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«Non conosco voluttà più pungente del leggere,
non già un libro da cima a fondo,
ma, pescando a caso, qui una pagina lì un rigo, ritti in piedi,
dinanzi alle cascate prodigiose d’una biblioteca».
G. Bufalino, Il Malpensante. Lunario dell’anno che fu (1987).

1Tutta l’opera di Gesualdo Bufalino è permeata da un’esibita metaletterarietà, talvolta abilmente camuffata, talora apertamente dichiarata, addirittura ostentata, come nel caso esemplare delle Istruzioni per l’uso di Diceria dell’untore, o come emerge spesso tra le righe delle tante interviste rilasciate lungo il corso della carriera, nelle quali lo scrittore arriva ad esplicitare con dovizia di particolari alcune delle fonti nascoste nei suoi testi: citazioni, criptocitazioni, echi e calchi letterari prolificano sotto la penna dell’autore siciliano, e si inseriscono all’interno di un sistema perfettamente funzionale alla costruzione testuale.

2Ma la citazione nell’opera di Bufalino non è soltanto uno degli elementi che concorrono alla tessitura di una sapiente e mai banale mescidanza linguistica, o semplicemente l’effetto di una ricercata forma di pastiche, tanto in voga nella letteratura degli anni ottanta, ma è altresì il risultato di una pratica, quella della lettura, e di una passione, quella per i libri, precocemente e assiduamente coltivata nel tempo: è l’esito di un lungo apprendistato di lettore che trova modo di manifestarsi in una scrittura sempre colta e ricercata, riverberandosi di continuo nei testi bufaliniani attraverso i molteplici richiami alle opere altrui.

  • 1 Il riferimento a Dostoevskij rappresenta un caso emblematico di citazione intertestuale e intratest (...)

3Se la citazione si fa più esibita in alcuni lavori successivi alla pubblicazione dell’Uomo invaso (1986), all’interno dei quali Bufalino introduce riferimenti letterari diretti al fine di coinvolgere attivamente il lettore nel testo, guidando la sua interpretazione e sviandola al tempo stesso — si pensi a tal proposito alla funzione di rispecchiamento assolta dalle Memorie del sottosuolo di Dostoevskij in Tommaso e il fotografo cieco (1996)1 —, è anche vero che il rimando occulto o meno esibito caratterizza in particolare la prima produzione, in cui esso è chiaramente riconducibile all’erudizione sconfinata dello scrittore che prende in prestito in modo compiaciuto le parole di alcuni autori suoi «fratelli». Attraverso la letteratura, infatti, Bufalino legge la realtà e la reinventa sulla pagina, come del resto da lui dichiarato apertamente in tante occasioni, fino alla sua ultima intervista, rilasciata il 27 maggio 1996, pochi giorni prima della morte:

  • 2 Lo scrittore si riferisce a Shah mat. L’ultima partita di Capablanca cui egli stava lavorando prima (...)
  • 3 Anche qui siamo in presenza di una criptocitazione poiché Bufalino fa implicitamente riferimento al (...)
  • 4 M. Jakob, Infedele è la memoria, in G. Bufalino, Opere/2 1989.1996, cit., p. 1386. Il connubio tra (...)

Penso che la mia patria è la mia biblioteca. Sciascia parla della Sicilia in termini di solitudine; io invece parlo di isolitudine, parola che contiene «isola» e «solitudine». Accanto a questo c’è un mondo intero, il mondo degli scrittori che sento tutti fratelli. Leggere un libro per me significa permearmi, assorbire il contagio dell’aria di quel libro; assorbire la nascita, il passato, il vissuto di quello scrittore. Sono svizzero quando leggo Walser e austriaco quando leggo Schnitzler. Sto scrivendo ora un romanzo su uno scacchista2, perché a me piacciono gli scacchi. Ho scelto come personaggio un celebre campione del mondo cubano. Ricreando il suo passato sono diventato cubano anch’io, ma siccome lui è andato a vincere un torneo importante a Pietroburgo, ho ambientato la sua storia in una notte bianca di Pietroburgo e ho riletto Dostoevskij. Così mi ritrovo grazie agli scrittori fratelli immedesimato nell’atmosfera pietroburghese. Il mondo mi appartiene attraverso i libri. La mia biblioteca fa diventare quest’isola un continente. La terra intera, la storia mi circonda. Dovendo vivere una protesi di vita, una mezza-vita3, è soprattutto la lettura che mi rimane, qualche disco, qualche passeggiata4.

  • 5 Ci riferiamo, in particolare, alle monografie date alle stampe a partire dal lavoro pioneristico di (...)

4Le parole e le immagini altrui disseminate all’interno della scrittura bufaliniana rendono indubbiamente assai stimolante ma anche più impervio il percorso critico di disvelamento e di analisi testuale, fruttuoso tuttavia di importanti spiragli ermeneutici per l’interprete che si cimenti nella sfida. È quanto dimostrano i saggi qui raccolti e che rispondono tutti alla necessità di scandagliare un aspetto, quello della citazione, spesso rimasto a margine di un discorso critico a più ampio respiro e rivolto perlopiù all’indagine tematica dei testi, quale utile e imprescindibile fondamento per una solida strutturazione dell’approccio generale all’opera dello scrittore5. La ricorrenza del centenario della nascita di Bufalino è sembrata occasione proficua per rileggere la sua produzione attraverso il filtro di quella forma di scrittura alla seconda rappresentata dal vistoso uso della citazione letteraria, e proporre alcuni confronti testuali e tematici con opere e autori per larga parte mai accostati allo scrittore, offrendo al contempo una serie di piste interpretative nuove e potenzialmente foriere di esiti ulteriori.

  • 6 Resta fuori da questa indagine la produzione del Bufalino elzevirista a cui è stato di recente dedi (...)

5I contributi che compongono questo numero monografico restituiscono da un lato l’archeologia delle opere analizzate, dall’altro contribuiscono a ricostruire minuziosamente un ventaglio di letture, autori e testi, oggetto di riutilizzo da parte di Bufalino, e rintracciati attraverso uno scavo volto a delineare l’orizzonte letterario dello scrittore, e a fornire in filigrana una descrizione della sua biblioteca virtuale. I generi letterari presi in esame (dalla narrativa alla poesia, senza tralasciare l’attività dell’aforista, dell’antologista o del traduttore)6, sebbene si influenzino reciprocamente con rimandi dall’uno all’altro testo — nonché dall’uno all’altro degli studi qui raccolti —, hanno suggerito e definito l’impostazione del presente volume e la sua suddivisione in quattro parti o sezioni principali.

6La prima è dedicata interamente al romanzo d’esordio di Bufalino, Diceria dell’untore e si compone dei tre contributi a firma di Lazzarin, Cacciatore e Carmina. Attraverso una comparazione tra Diceria dell’untore, L’uomo invaso e La Piramide di Palazzeschi, Lazzarin riflette sullo stile di poema in prosa del romanzo, secondo una direttrice di lettura che coinvolse in prima persona Bufalino, allorché il giovane studioso cercò un confronto con l’Autore in una lettera. Rimasta sino a oggi inedita, la lunga risposta di Bufalino, preziosa per i numerosi spunti e chiavi di lettura offerte, viene pubblicata per la prima volta. Sempre a partire da un documento inedito (una lista di autori e opere redatta da Bufalino durante la composizione del romanzo), Cacciatore ricostruisce le fonti sommerse di Diceria dell’untore, da cui emergono inaspettati i nomi di Soldati, Pratolini, Tobino, Landolfi, oltre ai noti Kafka e Mann; all’approfondimento del dialogo intertestuale bufaliniano con gli ultimi due è dedicato il contributo di Carmina che rilegge e giustifica l’appartenenza dell’opera alla grande tradizione primonovecentesca del romanzo modernista europeo, e in particolare a quello di Proust, Musil, Joyce, Woolf.

7La seconda sezione raccoglie contributi focalizzati da un lato sul Bufalino antologista, dall’altro sull’aforista. Nel caso di questi due generi così specifici, la passione dello scrittore per la letteratura di tutti i tempi è naturalmente più esibita: come gli studi di Cadioli e Ruozzi attestano, tanto le antologie quanto le raccolte di aforismi costituiscono un versante privilegiato dal quale trarre efficaci chiavi interpretative dei romanzi o dei racconti. In tal senso anche l’attività del Bufalino antologista del Dizionario dei personaggi di romanzo (1982), su cui si concentra Cadioli attraverso il convincente confronto con Benjamin, dà luogo alla creazione di un’opera originale con una marca autoriale solida, una costruzione letteraria autonoma, realizzata a partire da frammenti preesistenti e offerta al lettore perché possa anche lui comporre una sua personale crestomazia ideale, un Libro dei Libri alla stregua del Robinson dell’Ingegnere di Babele. Quanto al Bufalino aforista del Malpensante (1987) e di Bluff di parole (1994), Ruozzi parla apertamente di «aforisma citazione», ovvero di una forma di reciprocità in base alla quale lo scrittore si serve della fonte letteraria per dare vita a un sapiente connubio tra commento e voce propria; e i nomi degli interlocutori a distanza sono tanti, da Leopardi a Papini, da Kraus a Baudelaire, da Pascal a Nietzsche, tutti individuati con precisione nei testi attraverso un serrato confronto con i libri conservati nella biblioteca che appartenne allo scrittore.

8La terza parte è dedicata alla raccolta di poesie L’Amaro miele (1982). Si tratta di una sezione di sicuro interesse, innanzi tutto perché quello poetico è stato l’ambito meno indagato dalla critica bufaliniana, ma altresì per i risultati che gli studi qui presentati portano in superficie. Anche in questo caso a essere illuminata è l’archeologia testuale e compositiva della raccolta, come dimostra lo studio di Di Silvestro che ne ricostruisce le tappe redazionali (e di pubblicazione) attraverso i materiali d’autore riferibili alla silloge, supportati e integrati da quelli relativi al secondo romanzo di Bufalino, Argo il cieco ovvero i sogni della memoria (1984), in un discorso filologico che lascia emergere nel testo la capillare presenza di Petrarca e Leopardi. Ai classici della poesia Traina accosta anche un confrère ideale di Bufalino, Angelo Maria Ripellino, un nome riecheggiato più volte dallo scrittore comisano ma la cui consonanza di stili e figure non ha mai dato luogo ad un compiuto discorso critico come quello offerto in questa sede. La ‘fratellanza’ tra i due si giustifica non soltanto per la comune vicenda biografica legata alla tubercolosi, ma anche per il preziosismo linguistico e la costruzione ingegneristica del verso presente in entrambi, e minuziosamente individuata da Traina in precisi confronti testuali.

9A chiusura del volume vengono proposti i due contributi di Paino e Michaut-Paternò dedicati alla traduzione. Com’è noto, l’attività traduttoria di Bufalino non era per lui meno importante di quella di romanziere, poeta o antologista, ma corre anzi sempre parallela ad esse, con antiche radici che affondano nella giovanile retroversione dall’italiano al francese delle Fleurs du mal di Baudelaire. I due studi analizzano entrambi i versanti bufaliniani implicati in questo faticoso lavorio di trasposizione in altra lingua: quello della ri-creazione di un’opera altrui, e quello della collaborazione offerta dallo scrittore alla traduzione delle sue opere in lingua francese. Anche nel caso del contributo di Paino ad essere privilegiata è la ricostruzione della storia di un testo bufaliniano, in particolare di un testo assai trascurato quale la traduzione dei Due fratelli di Terenzio (1983). Su questa versione ‘classica’ mancava del tutto nella bibliografia dedicata allo scrittore siciliano uno studio specifico, qui argomentato a partire da molteplici punti di vista e con l’ausilio di alcune fonti documentali. Ad arricchire questa (ri)scoperta si pone anche il recupero, quasi col valore di inedito, di uno scritto di Bufalino intitolato Tradurre Terenzio approntato per il libretto del ciclo di spettacoli classici del Teatro Segesta del 1983, sfuggito alle bibliografie ufficiali e qui ripubblicato.

10Infine, la lettera-testimonianza di Jacques Michaut-Paternò completa la figura del Bufalino traduttore, restituito attraverso le parole, non prive di coinvolgente emozione, di colui che si occupò della traduzione in francese della maggior parte delle opere dello scrittore siciliano. Si tratta non soltanto del ricordo di un fraterno amico ma anche di un fedele interprete che ha fatto i conti con la prosa bufaliniana, sviscerandone i significati e i sensi sotto l’occhio compiaciuto e attento dello stesso autore. La bellissima e intensa lettera di Jacques ci è sembrata il suggello ideale per chiudere questo numero monografico dedicato a Gesualdo Bufalino in occasione del centenario.

11Se il nostro proposito iniziale era quello di indagare da vicino un aspetto rimasto in ombra nella bibliografia critica, i generosi contributi degli Autori hanno reso possibile, attraverso la lente specifica del riuso e della citazione, l’articolazione di riflessioni a tutto campo e ad ampio respiro che, se da un lato segnano un’importante acquisizione nella critica bufaliniana, dall’altro inaugurano una serie di piste interpretative da sviluppare e approfondire in future ricerche.

12Nel licenziare questo Cahier, esprimiamo il nostro sentito ringraziamento al direttore della rivista Enzo Neppi per aver seguito con attenzione e dedizione le diverse tappe preparatorie del volume. Una sincera riconoscenza va a tutti gli Autori e ai membri del Comitato Scientifico (Francesca Caputo, Christian Del Vento, Salvatore Silvano Nigro e Nunzio Zago) per la generosità e per l’appassionata partecipazione a questo lavoro e a Claire Maniez per la rilettura degli abstacts in inglese.

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Notes

1 Il riferimento a Dostoevskij rappresenta un caso emblematico di citazione intertestuale e intratestuale (o autoreferenziale) poiché Bufalino non soltanto richiama le Memorie del sottosuolo ma crea artificialmente una sorta di filo rosso con il suo secondo romanzo Argo il cieco ovvero i sogno della memoria (1984) implicandolo in questo contesto: «l’incipit giusto era un altro […] come in quel lamento di un sottosuolo, press’a poco un secolo fa: “Sono un uomo solo, sono un uomo malato…”. Qualcuno m’ha preceduto, sempre qualcuno mi precede» e, in Tommaso «“Sono un uomo malato… sono un uomo maligno. Non sono un uomo attraente. Credo mi faccia male il fegato. Del resto non ci capisco nulla della mia malattia e non so con certezza che cosa mi faccia male…”. Bello, no? Storcete il naso? Ohibò, ci siete cascati! Ho copiato, semplicemente copiato da un russo famoso che so a memoria. Non ditemi che ve n’eravate accorti. E se sì pazienza, vi tenderò trappole più sofistiche, qua e là, per pura disperazione, sono un maestro di vischi e di paretai…» (cfr. G. Bufalino, Argo il cieco ovvero i sogni della memoria, in Id., Opere 1981.1988, a cura di M. Corti, F. Caputo, Milano, Bompiani, 1992, pp. 341-342 e G. Bufalino, Tommaso e il fotografo cieco ovvero il patàtrac, in Id., Opere/2 1989.1996, a cura di F. Caputo, Milano, Bompiani, 2007, pp. 448-449).

2 Lo scrittore si riferisce a Shah mat. L’ultima partita di Capablanca cui egli stava lavorando prima della morte, poi pubblicato postumo e incompiuto per le cure di Nunzio Zago: G. Bufalino, Shah mat. L’ultima partita di Capablanca, Milano, Bompiani/Fondazione Gesualdo Bufalino, 2006.

3 Anche qui siamo in presenza di una criptocitazione poiché Bufalino fa implicitamente riferimento al «mondo vicario» di Tolstoi.

4 M. Jakob, Infedele è la memoria, in G. Bufalino, Opere/2 1989.1996, cit., p. 1386. Il connubio tra vita e letteratura, nonché il legame tra lo scrittore e i suoi predecessori i quali concorrono ampiamente alla tramatura del dettato bufaliniano, è talmente stretto che, in un celebre elzeviro intitolato ossimoricamente Allegrezze di morte, lo stesso Bufalino ebbe a chiosare: «Strano, però: le morti e le agonie della letteratura più alta, così di autori veri come di personaggi inventati, non cessano di mettermi soggezione e di mescolarsi con le occasioni di strazio privato. La morte di Ivan Il’ic e la morte di mio padre, chi sa distinguerle più?» (G. Bufalino, Allegrezze di morte, in Id., Opere 1981.1988, cit., p. 1016).

5 Ci riferiamo, in particolare, alle monografie date alle stampe a partire dal lavoro pioneristico di Nunzio Zago del 1987 (La figura e l’opera. Gesualdo Bufalino, Palermo, Il Pungitopo) sino a oggi, tra cui spiccano il recente, sempre di Zago, I sortilegi della parola. Studi su Gesualdo Bufalino, Leonforte, Euno Edizioni, 2016; C. Carmina, «A noi due». Bufalino e la sfida al lettore, Acireale-Roma, Bonanno, 2018; M. Paino, Dicerie dell’autore. Temi e forme della scrittura di Bufalino, Firenze, Olschki, 2005 e Ead., La stanza degli specchi. ‘Esercizi di lettura’ sul romanzo di Bufalino, Acireale-Roma, Bonanno, 2015; G. Traina, «La felicità esiste. Ne ho sentito parlare». Gesualdo Bufalino narratore, Cuneo, Nerosubianco, 2012. Per quanto riguarda, invece, la traduzione dal francese si rimanda a C. Rizzo (a cura di), Le voleur de feu. Bufalino e le ragioni del tradurre, Firenze, Olschki, 2005 e C. Rizzo (a cura di), I carnets di traduzioni poetiche. Un inedito di Gesualdo Bufalino, Acireale-Roma, Bonanno, 2010; per un approfondito studio delle suggestioni cinematografiche nell’opera bufaliniana, invece, si veda A. Sciacca, Le visioni di Gesualdo: immagini e tecniche foto-cinematografiche nell’opera di Bufalino, Roma-Acireale, Bonanno, 2015.

6 Resta fuori da questa indagine la produzione del Bufalino elzevirista a cui è stato di recente dedicato un volume che raccoglie gli Atti del Convegno di Studi, svoltosi a Comiso il 9 e il 10 novembre 2017, curato da N. Zago: Gesualdo Bufalino e la tradizione dell’elzeviro, Leonforte, Euno Edizioni, 2019.

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Pour citer cet article

Référence électronique

Marina Paino et Giulia Cacciatore, « Introduzione »Cahiers d’études italiennes [En ligne], 30 | 2020, mis en ligne le 01 mars 2020, consulté le 18 janvier 2025. URL : http://0-journals-openedition-org.catalogue.libraries.london.ac.uk/cei/6435 ; DOI : https://0-doi-org.catalogue.libraries.london.ac.uk/10.4000/cei.6435

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Auteurs

Marina Paino

Università di Catania

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Giulia Cacciatore

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