Navigation – Plan du site

AccueilNuméros28Glossari, versioni e proverbi. A ...

Glossari, versioni e proverbi. A proposito di una miscellanea scolastica tardoquattrocentesca

Elisa De Roberto
p. 33-88

Résumés

Sur la base de l’exemple offert par un manuscrit scolastique de la seconde moitié du XVe siècle, qui se compose de plusieurs œuvres d’humanistes, d’un glossaire latin, d’exercices de traduction latin-vulgaire et d’une série de proverbes rimés en latin et en langue vernaculaire, cet article vise à réfléchir sur les instruments employés dans l’éducation linguistique au Moyen Âge tardif. Produit de l’humanisme lombard et probablement à attribuer au milieu des Umiliati milanais, le manuscrit G.II.17 (Gênes, Biblioteca Universitaria) nous permet d’analyser de très près la typologie textuelle des matériaux destinés à l’acquisition de la langue et d’évaluer les aspects de continuité et de nouveauté de cette production par rapport à celle du siècle précédent. Une attention particulière est accordée au rapport latin-vulgaire, qui se dégage des textes analysés, ainsi qu’à la structure de la langue vernaculaire utilisée, ce qui semble refléter, d’une part, un processus avancé de «koineizzazione», d’autre part, la persistance, notamment dans certains phénomènes, d’un polymorphisme significatif.

Haut de page

Texte intégral

Problemi

1Le ricerche nel campo dell’alfabetizzazione e dell’educazione linguistica medievale hanno spesso evidenziato la difficoltà di reperire fonti utili a ricostruire le modalità proprie dell’insegnamento scolastico, come anche dell’apprendimento personale. In particolare nel reperimento e nella descrizione dei materiali sui quali fanciulli e adulti formavano la propria competenza scritta nella lingua volgare si delineano una serie di punti critici, la cui messa a fuoco risulta di non secondaria importanza e quasi propedeutica allo studio del fenomeno. Per quel che riguarda il presente contributo la riflessione su tali problematiche servirà a giustificare il caso prescelto: nelle pagine che seguono, infatti, si esaminerà una miscellanea tardomedievale (il manoscritto G.II.17 della Biblioteca Universitaria di Genova), databile alla seconda metà del XV secolo e prodotta verosimilmente in area lombarda. La miscellanea, che contiene vari testi in latino, classici e umanistici, è corredata da pochi inserti in volgare e non sembrerebbe a prima vista ambire a un posto di rilievo tra gli strumenti per l’apprendimento del volgare scritto. Eppure, se consideriamo la situazione sociolinguistica dell’Italia medievale, la multiforme fisionomia della didattica del volgare e più in generale la particolare concezione dell’insegnamento e della scrittura nel Medioevo si potrà forse riconoscere alla miscellanea in questione, e ad altri prodotti simili, un qualche valore anche per lo studio dell’uso scolastico del volgare.

Latino e volgare

2Come ha sottolineato Marazzini, sino all’ingresso ufficiale del volgare nei programmi scolastici (che si verificò soltanto nel corso del Settecento) la nozione di «educazione linguistica» va riferita

  • 1 C. Marazzini, «Per lo studio dell’educazione linguistica nella scuola italiana prima dell’Unità», R (...)

allo spazio clandestino che la lingua volgare ed eventualmente il dialetto occupavano nella scuola, uno spazio ufficialmente inesistente, in realtà necessario a fini pratici, corrispondente a quello che si potrebbe definire una didattica dell’italiano nascosta nella didattica del latino1.

  • 2 Per un panorama dell’insegnamento scolastico nel Medioevo e dell’organizzazione dei vari curricula (...)
  • 3 Sugli strumenti di prima alfabetizzazione si veda P. Lucchi, «La santacroce, il salterio e il babui (...)

3Nonostante nel Medioevo fossero previsti percorsi formativi di vario livello e indirizzo2, è indubbio che al volgare fosse riconosciuto più il ruolo di lingua veicolare dell’insegnamento che non di lingua oggetto di una codificazione grammaticale, la quale era rappresentata invece dal latino, lingua della gramatica che con questa finiva antonomasticamente per coincidere. Tale aspetto spiega la scarsità, almeno fino alla prima metà del Quattrocento, di strumenti specificamente rivolti all’apprendimento e al perfezionamento del volgare. Certamente abbiamo testimonianza di libercoli dedicati all’alfabetizzazione primaria, cioè all’insegnamento dei primi rudimenti della scrittura, ma si tratta di materiali spesso costituiti da pochi fogli, per altro raramente sopravvissuti all’usura del tempo. Impiegati probabilmente nelle scuole di mercatura ma anche adibiti a un uso privato, tali strumenti3, spesso limitati a una tavola illustrante le lettere dell’alfabeto e recante alcune orazioni, contengono spesso testi e frasi in latino che dovevano agevolare insieme all’apprendimento attivo della scrittura in volgare quello passivo della lettura di brevi formule in latino, ancorché finalizzato esclusivamente all’espletamento delle minime pratiche devozionali cui ciascun buon cristiano era chiamato.

4Almeno fino al XV secolo, l’insegnamento del volgare, anche ai livelli più bassi dell’istruzione, è concepito in relazione al latino, o, almeno, non sembrano sussistere nella prassi didattica rigidi steccati tra le due lingue, posto che Santa Croce e Salterio, caratterizzati da un grado più o meno rilevante di commistione latino-volgare, potevano servire indistintamente all’alfabetizzazione in volgare come all’apprendimento del latino. Negli stadi successivi dell’educazione, e in particolare nelle scuole notarili e nell’insegnamento superiore, il ruolo del volgare è condizionato dall’orientamento funzionale della scuola: è probabile che nella formazione notarile la competenza nel volgare fosse altrettanto curata rispetto a quella del latino, anche per il progressivo ampliamento degli spazi d’uso dei volgari italiani nei vari àmbiti amministrativi. Se tuttavia ci rivolgiamo all’esame delle testimonianze scolastiche superstiti ci troviamo di fronte a una tipologia di testi piuttosto circoscritta. I glossari bilingui latino-volgare (e più raramente volgare-latino), i temi di versione, gli esercizi di traduzione, le varie grammatiche e annotazioni grammaticali latine con inserti volgari ci dicono molto sulla tradizione grammaticografica latina e sull’insegnamento del latino, mentre su quello che doveva essere il trattamento scolastico del volgare forniscono un minor numero di informazioni, specialmente rispetto a una serie di problemi, come l’eventuale esistenza di una norma e la sua relativa concezione, o la percezione della variazione diatopica. Eppure proprio l’analisi di tale produzione scolastica orientata al latino non ha mancato di fornire indicazioni importanti sulla prassi dell’insegnamento del volgare: oltre a documentare la fisionomia di determinate varietà, apportando interessanti informazioni di àmbito linguistico su volgari non sempre ampiamente documentati, tali strumenti didattici possono costituire un materiale importante per ricostruire le modalità dell’apprendimento del volgare.

  • 4 Per la situazione relativa ai libri di lettura in volgare si veda quanto affermato da Grendler, La (...)
  • 5 Casapullo, «Il Medioevo», p. 93.
  • 6 Si vedano in particolare i trattati grammaticali di area probabilmente lombarda o nordemiliana esam (...)
  • 7 Se nelle testimonianze duecentesche, il volgare non «riscuoteva attenzione metalinguistica», come o (...)

5Certamente saranno esistiti strumenti più pertinenti per l’istruzione volgare4, che magari poteva anche svolgersi in buona parte senza l’ausilio di materiali cartacei e pergamenacei, ad esempio attraverso la sola interazione con il maestro o mediante supporti transitori di scrittura (situazione che del resto caratterizza anche la prassi scolastica successiva, se si pensa alla diffidenza con cui si guardava ai libri di testo ancora nella scuola pre-e postrisorgimentale); tuttavia è probabile pensare che latino e volgare fossero nell’educazione linguistica in un rapporto di mutua e reciproca dipendenza: se il volgare serviva da «accesso semplificato al latino5», anche il latino costituiva di fatto, in quanto lingua della riflessione grammaticale e dotata di una tradizione scritta ampiamente articolata, rodata e funzionale ai diversi àmbiti dell’attività umana, un sistema di riferimento per l’acquisizione della scrittura volgare. Di tale permeabilità nella prassi didattica rimangono vari indizi in alcune trattazioni grammaticali, che pur essendo principalmente dedicate al latino contengono riflessioni rivolte a illustrare comparativamente la resa di un determinato fenomeno in volgare: talvolta questi riferimenti alla lingua materna degli apprendenti assumono, se non una certa autonomia, un rilievo che va al di là del semplice richiamo contrastivo6. Si può pensare quindi che una storia dell’educazione linguistica e degli strumenti didattici nel Medioevo debba passare attraverso un’attenta ricognizione delle grammatiche latine, nonché attraverso una disamina degli inserti volgari e dei riferimenti al volgare in esse contenuti: non è detto infatti che presenze anche minime non possano consentire una visione più chiara del processo di grammaticizzazione del volgare, cioè del suo progressivo ingresso in una dimensione grammaticale, se non ancora normativa, almeno descrittiva7.

6Altri tipi di generi testuali didattici come i glossari bilingui e gli esercizi di traduzione pongono problemi di natura diversa: si tratta infatti di precise testimonianze dell’uso scolastico del volgare come traducente e come lingua veicolare nell’insegnamento del latino. Tuttavia anche questi strumenti rivelano a un esame più approfondito una natura ancipite: la direzione della traduzione (latino-italiano o italiano-latino), il tipo di scelte traduttive impiegate, il tipo di testi e di lessemi tradotti costituiscono informazioni preziose per capire quanto e in che modo l’insegnamento del latino abbia potuto influire sull’acquisizione del volgare scritto. Oltre a rappresentare un’importante fonte documentaria, i materiali didattici bilingui, pur nella loro eterogeneità e nel diverso spazio che riservano al volgare, consentono in particolare di riflettere sul grado di vicinanza/distanza percepita tra le due lingue.

  • 8 Si pensi in particolare a come le donne e i ceti sociali più bassi potevano avvicinarsi all’alfabet (...)

7Il discorso sulle fonti dell’educazione linguistica medievale deve inoltre anche tener conto delle «fonti occulte», cioè di tutti quei materiali che potevano essere impiegati nell’insegnamento, pur non recandone esplicita menzione o pur non costituendo un tipico ausilio didattico. In una situazione fluida come quella medievale, in cui l’insegnamento poteva avvenire – e avveniva il più delle volte – attraverso canali non sempre organizzati8, le risorse didattiche potevano coincidere con tipologie testuali che la sensibilità moderna non riconoscerebbe come tali. La questione richiede, a ben vedere, di considerare la concezione didattica medievale e i suoi presupposti culturali e ideologici, che risultano intimamente legati alla sfera morale dell’individuo e ai fondamenti religiosi della società.

La dimensione morale dell’insegnamento

  • 9 Per una panoramica generale sulla storia della pedagogia si rimanda a W. Böhm, Storia della pedagog (...)
  • 10 Garin, Il pensiero pedagogico, p. XVI-XVII.
  • 11 Sulla circolazione nelle scuole medievali e umanistiche di questo tipo di produzione – la cosiddett (...)
  • 12 Alcuni codici latori dei Disticha Catonis e degli Ianua recano traccia diretta di una fruizione sco (...)

8Il nesso tra insegnamento e formazione morale e religiosa è ormai un dato acquisito negli studi sulla vita scolastica medievale, non soltanto perché gli enti monastici e le istituzioni religiose ebbero un ruolo fondamentale nella creazione di scuole (rivolte a ecclesiastici e secolari), ma anche perché l’istruzione nella pedagogia medievale9 è ricondotta alla crescita morale dell’individuo e all’acquisizione dei principi cristiani. Questo connubio tra sapere ed etica permea ogni aspetto dell’insegnamento, determinando innanzitutto l’atteggiamento e la fisionomia ideale del maestro e dello scolaro. Il primo era infatti visto come depositario del sapere, ma anche come guida spirituale, incaricato di favorire l’incontro tra il discepolo e Cristo, vero maestro. Il rapporto tra sapienza e dimensione morale contraddistingue la cultura e la pedagogia medievale e, come si vedrà, non verrà meno neanche nella scuola umanistica10. Una concezione educativa di questo genere si riflette naturalmente nei contenuti, ma anche negli strumenti, cioè nei testi usati nella didattica scolastica o nell’apprendimento personale. È noto come uno dei «libri di scuola» più diffusi nel Medioevo fossero i Disticha Catonis, nelle varie versioni latine e volgari che circolavano in tutta Europa. Su questa raccolta di sentenze morali (e su altri testi di auctores minores) in distici avveniva normalmente l’acquisizione dei primi rudimenti del latino: probabilmente l’opera era destinata a esercitare la lettura e la comprensione di brevi frasi latine, che tra l’altro potevano essere anche facilmente memorizzate. Nei manoscritti i Disticha Catonis potevano comparire insieme agli Ianua, la versione più diffusa della grammatica di Donato (noti anche con il nome di donati o donadelli): tale consuetudine, su cui torneremo nei prossimi paragrafi, perdura ancora nelle opere a stampa11. Considerata la diffusa attività di traduzione dei Disticha Catonis, possiamo immaginare che queste breve sentenze, una volta tradotte, potessero anche servire da primo libro di lettura per l’apprendimento del volgare e aver fornito un modello per la redazione di altri best-seller scolastici composti in latino e in volgare o interamente in volgare12.

9Una grande fortuna in àmbito scolastico ebbe anche la Consolatio Philosophiae di Boezio. Il domenicano Giovanni Dominici ci fornisce una testimonianza al proposito:

  • 13 Citato da R. Black e G. Pomaro, La consolazione della Filosofia nel Medioevo e nel Rinascimento ita (...)

La prima cosa insegnavano era il salterio e dottrina sacra; e se gli mandavano più oltre, avevano moralità di Catone, fizioni di Esopo, dottrina di Boezio, buona scienza di Prospero13.

  • 14 Pseudo-Boèce, De disciplina scolarium, ed. O. Weijers, Leiden-Köln, Brill, 1976. Sulla fortuna di B (...)

10In effetti l’opera di Boezio costituiva nel curriculum grammaticale un testo di transizione dagli auctores minores ai maiores: le glosse latine e volgari che molto spesso si trovano nei manoscritti evidenziano una fitta attività di interpretazione, che permette di leggere lungo le pagine dei vari testimoni annotazioni di carattere lessicale, storico, mitologico, metrico, geografico. La celebrità e la diffusione della Consolatio Philosophiae sono indicate inoltre dal fatto che proprio a Boezio era spesso attribuito il De disciplina scolarium14.

  • 15 Non mancano però esemplari duecenteschi, come i 240 proverbi di Garzo dall’Incisa, ordinati in grup (...)

11In altri casi determinare la natura didattica e la destinazione scolastica della vasta produzione moraleggiante medievale non è un’operazione semplice: si tratta infatti di capire fino a che punto la lingua di questi testi sia stata un modello per gli apprendenti del volgare. Consideriamo ad esempio la poesia abecedaria e in particolare gli alfabeti esposti, di cui ci recano testimonianza molti manoscritti. Questi componimenti moraleggianti formati da versi e strofe che iniziano con le varie lettere dell’alfabeto disposte in sequenza rientrano in un filone poetico molto antico (si pensi ai carmina abbecedari in latino o ancora all’importanza dell’ordinamento alfabetico nella letteratura biblica): l’alfabeto vi potrebbe giocare un ruolo strutturante e per così dire limitato all’aspetto formale; in questo caso dovremmo considerare tale produzione estranea al processo di alfabetizzazione. Tuttavia, la messe di alfabeti in versi che si diffondono tra XIV e XV secolo15 potrebbe aver avuto tra i suoi destinatari privilegiati fanciulli e adulti impegnati nell’acquisizione della lettura e della scrittura. Si vedano alcuni distici del componimento che va sotto il nome di Abicì disposto, attribuito a maestro Guidotto e tràdito da vari manoscritti quattrocenteschi:

A Chi’n questo mondo bene adoperà
i’ paradiso sempre abiterà.
B Cristo veracie è’n cielo e anchora qui
e questo è ver, come tu sé costì.
C Nel chamin piglia l’albergo di dì
servi a ciaschuno e non guardare a chi.
D Per noi richonperar Cristo finì
e ’l terzo giorno poi resuresì.
E Pensa che morte de’venir per te
perché Gesù nolla schifò per sé.
[…]
H Tristo a colui che assay peccati insaccha
de, chome be’gli sta se’l chollo fiaccha.
[…]
M Cristo sepolto fu in Gierusalemme:
la sua virtù è sopra l’altre gemme.
[…]
R Disfannosi i paesi per le ghuerre
chastella e ville, chasamenti e terre.

  • 16 F. Novati, «Le serie alfabetiche proverbiali e gli alfabeti disposti nella letteratura italiana de’ (...)

12Come ha evidenziato il Novati, che dedicò vari lavori alle serie alfabetiche proverbiali16, il progetto originario di maestro Guidotto doveva essere quello di disporre i versi in modo tale che la rima del distico coincidesse con il nome della lettera dell’alfabeto. Il tentativo non riesce sempre: se nei distici contrassegnati dalle lettere l, m, n, r l’operazione va a buon fine, negli altri casi il poeta deve accontentarsi di creare un’assonanza fra la lettera e la rima (si vedano i distici relativi alle lettere b, c e d). Evidentemente Guidotto non aveva velleità tecniche in fatto di rima, gli bastava che il componimento assolvesse la sua finalità, che potremmo definire, ante litteram, ludolinguistica: i proverbi messi in versi consentivano al lettore di memorizzare la forma delle lettere e il loro nome mediante l’ausilio di sentenze moraleggianti e proverbiali. Lo stesso scopo accomuna anche altri componimenti proverbiali alfabetici in volgare, i quali, come ha evidenziato Novati

  • 17 Novati, «Le serie alfabetiche», I, p. 397.

mirano pur sempre a far opera di edificazione e di ammaestramento, a preparare dei componimenti che gli scolari potevano leggere, imparare a memoria, recitare e cantare17.

13È probabile dunque che anche altre compilazioni moraleggianti e raccolte di sentenze fossero impiegate come strumenti per l’insegnamento del volgare, come del resto indica chiaramente la loro collocazione in manoscritti miscellanei che per contenuti e origine possiamo ritenere particolarmente vicini agli ambienti scolastici.

Le miscellanee scolastiche

14I testi cui si è accennato sinora appaiono perlopiù tràditi da supporti miscellanei: tendono infatti a ricorrere in unione ad altri testi, in sillogi di destinazione scolastica oppure rivolte a un tipo di fruizione diversa, a volte collocabile in quella vasta area grigia che intercorre tra la formazione scolastica istituzionalizzata e la formazione affidata all’iniziativa del singolo. Risulta ancora una volta esemplare la diffusione dei Disticha Catonis, che troviamo inseriti talvolta in miscellanee scolastiche vere e proprie, talvolta in zibaldoni di carattere privato assieme ad altri testi morali o di intrattenimento. In quest’ultimo caso non è facile stabilire quale dovesse essere l’uso primario di un testo. In assenza di altre informazioni e di fronte a testi poco celebri, il contenitore miscellaneo può risultare un elemento in grado di informarci sulla destinazione di un testo la cui tipologia non è definibile di primo acchito come intrinsecamente didattica (senza contare le importanti informazioni che esso può fornirci sull’ambiente in cui tali materiali venivano usati).

15Come ha rilevato De Paolis nell’analisi di miscellanee recanti trattati grammaticali altomedievali, tali manoscritti rivelano spesso

  • 18 P. De Paolis, «I codici miscellanei grammaticali altomedievali. Caratteristiche, funzione, destinaz (...)

la caratteristica di essere stati prodotti nell’ambito di un unico progetto editoriale, pur nella eventuale diversità delle mani di scribi, anche nei casi in cui siano il risultato di un assemblaggio di sezioni originariamente indipendenti, comunque avvenuto in un momento molto vicino a quello in cui sono state prodotte le varie parti con il fine di creare una raccolta organica finalizzata a scopi didattici18.

16Tale affermazione può essere riferita anche alle miscellanee scolastiche che non contengono trattati grammaticali, ma testi in qualche modo passibili di essere connessi all’uso scolastico.

  • 19 Si veda lo studio di Black, Humanism and Education, p. 225-270.

17Questo materiale, di cui biblioteche e archivi conservano numerose testimonianze, è stato oggetto di numerosi studi, volti in particolare a definire la tipologia dei testi raccolti nella miscellanea e la loro evoluzione nel corso del tempo. Confrontando fra loro miscellanee di diverse epoche e osservando il variare dei testi e degli autori in esse raccolti, è possibile, infatti, ricavare informazioni sullo sviluppo della tradizione grammaticale e sulle trasformazioni del canone scolastico. Una tale prospettiva ha permesso ad esempio di formulare, anche se con un certo grado di margine, una periodizzazione del canone scolastico medievale in grado di evidenziare un ritorno ai classici latini (e dunque l’apertura a un maggior numero di autori) a partire dal XIV secolo e l’impiego ancora a Quattrocento inoltrato – e dunque nella scuola umanistica – dei «vecchi» materiali trecenteschi19. Tale persistenza, come vedremo, non sembra tipica di ambienti culturalmente attardati.

  • 20 Ovviamente troviamo esempi di miscellanee scolastiche anche in altre aree: si pensi allo zibaldone (...)
  • 21 Per un quadro complessivo delle istituzioni scolastiche nel Medioevo e nel primo Rinascimento si ve (...)

18In una prospettiva storico-linguistica e in riferimento all’insegnamento del volgare, l’analisi delle miscellanee scolastiche risulta limitata dalla minore diffusione di manoscritti contenenti testi pensati per l’insegnamento esclusivo del volgare. Tuttavia, questa lacuna documentaria appare parzialmente colmata dalla presenza di numerose miscellanee «miste» (cioè recanti testi latini e volgari). Il caso più frequente è che un trattato grammaticale, completo o parziale, sia accompagnato nei manoscritti latori da esercizi grammaticali e di traduzione, nonché da glossari di estensione piuttosto variabile, da appunti di natura scolastica e da glosse (interlineari o a margine): in tali materiali il volgare può comparire in maniera più o meno sistematica. Manoscritti caratterizzati da una tale fisionomia sono piuttosto diffusi e sembrano concentrarsi nell’Italia settentrionale, e in particolare in area lombardo-veneta20. Proprio in questa zona infatti si contano sin dal XIII secolo un gran numero di professori di grammatica e maestri elementari, talvolta affiliati all’ordine degli Umiliati, a volte operanti in contesti laici, come testimonia ad esempio Bonvesin da la Riva, maestro anch’egli, nelle sue Meraviglie di Milano. Anche nei secoli successivi il primato dell’istruzione lombardo-veneta è confermato da alcune importanti figure di maestri, come il bergamasco Gasparino Barzizza (autore per altro del Vocabolarium breve e attivo come insegnante tra Pavia, Padova e Milano, dove morì), Guarino Veronese, Vittorino da Feltre e il milanese Giorgio Valagussa (che avremo modo di incontrare più avanti). Significative inoltre all’alba del XVI secolo l’istituzione e la progressiva diffusione a Milano delle Scuole di dottrina cristiana, il cui operato giunge sino a Venezia21.

  • 22 G. Gasca Queirazza, Documenti di antico volgare in Piemonte, vol. 3, Frammenti vari di una miscella (...)
  • 23 Il codice contiene le glosse al Donato (o Dottrinale) di Mayfredo di Belmonte, proverbi e sentenze, (...)
  • 24 M. C. Ferrari, «Una miscellanea scolastica del secolo XV della Biblioteca Marciana di Venezia (cod. (...)
  • 25 G. Manacorda, «Un testo di grammatica latino-veneta del sec. XIII», Atti della Reale Accademia dell (...)
  • 26 A. Stussi, «Esercizi di traduzione trevigiani del secolo XIV», Italia Dialettale, 31, 1968, p. 24-2 (...)
  • 27 R. Gualdo, «Dal papa allo strazarolo: un inedito glossario latino-veneto (1450)», Studi Linguistici (...)
  • 28 A. Schiaffini, «Esercizi di versione dal volgare friulano in latino nel secolo XIV in una scuola no (...)

19Il fervore educativo naturalmente si riflette nella produzione di sussidi didattici e infatti sulla documentazione scolastica settentrionale disponiamo di vari studi. Numerose sono le testimonianze piemontesi, indagate da Gasca Queirazza22, che in un codice della Biblioteca capitolare di Ivrea individua una miscellanea grammaticale biellese databile al 1400, molto probabilmente composta dai quaderni degli scolari23. All’area veneta rimandano lo studio di Ferrari sul codice latino XIV 335 della Biblioteca Marciana di Venezia24, la trattazione di Manacorda25 su una grammatica latino-veneta e il saggio di Stussi, che pubblica alcuni esercizi di traduzione di area trevigiana26. Ancora in àmbito veneto sembra esser stato prodotto il ms. V C 11 della Biblioteca Nazionale di Napoli, databile al 1450 e contenente, oltre ai Synonima dello pseudo-Cicerone, l’Ars Punctandi di Barzizza, la Parva ortographia, vari commenti anonimi a opere ciceroniane, un glossario latino-veneto (edito da Riccardo Gualdo27). Per il friulano disponiamo dell’analisi di Schiaffini28.

  • 29 J. E. Lorck, Altbergamaskische Sprachdenkmäler (IX. -XV. Jahrhundert), Halle, Niemeyer, 1893.
  • 30 G. Contini, «Reliquie volgari della scuola bergamasca dell’Umanesimo», Italia Dialettale, X, 1934, (...)
  • 31 M. A. Grignani, «Esercizi di trasposizione da Terenzio in volgare cremasco del secolo XV», Archivio (...)
  • 32 Sul ruolo svolto dalla scuola nella diffusione e nell’assestamento di forme di koinè si vedano Mara (...)
  • 33 Si vedano le osservazioni di Marazzini, «Per lo studio», p. 72: «si potrebbe pensare a una sorta di (...)

20Molte miscellanee scolastiche rimandano al territorio lombardo, come evidenzia l’ormai classica antologia di Lorck29, che rinviene in vari codici bergamaschi frammenti grammaticali, glossari etimologici, una versione del Vocabolarium breve del Barzizza e un glossario latino bergamasco. Lo studio di Contini integra il lavoro del Lorck sulla base dei manoscritti ψ.III.50, ψ.II.6, γ.IV.28 e ψ.5.11 della Biblioteca Angelo Mai di Bergamo30. Nel saggio di Grignani è presentata una miscellanea scolastica cremonese databile al 1443-1448 circa31. Va detto che specialmente negli studi meno recenti l’attenzione si appunta su tali documenti – liste lessicali, temi ed esercizi di traduzione – per verificarne il grado di localismo, escludendo dunque testi che rispecchiano una lingua maggiormente smunicipalizzata. L’interesse per la ricostruzione del volgare locale appare in effetti prevalente in molti studi: tale aspetto conduce generalmente a ignorare o comunque a sottovalutare le fonti scolastiche meno caratterizzate dal punto di vista linguistico. Chiaramente un orientamento di questo tipo restituisce tuttavia un panorama parziale del volgare impiegato nella scuola, specialmente a Quattrocento inoltrato, quando anche nei testi scolastici la caratterizzazione diatopica sembra mitigarsi a favore di soluzioni vicine alla koinè32. I contatti tra scuole e maestri nonché la circolazione di materiali librari, soprattutto in aree contigue (pensiamo al triangolo Padova-Milano-Emilia settentrionale), avranno certamente favorito la circolazione dei vari strumenti didattici, favorendo nel processo di copia il contatto tra varietà diverse. Probabilmente questo «volgare scolastico», nelle sue diverse declinazioni diatopiche, non avrà mancato di esercitare il suo influsso anche nei secoli successivi. Il processo di normativizzazione del volgare innescatosi a partire dal Cinquecento toccò infatti l’uso letterario alto, senza però influire in maniera sostanziale, almeno fino a tutto il Settecento, sul volgare scolastico, che pure continuava a essere impiegato come lingua di supporto al latino, anche grazie alla diffusione ben oltre il Cinquecento di molti strumenti grammaticografici e lessicografici di età medievale33.

Una miscellanea scolastica umanistica: il manoscritto genova biblioteca universitaria G. II. 17

21Originariamente facente parte del fondo Carlo Morbio, il manoscritto della Biblioteca Universitaria di Genova G. II. 17 (d’ora in avanti G) è un codice miscellaneo (probabilmente fattizio) composto da 106 cc. (e una carta iniziale), di media misura (210 x 145 mm), vergato da sei mani differenti, cui probabilmente si alternano altre mani nelle numerose aggiunte e nelle note a margine. Il codice è databile intorno al 1471-1472: le due date ricorrono infatti alla c. 89r e a c. 106r. La tavola dei contenuti non consente di individuare in modo certo la tipologia libraria di fronte a cui ci troviamo: nel codice si alternano testi latini di diversa provenienza ed epoca. Tuttavia, per il tema che qui interessa sviluppare appaiono di un qualche rilievo le cc. 1-4v e 89r-90v, in cui una stessa mano (α) redige un glossario etimologico latino con alcune glosse volgari e una serie di versioni dal volgare al latino, nonché le cc. 23r-27v, di altra mano (γ), che invece contengono vari proverbi in volgare con la rispettiva traduzione latina. Almeno in parte dunque il codice presenta testi che ebbero un intento didattico o che furono fruiti come mezzi per allenare o perfezionare la conoscenza del latino, e in parte anche del volgare.

  • 34 A. Tamburini, Inventario dei manoscritti della biblioteca universitaria di Genova, XI, Genova, 1958 (...)

22La natura piuttosto composita della miscellanea richiede di considerare tali materiali nel quadro complessivo della silloge. Nonostante non si possa affermare con sicurezza l’intento didattico dell’intero zibaldone, visto l’alternarsi di molte mani diverse, l’esame degli altri testi raccolti può infatti fornire informazioni interessanti sull’ambiente in cui il codice doveva circolare, evidenziando anche eventuali relazioni tra un testo e l’altro. Si riporta dunque di seguito la tavola dei testi raccolti nel manoscritto, corredata delle informazioni paleografiche fornite dall’inventario di Tamburini34:

  • 35 Sono presenti i libri e le epistole seguenti: IV, 26; V, 21, 15, 11, 12, 14, 16-20; VI, 1-4, 6-34; (...)

1. Glossario in latino e in volgare, cc. 1r-4v [mano α].
2. Cristoforo da Fano, Soliloquium Fanensis in quo arguit semet quod ultra terrena respiciat cum in eis nullam adhuc veram voluptatem expertus sit et quod velit poetas missos facere et divinam legere scripturam, cc. 5r-7r [mano β], inc. Quid Fanensis agis? Num te suprema dierum (c. 5r), expl. In quibus aeternam possis reperire salutem (c. 7r).
3. Cristoforo da Fano, Fanenses satyrulae, cc. 7r-22r [mano β], inc. primo testo In quendam numularium ditissimum credentem diu vivere (c. 7r), expl. nigras rapietur ad umbras. (c. 8r), inc. ultimo testo Accepi nuper (c. 20v), expl. Ut facias iterum teque iterumque rogo (c. 22r).
4. Concertatio ferri et auri, cc. 22r-23r [mano β], inc. Auri fortunam ferrum laudabat et auro (c. 22r), expl. Sors inopum quaequae est felle repleta venit (c. 23r).
5. Sentenze e proverbi in italiano e in latino, cc. 23r-27r [mano γ].
6. Aneddoto in latino, c. 27v [mano δ], inc. Cum Demostenes in concione sederet, expl. quod tu per te agere possis.
7. De date et dabitur, cc. 27v-28r [mano δ], inc. Iam date cum dabitur sic versabatur amica (c. 27v), expl. vel nihil inter oves intererit quam viros (c. 28r).
8. Commento ai Salmi 1-7 e 118, cc. 29r-40r [mano ε], inc. Impius in Deum peccator in se (c. 29r), expl. iussionem Dei tu mandasti vel nimis mandasti. (c. 40r).
9. Plinio il Giovane, Epistularum libri (selezione)35, cc. 41r-89r [mano ε fino a 46r, poi mano ζ].
10. Versi di argomento religioso, c. 89r [mano α], inc. Impius Herodes ratus est occidere Christum, expl. Nec rediit dum Rex se fodit ultro neci.
11. Saggi scolastici di traduzione, cc. 89v-91r [mano α].
12. Giovanni Luigi Toscano, Aluisii Toscani exortatio ad principes christianos, cc. 91r-104v [mano ε], inc. Quis furor o demens ferri quae tanta libido? (c. 91r), expl. Troia capta hylares referat cum laude triumphos (c. 104v).
13. Giovanni Luigi Toscano, Epitaffio in latino per Giacomo Dugnano, c. 104v [mano ε], inc. Clauditur hic Iacobus fama notissimum Urbi (c. 104v), expl. Quem tamen civem sustulit ex oculis (c. 104v).
14. Versi in lode di Giovanni Luigi Toscano, c. 105r [mano ε], inc. Quae de carminibus mea sit sententia vatis (c. 105r), expl. Creditur hunc tantum credo preire novos (c. 105r).
15. Giovanni Luigi Toscano, Declamationes in Turcum, cc. 105r-106r [mano δ], inc. Militiae quamquam celsis sis pectore rebus (c. 105r), expl. sed fortuna viris heu semper fortibus atrox invidet (c. 106r).
16. Versi in latino di argomento gnomico, cc. 106r-v [mano δ].

  • 36 A. Piacentini, «Una polemica umanistica sul greco: la posizione di Cristoforo da Fano», Italia medi (...)
  • 37 A. Piacentini, «Una satyrula di Cristoforo da Fano al giureconsulto Giovanni da Sale», Ævum, 81, 2, (...)
  • 38 Vi figurano infatti soltanto 8 delle 11 satyrulae composte dal Fanense.
  • 39 Per la descrizione del codice si rimanda alla scheda presente nel catalogo della collezione Beineck (...)
  • 40 Piacentini, «Una polemica umanistica», p. 210.
  • 41 Per gli incipit e gli explicit di questi testi Piacentini, «Una polemica umanistica», p. 212.

23Il contenuto della miscellanea consente di localizzare il manoscritto nell’area lombarda. In particolare il codice rappresenta uno dei due maggiori testimoni dell’opera di Cristoforo da Fano (Brescia 1401-1477), frate umiliato bresciano, la cui biografia si svolse per la maggior parte a Milano e nei territori limitrofi. Nel manoscritto sono traditi infatti il Soliloquium fanense (2), un testo di 120 esametri, che sulla scorta dell’epistola di S. Girolamo ad Eustochio illustra la pericolosità delle letture dei classici e dei poeti pagani36, e otto satire, delle undici complessive, composte dallo stesso Cristoforo da Fano (3). Come mostra Piacentini37, il manoscritto di Genova contiene una redazione successiva e meno completa38 rispetto a quella contenuta nell’altro testimone – ms. New Haven, Yale University, Beinecke Rare Book and Manuscript Library, Marston 18839 – che risulta essere una copia di dedica (come mostra la presenza di una lettera in apertura al vescovo di Bergamo Giovanni Barozzi). Tuttavia, G riporta varie lezioni migliorative. Inoltre, in base alla ricognizione di Piacentini, le cc. 105r-106v sembrerebbero essere di mano dello stesso Cristoforo da Fano, che potrebbe aver trascritto anche le cc. 5r-28v, cioè il Soliloquium e le stesse Satyrulae (la mano δ andrebbe dunque identificata con quella del frate umiliato40). Il ms. G. II. 17 costituirebbe dunque una copia personale (un autografo o un idiografo), sulla quale l’autore avrebbe lavorato, apportando correzioni e miglioramenti, intorno ai primi anni settanta del Quattrocento. In quella stessa copia di lavoro o in altre carte che sarebbero poi confluite insieme in un momento di poco successivo, Cristoforo da Fano sembra aver trascritto alcuni carmina latini (16)41 e le Declamationes di Giovanni Alvise Toscano (15), altro personaggio molto in vista tra gli Umanisti lombardi (per quanto poi caduto in oblio), di cui il nostro codice tramanda anche due brevi opere (12 e 13).

  • 42 Un profilo della vita e delle opere del Toscano è in R. Weiss, «Un umanista e curiale del Quattroce (...)
  • 43 Di rilievo fu anche la sua collaborazione con l’ambiente tipografico romano: promosse e curò infatt (...)
  • 44 Sulla scorta di G. Resta, Giorgio Valagussa: un umanista del Quattrocento, Padova, Antenore, 1964, (...)
  • 45 Resta, Giorgio Valagussa: un umanista, p. 295-296.

24Nato a Milano nel 1450, Giovanni Alvise Toscano42 studiò legge a Pavia; successivamente si trasferì, probabilmente dopo la morte di Francesco Sforza avvenuta nel 1466, alla Curia romana, dove svolse dal 1473 l’attività di avvocato concistoriale al servizio di Sisto IV per poi essere promosso uditore della Camera Apostolica. Membro probabilmente dell’Accademia Romana, il Toscano occupò una posizione di rilievo nell’umanesimo romano contemporaneo43, ma il suo ricordo doveva essere ben vivo anche a Milano dato che le sue rime giovanili gli valsero la fama di enfant prodige. In ogni caso il Toscano fu uno dei personaggi con cui Cristoforo da Fano entrò sicuramente in contatto44; inoltre fu allievo di Giorgio Valagussa, come possiamo ricavare dall’epistolario del famoso maestro milanese45.

  • 46 Oltre alle notizie biografiche in Piacentini, «Una polemica umanistica», p. 204-207, e A. Piacentin (...)
  • 47 Proprio all’Ubaldini Cristoforo da Fano dedicherà Fabellae esopiche in distici elegiaci. Piacentini (...)

25Nonostante il codice sia probabilmente un fattizio e dunque prodotto dell’assemblaggio di fascicoli appartenenti a mani diverse (per quanto coeve), possiamo ipotizzare con un certo margine di sicurezza che il manoscritto sia stato assemblato nello stesso ambiente o in ambienti molti vicini allo scriptorium di Cristoforo da Fano, che esercitò nel Ducato di Milano la professione di maestro di scuola46 e fu anche precettore di Ottavio Ubaldini della Carda, futuro consigliere di Federico da Montefeltro47. Del resto le congregazioni di Umiliati erano molto attive nell’insegnamento superiore e universitario, senza contare che nel Quattrocento disponevano talvolta di scuole all’interno dei loro conventi.

26Possiamo presumere dunque che nell’ambiente scolastico degli Umiliati milanesi qualche anonimo maestro, forse lo stesso cui si devono il glossario e le versioni italiano-latino, o magari un allievo avanzato nella formazione, avesse riunito testi più o meno utili all’insegnamento scolastico, comprendenti assieme alle opere normalmente impiegate nell’insegnamento del latino (tipicamente le lettere di Plinio [9], ma anche aneddoti circoscritti come quello in latino su Demostene [6]), testi di personalità illustri del suo tempo, come l’umiliato Cristoforo da Fano e il Toscano, entrambi cultori di un umanesimo fortemente ispirato ai principi religiosi e morali. L’intera miscellanea è del resto percorsa da un intento decisamente gnomico e moraleggiante, come mostrano gli altri testi, quali il componimento in distici elegiaci sul Date et dabitur (7), i versi latini che ricordano la strage di Erode (10) e il commento ai Salmi (8).

  • 48 D. Cortese, «Giovanni di Genesio Quaia di Parma e la sua attività padovana», Il Santo, 23, 1983, p. (...)
  • 49 E. Narducci, «Sentenze morali ridotte in versi latini ed italiani da Fr. Gio: Genesio da Parma», in (...)

27Testimonianza rilevante di questo connubio tra prassi didattica ed educazione morale e religiosa è in particolare la raccolta di sentenze bilingui in coppie di versi (5), che costituisce un’ulteriore testimonianza delle Sentenze morali del frate francescano Giovanni Genesio Quaglia da Parma (Parma,? – dopo il 1385)48, maestro di teologia a Bologna e autore anche di un Rosarium, altro florilegio di sentenze morali, del trattato De civitate Christi, di un Conflictum viciorum in volgare e di un’esposizione del Pater noster (in latino). Le Sentenze morali del Quaglia, edite da Narducci49 secondo il ms. 563 della Biblioteca Nazionale Vittorio Emanuele III di Roma (una volta appartenente alla raccolta Boncompagni), sono una silloge di cento proverbi latini in distici di esametri seguiti dalla traduzione in versi volgari e dall’indicazione della fonte (generalmente costituita da classici latini o da citazioni bibliche). La singolarità di tale opera è data dal fatto che le iniziali di ogni verso latino formano un acrostico, il quale contiene una dedica ad Andrea Gambacorti, figlio del signore di Pisa Pietro Gambacorti, e recita:

Frater Iohanes Genesius Quaia de Parma, Sacre Theologie Magister, Ordinis Fratrum Minorum Professor Illustris, fecit hoc opus ad honorem Dei, beate Mariae Virginis, et beati Francisci, et amore nobilis Andree nati celsi domini Petri Gambacurte.

  • 50 E. Levi, «Il codice Ghinassi di rime antiche», Il libro e la stampa, 2, 6, 1908, p. 157-168.

28Il manoscritto 563 ha una storia piuttosto complessa: era parte infatti di un codice di maggiori dimensioni, che venne smembrato in tre parti. Le altre due sono ora conservate presso la Biblioteca Estense di Modena (Fondo Campori γ.E.5.11 e γ.N.7.9). Uno studio integrale di quello che doveva essere il codice originale è stato intrapreso da Levi50: la tavola approntata dallo studioso restituisce l’immagine di una miscellanea molto eterogenea, in cui un certo spazio è riservato a rimatori emiliani. Oltre al Tesoro dei Rustici di Paganino Bonafede (trascritto nel ms. Vitt. Em. 563) il codice nella sua fisionomia originaria accoglieva anche componimenti di Antonio da Ferrara, di Taddeo de’Pepoli e del padovano Francesco Vannozzo. La presenza di epitaffi in morte di illustri personaggi lombardi, come l’arcivescovo Giovanni di Milano e Giovanni da Legnano sembrerebbe indicare anche una certa vicinanza dell’estensore del codice all’ambiente politico milanese, impressione che sembra confermata dal contenuto dei codici estensi contenenti missive diplomatiche indirizzate, fra le altre, anche alle autorità milanesi.

  • 51 Si veda Biadene, «Un volgare ‘inedito’».
  • 52 Bonvesin da la Riva, Expositiones Catonis. Saggio di ricostruzione critica, ed. C. Beretta, Pisa, S (...)

29Oltre al testimone edito dal Narducci, conosciamo anche un altro esemplare delle Sentenze proverbiali proprio di area lombarda. Tale testimone è tràdito dal manoscritto Σ. IV. 36 della Biblioteca Civica di Bergamo51, che contiene tra l’altro il volgarizzamento di Bonvesin dei Disticha Catonis52 e una parafrasi delle bonvesiniane Cortesie da tavola. Il manoscritto descritto da Biadene (databile al 1469 e sottoscritto da un certo Jacopo di Terzo, pellettiere bergamasco, che ne ha copiato alcune parti) sembra vicino all’ambiente degli Umiliati. Rispetto al testimone bolognese, la versione bergamasca appare contornata da testi per molti versi tipologicamente simili, per lo più di carattere didattico e regolativo, come il Libro delle quattro cose (composto da trenta capitoli, redazione italiana del Quaternaire de Saint Thomas), il Libro di sentenze e ammaestramenti, forse in qualche rapporto con i trattati di Albertano da Brescia, vari proverbi in latino e in volgare. Anche l’opera di Genesio da Parma si inscrive dunque in quel fitto scambio di materiali librari che soprattutto tra XIV e XV secolo sembra legare l’Emilia settentrionale ai territori lombardi.

  • 53 Ricavo queste informazioni da B. Bentivogli, «Il manoscritto Silvestriano 289 dell’Accademia dei Co (...)

30Se ampliamo lo sguardo ai manoscritti che tramandano soltanto una selezione dei proverbi, il numero dei testimoni aumenta: le sentenze del Quaglia si trovano infatti anche nei seguenti codici53:

  • Assisi, Biblioteca Comunale 440;
  • Bologna, Universitaria, 1072;
  • Città del Vaticano, Chig. C.VI.158;
  • Città del Vaticano, Reg. 1973;
  • Città del Vaticano, Vat. Lat. 9658;
  • Fabriano, Biblioteca Comunale 2054;
  • Firenze, Biblioteca Nazionale, II.II.15;
  • Firenze, Biblioteca Nazionale, II.II.67;
  • Firenze, Biblioteca Nazionale, II.IX.141;
  • Roma, Corsiniana, 44 B 7;
  • San Daniele del Friuli, Guarneriana, 165;
  • Rovigo, Accademia dei Concordi, Silvestriano 28955;
  • Verona, Capitolare CCLXXXI;
  • Berlino, Hamilton, 540;
  • Siviglia, Colombina, 5.3.25.
  • 56 Le sentenze circolarono anche nel Cinquecento: Teza individua infatti un’edizione stampata a Milano (...)

31Una ricognizione sistematica di tutti i manoscritti richiederebbe ovviamente uno studio a parte, che esula dagli obiettivi della presente ricerca56. Per il momento basti osservare che l’opera del Quaglia sembra tramandata da due tipi di «contenitori» differenti: in alcuni testimoni essa compare infatti insieme a serventesi, sonetti e opere poetiche; in altri è invece collocata assieme a testi scolastici. Significativo è il caso del manoscritto friulano, in cui si alternano trattati ortografici, gli excerpta da Valerio Massimo, modelli di orazioni e missive, ma anche testi religiosi, come un Ufficio della Vergine.

32Per confermare e precisare la localizzazione (geografica e socioculturale) del ms. G.II.17 occorre rivolgersi all’analisi linguistica. Data la natura fattizia del codice, la cosa migliore sembra considerare i singoli testi di natura didattica, esaminandone la fisionomia linguistica, ma tentando anche di descrivere il peso e il ruolo che il volgare vi ricopre. Naturalmente ogni strumento didattico presenta una propria specificità e richiede quindi di essere indagato secondo parametri diversi.

Il glossario

  • 57 Il nostro glossario sembra dunque avvicinarsi a quegli esemplari «privi di una solida coesione inte (...)
  • 58 Con il segno # indico il passaggio dalla colonna di sinistra a quella di destra.

33La lista di vocaboli latini contenuta nelle prime quattro carte del codice è adespota e inizia con una frase latina (Non possum te adsequi) tradotta in volgare (Non te posso azongere) e collocata in cima alla carta. Nel prosieguo il glossario è disposto su due colonne. Non è possibile rintracciare un criterio uniforme nell’elenco delle voci latine: a sequenze alfabetiche si alternano liste con ordine diverso. A c. 1r in particolare registriamo la sequenza pigritia, gladius, uncia, polluere, contagius, sublimis, profanus, gladius, cuculus, liba, marra, adversus, penula, asparagus, murena, tuber, etc.; nelle altre carte notiamo un tentativo, anche se non sempre rispettato, di ordinare alfabeticamente il testo e comunque di riunire le voci inizianti per la stessa lettera; tuttavia, da c. 4v in poi l’elenco ricomincia dalla lettera a dopo che a c. 4r si era arrivati fino alla v. Il glossario sembrerebbe dunque composto da parti diverse, alcune ordinate alfabeticamente, altre contraddistinte da un ordine differente e la cui tecnica di lemmatizzazione non può essere ascritta al criterio metodico57. Si fornisce di seguito l’elenco delle voci contenute alle cc. 1v-458:

c. 1v: pigritia, gladius, uncia, polluere, contagius, sublimis, profanus, gladius, delubrum, numen, edes, excubie, cuculus, liba, celum, marra, adversus, penula, asparagus, murena, tuber, turtur, horrere, hermes, ignarus # merces, aratum, altare, dicax, abortunis, morbus, sinister, annales, locare, conducere, lavacrum, explionis, cadaver, bulla, olitorum, bellum, notus, bene, bulla, bibo, calamitas, certare, contendere, conterminus, haurire, honor, illuvies, infans. c. 1v: copia, castitas, decrementum, diurnus, duplex, delicio, exultare, emeritus, faustus, festus, funestus, fetus, facies, forum, gemini # dissemen, defungere, dudum, defraudare, esurio, exire, equidem, egeo, furor, fedus, fortuna, favilla, fatiscor, forenses, fulgura, foramina, frater, fera, gentiles, gestire, gutrum.
c. 2r: accidis, appellatione, gratus, clementia, prepositio, quotiscumque, magni interest, necessitas, necessitudo, opportunus, vicus, licet, nomina, patimur, cupiditas, electio, gibbus # accidunt, accipimus, audio, consobrinus, conscio, insignus, solacium, lachryma, mors.
c. 2v: libeo, cupiditas, nihil, pedica, impeditus, patria, infestus, exitus, disertus, sollicitus, improbus, indagare, questuo, percella, solers, modestia, temperantia, ordo, dies, mamille, ubera, iussus, insanus, iocundus # electio, libe, dono, videmus, studium, consumare, circumscribere, sumo, famulus, astrologia, preda, invinctus, moriger, implicare, munus, ratio, scia, pagus, aper, immunus, irritare, impartire.
c. 3r: ianus, letitia, labo, labor, laxare, letum, lactare, legumina, locuples, luculentum, lucania, lustratio, laverna, lenocinium, mondus, musare, mimus, manes, maturus # meritus, modestia, malea, modestus, monumentum, maiestas, mendicare, manubrium, necessitudo, nuntius, notus, nugator, ovo, operosus, olus, occasio, omnis, pyerius, presidium, prophanus, praculum, provintia, postes, pubes.
c. 3v: patera, portitor, procax, poli, pecus, prelium, pala, propicius, proco, Proca, panis, populare, polius, pomilia, pomeridianum, publicani, partim, papo, petasunculus, pollicemur, pretermittimus, pudor, angiportus # quirites, quidam tentat, quiesco, ratio, Roma, rapere, rumen, rivales, rudentes, reduces, recinium, rubeta, rus.
c. 4r: semum, sanctus, scopulus, stips, sancuis, Stix, sidus, signum, sedicio, strages, sisto, soror, sedurum, suus, sinister, scapluum, solennis, serus, stultus # servus, turpis, tabellas, tempo, tapetum, Thysiphone, tyrannus, temerarius, temulentus, turbus, tabellarius, tabularius # venia, viscus, vitalis, usus, verbene, viri consulares, vertex, vituperare, via, vesper, sapienta, vectigalia.
c. 4v: auxiliares, audacia, avidus, agasones, ae, auctor, aves, abortum, accumbo, auctionor, agger, alluvies, aversor, adusor, arthos, aquilo, auster, apex, assurge, auctoritas, archocopus, Atropos, ambreus # equidem, ablegare, angina, boctes, Boforania, bilis, nausea, bulla, bibo, celeber, conducere, calamitas, centuria, conterminus, concipere, Cyclopes, cognoscimus, coco, cerastes, claudo.

34La tipologia del lessico è piuttosto varia e asistematica, il che ci permette di pensare che il glossario sia stato compilato per far fronte alla lettura di particolari testi. Sembrerebbe trattarsi di elenchi di parole accorpati insieme: possiamo ipotizzare che il compilatore del glossario avesse avuto di fronte vari brani e di volta in volta abbia segnato e riunito le voci più interessanti, o magari più difficili, per glossarle e chiarirne il senso grazie all’ausilio di qualche fonte; possiamo anche ipotizzare che il glossario risulti dall’accorpamento di vari materiali lessicografici precostituiti (in tal caso l’istanza conservativa prevarrebbe sull’idea di una composizione originaria). Ovviamente nel concreto allestimento del glossario il compilatore potrebbe aver seguito entrambe le modalità. Questo spiegherebbe perché l’ordine alfabetico non sia il principale criterio organizzativo, ma chiarirebbe anche il motivo dell’eterogeneità delle varie voci, che spaziano dal lessico astratto a quello concreto relativo al lavoro dei campi e agli attrezzi agricoli (come marra). Ritroviamo in particolare voci riguardanti istituzioni romane, l’assetto militare e politico dell’antichità o anche oggetti del vestiario come bulla o recinium (ricinium).

35In funzione di esponente compaiono, come si può osservare dall’elenco fornito, soltanto voci latine: vedremo infatti che il ruolo del volgare in questo glossario è molto limitato. Si tratta di uno strumento orientato a definire il significato dei vari lemmi: l’intento esplicativo prevale su quello traduttivo. Le definizioni contengono dunque il significato del lemma, ma soprattutto tentativi di ricostruzione etimologica e lessicale.

36Le indicazioni grammaticali e morfologiche sono piuttosto sporadiche: manca ad esempio l’uso del dimostrativo hic, haec, hoc generalmente impiegato per segnalare il genere e il numero del lemma. Generalmente l’interesse prevalente è di tipo semantico, così che il compilatore non fornisce per la maggior parte delle voci ragguagli sul genere, sul numero, sulla declinazione o, nel caso dei verbi, sul paradigma. Anche in questo caso tuttavia non è possibile individuare un criterio uniforme. Talvolta, qualora sia un nome, la parola in esponente è seguita senza soluzione di continuità dalla desinenza del genitivo (rappresentata per lo più dalla sillaba che compare dopo il tema, più raramente dalla ripetizione del lemma al genitivo); qualora si tratti di un aggettivo troviamo invece anche il nominativo femminile e neutro. Si vedano le voci ai punti (1) e (2):

  • 59 Si tratta di un aggettivo etnico (macedone).

1. Papo, onis (c. 3v)
Tapetum, ti (c. 4r)
Turbus, bi (c. 4r)
Agger, ris (c. 4v)
Bibo, onis (c. 4v)
Lustratio, lustrationis (c. 3r)
2. Faustus a um (c. 1v)
Pyerius a um (c. 3r)59

37Sporadicamente nei verbi compare la seconda persona del presente indicativo (adversor, aris, c. 4v, adusor, aris, c. 4v): tale strategia sembra caratterizzare in particolare i verbi deponenti; normalmente dei verbi attivi viene indicato in esponente l’infinito presente (ablegare, conducere, vituperari, locare). In un solo caso è registrata la prima persona plurale del presente indicativo (cognoscimus, c. 4v), ma si tratta di una voce particolare, in cui si riporta un’intera formula, probabilmente tratta dalla grammatica di Donato (come sembrerebbe indicare la glossa a margine).

38I nomi compaiono per lo più al nominativo singolare, ma non mancano casi in cui il vocabolo compare al plurale (auxiliares, gemini), all’ablativo singolare (appellatione) o all’accusativo plurale (tabellas).

  • 60 Nel riportare le singole voci fornisco un’edizione interpretativa di G, sciogliendo le abbreviazion (...)

39Nel glossario sono per lo più collocati in esponente nomi, verbi e aggettivi; talvolta incontriamo però altre categorie grammaticali: ad esempio a c. 1v troviamo l’avverbio bene, a c. 1r leggiamo ae (glossata come syllabas, c. 4v). Sono presenti anche nomi propri, soprattutto di divinità o creature mitologiche, come «Cyclopes: sunt tres: Orontes Steropes et Piragmon» (c. 4v) e le furie Atropo e Tysiphone60:

3. Thysiphone: a thios quid est ulciscor et phones cedes i (d est) ultrix scelerum (c. 4v)

40Più avanti compare un altro riferimento alla furia nominata nell’Eneide, nelle Metamorfosi di Ovidio e nella Tebaide di Stazio, ma citata anche da Dante:

4. Cerastes: dicunt serpentes quos habet in capite Thysiphone (c. 4v)

41La particolarità di queste definizioni, che non si ritrovano nei dizionari impiegati dall’anonimo copista (vedi infra), spinge a credere che si debba trattare di prelievi da commenti dedicati a opere della latinità o da elenchi di parole tipiche di singoli autori (una sorta di concordanze).

42Caratteri a sé presentano le carte 2r-v, in cui ricorrono alcune voci maggiormente orientate alla risoluzione di dubbi grammaticali e alla definizione di parti del discorso. Di particolare interesse sono le voci in cui in esponente sono riportate formule (espressioni poliverbali ma anche singole parole dagli impieghi piuttosto circoscritti). È il caso ad esempio della locuzione magni interest «id est magni importantis» (c. 2r).

43Altre voci mettono in guardia da errori frequenti oppure indicano l’esatta costruzione di un verbo o di un sostantivo, specificandone le reggenze:

  • 61 Interessa osservare che in uno dei tanti commenti medievali alla Tebaide di Stazio viene osservato (...)

5. Fidere et diffidere non possunt regere nisi dativum (c. 2r)
Amicus amicior non amicicior (c. 2r)61

  • 62 Sul significato di queste due operazioni e sulle loro diverse declinazioni nei glossari e vocabolar (...)

44Le definizioni, in latino, sono volte a spiegare il significato della parola, parafrasandola con un sinonimo, definendola o, spesso, ricostruendone l’etimologia. Gli inserti etimologici seguono il tipico orientamento medievale: si osserva cioè il costante tentativo di collegare forma e significato, nonché di ricondurre la parola in questione alla radice di un’altra. La derivazione così individuata è formulata secondo schemi pressoché fissi, dove un importante ruolo giocano le causali introdotte da quod o quia. Nel glossario si condensano due meccanismi fondamentali nella lessicografia medievale: l’etimologia e la derivatio62. Si forniscono per il momento soltanto tre esempi; altre voci saranno presentate più avanti:

6. Audacia: ab audeo et cupido auderi (c. 4v)
Avidus: a non videri prop(r)e nimiam cupiditatem appellatur, sicut amens,
qui suam me(n)te(m) n(on) h(abe)t (c. 4v)
Castitas: a castrando, quia castrati non possunt eycere venerem (c. 1v)

45Proprio la presenza delle ricostruzioni etimologiche ci permette di escludere che il glossario sia interamente originale: se la selezione delle voci poté forse essere svolta in maniera autonoma, in base ai bisogni contingenti, è chiaro che le etimologie, spesso accompagnate anche da riferimenti ad autori latini, furono riprese da qualche modello.

46La tradizione delle opere lessicografiche medievali appare molto complessa, stratificata e caratterizzata da una forte mouvance, così che l’identificazione delle fonti non è sempre agevole. Tuttavia, alcune formulazioni contenute nel glossario, così come la presenza di determinate voci, consentono di ricondurre, ovviamente attraverso intermediazioni, la fisionomia di alcuni lemmi alle corrispondenti voci del De significatu verborum di Verrio Flacco, che nel Medioevo circolava attraverso le epitomi di Pompeo Sesto e Paolo Diacono (e la cui prima stampa nota risale al 1478). Si fornisce di seguito un elenco delle voci che trovano una corrispondenza quasi perfetta nel De significatu verborum:

7.
G
Abortum: gravide mulieris dicitur, quod non sit tempestum ortus (c. 4v)
Ae: antiqui Gr(ec)a consuetudine per ay scribebant, ut aulay, Musay (c. 4v)
Agasones: equos agentes, i(d est) minantes (c. 4v)
Auctor, oris: g (enus) erat apud antiquos (c. 4v)
Aves: ab aventu eorum dicunt, quia veniant nequis non suspicetur (c. 4v)
Avidus: a non videri prop(r)e nimiam cupiditatem appellatur: sicut amens, qui suam me(n)te(m) n(on) h(abe)t (c. 4v)

De verborum significatu
Abortum gravide mulieris dicitur, quod non sit tempestive ortu (p. 22)
Ae syllabam antiqui Graeca consuetudine per ai scribebant, ut aulai, Musai (p. 19)
Agasones equos agentes, id est minantes (p. 19)
Auctor communis erat generis apud antiquos (p. 21)
Aves ab adventu earum dicuntur, quod inde veniant, unde nequis suspicetur (p. 21)
Avidus a non videndo propter nimiam cupiditatem appellatur: sicut amens, qui mentem suam non habet (p. 18)

  • 63 Si cita da Sexti Pompei Festi, De verborum significatu quae supersunt cum Pauli epitome, ed. W. M. (...)

47Come si vede dalla tabella, la maggior parte delle voci che coincidono con il De verborum significatu63 si concentrano nella c. 4v del nostro manoscritto, ove per altro l’ordinamento lessicale ricomincia dalla lettera a. In alcuni casi il rimando a Pompeo Festo è esplicitamente indicato nella glossa («Altare sup(er)ioru(m): ab altitudi(n) e dicit Festus»).

48Di alcune parole, pure presenti nel De verborum significatu, il nostro glossario fornisce una spiegazione diversa:

8.
G
Bellum: sig(nifica)t re(s) quo in militia sunt et conflictum (c. 1r)
Aquilo: ventus est et montem sig(nifica)t (c. 4v)

De verborum significatu
Bellum a beluis dicitur, quia beluarum sit pernitiosa dissensio (p. 24)
Aquilo ventus est a vehementis simo volatu ad instar aquilae appellatur (p. 16)

49Ugualmente la definizione della parola forum, che nelle epitomi di Verrio Flacco è distinta in ben sei accezioni, nel manoscritto G.II.17 appare limitata alla sola etimologia, probabilmente ripresa dal De lingua latina di Varrone: «Forum a ferendo eo per illis feruntur res venales» (c. 1v). Un esplicito riferimento a Varrone si legge nelle definizioni delle voci glaudius (c. 1r), numen (c. 1r), merces (c. 1r).

50In un caso la definizione è esplicitamente attribuita al Papias:

9. Morbus: a morte, quia post morbum sequitur mors. Papias. (c. 1r)

  • 64 Si cita da Papias vocabulista, impressum Venetiis per Philuppum de Pincis Mantuanum, Anno domini MC (...)

51In effetti nel Papias vocabulista64 il plurale morbi è definito: «generaliter omnes passiones corporis significant: dicti quia ex eis mors nascatur» (Papias, p. 210).

52Interessante il caso della voce castitas, che abbiamo già riportato:

10. Castitas: a castrando, quia castrati non possunt eycere veneres (c. 1v)

  • 65 Uguccione da Pisa, Derivationes, presentazione di G. Nencioni, Firenze, Accademia della Crusca, 200 (...)

53Questa etimologia non compare nel De significatu verborum né nel Papias; tuttavia in quest’ultimo, come anche nelle Derivationes di Uguccione da Pisa65, leggiamo alla voce castus: «primum a castratione dictus, postea placuit veteribus etiam eos sic nominari quod perpetuam libidinis abstinentiam pollicebantur» (Papias, 55). Il nostro anonimo compilatore non tiene distinte le due accezioni, ricostruendo a partire dalla derivazione l’etimologia della parola.

54Constatata la presenza di fonti lessicografiche latine medievali e tardolatine, ci si potrebbe interrogare sull’influsso di glossari bilingui, come il Catholicon di Giovanni Balbi, il Declarus di Senisio o i più recenti Vocabolarium breve del bergamasco Gasparino Barzizza e Vocabulista ecclesiastico di Giovanni Bernardo Savonese (quest’ultimo sarebbe per altro troppo tardo per poter essere stato impiegato come fonte del nostro glossario). Ebbene, anche se molte parole presenti nel nostro glossario sono accolte nei dizionari bilingui, l’analisi non ha rivelato coincidenze di rilievo nelle voci volgari, sulle quali è giunto ora il momento di soffermarsi.

55Venendo alle tracce volgari disseminate nel glossario, è possibile riconoscere in modo agevole il criterio delle inserzioni. Nella maggior parte dei casi i traducenti volgari sono infatti introdotti, a volte da soli, a volte nell’àmbito di una definizione latina più ampia, in corrispondenza dei lemmi che individuano oggetti concreti, spesso riguardanti il lavoro dei campi, utensili domestici e particolari specie di erbe o animali. Sono spesso glossati mediante il volgare quei termini che rimandano a oggetti o istituzioni dell’antica Roma. Il corrispondente volgare è introdotto in genere mediante l’avverbio vulgariter o l’espressione in vulgari. Riporto di seguito le glosse volgari in cui si osserva una formula metalinguistica latina. In nota evidenzio alcune analogie con altri glossari bilingui editi: preciso tuttavia che molto spesso lo stesso traducente appare impiegato nei diversi glossari per tradurre parole latine differenti.

  • 66 Non è l’unico caso in cui una voce viene ripetuta più di una volta, si veda anche gladius a c. 1v.
  • 67 Bronzino ‘vaso o contenitore di bronzo’ ricorre nel Glossario latino-bergamasco (ol bronzi) come tr (...)
  • 68 Baguta è presente anche nel glossario latino-milanese di Bartololomeo Sachella: «Larva ve est la ba (...)
  • 69 Non è chiaro il significato della parola cavigia. Il latino lucania, che nei glossari medievali alt (...)
  • 70 Nel glossario del Sachella beleto traduce popismatis (Marinoni, «Vocaboli volgari», p. 237).
  • 71 Nel Gloss. latino-bergamasco ol bacil traduce il latino bacile (Lorck, Altbergamaskische Sprachdenk (...)
  • 72 Nel Gloss. latino-bergamasco la parola urinal traduce il latino urinale (ivi, p. 103).
  • 73 Per l’accezione di turtur come ittionimo si veda quanto riportato dal Vocabolario dell’Accademia de (...)

11. Bibo, onis: sign(ificat) vulgarit(er) lo musino (c. 1r)
Bibo, onis: vulgariter lo musino (c. 4v)66
Gutrum, ri: sig(nificat) in vulgari el bronzino (c. 1r)67
Improbus: vulgariter sig(nifica)t p(re)suntuoso (c. 2v)
Laverna et persona: significa(n)t id quod ho(m)i(n)es tegunt faciei ne cognoscunt(ur); que vulgo dicit(ur) la facia vel la baguta id est la(r)va (c. 3r)68
Lucania: di(cit) vulgariter la cavigia; a lucaniis dicta q(ui) p(ri)mi fuer(un)t
inventores69 (c. 3r)
Lustratio lustrationis: sig(nificat) vulgarit(er) la processione (c. 3r)
Lenociniu(m): sig(nificat) vulgarit(er) el beleto (c. 3r)70
Man<……> et manubrium: sig(nifica)t vulgariter la bacila (c. 3r)71
Papo, onis: sig(nifica)t vulgariter el melone (c. 3v)
Rubeta: spes est rane; vulgariter el zato (c. 3v)
Scapluum: vulgariter l’orinale (c. 4r)72
Turtur: dicit divus Ambrosius; significat piscem in vulgari la truta et et(iam)
est avis (c. 1r)73

56Talvolta si riscontrano però formulazioni differenti, in cui non è esplicitata la transizione a una diversa varietà linguistica. Nelle voci seguenti la componente bilingue si fa più netta, tanto che in alcuni casi non compare la definizione latina:

  • 74 Presente nel Gloss. latino-bergamasco come traducente di oblatio (Lorck, Altbergamaskische Sprachde (...)
  • 75 In altri glossari, come quello ispirato al Vocabolarium breve di Gasparino Barzizza, leggiamo invec (...)
  • 76 Corrisponde a «hic olitor lo ortolano» (Gloss. latino-veneto, Gualdo, «Dal papa allo strazarolo», p (...)
  • 77 Presente nel Gloss. latino-bergamasco come traducente di pellicia, pillortium, reno (Lorck, Altberg (...)
  • 78 «Hoc tuber id est lo tartuofano» si legge nel Gloss. latino-eugubino (Navarro Salazar, «Un glossari (...)
  • 79 Si veda anche «hoc vetigal la gabella» (Gloss. latino-veneto, Gualdo, «Dal papa allo strazarolo», p (...)

12. Asparagus: lo sparago et est etia(m) genus piscis (c. 1r)
Bilis colera: est nausea l’angossa (c. 4v)
Bulla: sig(nifica)t propie lo fermaro (c. 1r)
Celum: lo scopello (c. 1r)
Conducere: tore a pisone (c. 1r)
Cuculus: propie sig(nifica)t el capucio (c. 1r)
Gladius: propie el stecho (c. 1r)
Insignum: significat la divisa; signum la insegna (c. 1r)
Lassare: fatigare sig(nifica)t (c. 3r)
Lavacrum: propie vocat(ur) la cisterna (c. 1r)
Liba: la offerta (c. 1r)74
Locare: sign(ifica)t dare a pisone; (con)ducere: tore a pisone (c. 1r)
Marra, re: propie la vanga; sarculus el sapino (c. 1v)
Murena: sig(nifica)t la lampreda (c. 1r)75
Olitorum: est ortus ubi sunt sibes comestibiles put olitor l’ortolano (c. 1r)76
Penula: el mantello da aqua (c. 3v)
Pomeridianu(m): sig(nifica)t pose el mezodì, ut venia(m) ad te pomeridiano (c. 3v)
Recinium: sig (nifica) t prope la peliza mulierum (c. 3v)77
Suscepi: ho intrapreso (c. 2v)
Tabellarius: est quod dicim(us) el corero (c. 4r)
Tuber, ris: genus fungi incitans venerem; lo tartufalo (c. 1r)78
Vectigalia: le gabelle (c. 4r)79

57La varietà impiegata nei pochi inserti volgari del glossario – che compaiono tutti nei due elenchi appena forniti – rimanda all’Italia settentrionale. Su una localizzazione di questo tipo converge anche una glossa latina a margine in corrispondenza del vocabolo verbena: la glossa fornisce un’altra denominazione «est herba quam nos dicimus sancta Ioha(nn)is» (c. 4r). L’espressione deonimica appare particolarmente concentrata nell’Italia settentrionale, tra Emilia, Lombardia e Piemonte.

58Occorre subito dire che il tentativo di precisare la localizzazione del glossario è impresa ardua, sia per l’esiguità numerica delle glosse volgari, sia per l’effettiva coloritura sovramunicipale che contraddistingue a Quattrocento avanzato molta produzione scolastica. Vale tuttavia la pena di isolare alcuni fenomeni fonetici e morfologici, coerenti con la koinè lombarda.

  • 80 La forma (derivata dal lat. tructa) è comune al ligure, al piemontese, al lombardo e all’emiliano, (...)

59Per la fonologia, a fronte della conservazione (o meglio restaurazione generalizzata) delle vocali finali, possiamo osservare: 1) la presenza della u (probabilmente pronunciata ü) in luogo di o chiusa in truta80; 2) la tendenza alla degeminazione delle consonanti intense intervocaliche (capucio, peliza, tore, corero, beleto), che però non appare generalizzata, come mostrano mantello da aqua, gabelle, scopello; 3) l’esito -aro del suffisso-arium si osserva in fermaro; 4) il nesso gj (e sj secondario) dà una sibilante sonora, indicata graficamente con <s> (dare a pisone, c. 1r, e musino, cc. 1r e 4v).

  • 81 Rohlfs, Grammatica storica, III, § 811.

60A livello morfologico le scarne informazioni che le glosse forniscono riguardano la presenza dell’articolo el (11 occorrenze), che alterna con lo (3 occorrenze davanti a sibilante + consonante e 3 occorrenze davanti a consonante semplice, per un totale di 6). Normalmente attestato nei dialetti settentrionali il metaplasmo di declinazione in el corero (c. 4r) e il metaplasmo di genere in la bacila ‘catino, contenitore (anche per le offerte)’ (c. 3r). Da notare la preposizione pose ‘poi’ in pose el mezodì, comune in lombardo antico81.

  • 82 Nella mitologia romana Laverna, raffigurata con il volto coperto da una maschera, incarnava la dea (...)
  • 83 W. Meyer-Lübke, Romanisches etymologisches Wörterbuch, Heidelberg, Winter, 1911, p. 58. Si veda anc (...)
  • 84 C. Salvioni, «Gli statuti volgari della confraternita dei disciplinati di s. Marta di Daro», Bollet (...)
  • 85 Non è chiara quale sia l’origine dell’odonimo, se cioè la strada abbia preso il nome dalla maschera (...)

61L’analisi del lessico fornisce invece indicazioni più puntuali. Alcune voci sembrano infatti rimandare a un’area più ristretta. È il caso di baguta ‘maschera’, che traduce il deonimo laverna82. La parola baguta (da *baga ‘bava, bavaglio, maschera’83) rinvia al comasco e al milanese. Una delle prime attestazioni della parola è fornita da Salvioni84, che ne rinviene un’occorrenza negli statuti, databili al XIV o all’inizio del XV secolo, di una confraternita operante nel distretto di Bellinzona: «E simelmente no ossa ni presuma a balare ni anche a farse in baguta o sia in bordo de carnevale ni de altro tempo» (Statuti volgari della Confraternita dei Disciplinanti di S. Marta di Daro, XII). A Milano baguta sarebbe all’origine dell’odonimo via Bagutta85.

  • 86 G. Tiraboschi, Vocabolario dei dialetti bergamaschi antichi e moderni, Fratelli Bolis, 1873, s. v.

62Se la voce appena vista costituisce un indizio forte, anche se non sicuro, a favore della milanesità del glossario, le altre parole più diatopicamente marcate potrebbero appartenere all’area bergamasca. Mi riferisco in particolare a musino, traduzione di bibo, bibonis ‘moscerino del vino’: probabilmente musino sarà da ricondurre al bergamasco müssì86, che sarebbe il prodotto di un’assibilazione della sibilante palatale.

  • 87 C. Nigra, «Note etimologiche e lessicali. III», Archivio Glottologico Italiano, 1907, p. 97-130 (p. (...)

63Particolari problemi pone la parola el zato, traducente di rubeta ‘tipo di rana’. Non è stato possibile rintracciare nessuna precisa attestazione di zato, tuttavia in veneziano e in bergamasco troviamo la parola zata (femm.) usata con il significato di ‘zampa, piede d’animale’. Maggiori ragguagli otteniamo ricorrendo al vocabolario di Papias, che sotto rubeta inserisce oltre alla definizione di «ranae genus», anche la dicitura «bruscus dicit vulgo»: dal lat. volg. bruscus/*broscus ‘rospo’ si sarebbe sviluppato il lat. medievale roscus, che avrebbe dato poi nei volgari italiani rospo (ma in milanese antico si ha ancora brosco, usato da Bonvesin). In effetti la parola zatta indica in vari dialetti lombardi (ma anche emiliani e romagnoli) il rospo, da cui metaforicamente si sarebbe sviluppato anche il significato di ‘zampa’87 e spregiativamente quello di ‘mano’. Sempre sulla base del significato figurato di ‘rospo’ come qualcosa di brutto, deforme e sgraziato, zatta passa anche indicare il cantalupo, il pungitopo, o, più in generale, qualsiasi erba dall’aspetto aggrovigliato e informe (indicativo il fatto che anche la forma derivata da bruscus subisca tale trafila semantica, ad esempio nel veneto brosco ‘pungitopo’). Rimane da spiegare la forma zato, chiaramente maschile nel nostro glossario, che possiamo ricondurre a forme come zatt (cremonese) o satt (milanese), le quali potrebbero avec favorito una rianalisi del genere.

  • 88 Si veda M. Ponza, Vocabolario Piemontese-Italiano, 3 vol. Torino, Stamperia Reale, 1832, 3, s. v.
  • 89 C. Marcato, Il Veneto, I dialetti italiani. Storia, struttura, uso, ed. M. Cortelazzo, C. Marcato, (...)

64Sembra rimandare all’area piemontese88 la parola scopello, che traduce il latino caelum ‘bulino, punteruolo, strumento per cesellare’. Nei dialetti lombardi scopello indicherebbe una piccola scopa o una spazzola. Siamo però sicuri che nel glossario scopello rimandi a un arnese per scolpire (quindi a scalpello), poiché la parola celum è seguita poi da «celo as i (d est) sculpo». In effetti la velarizzazione della a seguita da laterale preconsonantica produce l’esito /ɔ/ nel Piemonte meridionale e occidentale, ma anticamente anche in alcune varietà venete89, mentre nei dialetti lombardi la laterale dovrebbe essere conservata (ci aspetteremmo quindi scolpello). Di diffusione piuttosto ampia è invece sapino ‘attrezzo a punta ricurva usato per sarchiare’, attestato nei dialetti piemontesi, ma anche lombardi.

I saggi di traduzione

65Alle cc. 89v-90r il manoscritto accoglie sei brevi testi in volgare seguiti dalla rispettiva traduzione latina. I sei brani sembrano ispirati al genere epistolare. L’emittente si esprime in prima persona rivolgendosi a un interlocutore, cui è riconosciuto un primato morale e nei confronti del quale si esprime una profonda deferenza.

  • 90 Si cita da G. Valagussa, Flosculi epistolarum Ciceronis. Lingua vernacula expositi, Venetiis, Comin (...)

66Nonostante compaiano prima, i testi in volgare sono in realtà esercizi di versione dal latino. Infatti, anche se i brani latini appaiano riformulati in vario modo, alcuni particolari consentono almeno per alcuni di essi di individuare una fonte. Il quarto e il quinto brano riprendono il Cicerone delle Ad Familiares e in particolare l’epistola 1 del primo libro, come si può facilmente dedurre dal riferimento all’ambasciatore etiope di Tolomeo, Ammone. Rispetto al testo ciceroniano il brano latino di G presenta molte differenze, tanto da sembrare una parafrasi infarcita per altro di formule esornative, caratterizzate da una forte amplificatio. Anche il quarto testo presenta una corrispondenza con le lettere ciceroniane e in particolare con la versione elaborata da Giorgio Valagussa nei Flosculi epistolarum Ciceronis (di cui si conosce un incunabolo del 1478 e varie stampe successive)90. Si fornisce la versione di G (in volgare e in latino) e poi quella deiFlosculi:

13.
Tanta è la grandeza de li toy (ser)vitij verso me, che tu may senò finito el facto p(re)ndisti riposo. E p(er)ché mi non so quello medesmo nel facto tuo, sapie che la vita me ricresse (G, c. 90r)
Sono tanti li servitii, che tu me hai fato, che mai non ti sei riposato: sennò compita la mia faccenda. Et perché io non faccio il simile, me rincresse la vita (Valagussa, Flosculi, p. 2)

Tantus eius cumulus est tuorum erga me meritor(um), ne qui tu nisi p(er)fecta a re de me non (con)quiesti. Ego quia non idem in causa tua efficio, vitam mi acerbam e(ss)e putem (G, c. 90r)
Tancta est magnitudo tuorum erga me meritorum, et quia tu nisi mea res perfecta non conquiesci. Ego quidem in causa tua non efficio, vitam mihi acerbam puto (Valagussa, Flosculi, p. 2)

  • 91 Si veda Black, Humanism and Education, p. 353.
  • 92 Sull’importanza delle epistole ciceroniane nell’insegnamento quattrocentesco si rimanda a Grendler, (...)

67Questi esercizi di traduzione testimoniano dunque il ricorso nella scuola medievale a modelli testuali ispirati ai classici della latinità (le epistole ciceroniane, in primo luogo), ma adattati e attualizzati in varia maniera. Di tale produzione abbiamo del resto testimonianza nelle Epistole ad exercitandum di Gasparino Barzizza, ma anche nelle formule epistolari in volgare attribuite a Cristoforo Landino. Quanto affermato da Resta (Giorgio Valagussa umanista, p. 39-40) a proposito dei Flosculi di Valagussa può essere riferito anche agli esercizi di versione riportati in G: si tratta infatti in entrambi i casi di comodi repertori di frasi che «pur essendo latine, potessero risultare utili sia nell’uso della pratica comune sia come strumento degli allievi» e in cui si coglie un’attenzione ugualmente rivolta alla frase volgare che vuole replicare il tenore di quella latina. Queste lettere (in entrambe le versioni) costituiscono veri e propri modelli compositivi cui ispirarsi nelle diverse occasioni, ma sono anche testi ritenuti importanti per il contenuto etico. Nella prassi scolastica questo tipo di compilazioni poteva anche essere usato per esercizi di traduzione dal volgare al latino: sulla base del testo volgare gli apprendenti dovevano produrre infatti una versione latina che poi veniva confrontata con la parafrasi del testo ciceroniano91. Questo esercizio doveva probabilmente concludere il programma di grammatica, alla fine del quale l’attenzione si concentrava sull’ars dictaminis92.

  • 93 Si rimanda a un’altra occasione la trattazione più dettagliata degli altri brani, che richiederebbe (...)

68Passando a considerare lo stile della traduzione, sembra opportuno soffermarsi più nel dettaglio su uno dei sei brani con la rispettiva versione latina93:

14.
Voglio obedir a te in quello che me comandi, p(er)ché cognosco le tue parole esser di grande utilità e honoranza di la propria p(er)sona. De la q(ua)le cosa mi iudico niuna altra dever esser più desiderata i(n) q(ue)sta vita, p(er)ché tutto che l’omo fa over dice debe tendere a fin de honore e de utilità. Farò adoncha como tu ha’dicto p(er) exequire la tua bona voluntà e p(er) aquistare quello che i(n) mi no(n) è trovato al presente (c. 89v)

Mandatis tuis obtemperare volo, qui(a) sermones tuos grandis utilitatis esse cerno honorisque propie p(er)sone. Qua de re huc in vita cognosco nil aliud cupiendum esse, qui(a) o(mn)e id quod vir loquitur sive facit ad finem honoris sive honoris diregere debet. Ut igitur asseruisti agam, ut tuu(m) bonu(m) a(n)i(m)u(m) exequar illuduc acquiram quod nunc in me inventum no(n) e(st) (c. 89v)

69Come si vede, il brano è indirizzato a una seconda persona, di cui si lodano i buoni consigli e l’onestà. L’andamento è di tipo argomentativo e la materia trattata è piuttosto astratta: si nota infatti un generico elogio dell’onestà e dell’utilità, per altro conditi da un ossequioso riconoscimento dell’autorità morale dell’interlocutore. La traduzione è abbastanza libera, come si evince soprattutto a livello lessicale, dove non si notano pigri adattamenti delle parole latine (ad obtemperare corrisponde obedir, a sermones parole, trovato a inventum). Nella sintassi occorre notare innanzitutto il diverso ordine delle parole, rigorosamente lineare (soggetto-verbo-oggetto) nel testo italiano, mentre in quello latino il verbo compare alla fine della proposizione. Si registra la presenza nel testo italiano di pronomi personali soggetto che nel latino vengono invece omessi: è interessante osservare che il pronome impiegato (mi) appare diatopicamente marcato. Le soluzioni participiali (mandatis) del latino trovano riscontro nel testo in volgare in perifrasi relative (in questo che me comandi). Non mancano però strutture latineggianti, come i due costrutti accusativo + infinito (cognosco le tue parole essere di grande utilità, mi iudico niuna altra dever essere più desiderata). Da rilevare anche la corrispondenza della coniunctio relativa con funzione di connettivo interfrasale (De la quale cosa/qua de re).

  • 94 Desmenteghevole aggettivo deverbale da desmentegare ‘dimenticare’ (Glossario degli Antichi Volgari (...)
  • 95 Su questa forma impiegata anche da Bonvesin de la Riva, si veda F. Marri, Glossario al milanese di (...)

70Negli altri testi troviamo un orientamento analogo. Nel lessico si coglie la presenza di alcune forme settentrionali come desmenteghevele94 (c. 89v, per immemorus), zanceri95 (c. 89v, per aliqui nugaces aiunt). Non mancano tuttavia latinismi piuttosto marcati come preterite ‘tralasciate, omesse’ («Non p (re) ndere admiratione s’io ho preterite le promesse facte»).

71Tra i fenomeni morfologici ascrivibili alla koinè lombarda troviamo ancora l’uso del pronome mi soggetto, in corrispondenza di un pronome zero della versione latina:

  • 96 In questo caso il pronome potrebbe essere riflessivo (starsi su l’aviso).

15. mi iudico niuna altra dever esser più desiderata (c. 89v)
in vita cognosco nil aliud cuprendum esse (c. 89v)
mi ricordo che mi cum ogni debito e pietà a tua satisfacio (c. 89v)
reminiscer qui omni officio ac pietate omnibus satisfacio tibi (c. 89v)
mi non son ingrato (c. 89v)
nec ingratus (c. 90r)
Or mi starò su l’aviso (c. 90r)96
ad augurium paratissimus ero (c. 90r)

72Attestato anche mi in funzione di obliquo tonico (ma in questo caso la forma più frequente è me, che riprende anche la versione latina: da me / ex me ecc.):

16. spero che viva di desiderato da mi (c. 89v)

73L’inserzione spontanea del copista/traduttore favorisce dunque il ricorso a una forma locale.

74Da segnalare i vari condizionali in-eria (poteria, deveria); nel futuro si conserva il nesso-ar-. Frequente nei volgari lombardi la forma del comparativo-modale como. Alcuni fenomeni pur riconducibili all’influsso della koinè sembrano in realtà appoggiarsi al dettato latino: è il caso ad esempio del ricorso alla forma suo/sua in riferimento a possessori di numero plurale:

17. Ma habiamo deliberato star a vedere que voleno far li nostri nemici, e havuti indicij di sua serata intentione cavalcaremo, sc(r)iveremo et ogni altro opportuno rimedio faremo i(n)tanto no(n) adi(m)piscano suo desiderio e sua intentione (c. 90r)

75Nel settore dei possessivi trapelano sporadicamente forme tipicamente settentrionali come in li toy (ser)vitij. Maggioritarie sono le forme della tradizione toscana sostenute anche dal modello latino: nel facto tuo, de la causa tua, el tuo aviso, le tue parole, la mia scritura. Come vedremo tale tratto si riscontra anche nella raccolta di sentenze del Quaglia.

76Alla fine delle sei brevi versioni compare una frase in volgare con il suo corrispondente latino, in cui per altro si prospetta un’alternativa introdotta da vel:

18. Io ho ma(n)giato no(n) so que che me dole el ventre.
Nescio quid ego edi quod ventri oneri est vel quod ventrem gravuit. (c. 90v)

77Il puntuale e occasionale inserto costituisce anch’esso un esercizio di versione (mirato però alla resa di una singola frase e pertanto destinato ad apprendenti più giovani). L’aggiunta, che fa il paio con quella posta all’inizio del glossario (non te posso azongere), deve essere probabilmente stata estrapolata da un esercizio di versione più lungo: in effetti la frase si trova insieme con altre dello stesso tenore nel frasario terenziano edito da Grignani – già citato a nota 1, p. 55 – e ricorda inoltre analoghi frasari spesso raccolti insieme ai glossari bilingui (vedi U. Vignuzzi, Il glossario latino-sabino). Questa frase costituisce una delle varie annotazioni di natura eterogenea, ma comunque riconducibili all’attività scolastica, disseminate nel nostro manoscritto. La stratificazione dei materiali registrati nella miscellanea indica come il codice sia stato costantemente compulsato e arricchito di testi, che talvolta assumono la forma di disordinati e istantanei appunti.

I proverbi bilingui del quaglia

78Le Sentenze morali accolte nel codice rappresentano la parte in volgare più cospicua e per così dire libera dal condizionamento esercitato dal latino: infatti per quanto i proverbi siano concepiti come trasposizioni di massime latine costituiscono tuttavia un’elaborazione d’autore, che punta a restituire il significato complessivo delle fonti, senza però tradurle alle lettera, quanto piuttosto ad sensum. Nei proverbi in versi è possibile cogliere tuttavia un altro tipo di condizionamento, dato che il nostro testo costituisce la copia di un’opera di ampia circolazione, che dunque può essere confrontata con altre versioni coeve nell’organizzazione generale, nelle varianti di contenuto e nella veste linguistica.

79Prima di analizzare l’opera così come è tràdita dalla nostra miscellanea scolastica proponendone un confronto con l’edizione Narducci (basata sul ms. Vitt. Em. 563, d’ora in poi R), converrà spendere qualche parola sulla sua fisionomia complessiva.

  • 97 Questa massima è molto simile all’ incipit della Dottrina dello Schiavo di Bari (o Detto dello savi (...)

80I cento proverbi furono composti dal Quaglia, probabilmente prima del 1381 (anno in cui il dedicatario Andrea Gambacurti muore) e probabilmente a Pisa, dove il frate esercitò per un periodo la professione di maestro. Sebbene nel testo non figurino sezioni o titoli, sembra che i proverbi siano organizzati per tematica. La prima sentenza, ispirata a un passo biblico tratto da Giacomo, è chiaramente orientata a porre l’opera e in genere la sapienza sotto l’egida divina: «Comenci a Dio chi vole imparare,/El sapere cum reverencia si de’domandare»97. Seguono poi sentenze che insistono sulla preziosità del tempo, sulla nobiltà d’animo, sulla scienza e sullo studio, sui vizi (vino, gioco e lussuria in particolare), sulla discrezione, sull’amicizia e la fiducia, sul modo di relazionarsi agli amici, alla moglie, ai consiglieri, ai servi, ai propri superiori. I proverbi del Quaglia si inseriscono in quella letteratura paremiologica volta a fornire anche un ideale di comportamento.

81Nella nostra ottica assumono particolare importanza alcune sentenze che sembrano far riferimento all’ambiente della scuola. Si tratta di generici inviti a studiare:

19. Considera quanto honore se fa a la gente/Che sano e studiarano legieramente (R, Narducci, 23)
Chi a troppe cose volge l’intelecto,/Non può pigliare del suo studio perfecto (R, Narducci, 24)
Chi vince quello ch’è aspro nel començare/Puo’dolcemente possa studiare (R, Narducci, 25)

82ma anche di sentenze che rinviano concretamente allo scolaro e alla figura del maestro:

20. Al so maestro faça reverencia./Chi vole gustare fructo de sapiencia (R, Narducci, 7)
Chi ode volentiera è bon scolaro,/Pur ch’el se trovi del parlare avaro (R, Narducci, 14)

83Alcune sentenze sembrano far riferimento proprio alla scuola, come evidenziano i passi in (21), dove si fa menzione della parola scola, mentre in (22) si richiamano le scale di un edificio, usate metaforicamente per indicare il difficile raggiungimento della perfezione morale:

21. Intri ne la scola nostra chi uxare/vole cum buoni, e i altri lassi stare (R, Narducci, 13)
Chi siegue el vino, e’l vicio de la gola,/non vegna a imparare a nostra scola (R, Narducci, 15)
22. Vegna da nui chi sofferir bene e male/Vole, perché a honore se va per queste scale. (R, Narducci, 12)

84In realtà le fonti rimandano a Epicuro, ai Salmi e all’Etica di Aristotele: le sentenze latine non fanno dunque riferimento all’ambiente scolastico, ma in modo generico al consesso dei sapienti e a specifici circoli filosofici. Tuttavia è probabile che il Quaglia, nell’indirizzare una serie di precetti in versi al suo dedicatario, abbia voluto sottolineare l’importanza dell’istituzione scolastica nell’educazione dell’individuo, risemantizzando così la schola delle fonti in modo tale da creare nella sua raccolta una sezione mirata a esaltare l’istruzione e il luogo in cui si realizza.

  • 98 Sulle forme brevi come sentenza, proverbio e aforisma si vedano G. Folena, La lingua scorciata. Det (...)

85Da un punto di vista più generale, i versi del Quaglia ripropongono lo stesso andamento sintattico e testuale del genere proverbiale e sentenzioso. Si delineano in particolare due schemi sintattici ricorrenti. Il primo costituito da una frase iussiva al congiuntivo, in cui si esprime un’esortazione, e da una relativa libera, generalmente introdotta dal pronome chi; l’ordine di reggente e subordinata può anche risultare invertito (vedi 20 e 21). Il secondo schema è invece rappresentato da una relativa libera indefinita e da una reggente che veicola un’asserzione generale e atemporale, codificata da un verbo all’indicativo presente (vedi 19). Sono possibili in questo caso altre configurazioni: ad esempio l’asserzione generale può essere circostanziata attraverso proposizioni causali, concessive e condizionali. Il legame implicativo che si realizza anche a livello sintattico oltre che concettuale e la forma metrica a distici rendono queste sentenze particolarmente adatte a essere memorizzate, anche se alcuni casi di enjambement incrinano la struttura perfettamente simmetrica delle sentenze98.

  • 99 Si veda T. Licht, «Erfolgsliteratur in der Kritik. Bonvesins Vita scolastica in Blick des Humaniste (...)

86Coniugando l’intento precettistico all’efficacia mnemonica del verso, l’opera del Quaglia si colloca nel panorama di quelle opere educative medievali che pure conosceranno un’ampia fortuna ancora a Quattrocento inoltrato. Dovendo spiegare la longevità di certa produzione, Licht, a proposito del successo editoriale della Vita Scolastica di Bonvesin, testo tutto latino ma per tematica molto simile a quello del Quaglia, individua tra i fattori decisivi che ne consentirono la diffusione «die leichte Memorierbarkeit durch das Metrum, der klare Aufbau und die Vermittlung von Elementarwissen am Handlauf einfachstes Schemata99». Oltre a tali aspetti, nel caso delle sentenze del Quaglia, avrà giocato un ruolo importante anche l’attenzione alle fonti, che permette di ascrivere la figura dell’autore al preumanesimo cristiano.

87Passando all’analisi della versione delle Sentenze morali tramandata dal nostro manoscritto, occorre premettere che esso contiene soltanto una selezione delle cento sentenze che invece compaiono nell’opera del Quaglia, stabilita dall’edizione del Narducci. In G sono trascritte infatti soltanto cinquantasette sentenze; sono assenti inoltre le fonti latine. L’organizzazione delle sentenze latine e volgari e delle fonti appare diversa: infatti nel nostro codice i versi in volgare precedono quelli latini, mentre non compare il riferimento alle fonti; nel manoscritto Vitt. Em. 563 la versione latina compare per prima ed è poi seguita da quella volgare e dalla fonte biblica o classica della massima. La struttura concepita dal Quaglia era dunque la seguente:

23. Felicem quisquis studii vult tangere metam/regis opem summi petat, hunc reverenter adorans.
Comenci a Dio chi vole imparare,/el sapere cum reverencia si de’domandare. Iacobus (I, 5): Si quis autem vestrum indiget sapientia, postulet a Deo, qui dat omnibus affluentes et non improperat. (R, Narducci, 1)

88Ancora diversamente organizzata appare l’opera nel manoscritto bergamasco studiato da Biadene «Un volgare ‘inedito’», dove le sentenze in latino compaiono nella pagina a fronte.

89Non è possibile stabilire in base a quale criterio sia stata effettuata la selezione dei proverbi e soprattutto se sia attribuibile al nostro copista o risalga all’antigrafo. Si fornisce di seguito la lista dei proverbi di G che coincidono con quelli di R, facendo seguire al numero dell’edizione Narducci il corrispondente proverbio del nostro manoscritto:

1-1, 2-2, 3-3, 4-4, 5-5, 6-6, 7-7, 8-8, 9-9, 10-10, 11-11, 14-12, 15-13, 16-14, 17-15, 18-16, 19-17, 21-18, 22-19, 24-20, 25-21, 26-22, 27-23, 28-24, 30-25, 31-26, 32-27, 34-28, 35-29, 36-30, 37-31, 38-32, 39-33, 41-34, 43-35, 44-36, 45-37, 48-38, 49-39, 51-40, 52-41, 57-42, 63-43, 65-44, 70-45, 72-46, 75-47, 77-48, 79-49, 81-50, 84-51, 87-52, 88-53, 96-54, 97-55

90Non compaiono nella nostra raccolta i proverbi 12, 13, 20, 23, 29, 33, 40, 42, 46, 47, 50, 53-56, 58-62, 64, 66-69, 71, 73, 74, 76, 78, 80, 82, 83, 85, 86, 89-95, 98-100. Sembrano aggiunti invece i proverbi 56 e 57, che recitano rispettivamente:

24. Quello è savio e vede i · ben lume/ a chi delecta e piase i bey costume Ille vir est sapiens et puro lume cernit/ cui pulcri mores et via munda placet (c. 27r)
25. Chi à rogna e sovente no la gratta/ fa contra natura e peccato n’acatta Nature reus est et vendicat inde reatu(m)/ si quis habet scabiem ne scabit ille sibi (c. 27r)

  • 100 Questi sono i passi: A fure domestico quisquis cavet/is plures oculos quam Argus habet (c. 23r); An (...)
  • 101 F. Novati, «Le serie alfabetiche proverbiali e gli alfabeti disposti nella letteratura italiana de’ (...)
  • 102 Novati, «Le serie alfabetiche. I», p. 134. Il proverbio è registrato anche in G. Giusti Raccolta di (...)

91Se il proverbio in (24) rientra perfettamente nel tenore complessivo dell’opera del Quaglia, la presenza del proverbio sulla rogna (25) lascia un po’perplessi, perché non sembra poter essere riconducibile a un insegnamento morale, né tanto meno poter essere indirizzato al figlio di un potente governatore. Del resto, l’acrostico elaborato dal Quaglia non lascia dubbi sulla fisionomia originaria dell’opera. Inoltre le raccolte di sentenze sono un genere particolarmente adatto a essere ampliato, interpolato e arricchito. In effetti anche all’inizio del testo troviamo altre tre sentenze, soltanto in latino, che non compaiono nel testo del Quaglia100. Occorre inoltre ricordare che molti di queste sentenze dovevano circolare autonomamente nelle serie alfabetiche proverbiali che si riscontrano in vari manoscritti e di cui Novati101 ha fornito l’edizione secondo gli esemplari conservati nel codice della Biblioteca Universitaria di Bologna 2070 (ff. 1r-10v) e nel ms. della Biblioteca Ambrosiana N 95 sup. (ff. 40r-46r). Proprio nel manoscritto ambrosiano, composto dal milanese Andrea Cignardi negli anni trenta del Quattrocento e latore di testi di diversa ispirazione, troviamo il proverbio sulla rogna: «Chi à rogna e no la grata gran pecato n’acata102». In assenza di altri riscontri, questo dato potrebbe costituire un altro segnale che rende probabile l’appartenenza del nostro codice al territorio milanese.

92Le innovazioni presenti nel testo tràdito da G non si limitano all’aggiunta di qualche proverbio e alla drastica riduzione delle sentenze, ma investono anche la forma linguistica e il contenuto delle sentenze volgari, pur se raramente, come vedremo, in maniera sostanziale.

Varianti e innovazioni

93Dal confronto tra R e G è possibile isolare alcune varianti. Talvolta quelle di G appaiono migliorative, il che fa presumere che il testimone R, per quanto più completo e vicino al disegno del Quaglia, contenesse già alcuni errori. Una ricognizione dell’intera tradizione delle sentenze ci permetterebbe di avere un quadro più chiaro, ma dovrebbe considerare anche la fisionomia dei proverbi latini. Rimandando ad altra occasione uno studio mirato alla tradizione delle Sentenze del Quaglia, ci si limiterà di seguito a segnalare alcuni luoghi in cui R e G divergono per poi soffermarsi più dettagliatamente sulla veste linguistica di G.

  • 103 L’edizione del Narducci è stata ricontrollata sul manoscritto, il che ha permesso di sanare alcuni (...)

94Iniziamo dalle divergenze che interessano il senso della sentenza, influendo sulla dimensione concettuale. L’opera del Quaglia esordisce incitando chi è desideroso di studiare a chiedere l’aiuto di Dio. La lezione di G sembra migliore metricamente (l’endecasillabo può essere sanato ipotizzando un’apocope vocalica nei due infiniti), ma soprattutto appare più perspicua dal punto di vista sintattico, poiché satura la reggenza di comenzi (‘inizi a domandare la sapienza a Dio’). I due versi di R103 appaiono infatti irrelati.

26.
Comenci a Dio chi vole imparare/ el sapere cum reverencia si de’adomandare (R, Narducci, 1)

Comenzi a Dio chi vol ben imparare/ la sapienza di bon cor a dimandare (G, c. 23r)

95Il confronto con i proverbi latini non ci è d’aiuto, perché riportano di fatto la stessa divergenza: mentre R reca nel secondo verso «regis opem summi petat, hunc reverenter adorans», G riporta «regis opem summi corde valente petat». In realtà potremmo ipotizzare che R fraintenda una lezione originaria del tipo «comenci a Dio chi vole imparare/ el sapere cum reverencia a domandare», ma anche in questo caso il verso risulterebbe troppo lungo, suggerendo dunque la necessità di supporre un’espressione diversa in sostituzione di cum reverencia.

96In (27) siamo di fronte a un caso di ipermetria della lezione di R: il primo verso potrebbe essere sanato eliminando la sillaba co in cotanto, mentre nel secondo verso l’avverbio molto sembra di troppo. La sostanza della massima non cambia: si afferma infatti la superiorità della sapienza rispetto alla nobiltà di sangue:

27.
Non fa el sangue gentile cotanto nobele,/ com fa el molto sapere fixo e immobile (R, Narducci, 6)

Non fa el sangue gentil tanto nobile/ quanto el sapere fixo e immobile (G, c. 23v)

97L’ipermetria di R in (28) va invece attribuita alla presenza della relativa ch’è modesto, al posto della quale G inserisce invece il semplice aggettivo modesto:

28.
El parlare cortexe col guardare honesto/ son signi certi de l’omo ch’è modesto (R, Narducci, 16)

El parlar cortese col guardar honesto/ son certi segni dell’omo modesto (G, c. 24r)

98In (29) la lezione di G è ipometra, mentre quella di R risponderebbe alla misura dell’endecasillabo se si considerasse l’apocope vocalica in vole e gustare:

29.
Al so maestro faça reverencia,/ chi vole gustare fructo de sapiencia (R, Narducci, 7)

Al su’maestro porti reverentia/ chi vol gustar di sua sapientia (G, c. 23v)

99A convalidare la bontà della lezione di R concorrono la versione latina della sentenza in cui si fa riferimento esplicito al «de se sapientia fructum» e la presenza della stessa formulazione in altri testimoni (vedi Teza, «Le cinquanta cortesie», p. 322).

100In R compaiono a volte chiari errori, facilmente sanabili, come ad esempio la sostituzione di sciençia a senza, che di fatto rende il passo incomprensibile e che possiamo considerare come un errore di lettura:

30.
Non vale a començare chi non continua,/ ché sciencia quello ogni dotrina smenua (R, Narducci, 8)

Non vale a comenzare a chi non continoa/ che senza quello ogna doctrina sminoa (G, c. 23v)

101Anche in (31) R sembra riportare una lezione erronea: la rima identica retrova / retrova altera lievemente il significato della sentenza, che suggerisce appunto la possibilità di recuperare il tempo perduto con uno sforzo e uno studio maggiore (il secondo retrova può essere dunque considerato lectio facilior rispetto a ricovra).

31.
El tempo perdù çama’non se retrova,/ ma per più studio alquanto se retrova (R, Narducci, 3)

Tempo perduto zamay non si ritrova/ ma per più studio alquanto sen ricovra (G, c. 23r)

102In (32) la lezione di R è poco coerente e deriva probabilmente da un errore di ripetizione: il signor del secondo verso reitera quello del primo verso:

32.
Non è signor tereno che no sia/ solo’l signor de maçor signoria (R, Narducci, 57)

Non è signor t(er)reno che non sia/ soto el voler di magior segnoria (G, c. 26r)

103Troviamo inoltre dei casi in cui i due testimoni presentano varianti che dal punto di vista semantico e metrico potrebbero essere entrambe valide:

33.
Perde la robba l’omo zugadore,/ perde’l sapere, e perde il grande honore (R, Narducci, 19)

Perde la roba l’omo zugatore/ perde el sapere, la fama e l’onore (G, c. 24r)

104Il tricolon di G (sapere, fama e onore) convince di più rispetto alla triplice reiterazione del verbo perde che caratterizza R e che altera il parallelismo normalmente rispettato nelle sentenze (che in genere sono biproposizionali). Dalle notizie fornite da Teza («Le cinquanta cortesie», p. 323) possiamo presumere che il verso in questione si fosse corrotto lungo la tradizione: in altri testimoni troviamo infatti «perde il sapere con gran dishonore» (B).

105Una minima variante lessicale si riscontra anche nel caso seguente, dove R legge partir, mentre G riporta perder. Questa volta è però R a mostrare la lezione migliore, dal momento che partir ‘dividere’ traduce alla lettera lo scindi della sentenza latina («Scindi divitiae poterunt, sapientiae numquam»). Inoltre, nel secondo verso il connettivo però con valore conclusivo conferisce al passo maggiore perspicuità: dal momento che i beni materiali possono dividersi (e dunque diminuire), è possibile affermare la superiorità della scienza, che invece una volta conquistata rimane integra:

34.
Partir se può la robba, ma no ’l sapere,/ però più vale sciencia che l’avere (R, Narducci, 11)

Perder se pò la roba e no ’l sapere,/ perché più vale la scientia che l’avere (G, c. 23v)

106Anche in (35) R riporta la lezione migliore, in quanto evita la rima identica presente in G (lui: lui) restituendo così il senso della sentenza di Tolomeo che ne è all’origine («Qui per alios non corrigitur, alii per ipsum corrigentur»):

35.
Se l’om non si corregge per altrui,/ multi altri se correggeran per lui (R, Narducci, 22)

Se l’omo non se coreze per lui/ molti altri se corezeran per luy (G, c. 24v)

107Nel passo in (36) le divergenze tra R e G riguardano sia la sintassi, sia il piano lessicale. In G osserviamo infatti un apparente anacoluto determinato dalla relativa chi è de farli pronto e copioso, che altera la linea sintattica del periodo, determinando una discontinuità referenziale (il soggetto della reggente è infatti civili costumi). In realtà nelle sentenze costruzioni di questo tipo, che possiamo definire “relative assolute”, sono piuttosto frequenti e sembrano anzi tipiche del genere. La lezione di G potrebbe dunque anche essere originaria, mentre la temporale di R, che appare più lineare dal punto di vista sintattico, potrebbe costituire il tentativo di esplicitare il valore semantico temporal-condizionale della relativa ricorrendo a una subordinata di modo finito. Tuttavia quel che consente di supporre la maggiore perspicuità di R è la presenza della collocazione uxar civili costumi che appare maggiormente idiomatica rispetto a farli:

36.
Civili costumi fam l’om generoxo,/Quando d’uxarli è pronto e copioxo (R, Narducci, 5)

Civili costumi fa l’omo generoso/chi è de farli pronto e copioso (G, c. 23v)

108Un errore di G è ravvisabile anche nel passo seguente:

37.
Chi vive sença honore e sença fama,/è como schiuma in l’aqua e fumo in fiama (R, Narducci, 27)

Chi vive senza honor e senza fama/è como spuma in aqua e in foco la fiama (G, c. 24v)

109La sostituzione di foco a fumo nel secondo verso determina un chiasmo sintattico, ma soprattutto altera la doppia analogia istituita tra la mediocrità dell’uomo che vive senza onore e senza fama e la leggera inconsistenza della spuma e del fumo.

110Gli esempi finora discussi consentono di evidenziare due aspetti. Innanzitutto la circolazione autonoma di parti dell’opera, le aggiunte e la decontestualizzazione delle sentenze dalla cornice originariamente prevista dal Quaglia sono indizi di una tradizione piuttosto fluida. Il secondo aspetto di rilievo riguarda la relativa stabilità delle singole sentenze: le varianti riportate costituiscono infatti microvariazioni, imputabili a fattori diversi (e in molti casi accidentali), ma non si producono interpolazioni o riformulazioni consistenti, perché la stessa fisionomia delle sentenze, cioè la loro struttura chiusa suggellata dalla rima, dal parallelismo sintattico e da strategie retoriche come il paragone, rendono la lettera del (micro) testo piuttosto stabile.

La veste linguistica di g

111La nostra miscellanea scolastica presenta varie costanti a livello linguistico, che potrebbero essersi prodotte in un punto qualsiasi della tradizione del testo, ma che potrebbero anche essere attribuite all’attività di copia. Non sembra rilevante ai fini della presente analisi ricostruire la genesi delle varianti linguistiche che caratterizzano G (operazione che presupporrebbe un confronto tra i diversi testimoni esistenti). Interessa invece mettere a foco alcuni aspetti significativi di una varietà linguistica che sappiamo a un certo punto aver circolato nella scuola o comunque in un contesto educativo.

  • 104 Sulle varietà lombarde antiche e sulla situazione offerta dalle testimonianze medievali si vedano a (...)

112Lo spoglio si limiterà ai fatti più significativi104. Nel vocalismo tonico osserviamo una pressoché generalizzata assenza del dittongamento di tipo toscano (bon, cor, omo, scola, mova, sòle, foco, novo). Non si riscontrano casi di metafonesi settentrionale, ma occorre considerare che nomi, aggettivi e pronomi al plurale sono molto rari (abbiamo però un caso di mancata metafonesi in molti). Nel vocalismo atono si riscontrano fenomeni interessanti: le vocali finali sono conservate tranne dopo nasale, liquida e vibrante, cioè negli stessi contesti in cui si procede all’apocope anche nelle altre varietà italoromanze (bon, dolor, zentil, magior). Anche in questi casi tuttavia la vocale può essere conservata: in particolare nella resa degli infiniti si osserva una cospicua oscillazione. Nel trattamento delle vocali atone accanto al mantenimento di e protonica si osservano molti casi di chiusura in protonia sintattica. La chiusura sembra caratterizzare in particolare la preposizione di: di sua sapientia, di quello, di studio, di bon core, di luy, di farti, di magior, di tua moglie; in un caso la chiusura avviene anche nella preposizione articolata (non univerbata) di la gola. Compare tuttavia anche la preposizione de: de farli, de l’intelecto, de luy, de l’amico, de li altri, de promesse, de quelle, de la femina, de viver. Un’analoga oscillazione tra de e di ricorre anche negli esercizi di versione (si veda il punto 14 nel p. 69). Nell’ambito dei pronomi atoni sono maggioritari i casi di mancata chiusura: te sole, te ofende, te sia, te corege, te ofende ecc.; in solo due casi troviamo ti: ti de’, ti mova. Ugualmente per il pronome di III persona singolare registriamo tre casi di si, a fronte del generalizzato se. La chiusura di e protonica è dunque un fenomeno diversamente distribuito a seconda della classe grammaticale della parola in cui compare.

  • 105 Del resto anche nella coeva produzione cancelleresca il fenomeno sembra limitato ad alcune voci, co (...)
  • 106 Come ha evidenziato R. Wilhelm, «Introduzione», Tradizioni testuali e tradizioni linguistiche nella (...)

113Nel consonantismo si registra l’assibilazione dell’affricata prepalatale sorda (piace > piase, ma pace, verace, despiacere); il nesso nasale + affricata prepalatale sorda passa a -nz-(comenzi, cominzare); gli esiti di/j/ e di/g/+ vocale palatale evolvono nell’affricata alveoldentale, che viene resa graficamente con <ç> o più frequentemente con <z> (zugatore, mazor, zamay, zentil, coreze, ma vedi anche gentil, magior, corege). L’affricata prepalatale sorda intensa è resa talvolta con un’affricata alveodentale (picciolo > pizolo). Anche i casi di sonorizzazione delle consonanti intervocaliche sono piuttosto oscillanti: podere, afatigare, ma amico, fatica e l’ibrido zugatore. Non è possibile inoltre cogliere una qualsiasi tendenza nella resa delle consonanti intense, posto che casi di geminazione e scempiamento convivono nella stessa parola (acatta per accatta). Risultano assenti due tratti del lombardo, che però anche nella koinè cancelleresca non appaiono sempre regolari: la palatalizzazione del tipo ciamar/giamar105 non è attestata, così come la palatalizzazione del nesso-ct- (lacce ‘latte’, leccio ‘letto’), al posto del quale si nota il pressoché generalizzato ricorso a grafie latineggianti lecto, intellecto, sospecta106. Non si riscontrano infine tratti in grado di precisare la localizzazione della copia nell’àmbito del dominio lombardo, cioè fenomeni che ci permettano di supporre un’origine bergamasca, bresciana, milanese o comasca del copista e di confermare dunque l’ipotesi di localizzazione emersa dall’analisi del glossario.

  • 107 Sul pronome soggetto nei dialetti settentrionali e in particolare sulla nascita di pronomi soggetto (...)

114Nell’ambito della morfologia rimandano alla koinè settentrionale/padana il pronome soggetto di terza persona el, che coincide con l’articolo determinativo (el ricorre in distribuzione con lo), e un probabile caso di pronome soggetto clitico107: «Chi zovenetto se usa ad alcuno vicio/quando l ’è vechio attende a quel officio» (G, c. 26r). Nel passo il pronome soggetto atono si colloca in una subordinata temporale e non è accompagnato da un pronome soggetto tonico; ancora in una subordinata temporale ma in presenza di altri clitici tuttavia notiamo l’assenza di soggetto (che invece in R compare: el se ne avede): «Non è magior dolor a chi più vede/che perdere el tempo quando Ø se ne avede» (G, c. 23r). In G possiamo dunque osservare un tratto tipicamente lombardo ancora non pienamente assestato: l’oscillazione può essere considerata il prodotto di un sistema in transizione, ma potrebbe anche essere attribuita al tentativo di restituire un sistema di compromesso, per cui il copista si trova di volta in volta a mediare tra spinte locali e l’adeguamento a una varietà sovralocale, in cui i tratti più diatopicamente marcati risultano edulcorati.

115Peculiare a questo proposito è la situazione offerta dai pronomi e dagli aggettivi possessivi: anche in questo caso G mostra una grande oscillazione, ma anche una leggera riduzione delle forme lombarde so, to, soa e toa, soi e toi a favore di forme coincidenti con il toscano, come suo, sua, suoi (sua scientia, sua sapientia). In effetti la forma lombarda ricorre soltanto nelle forme di seconda persona (to fatto, to servicio, to podere, to havere), cioè nelle sentenze che hanno un maggior grado di allocutività e di dialogicità. Si potrebbe pensare che in tali contesti al copista siano sfuggite forme sentite come più colloquiali.

116Nella morfologia verbale si registra un’oscillazione nelle desinenze del congiuntivo: al congiuntivo presente i verbi della prima classe mostrano in un caso la desinenza in-a (si trova) e in -e (si fide, se fide), che sporadicamente sostituiscono la forma in -i. Si nota la mancanza di participi tronchi, che pure compaiono saltuariamente in R: «El tempo perdù çama’non se retrova,/ ma per più studio alquanto se retrova» (R, Narducci, 3) vs «Tempo perduto zamay non si ritrova/ma per più studio alquanto sen ricovra» (G, c. 23r).

  • 108 I. Bonomi, «Cantari profani editi a Milano ai primi del’500: caratteri linguistici», Studi di lingu (...)

117Nell’àmbito della morfologia derivativa un tratto coerente con le varietà lombarde si trova nel nominale deverbale alosenghero e nei verbi agradire e afatigare, dove si osserva il prefisso a-molto frequente in lombardo davanti a verbi108. Da segnalare anche il suffisso di origine provenzale-iero in serviero.

  • 109 Glossario degli antichi volgari italiani, XVI, 7, p. 473.

118Sul piano lessicale i proverbi non paiono particolarmente caratterizzati: non si riscontrano parole connotate da un punto di vista diatopico. È possibile tuttavia ricordare il verbo strabuchare («Sa tu perché strabucha l’omo grande?/ P(er)ché più pizolo di luy sua voce spande», c. 25v). Già attestato nel medio latino, il verbo, con il significato di ‘inciampare, cadere, rovesciarsi’, è ampiamente diffuso nei volgari settentrionali109. La voce è probabilmente da ascrivere allo stesso Quaglia, ma è accolta anche in G proprio perché coerente con il sistema linguistico del copista.

  • 110 Il fenomeno mostra una particolare diffusione nel Quattrocento e tende ad occorrere in proposizioni (...)

119Nella sintassi, oltre ai fenomeni generali segnalati nel paragrafo precedente, vanno rilevate alcune particolarità di G, tra cui il ricorso alla congiunzione comparativa cha («Non è minore sapere a conservare/ cha cum fatica la roba acquistare», c. 26v), che appare particolarmente diffusa nella koinè settentrionale, e i frequenti casi di omissione del che relativo in presenza di un antecedente dimostrativo: «Non te sia tedio se tu voy imp(ar)are/ di quello Ø no (n) say spesso domandare» (c. 23v); «Fa quello Ø tu comandi nel tuo dire/ che questo è il modo di farti obedire» (c. 26r)110.

120Complessivamente la fisionomia linguistica di G aderisce a una koinè settentrionale piuttosto povera di tratti locali circoscritti, ma comunque caratterizzata da una scarsa attenzione rispetto all’omogeneità fonomorfologica del dettato e poco preoccupata della compresenza di tratti diversi (forse ormai non più diatopicamente, ma diafasicamente). La codificazione di alcuni fenomeni sembra più avanzata e omogenea (si pensi all’assenza del dittongamento spontaneo); nella restituzione di altri tratti (sonorizzazione, resa delle consonanti intense, morfologia dei possessivi) sembra invece esservi una tensione più difficilmente armonizzabile tra spinta del volgare materno, prassi grafica e spinta toscanizzante. Tali aspetti determinano un certo tasso di variazione entro un volgare che ha però già edulcorato gli elementi più locali e che sembra costituire una varietà funzionale di circolazione e comprensibilità piuttosto vaste.

Per concludere

121Considerata la fisionomia e il tenore delle testimonianze a noi pervenute, le miscellanee scolastiche medievali celano probabilmente più informazioni e dati di quanti non ne rivelino. La loro analisi risulta complicata dalla natura fattizia di tali manoscritti, dalle circostanze della loro composizione, spesso affidata ad anonimi maestri o agli stessi allievi, nonché dalla scarsità di informazioni circa le loro effettive modalità di fruizione e consultazione. Non fa eccezione il caso del manoscritto G, latore di opere di umanisti minori, di classici latini, di commenti ai salmi e di vari epigrammi e carmina latini, ma anche contenitore di testi rivolti all’educazione linguistica in cui affiorano più o meno sostanziosi inserti in volgare. Vari indizi permettono di ricondurre il codice all’ambiente umiliato milanese, ma non è possibile definire con più precisione i tempi e il contesto di produzione dei materiali scolastici. Il contenuto di questi testi risulta coerente con la fisionomia del programma di grammatica nella sua fase più avanzata, che prevedeva la lettura di autori latini (per la quale il glossario doveva costituire un importante ausilio) e l’acquisizione di competenze compositive, svolte sulla base di modelli ad hoc (costituiti per lo più dall’epistolografia latina). Meno inquadrabili in un preciso livello dell’apprendimento sono i proverbi bilingui del Quaglia, che testimoniano tuttavia una tendenza di lungo corso nell’educazione linguistica, se pensiamo che ancora nell’Ottocento gli strumenti didattici impiegano proverbi e sentenze come veicolo di modelli espressivi e norme comportamentali.

122Al di là della collocazione di questi testi nell’insegnamento del latino, la miscellanea ha consentito di isolare e discutere tre aspetti dell’uso del volgare nella prassi scolastica tardomedievale. Quella del volgare è una presenza certamente discreta e subordinata all’acquisizione del latino, ma tuttavia degna di essere considerata da diversi punti di vista.

123In primo luogo, pur nell’asistematicità delle annotazioni volgari al glossario, si conferma lo statuto di lingua veicolare assunto dal volgare nell’insegnamento del latino: nella pratica glossatoria le riformulazioni e le parafrasi latine sono sufficienti a definire il lessico astratto, letterario e scientifico, ma si rivelano inadeguate rispetto a termini più concreti, relativi a oggetti della vita quotidiana. Affioramenti lessicali di questo tipo possono fornire importanti acquisizioni per una migliore conoscenza del lessico concreto degli antichi volgari italiani.

124Un secondo aspetto che si è cercato di mettere in luce è l’opportunità di considerare gli strumenti dell’educazione linguistica medievale in senso ampio, nel rispetto della mentalità e dell’assetto culturale dell’epoca: l’apprendimento del latino e del volgare attinge spesso a materiali disparati o che a prima vista saremmo portati a includere in categorie come quella di letteratura morale, gnomica, didattica. Nel Medioevo, come in ogni periodo, l’alfabetizzazione elementare e avanzata non può essere disgiunta dal sistema di valori etici, religiosi e civili di una determinata società. Significativa in tal senso è la produzione paremiologica medievale, che doveva funzionare come materiale di corredo nell’insegnamento del latino e del volgare. Le Sentenze del Quaglia, di cui altri testimoni manoscritti consentono di osservare l’attualizzazione in senso scolastico, costituiscono un momento di incontro tra sapienza e moralità, come evidenzia alla perfezione il primo distico «cominci a Dio chi vuol ben imparare la sapienza a dimandare». La presenza di un testo di questo tipo in una miscellanea scolastica tardoquattrocentesca mostra la persistenza nella prassi scolastica di materiali trecenteschi, cui si affiancano i nuovi prodotti della scuola umanista (le parafrasi epistolari). Queste due tipologie testuali sono accomunate tuttavia da uno stesso principio ispiratore: la versificazione latina e volgare del Quaglia coniuga all’attenzione all’eredità classica la volontà di evidenziare l’autonomia delle strutture volgari. Alle sentenze latine sono infatti accostati distici volgari che paiono formulati quasi in maniera indipendente. Le parafrasi delle lettere ciceroniane propongono una traduzione piuttosto libera, cosciente delle diverse strutture del volgare e del latino. Certo, si tratta di esercizi per la scuola, ma alcune tendenze traduttive mostrano la volontà di superare la traduzione ad litteram in favore di soluzioni maggiormente rispettose delle specificità sintattiche e lessicali delle due varietà in gioco.

125L’ultimo tema che si è creduto poter discutere sulla scorta dei materiali offerti dalla miscellanea scolastica esaminata riguarda più da vicino la fisionomia del volgare impiegato. L’assenza di una sottoscrizione, nonché l’alternarsi di numerose mani, non permette di stabilire con sicurezza in quale città i materiali didattici raccolti nel manoscritto furono prodotti e consultati. In realtà sapere se i vari copisti fossero bresciani, milanesi, comaschi o bergamaschi non costituisce poi un’informazione così dirimente e di primaria importanza: è chiaro che se guardiamo a queste fonti con un interesse di ricostruzione dialettale, non possiamo rimanere che insoddisfatti. Occorre invece saper cogliere in questi materiali il riflesso di contatti sovramunicipali, ma anche dell’affermarsi di un registro idoneo alla comunicazione e alla prassi scolastica. L’analisi di queste testimonianze, per quanto non primariamente rivolte alla riflessione grammaticale e metalinguistica sul volgare, costituisce un punto d’osservazione privilegiato per la descrizione dei vari stadi del processo di koinezzazione, che a partire dal confronto tra più materiali (relativi all’ambiente cancelleresco, diplomatico, dell’indottrinamento religioso ecc.) potrebbe restituire un quadro fedele e articolato dello spazio linguistico medievale e del costituirsi di varietà capaci di coprire un’ampia gamma di impieghi funzionali e con cui un sempre maggior numero di parlanti poteva entrare in contatto.

Haut de page

Notes

1 C. Marazzini, «Per lo studio dell’educazione linguistica nella scuola italiana prima dell’Unità», Rivista Italiana di Dialettologia, 9, p. 69-88 (p. 71).

2 Per un panorama dell’insegnamento scolastico nel Medioevo e dell’organizzazione dei vari curricula formativi si vedano G. Manacorda, Storia della scuola in Italia, I, Il Medioevo, Milano-Palermo-Napoli, Sandron, 1914; E. Garin, Il pensiero pedagogico dell’Umanesimo, Firenze, Giuntine-Sansoni, 1958; P. F. Grendler, La scuola nel Rinascimento italiano, trad. it. di G. Annibaldi, Roma-Bari, Laterza, 1991 (ed. or. Schooling in Renaissance Italy: Literacy and Learning, 1300-1600, Baltimore-London, Johns Hopkins University Press, 1991); G. Ortalli, Scuole, maestri e istruzione di base tra Medioevo e Rinascimento. Il caso veneziano, Vicenza, Neri Pozza, 1993; R. Black, Humanism and Education in Medieval and Renaissance Italy: Tradition and Innovation in Latin Schools from the Twelfth to the Fifteenth Century, Cambridge, Cambridge University Press, 2001. In una prospettiva storico-linguistica si rimanda ai profili in R. Casapullo, Il Medioevo, Bologna, il Mulino, 1999 (p. 93-101) e a N. De Blasi, «L’italiano nella scuola», Storia della lingua italiana, I, I luoghi della codificazione, ed. L. Serianni e P. Trifone, Torino, Einaudi, 1994, p. 383-423.

3 Sugli strumenti di prima alfabetizzazione si veda P. Lucchi, «La santacroce, il salterio e il babuino. Libri per imparare a leggere nel primo secolo della stampa», in Alfabetismo e cultura scritta, ed. A. Bartoli Langeli e A. Petrucci, Quaderni storici, XIII, 2, 1978, p. 593-630, e Grendler, La scuola nel Rinascimento, p. 156-176.

4 Per la situazione relativa ai libri di lettura in volgare si veda quanto affermato da Grendler, La scuola nel Rinascimento, p. 298 in riferimento all’insegnamento del volgare nelle scuole del Cinquecento: «i testi scolastici erano i libri della cultura volgare adulta […] Questi libri migravano dalla casa alla scuola. Durante l’espansione scolastica della seconda metà del Trecento i maestri avevano bisogno di libri di testo. Ma opere in volgare scritte specificamente per la scuola non esistevano. Per risolvere il problema i genitori davano ai figli un libro o due di casa da portare a scuola. Oppure il maestro portava una copia sua. In entrambi i casi la scuola trovò i suoi testi nella cultura volgare adulta».

5 Casapullo, «Il Medioevo», p. 93.

6 Si vedano in particolare i trattati grammaticali di area probabilmente lombarda o nordemiliana esaminati da M. Milani, «Apprendere il latino attraverso il volgare: trattati grammaticali inediti del secolo XV conservati presso la Biblioteca Corsiniana», Studi di Grammatica Italiana, XXIX-XXX, 2010-2011 [ma 2013], p. 36-51.

7 Se nelle testimonianze duecentesche, il volgare non «riscuoteva attenzione metalinguistica», come osserva De Blasi, «L’italiano nella scuola», p. 383, nei due secoli successivi, e in particolare nel XV secolo, la trattazione della grammatica latina si accompagna sempre più spesso a riflessioni sulle strutture del volgare.

8 Si pensi in particolare a come le donne e i ceti sociali più bassi potevano avvicinarsi all’alfabetizzazione. D. Balestracci, Cilastro che sapeva leggere: alfabetizzazione e istruzione nelle campagne toscane alla fine del Medioevo, XIV-XVI secolo, Pisa, Pacini, 2004, e M. L. Miglio, Governare l’alfabeto: donne, strutture e libri nel Medioevo, Roma, Viella, 2008.

9 Per una panoramica generale sulla storia della pedagogia si rimanda a W. Böhm, Storia della pedagogia. Da Platone ai nostri giorni, Roma, Armando, 2007.

10 Garin, Il pensiero pedagogico, p. XVI-XVII.

11 Sulla circolazione nelle scuole medievali e umanistiche di questo tipo di produzione – la cosiddetta latinitas minor, che comprendeva anche l’Ilias latina, Prudenzio e autori non classici come Bonvesin da la Riva ed Enrico da Settimiello – si vedano, fra gli altri, Garin, Il pensiero pedagogico, p. 91-104, e Black, Humanism and Education, p. 225-269. Sulla tradizione volgare degli Ianua, cioè sul progressivo ingresso di parafrasi in volgare, si veda F. Ciccolella, Donati Greci: Learning Greek in the Renaissance, Leiden, Koninklijke, 2008, p. 44-47. Non è chiaro se i donati volgari fossero impiegati dagli allievi o se costituissero piuttosto un ausilio alla spiegazione dei maestri (Lucchi, «La santacroce», p. 601).

12 Alcuni codici latori dei Disticha Catonis e degli Ianua recano traccia diretta di una fruizione scolastica. È il caso del manoscritto Beinecke 750, descritto da K. Hoyle, «A Child’s Book and Its Readers in Renaissance Italy: The Annotations in a Latin Primer (MS 750)», Yale University Library Gazette, 67, 1/2, 1992, p. 21-26. Nel codice, databile al XIV secolo e forse originario della Toscana, si susseguono infatti varie annotazioni di scolari alle prime armi, che si cimentano nell’esecuzione della loro firma, ma anche brevi interventi in volgare (quasi scambi epistolari) di genitori e di maestri. Di particolare interesse è inoltre la presenza nel primo foglio di guardia del manoscritto di un Planctus Mariae in volgare, che sembra confermare come nei primi livelli dell’istruzione gli studenti avessero accesso anche alla lettura di testi in volgare; Hoyle ipotizza infatti che «a student who is studying this Latin grammar is also either studying, memorizing, or even partecipating in a scene of a vernacular passion play that his class might perform» (Holey, «A Child’s Book», p. 24).

13 Citato da R. Black e G. Pomaro, La consolazione della Filosofia nel Medioevo e nel Rinascimento italiano, Firenze, Sismel-Edizioni del Galluzzo, 2000, p. 3.

14 Pseudo-Boèce, De disciplina scolarium, ed. O. Weijers, Leiden-Köln, Brill, 1976. Sulla fortuna di Boezio nella scuola medievale e umanistica si rinvia a Black e Pomaro, La consolazione, che conducono un’approfondita ricognizione dei manoscritti fiorentini latori dell’opera.

15 Non mancano però esemplari duecenteschi, come i 240 proverbi di Garzo dall’Incisa, ordinati in gruppi di dodici in base alla lettera iniziale. Si veda per il testo G. Contini, Poeti del Duecento, Milano-Napoli, Ricciardi, 1960, vol. 1, p. 296-313.

16 F. Novati, «Le serie alfabetiche proverbiali e gli alfabeti disposti nella letteratura italiana de’primi tre secoli», Giornale storico della letteratura italiana, (I), 15, 1890, p. 337-401, (II), 18, 1891, p. 104-147, (III), 54, p. 36-58, (IV), 55, p. 266-308. Per un quadro d’insieme sulle varie declinazioni della letteratura proverbiale medievale si veda A. D’Agostino, «Letteratura di proverbi e letteratura con proverbi nell’Italia medievale», Tradition des proverbes et des exempla dans l’Occident médiéval, Colloque fribourgeois 2007, ed. H. O. Bizzarri e M. Rohde, Berlin-New York, de Gruyter, 2009, p. 105-129.

17 Novati, «Le serie alfabetiche», I, p. 397.

18 P. De Paolis, «I codici miscellanei grammaticali altomedievali. Caratteristiche, funzione, destinazione», Il codice miscellaneo. Tipologie e funzioni, Atti del Convegno internazionale, Cassino 14-17 maggio 2003, ed. E. Crisci e O. Pecere, Cassino, Edizioni Università di Cassino, 2004 (= Segno e testo, 2, 2004), p. 183-211 (p. 184).

19 Si veda lo studio di Black, Humanism and Education, p. 225-270.

20 Ovviamente troviamo esempi di miscellanee scolastiche anche in altre aree: si pensi allo zibaldone del velletrano Domenico Gallinella, allievo di Antonio Mancinelli, che raccoglie stralci e appunti delle lezioni del maestro, nonché un glossario latino velletrano; quest’ultimo è edito da V. Giuliani, Il glossario inedito di Domenico Gallinella (Velletri, 1486), Roma, Aracne, 2010. Ma si ricordi anche il codice sabino Vitt. Em. 587, parzialmente edito da U. Vignuzzi, Il Glossario latino-sabino di ser Iacopo Ursello da Roccantica, Perugia, Università per Stranieri, 1984.

21 Per un quadro complessivo delle istituzioni scolastiche nel Medioevo e nel primo Rinascimento si veda Ortalli, Scuole, maestri e istruzione.

22 G. Gasca Queirazza, Documenti di antico volgare in Piemonte, vol. 3, Frammenti vari di una miscellanea grammaticale di Biella, Torino, Bottega d’Erasmo, 1966.

23 Il codice contiene le glosse al Donato (o Dottrinale) di Mayfredo di Belmonte, proverbi e sentenze, temi di traduzione, l’inizio di una Passione, una lista di verbi.

24 M. C. Ferrari, «Una miscellanea scolastica del secolo XV della Biblioteca Marciana di Venezia (cod. Lat. XIV. 335)», Atti del Reale Istituto di scienze, lettere ed arti, 95, 1935-1936, p. 671-681.

25 G. Manacorda, «Un testo di grammatica latino-veneta del sec. XIII», Atti della Reale Accademia delle Scienze di Torino, 49, 1913-1914, p. 689-698.

26 A. Stussi, «Esercizi di traduzione trevigiani del secolo XIV», Italia Dialettale, 31, 1968, p. 24-29.

27 R. Gualdo, «Dal papa allo strazarolo: un inedito glossario latino-veneto (1450)», Studi Linguistici Italiani, 23, 2, 1997, p. 180-217.

28 A. Schiaffini, «Esercizi di versione dal volgare friulano in latino nel secolo XIV in una scuola notarile cividalese», Rivista della Società Filologica Friulana, 3, 1968, p. 87-117.

29 J. E. Lorck, Altbergamaskische Sprachdenkmäler (IX. -XV. Jahrhundert), Halle, Niemeyer, 1893.

30 G. Contini, «Reliquie volgari della scuola bergamasca dell’Umanesimo», Italia Dialettale, X, 1934, p. 223-240. Si veda anche L. Biadene, «Un ‘volgare’ inedito di Bonvesin da la Riva e il codice che lo contiene», Miscellanea di studi critici in onore di V. Crescini, Cividale, Fratelli Stagni, 1910, p. 1-32, e R. Sabbadini, «Frammento di grammatica bergamasca», Studi Medievali, 1, 1904-1905, p. 281-292.

31 M. A. Grignani, «Esercizi di trasposizione da Terenzio in volgare cremasco del secolo XV», Archivio Glottologico Italiano, 72, 1987, p. 82-140. Il testo è conservato presso la Biblioteca Governativa di Cremona (Fondo Civico A a 2.50). Vi sono contenuti l’Ars poetica di Orazio, il De disciplina scholarium dello Pseudo-Boezio, un frasario terenziano, di cui Grignani fornisce l’edizione, esercizi di traduzione da Cicerone, un trattato etico, una trattazione ortografica e due testi del Barzizza (Epistole e il De doctrina punctandi). Allestita da Giovan Marco Cerioli, allievo di Bettino da Pandino (che per un periodo insegnò a Crema), la miscellanea costituisce un documento prodotto nell’ambito delle scuole lombarde di derivazione barzizziana.

32 Sul ruolo svolto dalla scuola nella diffusione e nell’assestamento di forme di koinè si vedano Marazzini, «Per lo studio», p. 71-73, C. Marazzini, L’ordine delle parole. Storia di vocabolari italiani, Bologna, il Mulino, 2009, p. 44-47, e A. D’Agostino, «Antichi glossari latino-bergamaschi», Studi di lingua e letteratura lombarda offerti a Maurizio Vitale, 2 vol. Pisa, Giardini, 1983, I, p. 79-111, che parla di koinè padana in riferimento a un glossario latino bergamasco (tardo trecentesco) e ad altri materiali bilingui contenuti nel trattatello Regule verborum personalium, conservati nella Biblioteca Angelo Mai di Bergamo. Vedi anche P. Trovato, Il primo Cinquecento, Bologna, il Mulino, 1994, p. 19-32 per la situazione relativa al primo Cinquecento. Sul problema dell’esistenza di una koinè settentrionale prima del XV secolo si rimanda alle osservazioni in R. Coluccia, «Koinè», Enciclopedia dell’italiano, ed. R. Simone con la collaborazione di G. Berruto e P. D’Achille, Roma, Istituto dell’Enciclopedia, 2010, I, p. 738-741.

33 Si vedano le osservazioni di Marazzini, «Per lo studio», p. 72: «si potrebbe pensare a una sorta di “parlar finito” ante litteram, nel quale un italiano “comune” (in questo caso non coltivato assolutamente di per sé stesso e in nome dei suoi propri valori) era usato per trattare argomenti di cultura e di istruzione»; e di Gualdo, «Dal papa allo strazarolo», p. 191, secondo il quale le forme di koinè sovraregionale, «testimonianza […] d’una rivendicazione già quattrocentesca delle “periferie” a partecipare all’elaborazione della lingua comune», poterono evolversi in mescolanze toscano-regionali, costituendo dunque una varietà volgare scritta alternativa al toscano letterario.

34 A. Tamburini, Inventario dei manoscritti della biblioteca universitaria di Genova, XI, Genova, 1958, p. 1514-1515. Si veda anche la descrizione presente in Manus online, http://manus.iccu.sbn.it/opac_SchedaScheda.php?ID=163256.

35 Sono presenti i libri e le epistole seguenti: IV, 26; V, 21, 15, 11, 12, 14, 16-20; VI, 1-4, 6-34; VII, 1-33; IX, 1, 2, 6, 7, 9, 12, 17, 21, 24, 25, 30-32, 3-5, 8, 10, 11, 13-15, 18-20, 22, 23, 26-29, 33-40.

36 A. Piacentini, «Una polemica umanistica sul greco: la posizione di Cristoforo da Fano», Italia medioevale e umanistica, 47, 2006, p. 193-225.

37 A. Piacentini, «Una satyrula di Cristoforo da Fano al giureconsulto Giovanni da Sale», Ævum, 81, 2, 2007, p. 559-592.

38 Vi figurano infatti soltanto 8 delle 11 satyrulae composte dal Fanense.

39 Per la descrizione del codice si rimanda alla scheda presente nel catalogo della collezione Beinecke: http://0-hdl-handle-net.catalogue.libraries.london.ac.uk/10079/bibid/9811772.

40 Piacentini, «Una polemica umanistica», p. 210.

41 Per gli incipit e gli explicit di questi testi Piacentini, «Una polemica umanistica», p. 212.

42 Un profilo della vita e delle opere del Toscano è in R. Weiss, «Un umanista e curiale del Quattrocento: Giovanne Alvise Toscani», Rivista di Storia della Chiesa in Italia, 12, 3, 1958, p. 322-333.

43 Di rilievo fu anche la sua collaborazione con l’ambiente tipografico romano: promosse e curò infatti l’edizione di testi di diritto canonico e civile, fra i quali in particolare si ricorda lo Speculum iudiciale del Duranti, nonché di opere latine (De grammaticis et rhetoribus di Svetonio) e di umanisti coevi (Paradoxa in Iuvenalem di Cneo Angelo Sabino).

44 Sulla scorta di G. Resta, Giorgio Valagussa: un umanista del Quattrocento, Padova, Antenore, 1964, p. 206, Carla Maria Monti segnala un carme dedicato da Giovanni Luigi Toscano a Cristoforo da Fano. C. M. Monti, «Dittico goliardico Pavese», in Margarita amicorum. Studi di cultura europea per Augusto Sottili, 2 vol., ed. F. Forner, C. M. Monti, P. G. Schmidt, Milano, Vita e Pensiero, p. 787-802 (p. 788).

45 Resta, Giorgio Valagussa: un umanista, p. 295-296.

46 Oltre alle notizie biografiche in Piacentini, «Una polemica umanistica», p. 204-207, e A. Piacentini, «Cristoforo da Fano frate umiliato e poeta», Profili di umanisti bresciani, ed. C. M. Monti, Travagliato-Brescia, Edizioni Torre d’Ercole, 2012, p. 1-76, si veda anche G. Andenna, «Santuari e difesa dei confini politici e religiosi. Il caso lombardo tra Medioevo e prima età moderna: Caravaggio e Tirano», I santuari cristiani d’Italia. Bilancio del censimento e proposte interpretative, ed. A. Vauchez, Roma, École française de Rome, p. 269-297 (p. 276-277), che riferisce sul ruolo svolto dal frate nella questione dell’apparizione mariana di Caravaggio, paese vicino a Santa Maria di Fornovo, nella cui domus umiliata Cristoforo visse intorno al 1432. Sicuramente Cristoforo da Fano svolse la propria attività anche nelle domus di Monza, Brescia e Milano.

47 Proprio all’Ubaldini Cristoforo da Fano dedicherà Fabellae esopiche in distici elegiaci. Piacentini, «Una satyrula», p. 206, e M. Zaggia, «Linee per una storia della cultura in Lombardia dall’età di Coluccio Salutati a quella del Valla», Le strade di Ercole: itinerari umanistici e altri percorsi, ed. L. C. Rossi, Firenze, Sismel-Edizioni del Galluzzo, 2010, p. 3-125 (p. 103).

48 D. Cortese, «Giovanni di Genesio Quaia di Parma e la sua attività padovana», Il Santo, 23, 1983, p. 313-322.

49 E. Narducci, «Sentenze morali ridotte in versi latini ed italiani da Fr. Gio: Genesio da Parma», in Miscellanea francescana di storia, di lettere e di arti, 3, 5, 1888, p. 129-139.

50 E. Levi, «Il codice Ghinassi di rime antiche», Il libro e la stampa, 2, 6, 1908, p. 157-168.

51 Si veda Biadene, «Un volgare ‘inedito’».

52 Bonvesin da la Riva, Expositiones Catonis. Saggio di ricostruzione critica, ed. C. Beretta, Pisa, Scuola Normale Superiore, 2000.

53 Ricavo queste informazioni da B. Bentivogli, «Il manoscritto Silvestriano 289 dell’Accademia dei Concordi di Rovigo», Studi e problemi di critica testuale, 35, 1987, p. 27-90 e dal repertorio di autori francescani pubblicato nel sito http://users.bart.nl/~roestb/franciscan/index.htm, curato da Bert Roest e Maarten van der Heijden.

54 Il manoscritto contiene circa trenta proverbi ed è stato edito da A. Zonghi, Saggio di sentenze latine trasportate in poesia volgare da Giovanni di Ginesio di Quaglia da Parma dell’ordine de’Minori, Fabriano, Tip. di G. Crocetti, 1879.

55 Il codice, databile alla seconda metà del XV secolo, è stato descritto e parzialmente edito da Bentivogli, «Il manoscritto Silvestriano 289». Contiene 26 proverbi del Quaglia.

56 Le sentenze circolarono anche nel Cinquecento: Teza individua infatti un’edizione stampata a Milano da Valerio e Girolamo fratelli de Meda, attivi tra il 1550 e il 1577. E. Teza, «Le cinquanta cortesie della tavola insegnate da Fra Buonvicino da Legnano», Atti e memorie dell’Accademia patavina di scienze, arti e lettere, 16, 1900, p. 311-323.

57 Il nostro glossario sembra dunque avvicinarsi a quegli esemplari «privi di una solida coesione interna» di cui M. Arcangeli, «La tradizione dei glossari latino-volgari (con un glossarietto inedito)», Contributi di Filologia dell’Italia Mediana, 6, 1992, p. 193-209, p. 202, portava a esempio il glossarietto contenuto a c. 185 del codice 1291 della Biblioteca Universitaria di Padova. In questo caso tuttavia le voci sono almeno ripartite per genere grammaticale. Sui glossari medievali circolanti in Italia si vedano G. Tancke, Die italienischen Wörterbücher von den Anfängen bis zum Erscheinen des Vocabolario degli Accademici della Crusca (1612). Bestandsaufnahme und Analyse, Tübingen, Niemeyer, 1984, p. 13-20; V. Della Valle, «La lessicografia», Storia della lingua italiana, I, I luoghi della codificazione, ed. L. Serianni e P. Trifone, Torino, Einaudi, 1994, p. 29-91 (p. 29-31); C. Marazzini, L’ordine delle parole, p. 23-36. Sui glossari bilingui: A. Marinoni, «Vocaboli volgari da un glossario latino di Bartolomeo Sachella», Saggi e ricerche in memoria di Ettore Li Gotti, Palermo, Centro di Studi Filologici e Linguistici Siciliani, 1962, p. 226-259; M. Arcangeli, Il glossario quattrocentesco latino-volgare della Biblioteca universitaria di Padova (Ms. 1329), Firenze, Accademia della Crusca, 1994; I. Baldelli, Medioevo volgare da Montecassino all’Umbria, Bari, Adriatica, 1971 (p. 195-238), e I. Baldelli, «L’edizione dei glossari latino-volgari dal secolo XIII al XV», Id., Conti, glosse e riscritture, dal secolo XI al secolo XX, Napoli, Morano, 1988, p. 148-158; M. T. Navarro Salazar, «Un glossario latino-eugubino del Trecento», Studi di lessicografia italiana, 7, 1985, p. 21-155; U. Vignuzzi, Il glossario latino-sabino; C. Pignatelli, «Vocabula magistri Gori de Aretio», Annali aretini, III, 1995, p. 273-339; C. Pignatelli, «Vocabula magistri Dominici de Aretio», Annali aretini, VI, 1998, p. 35-166; L. Vignali, «Un glossario latino-volgare quattrocentesco e il Vocabolarium breve di Gasparino Barzizza», Studi di storia della lingua italiana offerti a Ghino Ghinassi, ed. P. Bongrani, A. Dardi, M. Fanfani, R. Tesi, Firenze, Le Lettere, 2001, p. 3-87; A. Bocchi, «L’edizione di un glossario latino-volgare ad attestazione plurima», Filologia italiana, 2, 2005, p. 105-135. Per il primo vocabolario italiano, cioè dotato di voci volgare in esponente, Nicodemo Tranchedini, Vocabolario italiano-latino. Edizione del primo lessico del volgare. Secolo XV, ed. F. Pelle, Firenze, Olschki, 2001 (probabilmente anteriore al Vocabulista del Pulci). Di recente pubblicazione inoltre il Tesoro dei Lessici degli Antichi Volgari Italiani, ideato e curato da Alessandro Aresti. Consultabile on line all’indirizzo http://www.tlavi.it/, il TLAVI, cui si rimanda anche per la ricca (e in continuo aggiornamento) bibliografia sulla lessicografia medievale in volgare, permette la ricerca di lemmi e parole attestate nei glossari volgari e bilingui; di ogni lemma si fornisce il significato e la categoria onomasiologica di riferimento (non è indicato, nel caso di voci volgari tratte da glossari latino-volgare, il corrispondente latino).

58 Con il segno # indico il passaggio dalla colonna di sinistra a quella di destra.

59 Si tratta di un aggettivo etnico (macedone).

60 Nel riportare le singole voci fornisco un’edizione interpretativa di G, sciogliendo le abbreviazioni (indicate comunque tra parentesi tonde) e inserendo i segni di punteggiatura. I due punti sono impiegati per separare la parola in esponente dal resto della voce. I traducenti volgari sono segnalati in corsivo.

61 Interessa osservare che in uno dei tanti commenti medievali alla Tebaide di Stazio viene osservato il ricorso dell’autore latino alla parola amicior (motivato per ragioni metriche) e viene notata la differenza rispetto all’uso del latino medievale amicicior. Si veda V. De Angelis, «I commenti medievali alla Tebaide di Stazio: Anselmo di Laon, Goffredo Babione, Ilario d’Orléans», Medieval and Renaissance Scholarship, ed. N. Mann, B. Munk Olsen, Leiden, Brill, 1997, p. 75-135 (p. 100n).

62 Sul significato di queste due operazioni e sulle loro diverse declinazioni nei glossari e vocabolari medievali si rimanda allo studio di O. Weijers, «Lexicography in the Middle Ages», Viator, 1, 1989, p. 139-153.

63 Si cita da Sexti Pompei Festi, De verborum significatu quae supersunt cum Pauli epitome, ed. W. M. Lindsay, Stuttgart-Leipzig, Teubner, 1997.

64 Si cita da Papias vocabulista, impressum Venetiis per Philuppum de Pincis Mantuanum, Anno domini MCCCCXCVI. die XIX Aprilis (ristampa anastatica, Torino, Bottega d’Erasmo, 1966).

65 Uguccione da Pisa, Derivationes, presentazione di G. Nencioni, Firenze, Accademia della Crusca, 2000 (riproduzione del ms. Laurenziano Pluteo XXVII sin. 5).

66 Non è l’unico caso in cui una voce viene ripetuta più di una volta, si veda anche gladius a c. 1v.

67 Bronzino ‘vaso o contenitore di bronzo’ ricorre nel Glossario latino-bergamasco (ol bronzi) come traducente del latino cuprinus (Lorck, Altbergamaskische Sprachdenkmäler, p. 121), mentre nel glossario della stessa area edito da Contini bronzal traduce il latino cupratum (Contini, «Reliquie volgari», p. 238). Da segnalare che gutrum, forma presente anche in Papias, è variante più rara di gustrum.

68 Baguta è presente anche nel glossario latino-milanese di Bartololomeo Sachella: «Larva ve est la baguta in carnevale, quasi large videns, vel large vana, i. stulta» (Marinoni, «Vocaboli volgari», p. 235).

69 Non è chiaro il significato della parola cavigia. Il latino lucania, che nei glossari medievali alterna con lucanica, indica un tipo di salsiccia: Papias (p. 186): «Lucanicae dictae quia prius in Lucania factae sunt, carnis confectio est.» Uguccione, Der. glossa con salsicia. La definizione latina del nostro glossario non aiuta perché spiega l’etimologia della parola, ma non il referente. Nei volgari settentrionali la parola cavigia può indicare la caviglia o il cavicchio, ma non una preparazione di carne di maiale. Si potrebbe pensare che la glossa volgare sia nata da un fraintendimento di lucaniga, che potrebbe essere stato prodotto da un’errata segmentazione con discrezione di un presunto articolo.

70 Nel glossario del Sachella beleto traduce popismatis (Marinoni, «Vocaboli volgari», p. 237).

71 Nel Gloss. latino-bergamasco ol bacil traduce il latino bacile (Lorck, Altbergamaskische Sprachdenkmäler, p. 121).

72 Nel Gloss. latino-bergamasco la parola urinal traduce il latino urinale (ivi, p. 103).

73 Per l’accezione di turtur come ittionimo si veda quanto riportato dal Vocabolario dell’Accademia della Crusca, IV impressione, vol. 3, Firenze, appresso Domenico Maria Manni, 1729-1738, s. v.: «Pastinaca, chiamiamo anche un Pesce simile alla razza, così detto dalla similitudine, che ha la sua coda colla radice della pastinaca. Lat. pastinaca marina. Gr. τρυγών, che S. Ambrogio interpretò turtur».

74 Presente nel Gloss. latino-bergamasco come traducente di oblatio (Lorck, Altbergamaskische Sprachdenkmäler, p. 142).

75 In altri glossari, come quello ispirato al Vocabolarium breve di Gasparino Barzizza, leggiamo invece «Murena, ne f. la morena a murina grece. Lampreda, de f. la lampereda quasi lanbens petra: abitat enim in arena fluminum» (Vignali, «Un glossario latino-volgare», p. 12). Piena corrispondenza vi è invece nel Glossario latino-bergamasco: «Murena la lampreda» (Lorck, Altbergamaskische Sprachdenkmäler, p. 148).

76 Corrisponde a «hic olitor lo ortolano» (Gloss. latino-veneto, Gualdo, «Dal papa allo strazarolo», p. 199). Come traducente di ortolanus e pomilio si ritrova nel Gloss. latino-bergamasco (Lorck, Altbergamaskische Sprachdenkmäler, p. 133).

77 Presente nel Gloss. latino-bergamasco come traducente di pellicia, pillortium, reno (Lorck, Altbergamaskische Sprachdenkmäler, p. 110).

78 «Hoc tuber id est lo tartuofano» si legge nel Gloss. latino-eugubino (Navarro Salazar, «Un glossario latino-eugubino», p. 126.

79 Si veda anche «hoc vetigal la gabella» (Gloss. latino-veneto, Gualdo, «Dal papa allo strazarolo», p. 202).

80 La forma (derivata dal lat. tructa) è comune al ligure, al piemontese, al lombardo e all’emiliano, dove è possibile ipotizzare lo sviluppo di una u secondaria davanti al nesso-ct. G. Rohlfs, Grammatica storica della lingua italiana e dei suoi dialetti, 3 vol., Torino, Einaudi, 1963-1966, I, § 71 e § 75). Si veda anche Lorck, Altbergamaskische Sprachdenkmäler, p. 40.

81 Rohlfs, Grammatica storica, III, § 811.

82 Nella mitologia romana Laverna, raffigurata con il volto coperto da una maschera, incarnava la dea dei ladri, dei borsaioli e dei mercanti e più in generale degli ingannatori.

83 W. Meyer-Lübke, Romanisches etymologisches Wörterbuch, Heidelberg, Winter, 1911, p. 58. Si veda anche il Lessico etimologico italiano, ed. M. Pfister e W. Schweickard, Wiesbaden, Reichert, 1979-, s. v.

84 C. Salvioni, «Gli statuti volgari della confraternita dei disciplinati di s. Marta di Daro», Bollettino storico della Svizzera italiana, 26, 1904, p. 81-91.

85 Non è chiara quale sia l’origine dell’odonimo, se cioè la strada abbia preso il nome dalla maschera (magari raffigurata nell’insegna di una locanda o prodotta in un laboratorio delle vicinanze) o se risalga al cognome della famiglia Bagutti. Il fatto che la parola baguta ricorra anche nel vocabolario di Bartolomeo Sachella potrebbe costituire un ulteriore indizio dell’appartenenza all’area milanese del nostro glossario.

86 G. Tiraboschi, Vocabolario dei dialetti bergamaschi antichi e moderni, Fratelli Bolis, 1873, s. v.

87 C. Nigra, «Note etimologiche e lessicali. III», Archivio Glottologico Italiano, 1907, p. 97-130 (p. 110).

88 Si veda M. Ponza, Vocabolario Piemontese-Italiano, 3 vol. Torino, Stamperia Reale, 1832, 3, s. v.

89 C. Marcato, Il Veneto, I dialetti italiani. Storia, struttura, uso, ed. M. Cortelazzo, C. Marcato, N. De Blasi, G. P. Clivio, Torino, Utet, 2002, p. 296-328 (p. 314).

90 Si cita da G. Valagussa, Flosculi epistolarum Ciceronis. Lingua vernacula expositi, Venetiis, Comin da Trino, 1548.

91 Si veda Black, Humanism and Education, p. 353.

92 Sull’importanza delle epistole ciceroniane nell’insegnamento quattrocentesco si rimanda a Grendler, La scuola nel Rinascimento, p. 242-255, e Black, Humanism and Education, p. 349-355. Significativa appare inoltre la presenza nel manoscritto delle epistole di Plinio.

93 Si rimanda a un’altra occasione la trattazione più dettagliata degli altri brani, che richiederebbe un confronto con altre antologie epistolari quattrocentesche.

94 Desmenteghevole aggettivo deverbale da desmentegare ‘dimenticare’ (Glossario degli Antichi Volgari Italiani, ed. G. Colussi, Foligno, Editoriale Umbra, 1983-2006, IV, p. 273). La voce è diffusa nei volgari lombardi e veneti.

95 Su questa forma impiegata anche da Bonvesin de la Riva, si veda F. Marri, Glossario al milanese di Bonvesin, Bologna, Patròn, 1977, p. 213.

96 In questo caso il pronome potrebbe essere riflessivo (starsi su l’aviso).

97 Questa massima è molto simile all’ incipit della Dottrina dello Schiavo di Bari (o Detto dello savio Salomone), serventese caudato del XIII secolo: «Al nom[e] di Dio è buono inchominciare/tutte le chose, che l’huom viene a fare:/intendi, filglio, se vuoli imparare sapïenza». Per la bibliografia sul testo si rimanda alla scheda a cura di Tommaso Gramigni nella banca dati Corpus dei serventesi caudati consultabile all’indirizzo http://tlion.sns.it/csc/.

98 Sulle forme brevi come sentenza, proverbio e aforisma si vedano G. Folena, La lingua scorciata. Detto, motto, aforisma. Numero speciale dei Quaderni di Retorica e Poetica, 2, 1986, e i contributi in La brevità felice. Contributi alla teoria e alla storia dell’aforisma, ed. M. A. Rigoni, Venezia, Marsilio, 2006. Sul rapporto tra proverbi e ars dictaminis si veda G. Vecchi, «Il proverbio nella pratica letteraria dei dettatori della scuola di Bologna», Studi Mediolatini e Volgari, II, 1954, p. 283-302.

99 Si veda T. Licht, «Erfolgsliteratur in der Kritik. Bonvesins Vita scolastica in Blick des Humanisten», Bonvesin da la Riva. Poesia, lingua e storia a Milano nel tardo Medioevo, ed. R. Wilhelm e S. Dörr, Heidelberg, Winter, 2009, p. 95-105 (p. 102).

100 Questi sono i passi: A fure domestico quisquis cavet/is plures oculos quam Argus habet (c. 23r); Angulum laris fideliter reddit/si mala manus credita non tollit (c. 23r); Se facies asinum verbis et faste domat qui se vestit ovem mergit ore lupi (c. 23r).

101 F. Novati, «Le serie alfabetiche proverbiali e gli alfabeti disposti nella letteratura italiana de’primi tre secoli. II», Giornale storico della letteratura italiana, 18, p. 104-147.

102 Novati, «Le serie alfabetiche. I», p. 134. Il proverbio è registrato anche in G. Giusti Raccolta di proverbi toscani, Firenze, Le Monnier, 1853, p. 290.

103 L’edizione del Narducci è stata ricontrollata sul manoscritto, il che ha permesso di sanare alcuni errori di trascrizione (ad esempio nella sentenza 9 occorre correggere vuoi in voi). Una riflessione più ampia meriterebbero i casi in cui è possibile una diversa segmentazione delle parole: le scelte operate da Narducci in tal senso favoriscono un’attenuazione dei tratti locali, ad esempio dove legge ch’a perder tempo, anziché cha perder tempo.

104 Sulle varietà lombarde antiche e sulla situazione offerta dalle testimonianze medievali si vedano almeno M. Arcangeli, «Per una dislocazione tra l’antico veneto e l’antico lombardo (con uno sguardo alle aree contermini) di alcuni fenomeni fono-morfologici», Italia Dialettale, 53, 1990, p. 1-42; P. Bongrani, P. e S. Morgana, «La Lombardia», L’italiano nelle regioni. Testi e documenti, ed. F. Bruni, Torino, UTET, 1994, p. 101-170; G. Polimeni, I volgari municipali e l’affioramento di una scripta nel medioevo lombardo, Quaderns d’Italià, 8-9, 2003-2004, p. 51-66; M. Vitale, La lingua volgare della cancelleria visconteosforzesca nel Quattrocento, Milano, Cisalpino, 1953; M. Vitale, La veneranda favella: studi di storia della lingua italiana, Napoli, Morano, 1988.

105 Del resto anche nella coeva produzione cancelleresca il fenomeno sembra limitato ad alcune voci, come ciamar o giesia.

106 Come ha evidenziato R. Wilhelm, «Introduzione», Tradizioni testuali e tradizioni linguistiche nella Margarita lombarda. Edizione e analisi del testo trivulziano, ed. R. Wilhelm, F. De Monte e M. Wittum, Heidelberg, Winter, 2011, p. 1-100 (p. 65-66), nei poemi agiografici milanesi il nesso grafico <ct> sembra costituire un cultismo puramente grafico, dietro il quale si potrebbe nascondere una pronuncia dialettale.

107 Sul pronome soggetto nei dialetti settentrionali e in particolare sulla nascita di pronomi soggetto atoni, da intendere quasi alla stregua di marche flessive del verbo, L. Vanelli, «I pronomi soggetto nei dialetti italiani settentrionali», Medioevo romanzo, 12, 1987, p. 161-176, e, per il milanese antico in particolare, R. Wilhelm, «Historische Sprachwissenschaft und Textphilologie. Subjectpronomina in der Vita di Sant’Alessio von Bonvesin da la Riva», Zeitschrift für Romanische Philologie, 123, 2007, p. 1-35, e Wilhelm, «Introduzione», p. 66-77.

108 I. Bonomi, «Cantari profani editi a Milano ai primi del’500: caratteri linguistici», Studi di lingua e letteratura lombarda offerti a Maurizio Vitale, Pisa, Giardini, 1983, p. 240-274 (p. 256).

109 Glossario degli antichi volgari italiani, XVI, 7, p. 473.

110 Il fenomeno mostra una particolare diffusione nel Quattrocento e tende ad occorrere in proposizioni relative restrittive, specialmente se introdotte da antecedenti pronominali. E. De Roberto, Le relative con antecedente in italiano antico, Roma, Aracne, 2010, p. 236-246.

Haut de page

Pour citer cet article

Référence papier

Elisa De Roberto, « Glossari, versioni e proverbi. A proposito di una miscellanea scolastica tardoquattrocentesca »Cahiers de recherches médiévales et humanistes, 28 | 2014, 33-88.

Référence électronique

Elisa De Roberto, « Glossari, versioni e proverbi. A proposito di una miscellanea scolastica tardoquattrocentesca »Cahiers de recherches médiévales et humanistes [En ligne], 28 | 2014, mis en ligne le 31 décembre 2017, consulté le 13 janvier 2025. URL : http://0-journals-openedition-org.catalogue.libraries.london.ac.uk/crmh/13730 ; DOI : https://0-doi-org.catalogue.libraries.london.ac.uk/10.4000/crm.13730

Haut de page

Auteur

Elisa De Roberto

Università Sapienza Roma

Haut de page

Droits d’auteur

Le texte et les autres éléments (illustrations, fichiers annexes importés), sont « Tous droits réservés », sauf mention contraire.

Haut de page
Rechercher dans OpenEdition Search

Vous allez être redirigé vers OpenEdition Search