La cultura greca nell’Occidente europeo tra Umanesimo e Rinascimento
Texte intégral
1È un fatto incontestabile che durante tutto il Medioevo, nonostante la quasi totale ignoranza della lingua greca antica in Occidente, la memoria di quel mondo lontano nel tempo e nello spazio non scomparve del tutto. Basti pensare a quanto deve la letteratura teologica scolastica – pur con gli inevitabili mutamenti e le talvolta inimmaginabili metamorfosi – alla permanenza del ricordo delle grandi scuole filosofiche greche (platonismo ed aristotelismo), basti pensare alla grandi storie o avventure, come quella narrata nei poemi omerici, destinate ad essere continuamente riscritte, pur passando attraverso gli epigoni latini, basti infine pensare alla storia, agli exempla virtutum, tanto cari ai Romani, e che trovarono una loro stigmatizzazione nelle pagine di Plutarco, non a caso uno dei primi autori letti dagli umanisti. Molti nomi scomparvero, molti generi letterari persero completamente la linea di continuità, quasi destinati a cessare senza discendenza, ma il desiderium nei confronti di quella cultura, che tanto aveva dato alla latina, rimase vivo e inalterato nelle menti più audaci. Petrarca, ossessionato dalla possibilità di apprendere il greco classico, Boccaccio, Salutati e altri insieme a loro concretizzarono le loro aspettative ponendo le basi affinché questo recupero potesse definitivamente avvenire.
- 1 È notevole che il Burckhardt nel volume La civiltà del Rinascimento in Italia (edita per la prima (...)
2La bibliografia critica sulla rinascita della cultura greca è oggi molto ricca, e potremmo aggiungere che fu proprio dall’interesse del tardo Ottocento per l’operazione di recupero dell’antico messa in atto dagli Umanisti che nasce il concetto storiografico di Rinascimento, prima che la critica giustamente si applicasse ad altri aspetti del fenomeno, influenzata dalla proposta di lavoro di Jacob Burckhardt1. Quando agli inizi del XX secolo Remigio Sabbadini lavorava ai suoi volumi su Le scoperte dei codici latini e greci ne’ secoli 14. e 15. (Firenze, Sansoni, 1905 e 1914) l’indagine sulle radici classiciste dell’età moderna era ormai avviata e, seguendo la linea della storia della tradizione dei testi, avrebbe nel tempo interessato prima i filologi classici e poi gli studiosi della cultura quattrocentesca, italiana in particolare. Gli indirizzi di ricerca hanno portato a studiare la presenza dei dotti bizantini in Italia, e delle loro cospicue biblioteche, e il metodo di tradurre dal greco al latino elaborato e discusso dagli umanisti, e poi ad un’analisi della fortuna di opere e generi peculiari della tradizione letteraria della Grecia classica all’interno della produzione prima umanistica e poi più in generale rinascimentale e moderna. Nonostante gli importanti risultati raggiunti, in ognuno di questi ambiti la strada da percorrere è ancora molta, perché mancano studi sistematici sulle opere greche nelle principali biblioteche dell’Italia del Quattrocento, sono pochissime le edizioni moderne delle traduzioni latine (che pure ampio pubblico di lettori ebbero nel XV e XVI secolo grazie alla stampa) e – eccezion fatta per alcuni personaggi – troppo poco si sa sulle competenze linguistiche e quindi sulle reali letture di testi in greco antico di molti intellettuali dell’Umanesimo.
3Non è sufficiente infatti individuare un’eco, un riferimento esplicito o solo apparentemente esplicito, una ‘coincidenza’ tematica o strutturale per poter denunciare la presenza cosciente di un rimando alla cultura greca, e questo non solo nelle pagine dei primi umanisti, ma anche più tardi, quando alla maturazione di una più precisa conoscenza della lingua e degli auctores, ad una più massiva diffusione di molti testi grazie all’ausilio della stampa, non sempre corrispondeva la volontà da parte degli umanisti di sottoporsi alla fatica di una lettura dei testi in originale e quindi di una fruizione diretta. E al contrario spesso il desiderio di emulazione superava quello di imitazione e la gara con il modello greco pur ben conosciuto avveniva attraverso l’esplicita rinuncia a farne un effettivo uso. Quello che accomuna i saggi che qui si presentano è proprio la constatazione che molto spesso la conoscenza della letteratura greca era per gli intellettuali del Quattrocento o del primo Cinquecento mediata, e non soltanto dalle traduzioni latine, numerosissime, ma anche dalle opere della latinità tarda o medievale, o anche classica, e ancora dai commenti, dalle interpretazioni e riscritture di quella cultura ; solo per il mondo latino in fin dei conti fu veramente possibile un recupero a tutto tondo.
- 2 Poggio Bracciolini, Epistolarum familiarum libri, a cura di H. Harth, Firenze, Olschki, 1984, p. 1 (...)
4Il dato rilevato porta a ridimensionare certo l’impatto di quelle opere sulla nascita della cultura e del pensiero moderno, ma senza correre il rischio di sottovalutare o comunque svalutare l’importanza del progetto storico e filologico che gli umanisti compirono : gli intellettuali di allora praticarono non uno sterile appiattimento dell’antichità nella contemporaneità – cosa che il Petrarca paventava dichiarando il suo amore per la storia –, ma una fede nella ‘capitalizzazione’ del patrimonio storico antico, una fede che il mondo occidentale non aveva mai visto in passato e non vedrà forse mai più. Il loro desiderio non era solo quello di conservare o restaurare la cultura classica, ma di impadronirsene, di far propri gli strumenti linguistici, logici, morali di quel mondo, per cui – per usare l’iperbole che Poggio Bracciolini coniava nell’annunciare la scoperta delle Institutiones di Quintiliano a Guarino Veronese2 –, se anche fossero scomparsi all’improvviso tutti i manoscritti delle opere classiche, avremmo potuto noi oggi conoscere quel mondo attraverso le opere degli umanisti. L’intenzione era questa : i risultati non furono tutti allo stesso livello.
5Mantenendosi ai margini delle grandi figure di grecisti del Quattrocento, ora andando a fare il punto su percorsi di studio da tempo avviati, ora aprendo nuovi itinerari di ricerca che dovranno maturare nel tempo soluzioni diverse, le pagine qui raccolte offrono un’immagine appropriata della rinascita della cultura greca in Occidente, attingendo ad ambiti e metodologie differenti, o ancora guardando a fenomeni simili da prospettive diverse. I due saggi iniziali in particolare sembrano controbilanciarsi nella diversità degli approcci : se Jean-Louis Charlet trae le sue conclusioni sulla reale utilizzazione della letteratura greca da parte di un umanista in particolare, con una disamina puntuale di tutti i luoghi in cui in maniera diretta, indiretta e celata essa compare all’interno del Cornu copiae di Niccolò Perotti, Arbogast Schmitt, soffermandosi sulle origini della Modernità in ambito filosofico, evita gli schemi ormai superati che vedono il Rinascimento come il misterioso momento in cui il recupero dell’antico (Platone e Aristotele in primis) porta ad un radicale mutamento nella teoria stessa della conoscenza e guarda alla longue durée della questione del rapporto tra la Coscienza e il Mondo, muovendosi da Parmenide a Kant. La seconda sezione di questa raccolta è dedicata invece alla fortuna di particolari autori della Grecia antica attraverso le traduzioni, ora viste come fonte di ispirazione per il rinnovamento di generi letterari, ora come mezzo di divulgazione di contenuti politici o scientifici, ora ancora come utile strumento di critica testuale : Claudia Corfiati ha indagato sulla lettura più o meno mediata di Teocrito da parte di intellettuali legati alla scuola di Guarino, riportando dopo anni di silenzio l’attenzione dei ricercatori su alcune traduzioni o riscritture inedite degli Idilli ; Mauro de Nichilo si è occupato della diffusione e della fortuna del De tyranno senofonteo nella traduzione di Leonardo Bruni, presente in particolare sullo scrittoio dell’umanista napoletano Giovanni Pontano, le cui Commentationes in Ptolemaei sententias dedicate a Federico di Montefeltro, duca di Urbino, sono segnalate da Michele Rinaldi come esempio dell’azione mediatrice delle traduzioni e interpretazioni moderne di testi greci anche presso autori che il greco lo praticavano con una buona consapevolezza ; e infine Raffaele Ruggiero nota la presenza ‘problematica’ di Erodiano nelle pagine di Machiavelli, in dipendenza dalla versione latina del Poliziano. Si tratta di tessere di un mosaico più ampio che si sta componendo in questi anni e che permetterà probabilmente di rileggere e di riconsiderare il concetto di ‘rinascita’ dell’antichità classica e in particolare della cultura greca tra XV e XVI secolo.
Notes
1 È notevole che il Burckhardt nel volume La civiltà del Rinascimento in Italia (edita per la prima volta a Basilea nel 1860) riservi al « Risveglio dell’Antichità » soltanto il terzo capitolo del suo saggio, precisando : « non la risorta Antichità da sé sola, ma essa e lo spirito del popolo italiano, già presente, compenetrati insieme, ebbero la forza di trascinare con sé tutto il mondo occidentale » (trad. di D. Valbusa, con introd. di E. Garin, Firenze, Sansoni, 1992, p. 161).
2 Poggio Bracciolini, Epistolarum familiarum libri, a cura di H. Harth, Firenze, Olschki, 1984, p. 153-6.
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Référence papier
Mauro De Nichilo, « La cultura greca nell’Occidente europeo tra Umanesimo e Rinascimento », Cahiers de recherches médiévales et humanistes, 25 | 2013, 255-257.
Référence électronique
Mauro De Nichilo, « La cultura greca nell’Occidente europeo tra Umanesimo e Rinascimento », Cahiers de recherches médiévales et humanistes [En ligne], 25 | 2013, mis en ligne le 05 septembre 2013, consulté le 13 janvier 2025. URL : http://0-journals-openedition-org.catalogue.libraries.london.ac.uk/crmh/13093 ; DOI : https://0-doi-org.catalogue.libraries.london.ac.uk/10.4000/crm.13093
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