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Pratica della scrittura, grammatica della poesia. Prime annotazioni su un prezioso reperto lombardo della Scuola siciliana

Giuseppe Mascherpa
p. 19-31

Abstracts

A small anthology of poems of the Sicilian Poetic School, copied in Bergamo in the sixth or seventh decade of the 13th century, was recently discovered in a notarial parchment kept at the “A. Mai” Library. This precious discovery enables us to re-examine the question of the early circulation and reception of topics and forms of Sicilian courtly poetry in northern Italy, twenty years after the finding of an ancient fragment of a Sicilian poem marked by linguistic features of East Veneto. This paper is a preliminary study of the language of these texts: its main aim is to analyse the approach taken by the copyist (who is likely to have been a notary) to the new poetic code, giving a description of the constant interference/interaction between the poetic language, the vernacular of Bergamo (which was the mother tongue of the copyist) and the universal gramatica of the Latin language.

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Full text

  • 1 Per le più recenti acquisizioni critiche intorno al contesto storico-culturale e alle problematiche (...)

1Nel variegato panorama delle nostre origini letterarie, la trascrizione di un testo al di fuori dei confini territoriali e culturali entro i quali è stato prodotto può essere letta come una particolare declinazione del tema dell’apprendimento linguistico. In effetti ogni copista, nell’approccio a un testo allotrio, si trova a maneggiare e in parte a reinterpretare non solo un volgare diverso da quello materno, ma anche una grammatica poetica precisamente codificata e in certo grado vincolante. Esemplare in questo senso, nella misura in cui ha contribuito alla fioritura della prima lirica italiana, è il caso della ricezione toscana e settentrionale delle liriche della Scuola poetica siciliana1, che una recente scoperta ha arricchito di una nuova e preziosa testimonianza manoscritta.

  • 2 Il rotolo contiene, sul recto, i commi di un codice di regolamento per lo svolgimento di un gioco d (...)
  • 3 Si può infatti supporre che la copia dei testi preceda di qualche tempo la compilazione dei canzoni (...)
  • 4 I canzonieri vengono d’ora in avanti indicati con le lettere correntemente utilizzate dalla critica (...)
  • 5 Un primo contributo dedicato al ritrovamento, corredato delle edizioni diplomatiche e interpretativ (...)

2Il ritrovamento riguarda una piccola silloge di testi trascritta a Bergamo da una mano notarile, verosimilmente entro il terzo quarto del Duecento (questo almeno lasciano supporre i dati esterni di carattere storico e codicologico), sul verso di un rotolo di pergamena compilato in latino dal medesimo scriba, o da mano affine2. Le tracce poetiche – forse la prova ad oggi più antica della circolazione in forma antologica, e non per frustoli isolati, delle poesie federiciane3 – consistono negli ampi frammenti di quattro canzoni, finora note soltanto per la testimonianza dei canzonieri toscani4: si tratta delle prime tre stanze di Donna, eo languisco e no so qua·speranza di Giacomo da Lentini (= V 8: I poeti, vol. 1, p. 197-215), della seconda stanza – la prima, tranne i due versi finali, è caduta con la rifilatura della carta – di Contra lo meo volere di Paganino da Serzana (= V 36, La 73, P. 74: I poeti, vol. 2, p. 249-262) e delle prime due, pressoché evanite, di Amore m’àve priso di Percivalle Doria (= V 86: I poeti, vol. 2, p. 764-768); unico testo copiato per intero è la canzone Oi lasso! non pensai, attribuita da alcuni a Ruggerone da Palermo, da altri allo stesso Federico II (= V 49, Lb 117: I poeti, vol. 2, p. 498-504), notevole soprattutto per la corposa variante redazionale testimoniata, a fronte della tradizione, dalla stanza di congedo5.

  • 6 Dal «libro siciliano» Barbieri trascrive nelle sue carte, conservandone la veste linguistica origin (...)
  • 7 Il frammento di Isplendiente, trascritto da un copista probabilmente di lingua tedesca in anni in c (...)

3Le trascrizioni bergamasche rappresentano una fase della tradizione testuale più antica e in alcuni punti migliore (per lingua e varianti sostanziali) di quella testimoniata dalle copie contenute nei canzonieri. Tuttavia, considerato lo stadio embrionale delle indagini, poco si può ancora dire sulla questione spinosa che sempre si pone ad ogni affioramento non toscano dei versi della Magna Curia: quella, cioè, della posizione stemmatica di queste tracce rispetto all’archetipo toscanizzato, dal quale, ad oggi, soltanto due episodi della tradizione della lirica insulare si possono considerare sicuramente indipendenti: le sopravvivenze del perduto «libro siciliano», silloge trecentesca appartenuta all’erudito modenese Giovanni Maria Barbieri (1519-1574)6, e le prime quattro stanze della canzone Isplendiente stella d’albore di Giacomino Pugliese – il più antico frammento siciliano ad oggi noto, datato intorno al 1235 – rinvenute da Giuseppina Brunetti nelle carte di guardia di un codice delle Institutiones di Prisciano conservato a Zurigo7.

  • 8 La traccia zurighese testimonia un significativo acclimatamento della lirica siciliana nei territor (...)
  • 9 Un ristretto drappello di testi poetici anonimi di produzione locale, testimoniando con ogni eviden (...)

4Si può invece fin d’ora sottolineare come la scoperta bergamasca configuri, ad oggi, la propaggine più occidentale della diffusione della poesia siciliana nell’Italia del nord: un’espansione che, tra fine XIII e inizio XIV secolo, per quanto se ne sapesse, non eccedeva i limiti territoriali e culturali di quell’area padano-orientale compresa tra gli estremi geografici di Bologna a sud-ovest e della Marca trevigiana a nord-est8. Qui infatti si attestavano le uniche, risicate occorrenze manoscritte della poesia federiciana a nord dell’Appennino, e anche le prime prove indirette della sua fortuna, rappresentate da tentativi (trevigiani e forse mantovani) di reinterpretazione autoctona di forme, motivi e tòpoi di ascendenza siciliana9.

  • 10 Ma ci si augura che ulteriori sondaggi, a Bergamo come in altri fondi archivistici lombardi, possan (...)
  • 11 Il più antico documento bergamasco a oggi noto, databile agli anni Novanta del secolo, sono gli ese (...)

5La recente trouvaille, per quanto isolata e occasionale10, produce invece una significativa eccezione nel quadro comunemente tracciato dalla critica. Il fatto che il più antico reperto di scrittura in volgare proveniente da Bergamo, precedente di almeno un decennio l’affioramento di una scripta municipale11, coincida con una silloge di componimenti siciliani, è ulteriore spia della straordinaria fortuna del genere lirico e della capillarità e precocità della sua diffusione, anche in un contesto – quello bergamasco, e più latamente (con la parziale eccezione mantovana) lombardo – tradizionalmente considerato periferico rispetto ai percorsi della nostra prima poesia cortese e del «volgare illustre» che ne fu lo strumento espressivo.

  • 12 Uno spaccato soddisfacente della classe notarile bergamasca in pieno Duecento è offerto, in margine (...)

6Tuttavia, che nel tessuto sociale del comune bergamasco sussistessero, nella seconda metà del XIII secolo, le condizioni per la circolazione e l’acclimatamento della poesia italiana più in voga non pare affatto sorprendente, soprattutto se si pensa alla presenza in città di un ceto di professionisti potenzialmente ricettivo rispetto ai prodotti della nuova letteratura volgare: ci si riferisce, naturalmente, alla classe notarile, una élite di laici colti ben organizzata e numericamente corposa12, i cui membri, a Bergamo come altrove, si trovavano continuamente esposti al contatto professionale e intellettuale con i colleghi lombardi, emiliani, toscani, che si avvicendavano entro le mura cittadine, con cadenza annuale o semestrale, al seguito dei podestà forestieri.

  • 13 In proposito si veda almeno S. Orlando, «Best sellers e notai: la tradizione estravagante delle rim (...)

7Che sia esistito un significativo legame tra la nascita e la diffusione della lirica siciliana e il milieu delle professioni giuridiche è del resto aspetto noto e ampiamente indagato nell’ambito degli studi sulle Origini13: notai o giudici furono alcuni tra i maggiori interpreti della Scuola, ed eminentemente notarile fu l’ambiente della sua prima ricezione peninsulare, come documentano in maniera esemplare la situazione toscana e bolognese, e conferma ora, si parva licet, il ritrovamento lombardo.

  • 14 Faciliterò i rimandi ai testi adottando le seguenti sigle: O = Oi lasso! non pensai, C = Contra lo (...)

8L’indagine linguistica condotta su una copia bergamasca, duecentesca, di testi siciliani probabilmente già rivestiti di una patina «continentale» (argomento su cui, come ho già detto, preferisco sospendere il giudizio), e perdipiù redatti da un professionista abituato a scrivere in latino, impone di procedere con cautela nell’affrontare un diasistema in cui i livelli di lingua si intrecciano in maniera talora inestricabile. Un primo movimento sarà volto a recuperare, dove possibile, quei tratti dialettali riconducibili a buon diritto, e in via esclusiva, al volgare dell’ultimo copista14.

  • 15 Ad es. dolçe, çoco O, plaçente C, façeste D, ço A; plasi ‘piace’ C, passe ‘pace’ O; meraveya D; nis (...)
  • 16 Sul fenomeno, ampiamente dibattuto, dell’apocope nell’antico lombardo, è ancora imprescindibile G. (...)
  • 17 Naturalmente, si considerano significativi i soli casi di apocope riconducibili all’ultimo trascrit (...)
  • 18 Le apocopi non inficiano mai il computo sillabico del verso, se non in tre casi in cui a cadere è s (...)

9Al netto degli esiti generici ampiamente attesi in un testo copiato nell’Italia del nord (evoluzione dei nessi palatali ce, ci e dei nessi con jod in affricata dentale [tz], [dz], assibilazione di-c-intervocalico, evoluzione lj > [j], scempiamento delle consonanti geminate etc.)15, il sistema lombardo del trascrittore emerge con particolare evidenza nei casi di dileguo delle atone finali diverse da-a16: queste cadono non soltanto dopo consonante liquida o nasale, ma anche dopo-s (ris O, palis, vales D, pas C),-t (mat O) e gruppi n + dentale (insegnament, mentg, pensand, quand, quant, strenç O; grand, l[o]nçament D; quand, reprend C)17. Più numerosi delle apocopi sono, tuttavia, i casi di conservazione, specialmente nel corpo del verso, dove il mantenimento delle finali sembra inteso a preservare gli equilibri metrico-ritmici del testo di partenza18; un discorso simile vale per le serie di rimanti, che registrano – anche al netto delle uscite in-a, ovviamente non modificabili – una decisa prevalenza delle forme piene su quelle tronche.

10Significativi in ottica localizzante, ma del tutto sporadici e quindi meno incisivi sul colore linguistico dei testi, sono poi i seguenti fenomeni grafico-fonetici pertinenti all’area lombarda:

  • 19 Nel contesto lombardo il tipo grafico ‹ dh›, rappresentante, per una dentale intervocalica, il grad (...)
  • 20 Un’ampia casistica è offerta in Altbergamaskische sprachdenkmäler (IX-XV Jahrhundert), ed. J. E. Lo (...)
  • 21 Il tipo nesu è però anche in V, dove l’assenza di-n sarà interpretabile come assimilazione progress (...)

1. l’utilizzo, ma in soli tre luoghi (nessuno dei quali, peraltro, esente da dubbi di carattere paleografico), delle grafie arcaizzanti ‹th›, ‹dh› per i due gradi di lenizione della dentale intervocalica: adhori D, rep […] dhir O (probabile corruzione, di lettura malcerta, del sintagma reo parere di V e Lb), desfethy D (dove forse il digramma rappresenta [d], potendosi ipotizzare, nell’antigrafo, lo stesso disfidi attestato in V)19; per il resto, le dentali intervocaliche risultano sempre conservate nella loro forma etimologica, laddove a Bergamo ci si attenderebbe, quantomeno, un’alternanza tra-t-e-d-20;
2. l’isolata e non del tutto sicura occorrenza dell’esito – > [tʃ] – reso dal digramma ‹tg› – nel tipo mentg O, ‘mente’(in rima con insegnament), che non pare altrimenti spiegabile se non muovendo da un singolare siciliano menti dell’antigrafo, percepito dal copista come un plurale;
3. i due casi di caduta, caratteristica (ma non esclusiva: si trova anche nell’antico milanese) delle varietà bergamasca e bresciana, di-n riuscita finale dopo vocale tonica: nisû O, ‘meno’ D21.

11A un secondo livello del diasistema pertiene un novero di forme regolarmente obliterate nelle copie toscane dei nostri testi, ma che potrebbero risalire recto tramite agli originali siciliani.

  • 22 Vedi G. Rohlfs, Grammatica storica della lingua italiana e dei suoi dialetti, 3 vol., Torino, Einau (...)

12Vanno anzitutto ricondotte con una certa sicurezza alla lingua degli originali le desinenze in-i della 3o persona singolare dell’indicativo (presente e passato remoto) dei verbi in-e-22: façi ‘fa’ C, plasi ‘piace’ C (il cui status di rimanti può avere garantito la sopravvivenza della vocale finale), fuy ‘fu’ D. Vi è poi una serie di esiti che, pur essendo caratteristici del siciliano illustre, non risultano incompatibili neppure con le componenti essenziali – lombarda e latina – della lingua scritta del nostro notaio: cosa che, all’atto della copia, può averne favorito la conservazione per ragioni di tangenza linguistica.

  • 23 Si veda almeno Adolf Tobler, Ernst Lommatzsch, Altfranzösisches Wörterbuch, Wiesbaden, Steiner, 192 (...)
  • 24 Come nei nostri testi, sarà forse da considerare sicilianismo in tangenza con l’uso locale anche il (...)
  • 25 Delle tre rime siciliane-e-/-i-rintracciabili lungo i testi (desfethy/ merçi [< merçidi ], cherrere(...)
  • 26 Per una verifica dei dati si veda almeno Lorck, Altbergamaskische, p. 12-15, 54; Bonelli-Contini, « (...)

13Mi riferisco, per il vocalismo, alla chiusura «siciliana» di [e] > [i], osservabile soprattutto – tranne che per co · mico ‘con me’ di C – nella trascrizione di D, dove si verifica sia in sede tonica (ad es. nel gallicismo merçì [in due occorrenze, contro le cinque di mercé, merçé]23, in palis ‘palese’, forse in façiste) che atona (adorneççi, belleççi [in siciliano, entrambi femminili singolari da *adornities, *bellities]24, milli, ori ‘ore’ e forse, in sede di rima, donati ‘voi donate’)25. Ora, l’esito [i] da [e] tonica trova riscontri antichi anche in area lombarda, segnatamente nelle scriptae bergamasca e mantovana, e in misura minore in quella milanese. In sede atona, riconducono soprattutto a Bergamo (ma si danno anche casi mantovani) l’uscita-i <-ae dei plurali femminili – che potrebbe giustificare la sopravvivenza dei singolari siciliani adorneççi e belleççi, interpretati come plurali – e la desinenza-ti <-tĭs della 2o persona plurale dell’indicativo presente26.

  • 27 Rohlfs, Grammatica, vol. 1, p. 213-214.
  • 28 S. Debenedetti, Le canzoni di Stefano Protonotaro, Perugia, Bartelli, 1932, p. 24. Sulla sopravvive (...)
  • 29 In Lombardia (non a Mantova) fa eccezione cl, che, laddove non sia conservato per via dotta, evolve (...)

14Nel consonantismo, rimonta al siciliano la mancata evoluzione di jod iniziale nell’aggettivo justo D27, che il copista, aduso al latino, può avere interpretato – e di conseguenza rispettato – come grafia dotta; lo stesso può dirsi per il mantenimento del grafema ‹c› intervocalico nei tipi çoco e placente, presenti nei nostri testi accanto a logo, plaçente, esiti meglio rappresentativi delle condizioni fonetiche locali. Non può stupire, infine, la conservazione senza eccezioni dei nessi cons. + l (clamar, clamasse D; flor O, D; placente, plasi, plaçesse C, pluy D), del tutto comune nel siciliano illustre28 ma di larga attestazione anche nei volgari lombardi29, veneti ed emiliani delle origini, oltreché, naturalmente, caratteristica del latino.

  • 30 Bonelli-Contini, «Antichi testi», p. 150. Sulle occorrenze di ol e lo in antichi testi bergamaschi, (...)

15Da questa prima bozza d’analisi risulta come il sistema lombardo del copista agisca sulla tessitura fono-morfologica dei testi in maniera chiara ma al contempo non prevaricante. È particolarmente significativo, in tal senso, che alcuni dei tratti linguistici propri dell’antico lombardo (mantenimento dei nessi cons. + l, innalzamento [e] > [i]) si configurino, nelle nostre copie, più come episodi di conservazione rispetto a esiti coincidenti con il siciliano illustre, che come vere e proprie concessioni all’idioma locale; altri fenomeni localizzanti, come l’apocope e – tipica di Bergamo e Brescia – la caduta di n finale dopo tonica, si manifestano in proporzioni contenute e non risultano pervasivi; altri ancora, la cui presenza avrebbe definitivamente certificato la paternità orobica delle trascrizioni (nei fatti proponibile soltanto sulla base dei dati esterni riguardanti il contesto della copia), mancano del tutto: è il caso, per citare un solo esempio, dell’art. ol30, qui inattestato a scapito del tipo «di koiné» lo, quasi certamente lezione d’antigrafo (< *lo o *lu) conservata senza eccezioni.

16In definitiva, sia che muova da un antigrafo in siciliano, sia che – come pare più probabile – lavori su testi già linguisticamente modificati dal passaggio sul continente, il copista bergamasco finisce per conservare, entro certi limiti, la fisionomia metrica e linguistica dei suoi modelli, e nel complesso a contenere, anche grazie alla mediazione culta del latino, le deviazioni dialettali suggeritegli dal suo sistema di base.

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Appendix

Edizione interpretativa dei testi31

Federico II (o Ruggerone da Palermo)

Paganino da Serzana

Oi lasso! non pensai

Contra lo meo volere

[…]p[…]

[…] a chi j è dato

[…]

d’Amor pre[…]

[…] madonna mia;

[…] po’[…] m’aluytay

Lo partir no me val

ben par[…] ke jo moresse,

ch’adesso me reprend

m[…]ando de soa dolçe conpagnia;

Amor, che l’om ofende e po’le plasi,

et zamay sì forte pena non durai

però che lo meo mal

tanto quanto ala nav [...] [...] d [...] moray

in ço[…] se reprender[à],

Et […] creçço mor[…] ce[…] mente

se inver mi […]rende et amar façi

se d[…]e no retorno prestamente.

p[…] uno poco in pas

la mia plaçente dona:

Ché tuto quant e[…] […]go

Amor de bon[a] dona no descende.

sì fort[…] m[…] despl[…]

Ma quand a lé placesse

che non p[...]ssa […] en nisû logo;

ama[r] […] amaria,

sì me strenç […]

co·mico partiria lo mal ch’avesse,

[…] in passe,

e p[o’] lo mal sentisse, lo ben verria.

e fame rep[…]dhir ris e çoco.

Pensand li soy insegnament

tuti li conforti m’ési-me da mentg,

ni no me par che desdutto si[a]

se no retorno a voy, madona mia.

Eo con’ me […] fu[…] mat,

quand e’me departì

da là ond’e[…]a[…] […]

[…] l’acato,

che squay […]

[…]

[…]

[…] dolç[…] dona mia

me […] […] […]mora

d[…]ando to[…]l[…]o.

Esto comando, ca‹n›çonetta mia,

[…] in […] ala flor de Soria,

e prége-lla per soa cortisia,

[…] in baylia,

ch’ella me degna s[…] […]

[…]ell[…] che per lo so […] pen[…].

Giacomo da Lentini

Percivalle Doria

Donna, eo languisco e no so qua·speranza

Amore m’àve priso

Dona, languisso, e no so qual sperança

Amor che m’à presso

me dà fidan[ça] ché no me desfethy,

e m[…]sso-me in baylia

e se merçì e pietança in voy non […],

ne altro reo servaço:

perdut[…] aprova lo clamar merçì;

posso ben, çò m’è avisso,

ché tant[…] […]nçament ò customato,

bl[…]

palis et in celato,

[…] oltraçço,

pu[r] […] merçé cherrere,

ch’ei m’à d[…] a ser[…]

che non saço altro dire.

[…]

E se altre me demanda […],

[…]

[…] no so dir se no «Mercé, par Deo!».

[…]

[…] troppo tardo,

[…].

Amor non fuy justo partito[…],

Pecato f[…]s[…] e tor[…]

ché pur v’adhori e voy no m’intendite:

[…]

sì come presi a voy mercé clamar,

[…] la plu bella,

ben devria dar a voy cor de pietança,

che me […]

se tute l’ori chi merc[…] clamasse,

[…] alegrare,

in voy, bella, trovasse

tanto m[…]

grand cor d’umilitate.

[…]

Se non tute fiate,

d’amà-la […]

façeste a lo mê questa amistança:

[…]

milli merçé vales una pietança.

asay plu […]

[…] desio e b[…]

[D]ona, […]nd meraveya me donati

[…] a l’amo.

[…]mblati [s]on tanti valori.

Passa[…] de belleççi omia altra cossa,

come la rosa passa l’altri flor.

E l’adorneççi li qual[…] voy aconpagna

lo cor me lassa e sangna;

per me […] assà pluy

[…]nd […] […] s[…] sse,

[…] ch’altr[…] ença m[…]

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Notes

1 Per le più recenti acquisizioni critiche intorno al contesto storico-culturale e alle problematiche testuali e interpretative che coinvolgono l’opera dei poeti federiciani, si rimanda all’edizione complessiva I poeti della Scuola siciliana. Edizione promossa dal Centro di studi filologici e linguistici siciliani, 3 vol., Milano, Mondadori, 2008. Sugli esiti dell’opera di trasposizione linguistica compiuta dai copisti toscani restano fondamentali le osservazioni formulate, in sede introduttiva, nelle Concordanze della lingua poetica italiana delle origini (CLPIO), ed. D’Arco Silvio Avalle, e con il concorso dell’Accademia della Crusca, Milano-Napoli, Ricciardi, 1992.

2 Il rotolo contiene, sul recto, i commi di un codice di regolamento per lo svolgimento di un gioco d’armi entro le mura cittadine (forse databile agli anni Ottanta del Duecento), e un elenco di multe comminate ai partecipanti – tutti esponenti del patriziato bergamasco – rei di averne violato le regole. Esaurita la contingente validità del documento, il rotolo fu prima riutilizzato come supporto «di riciclo» per la redazione della silloge poetica; poi, smembrato in tre segmenti, venne adoperato come rinforzo della costola di un altro manoscritto: una raccolta di statuti e atti privati duecenteschi concernenti la fondazione del castrum di Comun Nuovo nella campanea bergamasca, conservato presso la Biblioteca Civica “A. Mai” di Bergamo con segnatura «Cassaforte 2.19» (il codice contiene anche, nelle ultime carte, una silloge di laudi in antico volgare bergamasco, trascritte da una mano pienamente trecentesca).

3 Si può infatti supporre che la copia dei testi preceda di qualche tempo la compilazione dei canzonieri Laurenziano e Palatino, assegnati dalla critica agli anni Novanta del Duecento.

4 I canzonieri vengono d’ora in avanti indicati con le lettere correntemente utilizzate dalla critica: V (= Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana, Vat. lat. 3793); La e Lb (= Firenze, Biblioteca Laurenziana, Laurenziano Rediano 9, sezioni rispettivamente pisana e fiorentina); P (= Firenze, Biblioteca Nazionale Centrale, Banco Rari 217 [già Palatino 418]).

5 Un primo contributo dedicato al ritrovamento, corredato delle edizioni diplomatiche e interpretative dei testi (queste ultime riprodotte qui in appendice), di una proposta di datazione e di un sintetico commento linguistico, è in G. Mascherpa, «Reliquie lombarde duecentesche della Scuola siciliana. Prime indagini su un recente ritrovamento», Critica del testo, XVI/2, 2013, p. 9-37.

6 Dal «libro siciliano» Barbieri trascrive nelle sue carte, conservandone la veste linguistica originaria, Pir meu cori alligrari di Stefano Protonotaro (I poeti, vol. 2, p. 351-365), la prima stanza di Alegru cori plenu e le ultime due di S’eo trovasse pietanza di Re Enzo (I poeti, p. 745-746 e p. 728-744), la prima stanza di Gioiosamente canto di Guido delle Colonne (I poeti, p. 64-75). Per una corretta interpretazione delle carte Barbieri, e in particolare della veste linguistica della canzone del Protonotaro, è ancora fondamentale il contributo di S. Debenedetti, «Le canzoni di Stefano Protonotaro», Studi Romanzi, XXII, 1932, p. 5-68.

7 Il frammento di Isplendiente, trascritto da un copista probabilmente di lingua tedesca in anni in cui sono ancora attivi e operanti i poeti della prima generazione della Scuola, conserva tratti robusti dell’originario idioma siciliano, annacquati però dalle spie altrettanto evidenti di un passaggio dell’antigrafo nel Veneto orientale. La stessa autrice della trouvaille ha dedicato al frammento un’importante monografia: G. Brunetti, Il frammento inedito Resplendiente stella de albur di Giacomino Pugliese e la poesia italiana delle origini, Tübingen, Niemeyer, 2000 (Beihefte für Zeitschrift für Romanische Philologie, 304).

8 La traccia zurighese testimonia un significativo acclimatamento della lirica siciliana nei territori della Marca, che non pare azzardato ricondurre ai frequenti passaggi di Federico e della sua corte in quelle terre a partire dagli anni Trenta del Duecento, quando si instaura un legame d’elezione tra l’imperatore e i da Romano, già ospiti e mecenati dei trovatori. Non meno interessanti sotto il profilo della geografia della tradizione, pur essendo cronologicamente seriori e con ogni probabilità già dipendenti dall’archetipo toscano, sono poi le sparute tracce poetiche siciliane localizzate a Bologna: qui la feconda ricezione della prima lirica italiana va di pari passo con la precoce trasmigrazione di testi attraverso l’Appennino, con la vivacità culturale del centro universitario, e soprattutto con la vastità degli interessi poetici – e in certa misura l’orgoglio intellettuale – della classe notarile tra Due e Trecento. A fianco delle trascrizioni delle liriche stilnoviste e di un folto sottobosco di testi anonimi, le carte dei Memoriali bolognesi tramandano infatti, all’altezza del 1288, le prime tre strofe di Madonna dir vo voglio di Giacomo da Lentini (Rime dei memoriali bolognesi, a c. di S. Orlando, Torino, Einaudi, 1981, p. 49-51). Sempre a Bologna e all’ambito giuridico, ma con attinenza più a un contesto universitario che amministrativo, riconducono due schegge poetiche – due versi vagamente riecheggianti Madonna dir vo voglio e tre versi della canzone Lo gran valore e lo pregio amoroso di Mazzeo di Ricco – rinvenute ancora da Brunetti nelle carte di guardia di un exemplar della Margarita decretorum di Martin Polono, semicelate negli interstizi di una corona di sonetti amorosi di provenienza forse aretina (vedi G. Brunetti, «Versi ritrovati, versi dimenticati (con un’aggiunta ancora ai Siciliani)», L’ornato parlare. Studi di filologia e letterature romanze per Furio Brugnolo, Padova, Esedra, 2008, p. 285-319).

9 Un ristretto drappello di testi poetici anonimi di produzione locale, testimoniando con ogni evidenza l’avvenuta ricezione della lirica siciliana, ne documenta una diffusione ben più ampia di quanto attestino le sopravvivenze manoscritte. Si tratta ad esempio della canzone – probabilmente trevigiana – Eu ò la plu fina druderia, trascritta negli anni Settanta del Duecento sulla guardia di un codice conservato all’Ambrosiana (su cui si veda almeno F. Brugnolo, «Eu ò la plu fina druderia. Nuovi orientamenti sulla lirica italiana settentrionale del Duecento», Romanische Forschungen, 107, 1995, p. 22-52), o ancora di alcune delle liriche d’amore in volgare forse mantovano – su tutte, la canzone di donna Suspirava una pulcela – tràdite dalle carte finali di un manoscritto del Partenopeu de Blois, confezionato nella pianura padana centro-orientale alla fine del sec. XIII e confluito, nel 1407, nella biblioteca Gonzaga (testi e commento in L. Formisano, M. Zaggia, «Le composizioni liriche del codice gonzaghesco della Biblioteca Nazionale di Parigi, fr. 7516 Nouv. Acq.», Sette secoli di volgare e di dialetto mantovano, ed. G. Schizzerotto, Mantova, Publi Paolini, 1985, p. 40-71).

10 Ma ci si augura che ulteriori sondaggi, a Bergamo come in altri fondi archivistici lombardi, possano arricchire il corpus delle antiche reliquie poetiche.

11 Il più antico documento bergamasco a oggi noto, databile agli anni Novanta del secolo, sono gli esempi volgari contenuti in una grammatica latina anonima, editi e commentati in R. Sabbadini, «Frammento di grammatica latino-bergamasca», Studi medievali, 1, 1904-1905, p. 281-292. In una veste assai meno connotata in senso dialettale, ma comunque non avara di spie che ne localizzano la trascrizione, si presenta l’altro testo sicuramente ancora duecentesco riconducibile a Bergamo (forse da un antigrafo emiliano?): si tratta di una Passio Christi adeguatamente illustrata in M. Corti, «Una Passione lombarda inedita del secolo XIII», Studi in onore di Alfredo Schiaffini (Rivista di cultura classica e medievale, VII, 1965), 2 vol., vol. 1, p. 347-363; qualche opportuno cenno alla stratigrafia linguistica della Passio è in A. Stella, «Lombardia», Storia della lingua italiana, ed. L. Serianni e P. Trifone, 3 vol., Torino, Einaudi, 1994, vol. 3, p. 160.

12 Uno spaccato soddisfacente della classe notarile bergamasca in pieno Duecento è offerto, in margine all’edizione degli statuti, in Statuti notarili di Bergamo (secolo XIII), a c. di G. Scarazzini, Roma, Consiglio nazionale del notariato, 1977.

13 In proposito si veda almeno S. Orlando, «Best sellers e notai: la tradizione estravagante delle rime fra Due e Trecento in Italia», Da Guido Guinizzelli a Dante: nuove prospettive sulla lirica del Duecento, Atti del Convegno di studi (Padova-Monselice, 10-12 maggio 2002), a c. di F. Brugnolo, G. Peron, Padova, Il poligrafo, 2004, p. 257-270. Importanti riflessioni sulla cultura dei notai in Italia nel Basso Medioevo sono formulate da Armando Antonelli in margine a un recente ritrovamento milanese: vedi A. Antonelli, «Rime medievali affioranti dall’Archivio storico civico e Biblioteca Trivulziana di Milano», Libri et documenti, XXXVIII, 2012, p. 7-16.

14 Faciliterò i rimandi ai testi adottando le seguenti sigle: O = Oi lasso! non pensai, C = Contra lo meo volere, D = Donna, eo languisco, A = Amore m’àve priso.

15 Ad es. dolçe, çoco O, plaçente C, façeste D, ço A; plasi ‘piace’ C, passe ‘pace’ O; meraveya D; nisû ‘nessuno’, tuti O, dona C, pecato A. A questi esiti si affianca un drappello altrettanto consistente di tipi “non settentrionali”: significativa, ad esempio, è la conservazione delle consonanti geminate in lemmi pertinenti al lessico topico della lirica: madonna, desdutto, cançonetta O, oltraçço A, belleççi, adorneççi, forse (merçé ) cherrere ‘chiedere pietà’ D (per alcune occorrenze nella prima lirica toscana di quest’ultimo sintagma, di schietta origine provenzale, si veda M. Corti, La lingua poetica avanti lo Stilnovo. Studi sul lessico e sulla sintassi, ed. G. Breschi e A. Stella, Firenze, Edizioni del Galluzzo, 2005, p. 88 e 90).

16 Sul fenomeno, ampiamente dibattuto, dell’apocope nell’antico lombardo, è ancora imprescindibile G. Contini, «Per il trattamento delle vocali d’uscita in antico lombardo», Italia dialettale, IX, 1935, p. 33-60, propedeutico alla grande edizione dei vulgaria bonvesiniani (1941) e recentemente riconsiderato da Adnan Gökçen in limine alla nuova pubblicazione degli stessi (I volgari di Bonvesin da la Riva: testi del ms. berlinese, a c. di A. M. Gökçen, New York, Peter Lang, 1996, seguito da I volgari di Bonvesin da la Riva: testi dei mss Trivulziano 93 [vv. 113-fine], Ambrosiano T. 10 sup., N. 95 sup., Toledano Capitolare 10-28, id., 2001).

17 Naturalmente, si considerano significativi i soli casi di apocope riconducibili all’ultimo trascrittore o, quantomeno, a una tradizione di copia lombarda; non si terrà conto, invece, di quelli che potrebbero risalire al dettato poetico dei modelli (siciliani o “continentali” che fossero).

18 Le apocopi non inficiano mai il computo sillabico del verso, se non in tre casi in cui a cadere è sempre e dopo r: v. 16 e v. 19 (O), v. 1 (A).

19 Nel contesto lombardo il tipo grafico ‹ dh›, rappresentante, per una dentale intervocalica, il grado evolutivo più prossimo alla caduta, ricorre normalmente nella scripta letteraria milanese (Bonvesin, Barsegapè) e cremonese (Uguccione da Lodi, Girardo Patecchio, Ugo di Perso), mai in quelle riconducibili alla Lombardia orientale, dove la dentale intervocalica, o riuscita finale, non pare eccedere il grado della semplice sonorizzazione. Il digramma ‹ th›, espressione di un primo grado di lenizione della sorda, è invece caratteristico delle scriptae orientali (bergamasca, mantovana e soprattutto bresciana, l’unica in cui ‹ th› si attesti anche in sede esposta). Sulla distribuzione areale dei digrammi per la dentale nelle scriptae lombarde delle origini offre una sintesi efficace A. Stella, «Lombardia», p. 159 sq. Sul digramma ‹ th› (specialmente finale) come tratto differenziale tra antico bergamasco e antico bresciano, nonché sugli altri fenomeni distintivi della scripta di Bergamo rispetto a quella di Brescia, si veda soprattutto la magistrale sistemazione di Contini in G. Bonelli, «Antichi testi bresciani», commento di G. Contini, Italia dialettale, XI, 1935, p. 115-151, in particolare alle p. 150-151.

20 Un’ampia casistica è offerta in Altbergamaskische sprachdenkmäler (IX-XV Jahrhundert), ed. J. E. Lorck, Halle a. S., Niemeyer, 1893 (Romanische Bibliothek, 10), p. 47-50.

21 Il tipo nesu è però anche in V, dove l’assenza di-n sarà interpretabile come assimilazione progressiva, in fonosintassi, su l- di loco.

22 Vedi G. Rohlfs, Grammatica storica della lingua italiana e dei suoi dialetti, 3 vol., Torino, Einaudi, 1968, vol. 2, p. 248-249.

23 Si veda almeno Adolf Tobler, Ernst Lommatzsch, Altfranzösisches Wörterbuch, Wiesbaden, Steiner, 1925-2002, s. v. merci.

24 Come nei nostri testi, sarà forse da considerare sicilianismo in tangenza con l’uso locale anche il beleci ‘bellezze’ documentato nella Danza mantovana tràdita dal ms. BnF, Nouv. Acq. fr. 7516 (edizione e commento del testo si trovano, oltredié in Formisano-Zaggia in Poeti del Duecento, a c. di G. Contini, 2 vol., Milano-Napoli, Ricciardi, 1960, vol. 1, p. 785-788).

25 Delle tre rime siciliane-e-/-i-rintracciabili lungo i testi (desfethy/ merçi [< merçidi ], cherrere/dire D, presso/avisso A) nessuna è sicura, per i problemi di lettura che coinvolgono i primi membri di ciascuna coppia: desfethy è infatti ricostruzione di un segmento semievanito, cherrere potrebbe essere interpretato cherrire, presso risulta dallo scioglimento di un compendio (in assenza di forme piene che documentino pri-, si è scelto di risolvere in pre-: per un approfondimento di queste e altre aporie editoriali, vedi Mascherpa, «Reliquie lombarde», p. 31, n. 75).

26 Per una verifica dei dati si veda almeno Lorck, Altbergamaskische, p. 12-15, 54; Bonelli-Contini, «Antichi testi», p. 149-150. L’uscita della 2o persona plurale in - (t)i, all’ind. pres., ricorre peraltro in molti antichi volgari settentrionali, ad es. nell’antico emiliano (aviti, faciti nella lingua del Boiardo, ma anche mostrati ‘voi mostrate’ documentato nella copia bolognese di Madonna dir vo voglio, in coincidenza con l’esito siciliano): vedi Rohlfs, Grammatica, vol. 2, p. 253-254; Orlando, Rime dei memoriali, p. 49.

27 Rohlfs, Grammatica, vol. 1, p. 213-214.

28 S. Debenedetti, Le canzoni di Stefano Protonotaro, Perugia, Bartelli, 1932, p. 24. Sulla sopravvivenza dei nessi nella scripta siciliana trecentesca, si veda almeno la nota linguistica a La istoria di Eneas vulgarizata per Angilu di Capua, ed. G. Folena, Palermo, Centro di studi filologici e linguistici siciliani, 1956, p. LXII.

29 In Lombardia (non a Mantova) fa eccezione cl, che, laddove non sia conservato per via dotta, evolve in affricata palatale (Rohlfs, Grammatica, vol. 1, p. 239).

30 Bonelli-Contini, «Antichi testi», p. 150. Sulle occorrenze di ol e lo in antichi testi bergamaschi, vedi almeno C. Ciociola, «Un’antica lauda bergamasca (per la storia del serventese)», Studi di filologia italiana, XXXVII, 1979, p. 33-87, a p. 65; S. Buzzetti Gallarati, «La Legenda de’desi comandamenti», Studi di Filologia italiana, XL, 1982, p. 11-64, a p. 47; P. Tomasoni, «Ritornando a un’antica passione bergamasca», Studi di filologia italiana, XLII, 1984, p. 59-107, a p. 84.

31 Rappresento con una stringa di puntini tra parentesi quadre le lacune materiali, siano esse quantificabili (puntini spaziati) o meno (puntini continui). – Integro tra parentesi quadre lacune di modesta entità e di non ambigua interpretazione. – Segnalo in corsivo, senza correggerle, le lezioni che, non producendo senso, necessiterebbero di un emendamento troppo oneroso. – Racchiudo tra parentesi uncinate le minime, ma necessarie, correzioni al testo.

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References

Bibliographical reference

Giuseppe Mascherpa, Pratica della scrittura, grammatica della poesia. Prime annotazioni su un prezioso reperto lombardo della Scuola sicilianaCahiers de recherches médiévales et humanistes, 28 | 2014, 19-31.

Electronic reference

Giuseppe Mascherpa, Pratica della scrittura, grammatica della poesia. Prime annotazioni su un prezioso reperto lombardo della Scuola sicilianaCahiers de recherches médiévales et humanistes [Online], 28 | 2014, Online since 31 December 2017, connection on 09 February 2025. URL: http://0-journals-openedition-org.catalogue.libraries.london.ac.uk/crmh/13728; DOI: https://0-doi-org.catalogue.libraries.london.ac.uk/10.4000/crm.13728

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