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Notes
Testo latino in appendice. Nel trascrivere sciolgo le abbreviazioni, divido le parole, distinguo tra u/v, introduco o modernizzo la punteggiatura, uniformo l’uso delle maiuscole. La ricerca è stata resa possibile da una Junior Core Fellowship dell’Institute for Advanced Study della Central European University. Il suo completamento è stato favorito da un Gerda Henkel Stiftung Grant.
Si veda S. Vecchio, Le prediche e l’istruzione religiosa, in La predicazione dei frati dalla metà del ’200 alla fine del ’300, Atti del XXII Convegno della Società internazionale di studi francescani, Spoleto, CISAM, 1995, pp. 301-335 e, per un ampio quadro sulla predicazione quaresimale, P. Delcorno, E. Lombardo e L. Tromboni (a cura di), I sermoni quaresimali: digiuno del corpo, banchetto dell’anima, «Memorie Domenicane», vol. XLVIII, 2017.
Su questa tipologia di sermonari rimando a P. Delcorno, «Et ista sunt scripta Dantis»: predicare la Commedia in Quaresima, in I sermoni quaresimali, cit., pp. 125-143 e Id., In the Mirror of the Prodigal Son: The Pastoral Uses of a Biblical Narrative (c. 1200–1550), Leiden, Brill, 2017, pp. 310-369. Sulle sperimentazioni tra Trecento e primo Quattrocento, si veda anche Id., Quaresimali ‘visibili’: il serafino, il guerriero, il pellegrino, «Studi medievali», III ser., vol. LXI, 2019, i.c.s.
Questa caratteristica poteva risultare funzionale all’effettiva predicazione in volgare dei sermoni, dove i versi latini di Virgilio (come le citazioni bibliche) necessitavano una mediazione linguistica.
Sul concetto di ‘trasformazione’ dei classici, si veda H. Böhme et al., Transformation. Ein Konzept zur Erforschung kulturellen Wandels, München, Wilhelm Fink, 2011, in part. pp. 39-56.
La tendenza invece a utilizzare i classici «as no more than attractive but one-dimensional springboards into the usual pool of allegories» è rilevata in S. Wenzel, The Classics in Late-Medieval Preaching, in A. Welkenhuysen, H. Braet e W. Verbeke (a cura di), Mediaeval Antiquity, Leuven, Leuven University Press, 1995, p. 130. Per un quadro — anche metodologico — sulla ricezione/trasformazione dei classici nella predicazione tardomedievale, si veda P. Delcorno, “Christ and the soul are like Pyramus and Thisbe”: An Ovidian Story in Fifteenth-Century Sermons, «Medieval Sermon Studies», vol. LX, 2016, pp. 37-60.
Sull’utilizzo di Virgilio e Ovidio, si veda N. Maldina, Predicare l’aldilà. Osservazioni sul Quaresimale di Giordano da Pisa (Firenze, 1305-1306), «Italianistica», vol. XLIII, no 1, 2014, pp. 11-29 e per un loro precoce uso tra XII e XIII secolo, si veda F. Siri, I classici e la sapienza antica nella predicazione di Alano di Lilla, in A. Palazzo (a cura di), L’antichità classica nel pensiero medievale, Turnhout, Brepols, 2011, pp. 149-170. L’unico caso in parte assimilabile nell’utilizzo di Eneide VI come elemento strutturale di un sermonario è il Quadragesimale peregrini, databile agli stessi anni del testo qui esaminato; cfr. P. Delcorno, «Et ista sunt scripta Dantis», cit.
Il ricorso a una sorta di double-coding permetteva di rivolgersi ad ascoltatori diversi attivando livelli differenti di comprensione. Per un esempio di tale tecnica nell’incorporare i classici nella predicazione, cfr. Ibid., p. 55.
Manoscritto cartaceo, miscellaneo composito; ff. II + 298; 225 x 155 mm. Per una descrizione si veda C. Cenci, Bibliotheca manuscripta ad sacrum conventum Assisiensem, Assisi, Editrice Francescana, 1981, vol. I, pp. 379-380. La sezione contenente il quaresimale è composta di sei fascicoli: VI1 + III1 + VIII3 + IV1. Dopo il primo fascicolo vi sono tre carte sfascicolate bianche (ff. 111r-113v); mancano tre carte dopo f. 135v, due dell’ultimo quaderno e la prima dell’ultimo fascicolo: il testo non presenta pero’ salti. Al termine del penultimo quaderno vi è un richiamo (f. 129v). Nella sezione del quaresimale, lo specchio di scrittura, tracciato a piombo, è 155 x 107 mm, a pagina intera; il numero di righe varia tra 39 e 42.
C. Cenci, Bibliotheca, cit., vol. I, p. 379. La notizia della presenza di citazioni dantesche è riproposta, senza aggiunte, in N. Giovè e S. Zamponi, Manoscritti in volgare nei conventi dei frati Minori: testi, tipologie librarie, scritture (secoli XIII-XIV), in Francescanesimo in volgare (secoli XIII-XIV), Atti del XXIV Convegno internazionale (Assisi, 17-19 ottobre 1996), Spoleto, CISAM, 1997, p. 311.
«Introductiones tertii anni lectorie Tuderti fratris Philippi de Assisio, peregrinationis tempore», Assisi, Biblioteca del Sacro Convento, Fondo Antico, ms. 517, f. 92r. Cfr. C. Cenci, Bibliotheca, cit., vol. I, pp. 381-383. Il manoscritto è ricco di riferimenti al contesto storico e permette di seguirne il dipanarsi dell’azione di un predicatore in un preciso ambito locale.
Sermoni di Francesco degli Abbati, Nicoluccio d’Ascoli e Servasanto da Faenza, oltre a parte dello Speculum Beatae Virginis di Corrado di Sassonia. Se non copiato, è almeno appartenuto a Filippo anche il fascicolo che contiene un ampio estratto (circa 200 versi) dell’Hercules furens di Seneca (ff. 139r-145v), chiuso da un sermone del frate (f. 146rv).
Lo attesta l’introduzione dell’ultimo testo del medesimo quaderno: «Hanc collationem feci in conventu Arimini dum fui ibi lector, in responsione fratris Iacobi de Tolentino existente (!) pro secondo lectore»; A, f. 180r. Nel periodo precedente, Filippo è attestato come minister a Bologna (1411-1414).
Il thema scelto (Me querebatis; Luca 2.49) ricorre nel Vangelo della domenica dopo l’Epifania. Il sermone include un acrostico del nome Iacobus. Non è nota la data della morte di questo cardinale, stretto collaboratore di Gregorio XII, ma il suo testamento venne dettato il 29 agosto 1414 a Rimini, dove fu sepolto nella chiesa degli agostiniani; D. Barbalarga, Del Torso Iacopino, DBI, vol. XXXVIII, 1990, pp. 305-306.
C. Cenci, Bibliotheca, cit, vol. I, p. 376 (con bibliografia).
Per un quadro aggiornato, con particolare riferimento al contesto italiano, si veda N. Maldina, In pro del mondo: Dante, la predicazione e i generi della letteratura religiosa medievale, Roma, Salerno, 2017, pp. 34-82, dove si sottolinea la convergenza strutturale tra questi testi e la predicazione degli ordini mendicanti.
Il racconto riassume Eneide VI, 1-45, con alcune varianti e senza descrivere le immagini del tempio.
Fulgenzio, Commento all’Eneide, a cura di F. Rosa, Trento, Luni, 1997, pp. 64-65. Per il commento di Servio, mi sono avvalso dell’edizione curata da Guarino da Verona con le aggiunte di Giovanni Calfurnio, ritenendola una buona testimonianza dei materiali in circolazione nell’Italia del Quattrocento; Virgilio, Opera, a cura di G. Calfurnio, Vicenza, Leonardus Achates, 1479, f. r3r. Sul commento di Servio, rimando a G. Ramires, Commento di Servio al libro VI dell’Eneide: citazioni filosofiche e memoria di Dante, «Bollettino di italianistica», n.s., vol. VII, no 2, 2010, pp. 20-34 (con bibliografia) e, di carattere più introduttivo, S. Italia, Il Virgilio medievale: tra filologia, filosofia e leggenda, Acireale, Bonanno, 2012 (fermandosi al XII secolo, risulta poco utile per la nostra analisi).
B. Silvestre, Commento all’Eneide, a cura di B. Basile, Roma, Carocci, 2008, pp. 108-110. Si veda anche l’ottima introduzione del curatore, ivi, pp. 7-28 e le osservazioni sulla presenza del testo in Italia tra Tre e Quattrocento in G. Padoan, Il pio Enea, l’empio Ulisse. Tradizione classica e intendimento medievale in Dante, Ravenna, Longo, 1977, pp. 207-222.
Si vedano le considerazioni in P. Howard, Making a City and Citizens: The ‘Fruit’ of Preaching in Renaissance Florence, in A. Brown e J. Dymolyn (a cura di), Medieval Urban Culture, Turnhout, Brepols, 2017, p. 63.
La lista di esempi dell’utilitas del digiuno poteva, evidentemente, essere trattata con una certa ampiezza, così come la parte conclusiva sulle domicellæ che devono accompagnare il digiuno.
Sulla tendenza di citare Dante a conferma di quanto esposto, ma senza commentare i suoi versi, si veda O. Visani, Citazioni di poeti nei sermonari medievali, in G. Auzzas, G. Baffetti e C. Delcorno (a cura di), Letteratura in forma di sermone: i rapporti tra predicazione e letteratura nei secoli XIII-XVI, Firenze, Olschki, 2003, pp. 123-146. Diverso in questo senso è il caso del Quadragesimale peregrini, cfr. P. Delcorno, Un pellegrinaggio nell’inferno dantesco: il Quadragesimale peregrini cum angelo, in G. Strinna e G. Mascherpa (a cura di), Predicatori, mercanti, pellegrini. L’Occidente medievale e lo sguardo letterario sull’Altro, Mantova, Universitas Studiorum, 2018, pp. 219-250.
Si può pensare a una sorta di double-coding: chi conosceva il poema dantesco poteva cogliere e apprezzare l’interazione tra le due citazioni a un livello di maggiore complessità.
Il richiamo alle stimmate è un chiaro indizio della paternità minoritica del sermonario — a meno di considerarlo un’aggiunta del copista.
Nell’associazione del guardiano con il binomio terra/cenere, oltre all’evidente rimando alla liturgia del giorno, può dipendere anche da un riferimento all’abito dell’angelo in Purgatorio IX, 115-116, tanto più considerata la presenza di una tradizione interpretativa, inaugurata dall’Ottimo, che legava i colori della sua veste non solo al tema dell’umiltà, ma proprio a Genesi 3.19 (citato qui nel sermone), come nota A. Pegoretti, Immaginare la veste di un angelo: il caso di Purg. IX, 115-16, «L’Alighieri», vol. XXVII, 2006, p. 143.
A, f. 121v. I versi citati sono Eneide VI, 149-154, seguiti — con nesso logico precario — da Inferno I, 112-120.
«Et fructus iste erit considerare statum merchatorum qui de templo eiciuntur. Ponuntur tamen in isto Evangelio duo status merchatorum, unus habet pedem claudum (cfr. Matteo 21.14), secundus vero status merchatorum qui habent curam pastoralem. Et quia de isto statu cum sobrietate debemus loqui, ideo solum de primo statu intendo loqui, quem Christus de templo expulit cum flagellis; sed sacerdotibus cum mansuetudine respondit»; A, f. 122r. La sottolineatura riguardo alla necessaria prudenza nel trattare dei peccati del clero — oltre a riflettere una precisa prassi pastorale che riservava il tema ai sermoni ad clerum — evidenzia come il ciclo sia concepito per un’effettiva predicazione ad populum.
A, ff. 122v-123r.
Bernardo Silvestre, Commento, cit. pp. 148-151, dove si riprende e amplia Fulgenzio.
A: neptum — forse errore di lettura del copista.
A, f. 123r. L’ultimo versetto ripete il thema del sermone.
Si veda il ricco quadro in N. Bériou, Les instruments de musique dans l’imaginaire des prédicateurs, in Ead., Religion et communication: un autre regard sur la prédication au Moyen Âge, Genève, Droz, 2018.
A, ff. 123r-124v.
A: hoste.
Passo oscuro; sulla base di Eneide VI, 262 che parla di antro aperto, correggo ad sensum il poco comprensibile: amenum.
Forse in origine vacuas, come in Virgilio.
A: incerta limina. Ritengo più probabile l’uso dell’espressione virgiliana, in quanto la luna è il soggetto della successiva frase «quando aliquando apparet aliquando non», come ripete successivamente anche la spiegazione allegorica.
Il tema della presenza di una minima luce forse deriva da Servio; G. Ramires, Commento, cit., p. 23.
A: ellear (?).
A, f. 129r.
Andrà ad esempio investigato il commento trecentesco di Zono de’ Magnali; cfr. M. L. Lord, A Commentary on Aeneid 6: Ciones de Magnali, not Nicholas Trevet, «Medievalia et humanistica», n.s., vol. XV, 1987, pp. 147-160. Tra i canali d’accesso all’interpretazione di Virgilio da parte di questo predicatore non va escluso un influsso dello stesso Dante — abbondantemente citato — e forse anche dei commenti alla Commedia.
Sul Quadragesimale peregrini, vedi note 7 e 22.
Un quadro aggiornato in C. Delcorno, L’Osservanza francescana e il rinnovamento della predicazione, in I frati osservanti e la società in Italia nel secolo XV, Atti del XL Convevno internazionale (Assisi-Perugia, 11-13 ottobre 2012), Spoleto, CISAM, 2013, pp. 3-54.
Su Geiler veda R. Voltmer, “Preaching during the Holy Week Is Like Being Killed on the Wheel”: The Design, Performance, and Recording of Johannes Geiler of Kaysersberg’s Lenten Sermons, in I sermoni quaresimali, cit., pp. 277-291.
Un parallelo rilevante, pur geograficamente distante, è il cosiddetto Norwich Commentary (post 1381) studiato in C. Baswell, Virgil in Medieval England: Figuring the Aeneid from the Twelfth Century to Chaucer, Cambridge, Cambridge University Press, 1995, pp. 136-164. In tale testo, molte delle glosse all’Eneide di tipo morale o cristologico sono orientate a diventare exempla per la predicazione (p. 152) e «the whole Virginian Underworld undergoes a domesticating transformation […] being seen in light of a Christian purgatory and hell» (p. 156). Giustamente Baswell sottolinea l’influsso dell’Ovide moralisé su tali procedimenti.
Sui riferimenti ostili al «bon Virgili que jau enmig de infern» — ma anche a Dante — nelle prediche tenute da Ferrer tra 1412 e 1413, si veda F. J. Gómez, Dante e Pietro Alighieri nell’opera teologia del minorita catalano Joan Pasqual, «Studi danteschi», vol. LXXX, 2015, p. 269.
In aggiunta alla bibliografia già citata, si veda S. Bellomo, «Or sè tu quel Virgilio?»: Ma quale Virgilio?, «L’Alighieri», vol. XLVII, 2016, pp. 5-18.
Si veda C. Mésoniat, Poetica theologia. La Lucula Noctis di Giovanni Dominici e le dispute letterarie tra ’300 e ’400, Roma, Edizioni di Storia e Letteratura, 1984 (p. 38 sull’episodio mantovano) e A. Reltgen-Tallon, L’observance dominicaine et son opposition à l’humanisme. L’exemple de Jean Dominici, in P. Gilli (a cura di), Humanisme et Église en Italie et en France méridionale (xve siècle – milieu du xvie siècle), Roma, École française de Rome, 2004, pp. 43-62. Un convincente invito a superare la semplicistica e largamente inadeguata opposizione storiografica tra «esprit médiéval et esprit moderne, religiosité et laïcité» e a cogliere invece l’incessante interscambio tra chierici e laici è avanzato in C. Caby e R. M. Dessì (a cura di), Humanistes, clercs et laïcs dans l’Italie du xiiie au début du xvie siècle, Turnhout, Brepols, 2012 (cit. p. 12). Si veda anche l’utile quadro fornito in C. Caby, Oltre l’Umanesimo religioso: umanisti e Chiesa nel Quattrocento, in P. Messa, A. E. Scandella e M. Sensi (a cura di), Cultura e desiderio di Dio. L’Umanesimo e le Clarisse dell’Osservanza, Assisi, Porziuncola, 2009, pp. 5-33. Giustamente è stato notato che un umanista come Coluccio Salutati († 1406) non solo conosceva l’interpretazione allegorica del Silvestre, ma mostrò di apprezzarla; G. Padoan, Il pio Enea, cit., pp. 217-218.
La descrizione echeggia quella della profetessa Anna in Luca 2.37.
Eneide VI, 36-41. Qui e altrove il copista non pare particolarmente attento nel trascrivere i versi di Virgilio. Correggo come evidenti errori: Glancy, grage, bibentes, teneros.
Antifona del Mercoledì delle Ceneri.
Terza strofa dell’inno di Quaresima Ex more docti mystico servemus; cfr. P. G. Walsh et al., One Hundred Latin Hymns, Cambridge, MA, Harvard University Press, 2012, pp. 172-175 e 447-448.
A: civerales.
Genesi 2.16-17.
Intendendo per «prima arte» la penitenza; cfr. Giordano da Pisa, Quaresimale fiorentino 1305-1306, a cura di C. Delcorno, Firenze, Sansoni, 1974, pp. 74-75.
Purgatorio IX, 76-78 e 109-114.
Il racconto non figura nella Historia scolastica.
Ripresa assai libera di Ambrogio, De Elia et ieiunio, III.4, PL 14, col. 733.
Geremia 22.19.
Cfr. Genesi 3.19.
Siracide 14.12.
Cfr. Matteo 16.24.
Salmo 113.9.
Cfr. Colossesi 3.17.
Esodo 32.14
Citazioni da Matteo 6.16-20, pericope del giorno.
Vedi nota 65.
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