative.
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1. Il ministero Ruberti e l’autonomia universitaria
- 1 Cfr. CAPANO, Gilberto, La politica universitaria, Bologna, Il Mulino, 1998.
- 2 Cfr. STATERA, Gianni, Storia di un’utopia, Milano, Rizzoli, 1973.
- 3 Cfr. MARSIGLIA, Giorgio, L’università di massa: espansione, crisi e trasformazione in SOLDANI, Simo (...)
- 4 Cfr. CAPANO, Gilberto, op. cit.
1Nel 1989 l’allora ministro dell’Università e della Ricerca Scientifica, Antonio Ruberti, riuscì a far approvare una riforma in materia universitaria dopo circa un ventennio di provvedimenti e misure d’urgenza finalizzate ad adeguare il mondo accademico alle forti trasformazioni sociali e culturali iniziate negli anni Sessanta1. Né la proposta Gui del 1967, travolta dal movimento del ’682, né i piani triennali e quinquennali del governo Fanfani, smembrati e dissolti nelle sedute parlamentari, erano riusciti a dar forma ad un progetto sistematico e coerente3. I quarant’anni intercorsi tra la nascita della Costituzione italiana ed il ministero Ruberti avevano visto succedersi ventiquattro ministri della Pubblica Istruzione (di cui venti appartenenti alla DC per un totale di 38 anni su 41)4, e nessuna riforma universitaria che potesse adeguare strutture e risorse alle necessità di una rinnovata comunità studentesca, tanto nel numero quanto nel mutamento culturale.
- 5 Cfr. BONINI, Francesco, La politica universitaria nell’Italia repubblicana, in BRIZZI, Gian Paolo, (...)
- 6 Cfr. MONTI, Alessandro, Indagine sul declino dell’università italiana, Roma, Gangemi, 2007.
2La paralisi parlamentare causata sia dal movimento nelle piazze che dalla ferma opposizione negli ambienti accademici e politici, sembrò subire un colpo d’arresto nel 1989 quando con il ministro Ruberti venne approvata la riforma 168 in materia d’Università.Ministro senza portafoglio dal 1987 con delega alla ricerca scientifica e tecnologica del governo del pentapartito presieduto dal democristiano Giovanni Goria, il socialista Ruberti concepì l’unione di Università e Ricerca in un unico ministero, separandolo da quello della Pubblica Istruzione, presieduto dal democristiano Giovanni Galloni. L’istituzione del Ministero dell’Università e della Ricerca Scientifica e Tecnologica (MURST) sanciva la dipendenza di istruzione superiore e ricerca da un unico dicastero, mentre in precedenza l’Università era materia del Ministero della Pubblica Istruzione, e Ricerca e Tecnologia erano delegate al Ministero per i Beni culturali e Ambientali. Il provvedimento perseguiva lo scopo di valorizzare maggiormente la Ricerca e riconoscere una più ampia autonomia all’Università, considerata strumento organizzativo necessario alla concretizzazione degli obiettivi degli studi superiori5. Esso trovò pertanto consensi in chi auspicava la riduzione del centralismo nel governo delle università, scetticismi in chi temeva che esso avrebbe potuto minare l’autonomia della ricerca o in chi vedeva nella separazione tra Università e Scuola la negazione dell’unitarietà del processo formativo e dei relativi interventi pubblici6, e infine reazioni di protesta in chi non vedeva di buon occhio l’estensione dell’autonomia all’ambito finanziario e contabile.
3Il provvedimento, discusso a partire dalla fine del 1988, trasmesso alle Commissioni I e VII della Camera in sede referente fino all’inizio di marzo 1989 e poi in sede legislativa per accelerarvi l’approvazione, venne in parte travolto dalle forti manifestazioni di dissenso scoppiate nelle piazze e negli ambienti accademici, innescate soprattutto dall’art. 6 della stessa legge che estendeva l’autonomia delle università all’ambito amministrativo, finanziario e contabile.
- 7 Legge 9 maggio 1989, n. 168, in materia di Istituzione del Ministero dell’Università e della Ricerc (...)
Le università sono dotate di personalità giuridica e, in attuazione dell’articolo 33 della Costituzione, hanno autonomia didattica, scientifica, organizzativa, finanziaria e contabile; esse si danno ordinamenti autonomi con propri statuti e regolamenti7.
- 8 Cfr. LUZZATTO, Giunio, 2001: L’Odissea dell’Università nuova, Firenze, La Nuova Italia, 2001.
- 9 Costituzione della Repubblica Italiana, art. 33, comma 1.
4Sino a quel momento l’autonomia universitaria era sancita dalle ultime righe dell’art. 33 della Costituzione e rimase un principio programmatico non incidente sulla realtà degli ordinamenti statuali, di fatto privo di conseguenze fino all’approvazione della legge 168/898. L’articolo costituzionale si apriva con l’affermazione del principio della libertà delle scienze e del loro insegnamento, fondamentale per garantire che sviluppo e trasmissione delle ricerche scientifiche seguissero il fine dell’accrescimento dell’umana conoscenza, insito in esse, e non fossero asservite a ragioni ed imposizioni esterne. Pertanto, era concesso a strutture di formazione superiore di darsi ordinamenti autonomi, affinché l’organizzazione potesse essere funzionale all’esercizio degli obiettivi del libero sviluppo di scienza e ricerca. I principi fondamentali dello Stato si costituivano quale limite invalicabile di questa libertà e giustificazione inviolabile della sua esistenza: «L’arte e la scienza sono libere e libero ne è l’insegnamento9».
5Libertà di scienza e di insegnamento coincidono con:
- 10 Cit. BERDAHL, Robert, «Academic Feedom, Autonomy an Accountability in British Universities», in Stu (...)
La libertà individuale dello studioso nella propria attività di insegnamento e di ricerca al fine di perseguire la verità in qualsiasi modo sia ritenuto adeguato senza alcun timore di punizioni o perdita dell’impiego per aver offeso ortodossie politiche, sociali o religiose10.
6Perché le scuole d’istruzione superiore potessero assolvere al loro compito formativo di insegnamento e ricerca, l’ultimo comma dell’articolo 33 prevedeva che esse si costituissero secondo ordinamenti autonomi, ovvero dotate di struttura organizzativa funzionale allo sviluppo delle libere scienze.
- 11 Costituzione della Repubblica Italiana, art. 33, comma 6.
Le istituzioni di alta cultura, università ed accademie, hanno il diritto di darsi ordinamenti autonomi nei limiti stabiliti dalle leggi dello Stato11.
- 12 Cfr. ATTI PARLAMENTARI, Assemblea Costituente, seduta del 24 aprile 1947, in particolare si veda l’ (...)
7Durante le discussioni parlamentari, in sede di stesura dei principi costituzionali, si discusse in termini di “autonomia funzionale”12, quindi di quale strumento posto al raggiungimento dei fini scientifici; non per caso legata al principio di inamovibilità della docenza intesa come impossibilità per qualsiasi potere di procedere alla rimozione dagli incarichi di insegnamento per contrasti ideologici o politici. Ad essere garante dello sviluppo della scienza e dell’arte doveva essere pertanto lo Stato: le università non potevano essere in grado ad un tempo di intercettare gli strumenti di ricerca necessari e garantire la piena libertà scientifica.
2. Critiche e riflessioni di movimento studentesco e accademia sulla riforma dell’autonomia
- 13 Cfr. LUZZATTO, Giunio, op. cit.
8La proposta di legge Ruberti riaccese il dibattito sull’autonomia, sino a quel momento parzialmente contraddetta dall’assetto centralistico del governo delle Università dipendente dal Ministero della Pubblica Istruzione13, che con la 168 venne trasferito ad un ministero apposito sovrintendente Università e Ricerca. In più il provvedimento estendeva l’autonomia degli atenei al piano contabile e finanziario, riconoscendo alle università la possibilità di intercettare risorse esterne per l’esercizio delle proprie funzioni.
- 14 Legge 9 maggio 1989, n. 168, in materia di Istituzione del Ministero dell’Università e della Ricerc (...)
Le università sono dotate di personalità giuridica e, in attuazione dell’articolo 33 della Costituzione, hanno autonomia didattica, scientifica, organizzativa, finanziaria e contabile; esse si danno ordinamenti autonomi con propri statuti e regolamenti.
Le università, in osservanza delle norme di cui ai commi precedenti, provvedono all’istituzione, organizzazione e funzionamento delle strutture didattiche, di ricerca e di servizio, anche per quanto concerne i connessi aspetti amministrativi, finanziari e di gestione14.
9Il quinto comma affidava chiaramente agli atenei, non solo l’organizzazione didattica e logistica degli assetti formativi, ma anche l’amministrazione finanziaria e la gestione delle risorse alla loro responsabilità. Proprio il riconoscimento di questa opportunità fece scoppiare le proteste all’interno degli ambienti accademici che, nel caso degli studenti, sfociarono nel movimento della Pantera.
- 15 Cfr. ALBANESE, Carmelo, C’era un’Onda chiamata Pantera, Roma, Manifestolibri, 2010.
- 16 Cfr. ASSEMBLEA D’ATENEO DI PALERMO, Libro bianco sulla gestione dell’Ateneo palermitano, 18 febbrai (...)
10Gli studenti di fine anni Ottanta erano spettatori da un lato della caduta del Muro ad opera dei berlinesi e della fine della DDR: ciò che rimaneva del socialismo reale andava via via sgretolandosi; dall’altro del massacro in piazza Tienanmen degli studenti pechinesi ad opera delle forze armate della Repubblica Popolare Cinese: il regime comunista mostrava il suo volto autoritario15. Al contempo mutavano anche gli assetti politici italiani: alla guida del governo il pentapartito (DC, PSI, PRI, PLI, PSDI) in cui la tesa ma solida alleanza DC-PSI consentiva di arginare il PCI in crisi che, prese le distanze dal comunismo sovietico, dovette affrontare una difficile ridefinizione della propria identità sfociata nella fondazione del Partito Democratico della Sinistra e dalla scissione da esso di Rifondazione Comunista. In questo clima di ricomposizione di alleanze e identità partitiche scoppiarono le agitazioni studentesche innescate dall’apertura al mondo privato contenuta nella legge del socialista Antonio Ruberti, che i sostenitori della protesta considerarono un attacco alla pubblica istruzione e temerono essere parte di un processo generale di privatizzazione che iniziava ad interessare diversi ambiti pubblici tra cui la sanità, il servizio postale, le ferrovie. La protesta esplose nel dicembre del 1989 ed in poche settimane si diffuse in tutta la penisola. Palermitano di origine, il movimento mosse i primi passi nel capoluogo siciliano che vedeva sulla scena politica un nuovo fenomeno denominato “primavera siciliana” in lotta contro mafie e malgoverno, del resto parte del lavoro del movimento studentesco dell’isola si tradusse nel tentativo di inchiesta sui rapporti e la gestione dell’ateneo palermitano confluito nel Libro bianco sulla gestione dell’Ateneo16.
- 17 Cfr. SIMEONE, Nando, Gli studenti della Pantera, Roma, Alegre, 2010.
- 18 Cfr. COLACE, Loredana, RIPAMONTI, Susanna (a cura di), Il circo e la Pantera, Milano, Edizioni LED, (...)
- 19 Cfr. PORTELLI, Alessandro, L’aeroplano e le stelle, Roma, Manifestolibri, 1995.
11La mobilitazione ebbe inizio con l’occupazione della facoltà di Lettere per le pessime condizioni strutturali del plesso e per l’assenza di norme omogenee in materia di diritto allo studio; in qualche giorno quasi tutte le università palermitane vennero occupate. Tra Natale e Capodanno dello stesso anno il capoluogo siciliano vide due grandi manifestazioni studentesche partecipate anche da studenti di altre città e nel mese di gennaio 1990 le contestazioni iniziarono a diffondersi: venne occupata la facoltà di Lettere della Sapienza, Scienze politiche di Torino e di Roma, la mensa di Milano e la facoltà di Lettere e Filosofia di Bari si dichiarò in assemblea permanente. Le agitazioni ben presto presero i connotati di movimento nazionale, organizzato e diffuso (fondamentale per le comunicazioni tra gli atenei lo strumento del fax), esso si riconobbe simbolicamente in una pantera avvistata e sfuggita nella periferia romana, che nei giorni a seguire diede il nome al soggetto in rivolta, il quale si ispirò nel logo alle Black Panthers americane17. Il movimento studentesco che ne nacque ebbe una composizione piuttosto eterogenea: le aree politiche presenti erano la Fgci (federazione dei giovani del PCI), l’Autonomia e Democrazia Proletaria, insieme a numerosissime aggregazioni spontanee di studenti; mentre a contestarli sorsero i cattolici popolari che a Bologna fondarono Proposta Universitaria comprendente diverse sigle (PRI, PLI, PSI, MSI e DC) che sfociò nel movimento della Pantera Rosa in contrasto con la Pantera Nera, di fatto molto più presenti sui quotidiani che nelle università18. A dimostrare solidarietà nei confronti del movimento furono le aree politiche extraparlamentari, mentre il PCI, pur mostrando un naturale interesse, preferì il ruolo di osservatore istituzionale degli avvenimenti. L’elaborazione degli studenti, riprendendo le analisi svolte nel periodo sessantottino, verteva sull’esigenza di maggiore coinvolgimento dell’opinione studentesca, tanto in sedi decisionali quanto in quelle didattiche, ed accusava i governi di non aver mai operato, dagli anni Sessanta in poi, una seria analisi di ristrutturazione del modello universitario italiano, ormai desueto rispetto alle istanze sociali. L’Università non possedeva le caratteristiche di inclusione sociale e partecipazione attiva degli studenti, principi che invece erano alla base della nuova concezione di formazione culturale: gli studenti erano relegati ad un ruolo di meri recettori delle disposizioni della scuola, non costituivano parte attiva nell’elaborazione e nell’acquisizione delle conoscenze19.
- 20 Cit. in MURARO, Luisa, ROVATTI, Pier Aldo (a cura di), Lettere dall’università, Napoli, Filema Ediz (...)
Mi ero abituata ormai a transitare nell’università indifferente, estranea al luogo e al mondo di persone che lo abitano, che lo fanno essere, permanendo in uno stato di semi invisibilità. Esisteva il mio corpo che faceva numero, rientrava nelle statistiche, determinava gli spazi, creava affollamento, ma era un corpo svuotato della sua singolarità, delle sue curiosità, dei suoi desideri20.
12E la stessa connotazione di abulia riguardava i rapporti con l’istituzione che erano di fatto univoci: gli studenti non partecipavano alle scelte e alle decisioni accademiche ma le subivano né erano previsti per loro spazi di discussione delle stesse. Il disagio della classe studentesca di vivere l’università come luogo di passaggio, fatto di incontri casuali ed estemporanei ma non di confronto e partecipazione, esplose con l’approvazione della 168/89, che costituì il motivo aggregante della protesta, in quanto tramite l’autonomia finanziaria si consentiva agli enti privati di entrare nella gestione delle risorse universitarie. La sfida che imponeva il cambiamento socio-culturale, che avrebbe richiesto ulteriori risorse pubbliche per consentire al rinnovamento di attuarsi, agli occhi degli studenti, era stata abbandonata: lo Stato abdicava in favore degli enti privati.
- 21 Cfr. ROGGERO, Gigi, Intelligenze fuggitive, Roma, Manifestolibri, 2005.
13L’articolo 6 della legge Ruberti, tramite l’autonomia finanziaria, contabile e di gestione, facilitò le relazioni tra atenei e soggetti esterni finalizzate all’acquisizione di risorse economiche aggiuntive, senza regolamentare limiti di rapporti e condizioni. L’agibilità concessa ad enti esterni di ricoprire ruoli decisionali nella gestione dei fondi universitari scatenò critiche e manifestazioni di dissenso: si temeva che i fini della ricerca potessero essere condizionati da obiettivi estranei alle priorità scientifiche. Gli studenti scesero nelle piazze e occuparono le università, denunciando che la libertà concessa agli atenei di intercettare una parte di risorse da matrice privata avrebbe potuto esporre le università pubbliche all’influenza da parte degli enti finanziatori, e quindi rendere vulnerabili libertà di ricerca e di insegnamento garantite proprio dal principio di autonomia21.
- 22 Lettera aperta agli studenti dell’Università italiana, Palermo, 16-1-1990, in BALESTRACCI, Duccio, (...)
Il progetto di legge sull’autonomia metterebbe i privati nella condizione di poter pilotare la ricerca secondo gli interessi della propria politica aziendale, togliendo di fatto all’Università la possibilità di poter determinare la didattica e gli indirizzi della ricerca secondo la propria politica scientifica e culturale. […] La ricerca non può e non deve in nessun modo essere asservita ad interessi di qualsiasi tipo. Sostenere il contrario equivale a sostenere l’impossibilità di criticare il presente, ad accettare come immutabile l’attuale modello di sviluppo, sul piano culturale e scientifico22.
- 23 Cfr. Costituzione della Repubblica Italiana, art. 9, comma 1: «La Repubblica promuove lo sviluppo d (...)
- 24 Cfr. AZZARITI, Gaetano, BURGIO, Alberto, LUCARELLI, Alberto, MASTROPAOLO, Alfio (a cura di), Manife (...)
14A differenza dello Stato che ha, nei suoi principi fondanti, il dovere di promuovere lo sviluppo di scienza e ricerca23, enti esterni non sono vincolati al rispetto di questo principio sostanziale, per cui anche tra i professori sorgeva la forte preoccupazione che i fondi esterni veicolassero didattica e ricerca verso obiettivi di tornaconto privato e contribuissero a discriminare ambiti di studio e contesti24:
- 25 Documento del Consiglio di Dipartimento di Storia, Università di Firenze, 30-1-1990, in BALESTRACCI (...)
[Si incorre nel] pericolo che tali progetti finiscano per consolidare una sorta di filosofia dello sviluppo differenziato tra sedi e settori meno “interessanti” per il mercato, con il pericolo di gravi squilibri tra sedi grandi e piccole, tra facoltà umanistiche e scientifiche e tra le diverse aree di ricerca25.
15Conseguenze che erano state prese in esame dallo stesso ministro Ruberti quando, nel 1988 rispondendo ad un’intervista riguardo i possibili risvolti dell’autonomia universitaria in contesti poco dinamici come il Mezzogiorno, dichiarò:
- 26 Cit. «Ruberti: la ricerca scientifica nel Mezzogiorno (intervista)», in Meridiana, 4/1988, pp. 223- (...)
In realtà l’autonomia è sempre una sfida. L’esercizio dell’autonomia corrisponde a un’assunzione di responsabilità. In un sistema diversificato, squilibrato, con punti di debolezza, è chiaro che comporta anche rischi: effettivamente l’autonomia per le università meridionali può costituire un momento di difficoltà. Nei disegni sull’autonomia che abbiamo messo a punto abbiamo mantenuto, proprio per l’esistenza di questi forti squilibri, due punti fermi, che sono: l’incardinamento dei docenti nello Stato (mentre teoricamente per l’autonomia si sarebbe potuto andare al di là) e il valore legale del titolo di studio. Questi due vincoli possono essere discussi sul piano teorico, ma sul piano storico-fattuale costituiscono una difesa importante dei punti di maggiore debolezza26.
- 27 Cfr. Appendice Seconda: documenti di organi accademici, in BALESTRACCI, Duccio, MIRRI, Mario (a cur (...)
16Oltre alle preoccupazioni relative alla ulteriore mortificazione di contesti già meno dinamici in partenza, il corpo docenti ribadì in più sedi universitarie la necessità di salvaguardare l’autonomia culturale dei percorsi formativi27, soprattutto in vista della possibilità prevista da parte di enti esterni di partecipare all’amministrazione degli atenei sedendo nei Consigli di Amministrazione, come contenuto nell’art. 16.
- 28 Commissione di Ateneo dell’Università degli studi di Salerno, in BALESTRACCI, Duccio, MIRRI, Mario (...)
Si registra con preoccupazione un potere di iniziativa riconosciuto al Consiglio di Amministrazione […] e si giudica negativamente la composizione prevista: per i membri interni esiste squilibrio tra le varie rappresentanze; per i membri esterni la rappresentanza di un quinto è troppo alta28.
- 29 Cfr. Appendice Seconda: documenti di organi accademici, in BALESTRACCI, Duccio, MIRRI, Mario (a cur (...)
17Più atenei espressero l’esigenza di introdurre un sistema di controllo dell’inevitabile rapporto con enti pubblici e privati ed il contemporaneo ampliamento della composizione del Senato Accademico, così da consentire alle varie componenti delle università di discutere organicamente le scelte accademiche29. L’abrogazione dell’art. 16 era una delle rivendicazioni del movimento studentesco che in esso vedeva sancita la potenziale strumentalizzazione dei capitali sociali per il conseguimento di profitti personali.
- 30 Cit. Mozioni approvate dall’Assemblea di ateneo di Roma del 23/01/1990, Mozioni n.2 e n.6, in SIMEO (...)
Contro la soggezione del sistema formativo alle esigenze ed ai ritmi delle imprese; contro la riforma Ruberti che sancisce questo processo di subordinazione; per il diritto allo studio di tutti in ogni aspetto della vita degli studenti; per un’università realmente di massa; […] per manifestare insieme contro l’intero progetto di asservimento della cultura agli interessi dei monopoli industriali e finanziari. […] La legge Ruberti regala le università ai privati30.
- 31 Cfr. BALESTRACCI, Duccio, MIRRI, Mario (a cura di), op. cit.
- 32 Cfr. ARINGOLI, Alessio, CALELLA, Giulio, CORRADI, Danilo, GIARDULLO, Cristina, GORI, Luca, MONTEFUS (...)
18Il movimento della Pantera rimproverava al governo di essere incapace di gestire il cambiamento socio-culturale sostenendolo con degli investimenti ed un progetto appropriato, e quindi di sviare dalle proprie responsabilità affidando in parte la gestione delle istituzioni formative ad enti esterni, pur nell’azzardo di esporre l’istruzione superiore alla negazione dei suoi principi basilari. I contestatori della riforma temevano che il potere decisionale riconosciuto ad imprese, aziende ed enti finanziatori avrebbe potuto indirizzare le risorse investite verso obiettivi economicamente vantaggiosi più che scientificamente rilevanti, circostanza che avrebbe asservito finalità della scienza a dinamiche di mercato e quindi di profitto31. Ricercatori, studenti e docenti avrebbero potuto perseguire propositi di interesse aziendale, industriale o comunque esterni alle priorità di interesse scientifico, pur essendo sostenuti da risorse economiche statali e in parte da mezzi pubblici32.
Tabella 2. Spesa pubblica per l’istruzione superiore come quota del PIL* |
||||
1980 |
1985 |
1988 |
1993 |
|
Australia |
1.08 |
0.93 |
0.99 |
1.20 |
Belgio |
1.03 |
0.96 |
0.87 |
1.00 |
Canada |
nd |
nd |
nd |
2.20 |
Danimarca |
1.48 |
1.52 |
1.49 |
1.30 |
Francia |
0.66 |
0.70 |
0.66 |
0.90 |
Giappone |
nd |
nd |
nd |
0.40 |
Grecia |
0.49 |
0.77 |
0.80 |
0.80 |
Gran Bretagna |
0.95 |
0.84 |
0.79 |
0.90 |
Irlanda |
1.21 |
1.18 |
1.21 |
1.00 |
Italia |
0.40 |
0.47 |
0.59 |
0.80 |
Olanda |
2.24 |
1.92 |
1.82 |
1.30 |
Rep. Fed. Tedesca |
0.99 |
0.87 |
0.86 |
0.90 |
Spagna |
0.30 |
0.36 |
0.48 |
0.80 |
Stati Uniti |
nd |
nd |
nd |
1.20 |
Svezia |
1.18 |
1.20 |
1.02 |
1.50 |
Fonte: CAPANO, Gilberto, op. cit., p. 133.
La fonte per gli Stati Uniti per gli anni 1980, 1985, 1988 è una ricerca in corso di svolgimento presso il Centre for Higher Education Policy Studies dell’Università di Twente.
- 33 Cfr. Appendice seconda: documenti di organi accademici, in BALESTRACCI, Duccio, MIRRI, Mario (a cur (...)
19Per una parte degli studenti e dell’accademia33 queste condizioni ponevano sotto attacco il principio della libertà d’insegnamento e consentivano ad enti privati di usufruire di risorse pubbliche potendosi sottrarre dal loro ordinamento etico. Le università, invece, soffrendo l’insufficienza del finanziamento pubblico, erano costrette a ricorrere a finanziamenti privati che diventavano così un’importante fonte di sopravvivenza.
- 34 Cfr. AZZARITI, Gaetano, BURGIO, Alberto, LUCARELLI, Alberto, MASTROPAOLO, Alfio (a cura di), op. ci (...)
20Gli studenti in movimento vedevano una vera e propria esposizione delle università pubbliche al ricatto: in nome dell’autonomia finanziaria, gli atenei si privavano di parte dell’autonomia didattica. Paradossalmente a rendersi autonomo era un soggetto di diritto privato a cui sarebbero state affidate responsabilità pubbliche di rilevanza costituzionale, pur sapendo che non sarebbe stata implicita la garanzia di esse34.
Tabella 2. Spesa pubblica per l’istruzione superiore come quota della Spesa Pubblica Totale |
||||
1980 |
1985 |
1988 |
1993 |
|
Australia |
nd |
Nd |
Nd |
3.80 |
Belgio |
2.73 |
2.48 |
2.61 |
1.70 |
Canada |
nd |
Nd |
Nd |
4.70 |
Danimarca |
2.59 |
2.54 |
2.61 |
3.40 |
Francia |
1.40 |
1.31 |
1.27 |
1.80 |
Giappone |
nd |
Nd |
Nd |
1.10 |
Grecia |
1.78 |
1.97 |
1.90 |
2.30 |
Gran Bretagna |
2.00 |
1.87 |
Nd |
2.60 |
Irlanda |
2.02 |
1.74 |
2.02 |
2.3 |
Italia |
1.03 |
0.83 |
1.16 |
1.40 |
Olanda |
5.73 |
4.64 |
4.15 |
2.9 |
Rep. Fed. Tedesca (Germania) |
1.97 |
1.76 |
1.76 |
2.10 |
Spagna |
1.12 |
1.26 |
1.39 |
1.90 |
Stati Uniti |
3.82 |
3.49 |
3.58 |
3.20 |
Svezia |
nd |
Nd |
nd |
2.90 |
Fonte: CAPANO, Gilberto, op. cit., p. 134.
21Dall’autonomia finanziaria le preoccupazioni degli ambienti accademici guardavano al potere decisionale che essa concedeva a soggetti esterni: il movimento degli studenti temeva che l’influenza degli enti privati nelle decisioni accademico-organizzative, avrebbe potuto portare al progressivo aumento delle tasse studentesche e alla conseguente configurazione bipolare tra università inaccessibili ai ceti meno abbienti ed università di serie B per chi non poteva permettersi le prime. Infine, consideravano le richieste di un maggior coinvolgimento della comunità studentesca all’interno dei processi deliberativi degli atenei vanificate dalla presenza di soggetti privati, soprattutto se lasciate al loro arbitrio.
- 35 Assemblea Nazionale di Palermo: rettifica a tutte le facoltà del 01/02/1990, Indicazione dell’Assem (...)
[La legge Ruberti] è un “progetto” di politica universitaria tendente da un lato a razionalizzare ed a rendere più potente e penetrante l’ingerenza dei privati dentro l’università (altro che autonomia!); d’altro lato […] azzerando i già poco numerosi e limitati spazi di agibilità democratica delle altre componenti (in modo particolare degli studenti)35.
- 36 Cfr. BIGGERI, Luigi, CATALANO, Giuseppe (a cura di), L’efficacia delle politiche di sostegno agli s (...)
22La mancanza di norme che regolassero i rapporti con gli enti esterni e la concreta possibilità di aprire ad essi canali decisionali, metteva a repentaglio, nell’ottica del movimento studentesco, i propositi di una maggiore inclusione della comunità studentesca nei dibattiti accademici. E in aggiunta poneva indirettamente a rischio i principi sanciti dalla Carta Costituzionale proprio perché, rendendo plausibile l’influenza degli enti privati negli organi deliberativi, si temeva per la salvaguardia di alcuni diritti fondamentali come l’accessibilità dell’istruzione a tutti i cittadini e gli interventi in materia di diritto allo studio36. Un maggiore afflusso di finanziamenti esterni agli atenei ne avrebbe sicuramente migliorato le condizioni economiche e concesso ulteriori strumenti ma avrebbe inficiato la libertà di didattica e ricerca e di conseguenza la libera e autonoma formazione degli studenti.
- 37 Proposte per una nuova Università: documento finale redatto all’Assemblea Nazionale del movimento t (...)
L’autonomia va intesa come un reale autogoverno degli atenei al di fuori di qualsiasi logica di mercato, politica e di componente. La prospettiva, l’idea forte per una nuova università deve essere l’autogestione, l’autodisciplina, l’autodeterminazione democratica per lo sviluppo di un nuovo sistema formativo e di ricerca in cui tutte le componenti universitarie assumano un ruolo culturale e progettuale di pari dignità. Allo stesso tempo lo “sganciamento” dallo Stato deve far sì che l’università si qualifichi come polo trascinatore dello sviluppo e della trasformazione del territorio, nel quadro quindi di una riaffermazione della funzione di servizio per interessi collettivi e del carattere pubblico dell’Università37.
23L’insufficienza di risorse per l’espletamento delle funzioni istituzionali dell’istruzione superiore era una deficienza di cui doveva farsi carico lo Stato, perché il solo a dover, per deontologia, perseguire l’obiettivo etico dell’istruzione libera, accessibile e di qualità per tutti.
- 38 Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università “La Sapienza” di Roma, 20-1-1990, in ibidem, p. 193.
[Preside, Presidenti dei Consigli di Corso di Laurea, Direttori di Dipartimento dell’Università “La Sapienza” di Roma] Ribadiscono con fermezza la necessità di:
- garantire e potenziare il carattere pubblico dell’istituzione universitaria e la libertà di ricerca scientifica, di insegnamento e di studio;
- fissare precisi limiti, rigorose regolamentazioni e controlli, del resto in parte già esistenti, per gli eventuali finanziamenti di altri enti pubblici e privati tramite l’istituto della convenzione;
- assicurare l’adeguata partecipazione delle varie fasce di docenza del personale tecnico amministrativo e degli studenti negli organi di governo delle Università;
- risolvere in via definitiva i problemi dei dottori di ricerca, dei lettori, dello stato giuridico dei ricercatori, della revisione dei meccanismi concorsuali;
- prevedere opportuni meccanismi di compensazione degli squilibri che dovessero determinarsi tra grandi e piccole sedi, tra nord e sud, appunto, tra Facoltà scientifico-tecnologiche ed umanistiche38.
24La comunità accademica tutta concordava sulla necessità di un maggiore investimento pubblico in istruzione superiore e nel diritto allo studio:
- 39 Commissione di Ateneo dell’Università degli Studi di Salerno, in ibidem, pp. 191-192.
L’insufficienza e la disorganicità degli interventi in materia, l’assurdità della misura dei finanziamenti concessi agli studenti e dei limiti di reddito fissati, ancora fermi ai valori di qualche decennio fa, [rende] improcrastinabile un provvedimento legislativo organico ed immediato, che riveda totalmente la logica, lo spirito e la lettera della normativa vigente, al fine di assicurare condizioni materiali di vita e di studio decorose agli studenti, con particolare riguardo ai meno abbienti e ai fuori sede39.
- 40 Appendice seconda: documenti di organi accademici, in ibidem, pp. 190-246.
25Inoltre il provvedimento legislativo impensierì studenti e docenti anche sul versante della partecipazione democratica al governo degli atenei: si prevedeva la diminuzione del numero di rappresentanti degli studenti all’interno del CdA e la riduzione di Cun e Senato Studentesco a meri organi consultivi, privilegiando nella gestione dei vari organismi la sola prima fascia della docenza (venne ridotta anche la rappresentanza degli associati)40. A Roma professori e ricercatori de La Sapienza costituirono una Consulta e ne pubblicarono la piattaforma:
- 41 Cit. Piattaforma della Consulta dei professori e dei ricercatori dell’università di Roma «La Sapien (...)
È ormai convinzione che la legge sull’autonomia del ministro Ruberti rispecchi una logica tecnocratica ed accentratrice, tale da stravolgere il concetto stesso di autonomia, e che essa necessiti perciò di profondi interventi di modifica. […] Accentra a livello ministeriale i poteri di programmazione e di controllo della vita universitaria, assegnando facoltà decisionali esclusivamente ad organismi come la Conferenza dei Rettori e commissioni di nomina ministeriale ed attribuendo un potere meramente consultivo al Consiglio Universitario Nazionale. Prefigura un processo di atomizzazione delle singole sedi universitarie dotate di istituti autonomi ma deprivate da ogni potere di incidenza sulla programmazione nazionale e sulla destinazione delle risorse41.
- 42 Cfr. PEROTTI, Roberto, L’università truccata: gli scandali del malcostume accademico, Torino, Einau (...)
- 43 Cfr. MOSCATI, Roberto, VAIRA, Massimiliano (a cura di), L’università di fronte al cambiamento, Bolo (...)
26L’ulteriore differenziazione territoriale, già esistente per motivi economico-sociali, poteva essere ulteriormente aggravata dalla presenza o meno di imprese e aziende con cui stringere convenzioni e collaborazioni e da cui ricevere risorse. Alcuni territori avrebbero potuto soffrire di abbandono e definanziamento in quanto situati in contesti poco floridi dal punto di vista aziendale. Le disparità di contesto avrebbero favorito le università che, per condizioni sociali o per possibilità economica, avessero potuto stipulare più convenzioni o intercettare maggiori finanziamenti privati: queste sarebbero diventate più facoltose e più prestigiose, appetibili dagli studenti e di conseguenza maggiormente selettive42. Le risorse esterne avrebbero ampliato le opportunità di ricerca e studio, reso gli atenei che riuscivano a reperirle in stretto contatto con il mondo del lavoro e rifocillato le modeste economie delle università43. Non che per il movimento studentesco questo avrebbe, nella sostanza, elevato il livello qualitativo della didattica o valorizzato la ricerca scientifica, come già analizzato nelle righe precedenti: piuttosto gli avrebbe conferito una capacità produttiva ed un’eco pubblicitaria maggiore. Del resto il coinvolgimento di enti privati veniva fortemente caldeggiato da alcuni imprenditori, come dimostrano le parole di Silvio Berlusconi in occasione della nascita della facoltà di Comunicazione finanziata da Fininvest:
- 44 Cit. SIMEONE, Nando, Gli studenti della Pantera, Roma, Alegre, 2010, p. 96.
La contestazione di oggi chiede meno capitalismo, meno impresa e più Stato. Noi al contrario pensiamo che una delle esigenze principali dell’università contemporanea sia quella di avvicinare il più possibile il mondo universitario a quello del lavoro44.
- 45 Cfr. ARRUZZA, Cinzia, CALELLA, Giulio, CANNAVÓ, Salvatore, D’AMBRA, Daniele, MONTEFUSCO, Antonio, S (...)
27Date le risorse economiche ed il legame con il mondo lavorativo di imprese e aziende, agli occhi degli studenti queste università avrebbero assunto una validità ed un’appetibilità superiore alle altre, e quindi sarebbero presto diventate le prime scelte. L’aumento della domanda avrebbe provocato la necessità di misure selettive nell’ammissione degli studenti che, lasciate alla gestione anche privata, avrebbero potuto causare un aumento della contribuzione studentesca, come del resto avveniva per le università private che richiedevano importi di tasse decisamente più onerosi. Per cui, data la scarsità di risorse statali e data l’esigenza di fondi esterni, le preoccupazioni connesse ad un’autonomia amministrativa e finanziaria, peraltro non regolata, riguardavano anche la possibilità che progressivamente si sarebbero avuti dei consistenti aumenti nella tassazione studentesca45. Gli studenti appartenenti a famiglie benestanti avrebbero potuto frequentare atenei prestigiosi e altrettanto costosi, mentre gli altri si sarebbero dovuti accontentare degli atenei che, non riuscendo ad attrarre studenti sul piano pubblicitario o didattico o scientifico, lo avrebbero fatto sulla base del minor sacrificio economico richiesto. Nell’analisi del movimento studentesco una tale configurazione universitaria avrebbe comportato un ritorno all’elitarismo negli accessi all’istruzione superiore, vanificando le lotte dei decenni precedenti che avevano portato alla costruzione e alla rivendicazione dell’art. 3 della Costituzione.
28Compito dello Stato è agire affinché sfavorevoli condizioni di partenza degli individui (economiche o sociali) non comportino l’ereditarietà dello svantaggio per l’intero percorso formativo e lavorativo, nonché per lo sviluppo della persona. Il principio, secondo gli studenti, era già parzialmente inapplicato nell’ambito dell’istruzione superiore a causa delle diverse disposizioni adottate da un ateneo all’altro: diversi erano i regolamenti per le tasse e diverse erano le condizioni necessarie all’accesso dei servizi in materia di diritto allo studio. I contesti geografici erano quindi determinanti nella consistenza delle misure di attuazione del diritto all’istruzione. Del resto la direzione della differenziazione contabile possibile grazie al concetto esteso dell’autonomia venne imboccata quasi subito: con la finanziaria del 1994 si rimarcò la libertà di ogni ateneo nel decidere gli importi della contribuzione studentesca e, a seguito dei sostanziali aumenti che si verificarono, con quella del 1997 si pose un limite agli introiti ma lo si pose al rialzo: sostanzialmente un limite che indicava fino a che punto gli atenei potessero ancora aumentare le tasse. L’autonomia amministrativa e finanziaria, contestavano gli studenti, avrebbe acuito le disparità territoriali e sclerotizzato i malfunzionamenti in materia di sussidi per il diritto allo studio, colpendo innanzitutto le classi basse e medio-basse della popolazione. Il movimento si auspicava che lo Stato provvedesse al sostentamento degli studenti privi di mezzi su tutto il territorio nazionale, evitando di abbandonare un principio sacrosanto come quello del diritto allo studio, come del resto sanciva l’art. 34 della Carta Costituzionale.
29Solo lo Stato, per chi criticava l’impianto della legge, poteva farsi garante della salvaguardia di questi diritti fondamentali, esso solo poteva assicurare che mai si sarebbero sottoposti i diritti, come quello all’istruzione pubblica e accessibile, a logiche di bilancio. Lo stesso non poteva dirsi per imprese ed aziende o enti esterni.
- 46 Cit. in DERRIDA, Jacques, ROVATTI, Pier Aldo (a cura di), L’università senza condizione, Milano, Ra (...)
Se questa incondizionatezza costituisce la forza invincibile dell’università non è mai stata di fatto effettiva. A causa di questa invincibilità astratta e iperbolica, a causa della sua stessa impossibilità, questa incondizionatezza espone anche una debolezza o una vulnerabilità. Essa esibisce l’impotenza dell’università, la fragilità delle sue difese davanti a tutti i poteri che la comandano, la assediano e tentano di appropriarsene. […] Oggi nel mondo intero è in gioco una posta politica fondamentale: in quale misura l’organizzazione della ricerca e dell’insegnamento deve essere sostenuta, cioè direttamente o indirettamente controllata, diciamo con un eufemismo “sponsorizzata” in vista di interessi commerciali e industriali46.
30Chi criticava il provvedimento di legge si richiamava alla concezione dell’Università sancita dalla Costituzione: un’università aperta a tutti, non disposta a tutto. Pertanto, per suo stesso principio di sopravvivenza, l’istituzione scolastica e accademica doveva essere indifferente ai poteri costituiti, e porsi come fulcro di contropotere, luogo di critica e di formazione lontano da tornaconti e strategie, a vantaggio del pluralismo delle idee, della crescita degli individui e della comunità, luogo di dibattito e riflessione, organo vitale dello stato democratico. Le contestazioni che si sollevarono in quegli anni avevano come obiettivo il recupero del senso originario, costituzionale dell’autonomia: autonomia di pensiero, mezzo per la libertà di insegnamento e principio garante della libertà della scienza, da non poter trasferire nelle mani dei privati se non si voleva incorrere in una distorsione della natura del principio e nella negazione dei suoi presupposti e delle sue finalità.
- 47 Cit. in DAL LAGO, Alessandro, «Dal patrimonialismo alla democrazia», in Aut Aut, 260-261, 1994, pp. (...)
Ciò è dovuto non solo a una evidente affinità tra la forma democratica di governo (tutti i cittadini sono eguali davanti alla legge) e l’università (tutti possono accedere, in base alle loro capacità all’istruzione universitaria, e soprattutto il sapere che vi si elabora è per definizione universalistico); ma anche al ruolo che l’università deve svolgere in una società democratica – creare un bene (il sapere, sia esso teorico o tecnico, umanistico o scientifico, pratico o contemplativo) che direttamente o indirettamente vada a beneficio di tutti i membri di una società. […] Perciò il sistema politico, una volta che abbia garantito la conformità dell’università ai principi democratici, dovrà lasciare che essa trovi i mezzi più adeguati per conseguire i propri fini. È questo l’autentico principio, poco compreso a dire il vero nelle discussioni attuali, dell’autonomia universitaria47.
- 48 Cfr. COLACE, Loredana, RIPAMONTI, Susanna (a cura di), Il circo e la Pantera, Milano, Edizioni LED, (...)
31Il movimento della Pantera, che pure ebbe un importante ruolo nella ridiscussione delle questioni universitarie e soprattutto nel coinvolgimento degli studenti su di esse, non riuscì ad evitare l’approvazione della riforma Ruberti che sancì la sconfitta delle mobilitazioni in atto. A contribuire alla sconfitta fu anche il difficile rapporto con la stampa che spesso, invece di soffermarsi sui dibattiti e sulle istanze di cambiamento che animavano le manifestazioni, pose in cattiva luce il movimento della Pantera, in alcuni casi insinuando addirittura improbabili infiltrazioni terroristiche all’interno del movimento stesso48. Di contro il movimento della Pantera rimase essenzialmente negli atenei, costruì il proprio progetto di discussione democratica tra le mura accademiche, con meno attenzione all’analisi dell’intero sistema socio-culturale e quindi meno confronti e relazioni con l’esterno.
3. La 168/89 e la 341/90 nelle discussioni parlamentari
32Le contestazioni del movimento studentesco, come abbiamo visto, non riuscirono ad ottenere il ritiro della riforma Ruberti che aveva iniziato il suo iter legislativo nel 1987 ed era stata discussa per lo più nelle Commissioni riunite I e VII, rispettivamente Affari Costituzionali e Cultura. La modalità di dibattito parlamentare, che aveva lasciato poco spazio alla più ampia discussione in Parlamento, era stata oggetto anch’essa di critica da parte di diverse compagini politiche, come il MSI, DP, i Verdi e il PCI. Anna Polibortone, deputata del MSI, dichiarò in proposito:
- 49 Cit. in ATTI PARLAMENTARI, Legislatura X, Camera, Commissioni riunite I e VII, seduta del 29 marzo (...)
Non comprendo, quindi, perché la discussione sulle linee generali, qualora venga aperta, debba necessariamente terminare oggi. Non credo che si possa arrivare a tanto, nonostante la stranezza di un Parlamento che discute dei sacchetti di plastica in seduta plenaria e dell’istituzione del Ministero della ricerca scientifica in Commissione49!
33Oltre alle modalità di approvazione, le prime manifestazioni di dissenso riguardavano le conseguenze che l’autonomia finanziaria avrebbe potuto avere sulla ricerca: studenti e ricercatori temevano che ne avrebbe influenzato mezzi e obiettivi a discapito dello sviluppo scientifico della comunità. Preoccupazione sentita da chi scendeva in piazza a protestare ma non particolarmente dibattuta in sede di discussione parlamentare; uno dei pochi ad accennarvi fu Gianni Francesco Mattioli dei Verdi:
- 50 ATTI PARLAMENTARI, Legislatura X, Camera, Commissioni riunite I e VII, seduta del 29 marzo 1989, pp (...)
[…] Il primo dei quali è rappresentato senza dubbio del complesso problema dell’autonomia della ricerca. Si tratta di una questione particolarmente sentita dal mio gruppo politico, soprattutto per quanto riguarda il punto di arrivo di un processo che in due anni ha provocato un’accesa discussione ed una notevole agitazione nel mondo universitario. Non si può pensare che il ricercatore sia in grado di risolvere questioni che hanno implicazioni morali, quali, ad esempio, quelle relative al settore degli armamenti, dell’ingegneria genetica o dell’energia. […] È necessario che, laddove sono in gioco interessi della collettività, l’autonomia della ricerca sia temperata da correttivi; la società civile, infatti, deve avere il diritto di interloquire, altrimenti vi potrebbe essere il fondato timore che delle scelte vadano al di là della realtà del singolo ricercatore, oggi molto parcellizzata se superspecializzata; il ricercatore, infatti, perde la visione dei confini e degli obiettivi del progetto complessivo50.
- 51 Gianni Francesco Mattioli, presidente dei Verdi dal 1988 al 1992, membro del comitato esecutivo di (...)
- 52 Ibidem, p. 33.
34Tra le conseguenze di un’autonomia priva di chiara regolamentazione vi era l’impossibilità per lo Stato di monitorare sviluppi e obiettivi della ricerca, soprattutto in ambiti spinosi come l’energia, le scienze militari e genetiche, in cui la dimensione etica è talvolta in attrito con le esigenze private e di profitto. Non poteva essere il ricercatore ad assumere il ruolo di figura garante del rispetto delle norme etiche delle ricerche a cui partecipava, non solo perché sarebbe stata un’ingiustificata delega alla persona della salvaguardia dei diritti comunitari, ma anche perché non sempre approfonditamente informati sugli obiettivi del progetto che il loro lavoro persegue. Per l’on. Mattioli51 lo Stato doveva esser messo nelle condizioni di monitorare che scienza e ricerca facessero gli interessi della società e non ledessero i principi dell’ordinamento statale, e per far ciò occorrevano dei correttivi all’autonomia tale che essa fosse strumento al servizio della libertà della scienza e non a significare autonomia dallo Stato o con meno Stato. Le perplessità esposte non suscitarono il dibattito sperato; al contrario, la secca risposta del presidente Silvano Labriola del PSI della Commissione I Affari Costituzionali fu: «Rispettare il principio della libertà e dell’autonomia significa esattamente favorire la ricerca e la scienza perché non esiste altro modo per promuoverle»52.
35Le parole dell’on. Mattioli avevano evidenziato quanto fosse necessario che lo Stato non perdesse la capacità di controllo a distanza della gestione universitaria, e lo aveva fatto sottoponendo la questione del rispetto delle norme etiche nella scelta degli obiettivi di ricerca. Ma la strumentalizzazione che enti esterni, in assenza di limiti previsti all’autonomia universitaria, avrebbero potuto fare di scienza e ricerca non riguardava solo il piano di etica scientifica ma proprio la sostanziale libertà di queste. Come del resto temevano i contestatori fuori dal Parlamento: che fondi esterni avessero potuto vincolare le finalità da perseguire. Il presidente Silvano Labriola era perfettamente consapevole di queste criticità, ma altrettanto perentorio nel considerare le questioni irrilevanti; compito dello Stato è promuovere scienza e ricerca, la possibilità di intercettare fondi perché queste vengano espletate è un modo per favorirle. Ovvero: nessun limite alla autonomia, nessun limite alla collaborazione col privato per incoraggiare lo sviluppo degli studi. Per il gruppo dei Verdi, di Democrazia Proletaria e del PCI, seppur con timide e stringate argomentazioni, lo Stato doveva poter controllare le modalità di utilizzo delle risorse collettive e doveva quindi avere diritto ad un riscontro pratico dei risultati ottenuti per mezzo di esse. Pertanto era necessario che all’autonomia si prevedessero dei correttivi e dei limiti, atti a vanificare la possibilità che enti esterni potessero utilizzare beni comuni per obiettivi privati. A porre l’accento sulla natura delle collaborazioni fu Gianni Tamino di Democrazia Proletaria che rispose alle considerazioni di Vincenzo Buonocore della DC circa la possibilità di avviare convenzioni con enti privati:
- 53 ATTI PARLAMENTARI, Legislatura X, Camera, Commissioni riunite I e VII, seduta del 6 aprile 1989, p. (...)
[…] In un ambito come quello della ricerca scientifica vorrei domandare ai colleghi (e mi dichiaro aperto alle loro spiegazioni) come si possa pensare, considerata l’esistenza in Italia di sette università non statali, di diversa estrazione ed ispirazione, di impedire al ministro della ricerca scientifica di usufruire degli apporti di tali università, nel caso in cui queste dispongano di centri di ricerca particolarmente qualificati in alcune discipline. Se, per ipotesi, l’università di Urbino oppure la Bocconi o la Cattolica avessero uomini, mezzi ed attrezzature per svolgere determinate ricerche, non capisco come si potrebbe ipotizzare che al ministro non sia consentito di intrattenere rapporti e stringere intese con esse.
Allora, ciò dovrebbe avvenire anche con i centri di ricerca delle industrie!
No, perché nelle università si fa ricerca di base e questo rappresenta un fatto culturale che esula dalla distinzione tra università statali e non statali53.
36Il deputato Vincenzo Buonocore della DC pose la spigolosa questione delle collaborazioni con enti privati sul piano meno contestato, o comunque, meno gravoso, per chi considerava poco fruttuose per la comunità le convenzioni con i soggetti privati. Per quanto movimento studentesco ed alcuni ambienti politici non fossero favorevoli al trasferimento di danaro pubblico alle università private, non erano le collaborazioni scientifiche con altri enti di ricerca ad essere ad ogni modo respinte, ma la possibilità, finanziando, di acquisire influenza sulle decisioni di obiettivi di ricerca e studio degli atenei. Le conclusioni tratte da Gianni Tamino di Democrazia Proletaria (poco dopo confluito nei Verdi) riportarono bruscamente la questione sul punto più controverso del provvedimento, ovvero che fosse possibile per imprese ed aziende incidere sull’istruzione superiore. I centri di ricerca delle industrie non perseguono fini alieni ai propri tornaconti di produzione: potendo influenzare la ricerca universitaria non si sarebbero sottratti dal dirottarla su aspetti di interesse privato. E questa possibilità era plausibile stando alla proposta di legge perché non vi erano indicazioni di limiti e confini all’esercizio dell’autonomia, come dimostra la contro risposta dell’on. Buonocore. Egli, infatti, sosteneva come priva di fondamento la preoccupazione di instaurare rapporti con le industrie, non sulla base di una concreta impossibilità posta dalla legge ma sulla differenza di metodo e di contenuto che intercorre tra atenei e industrie, quindi sulla base delle diverse intenzioni delle due realtà. Invece, chi criticava l’impianto della riforma intravedeva in essa un passo significativo verso forme di privatizzazione dell’Università; sempre un intervento di Gianni Tamino evidenziava come i rapporti pubblico-privato stessero subendo un progressivo rovesciamento:
- 54 ATTI PARLAMENTARI, Legislatura X, Camera, Commissioni riunite I e VII, seduta del 12 aprile 1989, p (...)
Nell’articolo 6 si prevede la possibilità per le strutture di ricerca pubbliche di partecipare a programmi promossi da amministrazioni dello Stato, da enti pubblici o privati, da istituzioni internazionali; a mio avviso si tratta di un criterio che andrebbe rovesciato, in quanto sono i privati che, eventualmente, possono partecipare a programmi di ricerca promossi da strutture pubbliche54.
37Sottolineare la possibilità per strutture di ricerca pubbliche di partecipare a programmi indetti da enti pubblici o privati, nell’opinione del parlamentare, era una conferma di un diritto assodato; ciò che semmai richiedeva una concessione e quindi una specifica era esattamente il contrario, cioè che strutture private potessero partecipare a programmi banditi da enti pubblici. Le condizioni richiedevano un ulteriore approfondimento nei casi di gestione congiunta delle università tra pubblico e privato, soprattutto in virtù dell’assenza di norme puntuali a circoscrivere l’autonomia finanziaria. La perplessità era suscitata dall’ indiretta agevolazione per enti privati di partecipare a bandi pubblici tramite gli atenei da loro influenzati nelle scelte di ricerca e dalle mancate garanzie che l’ente privato, non comparendo come tale, in caso di accesso a risorse pubbliche doveva fornire: ovvero di perseguire tramite esse l’interesse della collettività. Onde evitare gli aspetti maggiormente critici della riforma alcune compagini politiche chiedevano che essi venissero risolti nell’ ulteriore chiarezza della legge e che si evitasse di lasciare ambiguo il quadro giuridico generale sull’autonomia, proprio per ovviare all’arbitrio nella sua applicazione.
38La legge Ruberti, tra critiche ed assensi, entrò in vigore il 26 maggio 1989 con il voto contrario di Democrazia Proletaria alla Camera e Sinistra Indipendente al Senato, il voto favorevole della DC, del PSI, del PLI e del PRI alla Camera e l’astensione del PCI, dei VERDI e dell’MSI alla Camera. Il provvedimento non chiarì i termini d’attuazione dell’autonomia, che rimase il punto più controverso, ma rimandò la sua definizione a principi e disposizioni che sarebbero stati stabiliti in seguito, proposito che però non si realizzò. Ma tale eventualità era evidentemente stata prevista, infatti nell’atto legislativo 168/89 si inserì la possibilità per le università di darsi statuti autonomi nel caso in cui nessuna legge fosse stata approvata entro un anno.
- 55 Legge 9 maggio 1989, n. 168, in materia di Istituzione del Ministero dell’Università e della Ricerc (...)
Decorso comunque un anno dalla data di entrata in vigore della presente legge, in mancanza della legge di attuazione dei principi di autonomia, gli statuti delle università sono emanati con decreto del rettore nel rispetto delle norme che regolano il conferimento del valore legale ai titoli di studio e dei principi di autonomia di cui all’articolo 6, secondo le procedure e le modalità ivi previste. In tal caso gli statuti, sentito il consiglio di amministrazione, sono deliberati dal senato accademico55.
- 56 Cfr. MARSIGLIA, Giorgio, L’università di massa: espansione, crisi e trasformazione in SOLDANI, Simo (...)
39Negli anni del ministero Ruberti la riflessione sull’Università non tralasciò l’aspetto occupazionale: l’autonomia finanziaria e l’incoraggiamento nelle collaborazioni con enti esterni avevano come obiettivo anche quello di comporre un più stretto rapporto tra mondo universitario e sbocchi lavorativi. Infatti, solo dopo un anno lo stesso ministero approvò la legge 341/90 Riforma degli Ordinamenti didattici universitari che introdusse i diplomi universitari come alternativa al più lungo percorso di laurea. La mancanza di possibilità diverse dallo studio universitario congestionava gli atenei e rendeva difficoltoso l’inserimento nel mondo del lavoro, pertanto l’esigenza di disegnare un percorso di riforma strutturale del sistema, che potesse meglio coordinare le necessità del Paese tra sviluppo universitario e tessuto economico, si faceva incombente56. Nella 341/90 si scelse di prevedere la differenziazione all’interno della stessa istituzione, ovvero l’università, senza però aver previsto una diversificazione strutturale e funzionale dei percorsi.
40Durante la discussione parlamentare antecedente l’approvazione della legge vennero espressi timori sia sulla possibilità di cogestire con gli enti privati i percorsi professionalizzanti introdotti nelle università, che sull’articolazione dei percorsi, ovvero la loro trasformazione in espedienti per concedere il più tardi possibile le abilitazioni e ritardare l’ingresso dei giovani nel mondo del lavoro. Per risolvere i problemi connessi alla bassa produttività accademica, secondo alcuni parlamentari, era necessario intervenire tramite investimenti a sostegno del diritto allo studio e ripensare la struttura dei percorsi di alta formazione, rendendoli dipendenti unicamente dalle istituzioni universitarie. Dalle parole di Gianni Francesco Mattioli dei Verdi:
- 57 ATTI PARLAMENTARI, Legislatura X, Camera, Commissione VII, seduta del 21 febbraio 1990, p. 17.
[…] i diplomi non possono porre alcun rimedio alla questione della “mortalità” universitaria né consentire uno sbocco sul mercato del lavoro. Ritengo, invece, che tali problemi potranno essere affrontati in maniera più proficua soltanto accelerando l’iter del disegno di legge sul diritto allo studio, favorendo non soltanto la finalizzazione del diploma a possibili sbocchi professionali, ma anche garantendo la possibilità di un reinserimento nell’ambito dei corsi di laurea. Tutto ciò potrà assumere una certa credibilità soltanto se l’istituzione del diploma avverrà non in maniera esclusivamente accademica e lontana dalle esigenze del mercato del lavoro bensì correlando i corsi di diploma che si intende costituire ad un’indagine sui possibili sbocchi occupazionali del diploma stesso e sull’effettiva domanda di lavoro esistente nel territorio che gravita attorno ad una sede universitaria57.
- 58 Cfr. CAPANO, Gilberto, op. cit., p. 258.
41L’Università italiana soffriva di scarsa produttività accademica, ovvero di alte percentuali di fuoricorso ed abbandoni58, che dovevano risolversi anche con l’ausilio di norme in materia di diritto allo studio, che fossero sistematiche ed articolate sul territorio nazionale.
Fonte: CAPANO, Gilberto, op. cit., p. 258.
42I diplomi universitari, per il partito dei Verdi, avevano senso solo se correlati ad indagini puntuali sui possibili sbocchi occupazionali di un determinato territorio e se concepiti non in parallelo ma in modo che fosse possibile un reinserimento nel percorso universitario. Nel caso poi di specializzazioni professionali i parlamentari dello stesso partito si dichiararono contrari alla mancata puntualizzazione della durata delle stesse, per il timore che potessero trasformarsi in ulteriori abilitazioni necessarie all’inserimento lavorativo:
- 59 ATTI PARLAMENTARI, Legislatura X, Camera, Commissione VII, seduta del 21 febbraio 1990, p. 20, Gian (...)
Nel testo si legge che i corsi devono essere fissati “in un periodo non inferiore ad un anno”, il che non esclude che essi possano durare più di un anno. Mi sembra che si voglia realizzare un vecchio disegno mai del tutto esplicitato: quello di spostare nel tempo il momento in cui l’individuo diventi maturo per fare qualcosa. È vero che la durata media della vita umana si è un poco allungata; tuttavia, questo non mi sembra un motivo affinché non si possa, prima di avere compiuto 30 anni, accedere all’insegnamento59.
43L’intervento di Gianni Tamino dei Verdi intendeva scongiurare l’ipotesi per cui si tentasse di arginare il problema della disoccupazione giovanile allungando i tempi di abilitazione professionale: ciò avrebbe aggravato le conseguenze di una situazione già compromessa e ritardato l’età pensionabile, provocando un’ulteriore condizione di disagio per l’economia del Paese. Critiche dal PCI e dai Verdi riguardarono anche la possibilità di cogestire con enti privati la formazione post-secondaria, che sollevava le stesse perplessità rivolte alla riforma dell’anno precedente. Così si espresse, ad esempio, Luciano Guerzoni del PCI:
- 60 ATTI PARLAMENTARI, Legislatura X, Camera, Commissione VII, seduta del 1 marzo 1990, p. 17. Luciano (...)
[…] non condivido la prevista collaborazione dell’università con enti pubblici e privati, con categorie economiche e ordini professionali, in quanto ciò scardina l’ordinamento della scuola italiana. Che i privati possano gestire le scuole è sancito dalla Costituzione, ma che l’università amministri scuole in collaborazione con soggetti privati nel campo della formazione post secondaria è costituzionalmente inammissibile60!
Alle parole di Guerzoni si associarono quelle di Gianni Tamino:
- 61 ATTI PARLAMENTARI, Legislatura X, Camera, Commissione VII, seduta del 19 aprile 1990, p. 13.
La nuova normativa delinea una realtà universitaria non adeguata ai tempi, che rappresenta un pericoloso arretramento rispetto alle prospettive non solo degli studenti, ma anche e soprattutto dei docenti. Il coinvolgimento dell’università nella vita sociale del paese viene in pratica vanificato da una parte dal ripristino di una piramide gerarchica all’interno dell’università, e dall’altra dai legami con interessi di parte del mondo industriale, che rendono impossibile un ruolo attivo dell’università quale elemento propulsivo per l’economia, l’innovazione tecnologica ed i rapporti tra mondo industriale e ambiente. Questa sostanziale dipendenza dell’università dal mondo industriale creerà anche situazioni di disparità nelle diverse parti del territorio italiano. In altre parole rischiamo di creare università di serie A e B: è un disegno questo che non possiamo assolutamente condividere61.
44Alla riforma 168/89 – che concedeva autonomia finanziaria alle università e quindi consentiva la stretta collaborazione con enti esterni – nel 1990 si associò il provvedimento n. 341 che istituì diplomi universitari e professionalizzanti da cogestire in associazione ad enti privati. Gli atti legislativi vennero recepiti come due anime dello stesso disegno: permettere a soggetti privati di influenzare scelte accademiche e di ricerca attraverso la partecipazione economica. Nell’opinione dei critici di entrambi i disegni di legge ciò avrebbe compromesso libertà di insegnamento ed accessibilità dell’istruzione, principi costituzionali di cui a farsi garante doveva essere lo Stato. Gli atenei, denunciava il movimento studentesco, soffrivano la carenza di risorse e l’inadeguatezza delle strutture non solo fisiche ma anche formali: organi di governo e strumenti didattici erano ormai obsoleti. Come abbiamo visto, le istanze degli studenti si diffusero rapidamente in tutto il territorio nazionale, in contemporanea alla discussione del secondo provvedimento Ruberti e, pur non riuscendo ad ottenere il ritiro della 168/89, sollevarono però questioni in parte discusse in sede di dibattito parlamentare:
- 62 ATTI PARLAMENTARI, Legislatura X, Camera, Commissione VII, seduta del 27 febbraio 1990, p. 7, Maria (...)
[Gli studenti] hanno posto senza dubbio due esigenze alla nostra attenzione. In primo luogo, la necessità di affrontare le condizioni materiali dello studente; non solo la questione delle strutture ma anche quella fondamentale del rapporto con i docenti. Tale questione, peraltro, non riguarda solo gli studenti, ma tocca molto da vicino anche il corpo accademico, perché quando si insegna nei cinema, a qualche centinaio di persone, il rapporto didattico educativo ritengo sia inconsistente. Stiamo correndo il rischio che in molte realtà universitarie il rapporto di studio si sviluppi solo tra lo studente e il libro; […] non è quello che ognuno di noi vuole quando pensa all’università come sede di alta formazione. La seconda questione posta dagli studenti riguarda il loro ruolo all’interno dell’università, che deve appunto svilupparsi e concretarsi in una serie di presenze. Abbiamo fatto bene a sollecitare il confronto con gli studenti; non lo abbiamo fatto in modo strumentale per rallentare i lavori su questo provvedimento, ma perché ci sembrava un utile arricchimento62.
45A fare eco alle parole di Maria Luisa Sangiorgio del PCI, fu l’intervento di Gianni Francesco Mattioli dei Verdi che riconobbe al movimento studentesco il merito di aver “forzatamente” contagiato la classe politica nelle riflessioni universitarie:
- 63 ATTI PARLAMENTARI, Legislatura X, Camera, Commissione VII, seduta del 19 aprile 1990, p. 17.
I colleghi della maggioranza e lo stesso relatore, con molta lealtà, devono riconoscere che gran parte di tali elementi positivi (tra l’altro assenti nel precedente testo di legge) probabilmente non sarebbero stati presi in considerazione senza l’azione del movimento studentesco che ha richiamato l’attenzione del paese sulla situazione dell’università, in particolare dal punto di vista del diritto allo studio e dell’impraticabilità di alcune strutture63.
- 64 Cfr. CAPANO, Giliberto, op. cit.
46Il provvedimento legislativo 341/90 venne approvato ma non ebbe il seguito sperato: l’istituzione dei diplomi universitari non conobbe diffusione né l’auspicata affluenza di studenti, perpetrando l’anomalia italiana dell’assenza di diplomati impegnati in percorsi differenti da quello accademico. Sull’intero territorio nazionale nel 1991 solo lo 0,8% degli studenti decise per i diplomi universitari, di contro in Belgio ad optare per canali alternativi all’università era il 50% nel 1992, in Francia il 33% nel 1993, in Olanda il 52% nel 1992, in Norvegia il 56% nel 1993, in Gran Bretagna il 20% nel 1995 e negli Usa il 36% nel 199264.
47Il ministero Ruberti riuscì però, dopo anni di riforme mancate, ad intervenire sul sistema universitario, e lo fece soprattutto nell’esigenza e nel tentativo di connettere la formazione universitaria all’inserimento lavorativo, attraverso il coinvolgimento degli enti privati nel percorso accademico. Introdusse l’annosa e dibattuta questione dell’autonomia universitaria e diede applicazione al principio costituzionale. Il dibattito su cosa questo possa comportare soprattutto in assenza di norme che ne limitino l’attuazione, è oggi sempre aperto e divide gli studiosi tra chi auspica una serrata collaborazione con gli enti esterni e chi ritiene che questo possa, se non circoscritto da norme, violare l’autonomia e la libertà di scienza e ricerca. A distanza di oltre trent’anni l’autonomia finanziaria fa ancora discutere e divide gli studiosi nella riflessione concernente l’università; la riforma Ruberti, che l’ha introdotta nell’ordinamento universitario, ha rappresentato il punto di partenza delle successive riflessioni del ministero Berlinguer, ed è stata perno costitutivo della recente riforma Gelmini. Infatti gli interventi legislativi degli anni successivi percorreranno la stessa direzione di Ruberti nel salvaguardare l’autonomia finanziaria degli atenei e quindi favorire le cogestioni con soggetti privati, alimentando le controversie tra gli studenti in movimento e negli ambienti accademici. I dibattiti in sede parlamentare invece subiranno un progressivo snellimento a causa della scelta di iter legislativi ancor più agili: decreti ministeriali con qualifica di regolamento (riforma Berlinguer) e decreti legge (riforma Gelmini).
Note
1 Cfr. CAPANO, Gilberto, La politica universitaria, Bologna, Il Mulino, 1998.
2 Cfr. STATERA, Gianni, Storia di un’utopia, Milano, Rizzoli, 1973.
3 Cfr. MARSIGLIA, Giorgio, L’università di massa: espansione, crisi e trasformazione in SOLDANI, Simonetta, TURI, Gabriele (a cura di), Fare gli italiani. Scuola e cultura nell’Italia contemporanea, vol II, Bologna, Il Mulino, 1993, pp. 129-168.
4 Cfr. CAPANO, Gilberto, op. cit.
5 Cfr. BONINI, Francesco, La politica universitaria nell’Italia repubblicana, in BRIZZI, Gian Paolo, DEL NEGRO, Piero, ROMANO, Andrea (a cura di), Storia delle università in Italia, vol. I, Messina, Sicania by GEM, 2007, pp. 425-460.
6 Cfr. MONTI, Alessandro, Indagine sul declino dell’università italiana, Roma, Gangemi, 2007.
7 Legge 9 maggio 1989, n. 168, in materia di Istituzione del Ministero dell’Università e della Ricerca scientifica e tecnologica, art. 6, comma 1.
8 Cfr. LUZZATTO, Giunio, 2001: L’Odissea dell’Università nuova, Firenze, La Nuova Italia, 2001.
9 Costituzione della Repubblica Italiana, art. 33, comma 1.
10 Cit. BERDAHL, Robert, «Academic Feedom, Autonomy an Accountability in British Universities», in Studies in Higher Education, XV, 2/1990, pp. 169-180, pp. 171-172.
11 Costituzione della Repubblica Italiana, art. 33, comma 6.
12 Cfr. ATTI PARLAMENTARI, Assemblea Costituente, seduta del 24 aprile 1947, in particolare si veda l’intervento di Gaetano Martino (PLI).
13 Cfr. LUZZATTO, Giunio, op. cit.
14 Legge 9 maggio 1989, n. 168, in materia di Istituzione del Ministero dell’Università e della Ricerca scientifica e tecnologica, art.6.
15 Cfr. ALBANESE, Carmelo, C’era un’Onda chiamata Pantera, Roma, Manifestolibri, 2010.
16 Cfr. ASSEMBLEA D’ATENEO DI PALERMO, Libro bianco sulla gestione dell’Ateneo palermitano, 18 febbraio 1990.
17 Cfr. SIMEONE, Nando, Gli studenti della Pantera, Roma, Alegre, 2010.
18 Cfr. COLACE, Loredana, RIPAMONTI, Susanna (a cura di), Il circo e la Pantera, Milano, Edizioni LED, 1990.
19 Cfr. PORTELLI, Alessandro, L’aeroplano e le stelle, Roma, Manifestolibri, 1995.
20 Cit. in MURARO, Luisa, ROVATTI, Pier Aldo (a cura di), Lettere dall’università, Napoli, Filema Edizioni, 1996, pp. 62-63.
21 Cfr. ROGGERO, Gigi, Intelligenze fuggitive, Roma, Manifestolibri, 2005.
22 Lettera aperta agli studenti dell’Università italiana, Palermo, 16-1-1990, in BALESTRACCI, Duccio, MIRRI, Mario (a cura di), Università oggi: l’avvio di una fase costituente, Milano, FrancoAngeli, 1991, p. 143.
23 Cfr. Costituzione della Repubblica Italiana, art. 9, comma 1: «La Repubblica promuove lo sviluppo della cultura e la ricerca scientifica e tecnica.»
24 Cfr. AZZARITI, Gaetano, BURGIO, Alberto, LUCARELLI, Alberto, MASTROPAOLO, Alfio (a cura di), Manifesto per l’università pubblica, Roma, DeriveApprodi, 2008.
25 Documento del Consiglio di Dipartimento di Storia, Università di Firenze, 30-1-1990, in BALESTRACCI, Duccio, MIRRI, Mario (a cura di), op. cit., p. 194.
26 Cit. «Ruberti: la ricerca scientifica nel Mezzogiorno (intervista)», in Meridiana, 4/1988, pp. 223-236, p. 227.
27 Cfr. Appendice Seconda: documenti di organi accademici, in BALESTRACCI, Duccio, MIRRI, Mario (a cura di), op. cit., pp. 190-246.
28 Commissione di Ateneo dell’Università degli studi di Salerno, in BALESTRACCI, Duccio, MIRRI, Mario (a cura di), op. cit., p. 191.
29 Cfr. Appendice Seconda: documenti di organi accademici, in BALESTRACCI, Duccio, MIRRI, Mario (a cura di), op. cit., pp. 190-246.
30 Cit. Mozioni approvate dall’Assemblea di ateneo di Roma del 23/01/1990, Mozioni n.2 e n.6, in SIMEONE, Nando, Gli studenti della Pantera, Roma, Alegre, 2010, pp. 152-153.
31 Cfr. BALESTRACCI, Duccio, MIRRI, Mario (a cura di), op. cit.
32 Cfr. ARINGOLI, Alessio, CALELLA, Giulio, CORRADI, Danilo, GIARDULLO, Cristina, GORI, Luca, MONTEFUSCO, Antonio, MONTELLA, Tatiana (a cura di), Studiare con lentezza. L'università, la precarietà e il ritorno delle rivolte studentesche, Roma, Edizioni Alegre, 2006.
33 Cfr. Appendice seconda: documenti di organi accademici, in BALESTRACCI, Duccio, MIRRI, Mario (a cura di), op. cit., pp. 190-246.
34 Cfr. AZZARITI, Gaetano, BURGIO, Alberto, LUCARELLI, Alberto, MASTROPAOLO, Alfio (a cura di), op. cit.
35 Assemblea Nazionale di Palermo: rettifica a tutte le facoltà del 01/02/1990, Indicazione dell’Assemblea nazionale degli studenti al Movimento, in BALESTRACCI, Duccio, MIRRI, Mario (a cura di), op. cit., p. 146.
36 Cfr. BIGGERI, Luigi, CATALANO, Giuseppe (a cura di), L’efficacia delle politiche di sostegno agli studenti universitari, Bologna, Il Mulino, 2006.
37 Proposte per una nuova Università: documento finale redatto all’Assemblea Nazionale del movimento tenuta a Firenze, dal 26 febbraio al 4 marzo 1990. Firenze, 5 – III – 1990, in BALESTRACCI, Duccio, MIRRI, Mario (a cura di), op. cit., p. 172.
38 Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università “La Sapienza” di Roma, 20-1-1990, in ibidem, p. 193.
39 Commissione di Ateneo dell’Università degli Studi di Salerno, in ibidem, pp. 191-192.
40 Appendice seconda: documenti di organi accademici, in ibidem, pp. 190-246.
41 Cit. Piattaforma della Consulta dei professori e dei ricercatori dell’università di Roma «La Sapienza», 31-1-1990 in Ibidem, pp. 199-200.
42 Cfr. PEROTTI, Roberto, L’università truccata: gli scandali del malcostume accademico, Torino, Einaudi, 2008.
43 Cfr. MOSCATI, Roberto, VAIRA, Massimiliano (a cura di), L’università di fronte al cambiamento, Bologna, Il Mulino, 2008.
44 Cit. SIMEONE, Nando, Gli studenti della Pantera, Roma, Alegre, 2010, p. 96.
45 Cfr. ARRUZZA, Cinzia, CALELLA, Giulio, CANNAVÓ, Salvatore, D’AMBRA, Daniele, MONTEFUSCO, Antonio, SESTILI, Giorgio, TOMBA, Massimiliano, VERTOVA, Giovanna (a cura di), L’Onda anomala, Roma, Edizioni Alegre, 2008.
46 Cit. in DERRIDA, Jacques, ROVATTI, Pier Aldo (a cura di), L’università senza condizione, Milano, Raffaello Cortina, 2002, pp. 15-16.
47 Cit. in DAL LAGO, Alessandro, «Dal patrimonialismo alla democrazia», in Aut Aut, 260-261, 1994, pp. 14-26, pp. 14-15.
48 Cfr. COLACE, Loredana, RIPAMONTI, Susanna (a cura di), Il circo e la Pantera, Milano, Edizioni LED, 1990.
49 Cit. in ATTI PARLAMENTARI, Legislatura X, Camera, Commissioni riunite I e VII, seduta del 29 marzo 1989, p. 21.
50 ATTI PARLAMENTARI, Legislatura X, Camera, Commissioni riunite I e VII, seduta del 29 marzo 1989, pp. 25-27.
51 Gianni Francesco Mattioli, presidente dei Verdi dal 1988 al 1992, membro del comitato esecutivo di Legambiente, fu sottosegretario di Stato presso il Ministero dei Lavori pubblici del governo Prodi I e ministro per le politiche comunitarie durante il governo Amato II.
52 Ibidem, p. 33.
53 ATTI PARLAMENTARI, Legislatura X, Camera, Commissioni riunite I e VII, seduta del 6 aprile 1989, p. 15.
54 ATTI PARLAMENTARI, Legislatura X, Camera, Commissioni riunite I e VII, seduta del 12 aprile 1989, p. 8. Cfr. Legge 9 maggio 1989, n. 168, in materia di Istituzione del Ministero dell’Università e della Ricerca scientifica e tecnologica, art. 6, comma IV: «[…] I singoli docenti e ricercatori, secondo le norme del rispettivo stato giuridico, nonché le strutture di ricerca:
a) accedono ai fondi destinati alla ricerca universitaria, ai sensi dell'articolo 65 del decreto del presidente della repubblica 11 luglio 1980, n. 382;
b) possono partecipare a programmi di ricerca promossi da amministrazioni dello Stato, da enti pubblici o privati o da istituzioni internazionali, nel rispetto delle relative normative».
55 Legge 9 maggio 1989, n. 168, in materia di Istituzione del Ministero dell’Università e della Ricerca scientifica e tecnologica, art. 16 comma 2.
56 Cfr. MARSIGLIA, Giorgio, L’università di massa: espansione, crisi e trasformazione in SOLDANI, Simonetta, TURI, Gabriele (a cura di), op. cit., pp. 129-168.
57 ATTI PARLAMENTARI, Legislatura X, Camera, Commissione VII, seduta del 21 febbraio 1990, p. 17.
58 Cfr. CAPANO, Gilberto, op. cit., p. 258.
59 ATTI PARLAMENTARI, Legislatura X, Camera, Commissione VII, seduta del 21 febbraio 1990, p. 20, Gianni Tamino (Verdi): militante di Democrazia proletaria, ha successivamente aderito ai Verdi e mantenuto la carica di deputato dal 1983 al 1994, tra i promotori del referendum antinucleare del 1985 si è sempre occupato di questioni ambientali; è stato membro del Comitato Nazionale per la Biosicurezza e le Biotecnologie, presso la Presidenza del Consiglio dei ministri e, in particolare, del Gruppo di lavoro sui rischi biologici, e della Commissione Interministeriale per le Biotecnologie.
60 ATTI PARLAMENTARI, Legislatura X, Camera, Commissione VII, seduta del 1 marzo 1990, p. 17. Luciano Guerzoni (PCI): deputato alla Camera dal 1983, tra le fila dei Pds a partire dal 1994, divenne poi sottosegretario alla Pubblica Istruzione nel governo Prodi I e D’Alema I.
61 ATTI PARLAMENTARI, Legislatura X, Camera, Commissione VII, seduta del 19 aprile 1990, p. 13.
62 ATTI PARLAMENTARI, Legislatura X, Camera, Commissione VII, seduta del 27 febbraio 1990, p. 7, Maria Luisa Sangiorgio (PDS).
63 ATTI PARLAMENTARI, Legislatura X, Camera, Commissione VII, seduta del 19 aprile 1990, p. 17.
64 Cfr. CAPANO, Giliberto, op. cit.
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Titolo | Figura 1. Tasso di dispersione accademica in alcuni paesi nell’anno 1997. |
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Notizia bibliografica digitale
Luana Legrottaglie, «L’autonomia universitaria e i suoi critici in parlamento e nelle piazze (1989-1990)», Diacronie [Online], N° 37, 1 | 2019, documento 3, online dal 29 mars 2019, consultato il 12 décembre 2024. URL: http://0-journals-openedition-org.catalogue.libraries.london.ac.uk/diacronie/10846; DOI: https://0-doi-org.catalogue.libraries.london.ac.uk/10.4000/diacronie.10846
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