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Percorsi e letture

Le Einfache Formen di André Jolles: struttura, problematicità, applicabilità della «forma» della Leggenda1

Les Einfache Formen d’André Jolles : structure, apories, applicabilité de la « forme » de la Légende
Filippo Fonio
p. 151-182

Résumés

La présente contribution traite une à une les différentes composantes du système des Einfache Formen de Jolles, de la « disposition mentale » au « geste verbal », en passant par la « forme simple », la « forme simple actualisée », la « forme artistique » et l’« objet ». On tentera de reconstruire la structure logique de chaque passage, là où le texte de Jolles semble lacunaire ou incohérent, et d’en proposer des pistes d’applicabilité, notamment pour la « forme simple » de la Légende et le genre littéraire de la vita hagiographique.

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Texte intégral

  • 1 Il contributo qui proposto costituisce un ideale complemento — oltreché una parziale revisione — di (...)

1Il ruolo e l’importanza di André Jolles in ambito storico-culturale e teorico-letterario sono stati, nel corso del Novecento, tanto spesso riconosciuti, in ragione, in particolare, della natura pionieristica del metodo e delle categorie jollesiane, quanto, altrettanto spesso se non ancor più, sottovalutati oppure passati sotto silenzio, a causa di motivazioni stavolta estrinseche e di pregiudiziali ideologiche. Cionondimeno, nelle alterne vicende della fortuna di Jolles e del suo metodo, le «einfache Formen» restano un modello categoriale utile per ogni approccio tematologico, morfologico o antropologico che faccia dello specifico letterario il proprio oggetto di studio privilegiato. Nelle pagine che seguono cercherò di mostrare tale assunto, non del tutto aproblematico per via delle diverse ambiguità e contraddizioni, nonché della difficile applicabilità di alcuni aspetti del sistema jollesiano. Le aporie del sistema ne ridimensionano senza tuttavia inficiarne la portata.

«Forma semplice» e «forma artistica»: riproposta di due concetti romantici

  • 2 Almeno a partire da Winckelmann. Cfr. in part. J. J. Winckelmann, Gedanken über die Nachahmung der (...)
  • 3 F. Schiller, Über naive une sentimentalische Dichtung [1795-1796], in Schillers Werke. Nationalausg (...)
  • 4 Di particolare interesse le ricostruzioni novecentesche dei presupposti gnoseologici, prima che sto (...)

2L’alterità tra la «forma semplice» e la «forma artistica», la natura dialettica che caratterizza la polarità fra questi due stati (e stadi) di concrezione antropologico-letteraria — che sarà chiarita in seguito — costituisce il nucleo del sistema concettuale di Jolles. Va comunque tenuto presente che la «tensione»2 fra un principio di aggregazione pre-autoriale, ipostasi dell’inconscio collettivo e archetipale trans-storico, e la sua corrispettiva realizzazione autoriale, individualizzata ed esteticamente consapevole, non è invenzione jollesiana. La natura e le differenze fra i diversi stati dell’aggregazione artistica sono infatti centrali nel dibattito estetico a partire almeno dal neoclassicismo e dal romanticismo. Dalle «tre età» di Vico alle dispute sulla letteratura ossianica, dalle riflessioni di Herder sulla poesia popolare alle categorie schilleriane della poesia «naive» e «sentimentalisch»3, questa tensione fra diversi gradi di formalizzazione del preletterario per giungere all’autoriale, di adesione o distanziamento da una presunta fase aurorale e «naturale» dell’elaborazione artistica risultante in un’elaborazione polita, mediata e «appropriante» con conseguente perdita di spontaneità, adesione patetica, informazioni in fin dei conti, è a più riprese stata oggetto di sistemi e categorizzazioni — per quanto meno elaborati di quelli prodotti da Jolles — fin dal XVIII secolo. Nell’Ottocento, le nascenti discipline folkloriche, antropologiche ed etnologiche hanno introdotto in questo dibattito il parametro fondamentale del passaggio della letteratura dalla forma orale a quella scritta4.

  • 5 Evidente è l’analogia metodologica con la linguistica ricostruttiva e l’indeuropeistica, discipline (...)

3La «forma semplice» che si fa «forma artistica» è sottoposta a una tensione di questo tipo, e nel passaggio dall’una all’altra si osservano da un lato processi simili a quelli della predominanza, a seguito di una rielaborazione, della Kultur sulla Natur, e dall’altro caratteri in comune con la grafizzazione — concettuale anzitutto — dell’oralità. In particolare, le tracce lasciate dalla «forma semplice» — per non parlare degli stati di aggregazione ancora anteriori — sono ricostruibili su basi meramente congetturali, e l’analisi di essa non può far altro che procedere per regressione e sottrazione a partire da una forma, come quella «artistica», analizzabile, certo, ma irrimediabilmente altra rispetto alla «forma semplice» da cui si origina5. Quest’ultima deve insomma essere oggetto di un’operazione induttiva difficilmente verificabile.

  • 6 Cfr. in part. gli studi di Elisabeth Frenzel, fra cui Stoffe der Weltliteratur, Stuttgart, Kröner, (...)

4Il Novecento non manca di tentativi simili di ricostruzione del pre- o del peri-letterario, maturati a una certa distanza ma probabilmente influenzati dal sistema di Jolles — ed è il caso di Ernst Robert Curtius — oppure parallelamente ma in forma indipendente — come per Northrop Frye. Da Jolles et da Curtius in particolare nasce la tematologia o Stoffgeschichte contemporanea6, incentrata non soltanto sul reperimento di motivi, figure e temi ricorrenti in prospettiva tanto diacronica quanto sincronica, ma pure sul tentativo di tracciare un percorso antropologico-letterario analessico alla ricerca di elementi originari di natura affabulatoria, di «forme» in altre parole. Anzi, proprio in questa ricostruzione dei «minimi comuni denominatori» del letterario risiede probabilmente la chiave del superamento di quella crisi di legittimità che la Stoffgeschichte ha attraversato in anni non troppo lontani dalla sua nascita, e a seguito della quale la disciplina si è ripresentata nel dibattito critico-letterario internazionale profondamente mutata e più consapevole del proprio ruolo all’interno del sistema della critica. Del resto, alla base di ogni forma di ricerca intertestuale, questa ricostruzione di motivi e temi originari rinvia tanto alla grande mappa tracciata da Curtius, quanto alle Einfache Formen che ne costituiscono in certo modo il presupposto.

5Ma limitiamoci per ora a segnalare la centralità, nel sistema delle Einfache Formen, della tensione o polarità tra «forma semplice» e «forma artistica», che vanno considerati i punti estremi di un continuum che va da quell’embrione generico che Jung chiamerà «archetipo» all’opera d’arte esteticamente compiuta. Jolles ricostruisce a ritroso tale percorso — che a noi converrà presentare invece per ordine di complessità crescente —, ben conscio che a ogni passaggio del suo ragionamento e della sua induzione morfologica il rischio di una perdita di informazioni, laddove la «forma artistica» acquisisce autorialità e concretezza, sia sempre più inevitabile. Del resto l’anamnesi culturale di Jolles si fa, mano a mano che si risale verso la spontaneità e l’immediatezza, sempre più congetturale.

«Forme semplici»

  • 7 A. Jolles, Einfache Formen, Tübingen, Max Niemeyer, 1930, trad. it. in Id., I travestimenti della l (...)

6Le «einfache Formen» dell’omonimo saggio del 19307 rappresentano senza dubbio la summa della teorizzazione storico-culturale di Jolles, e un forte elemento di continuità tra i vari settori della sua poliedrica attività di studioso.

  • 8 Rispettivamente A. Jolles, Het sprookje [1922-1923], La fiaba nella letteratura occidentale moderna(...)
  • 9 In maniera più episodica, Jolles si era precedentemente occupato anche di Enigma, Massima, Memorabi (...)

7Jolles riconosce nove «forme semplici», deputate, ciascuna, a rendere conto della rielaborazione affabulatoria di un dato atteggiamento dell’uomo di fronte al mondo e alla propria esistenza ed esperienza. Tali atteggiamenti antropologici fondamentali sono categorizzati con le seguenti «etichette»: Leggenda, Saga, Mito, Enigma, Massima, Caso, Memorabile, Fiaba, Scherzo. Lo studioso si era già in precedenza occupato in modo approfondito di almeno due di queste categorie, ovvero la Fiaba e il Caso8, incentrandosi prevalentemente, certo, sulle rispettive realizzazioni artistiche — in particolare per il Caso e la corrispondente «forma artistica», la novella —, ma procedendo già in modo induttivo al di qua dell’opera letteraria e alla ricerca delle condizioni mentali e del «gesto estetico» della realizzazione di questa9.

8Fra le «forme semplici», alcune sono, mi pare, meno problematiche di altre, tanto nella loro individuazione e separazione — o minore permeabilità —, quanto nel loro ciclo morfologico, che comprende, per ciascuna, una genesi a partire da una «disposizione mentale», il manifestarsi per mezzo di «gesti verbali» che introducono un elemento di individualità nel collettivo, la progressiva complessificazione in «forme semplici attualizzate», quindi in «forme artistiche», e infine l’iconizzarsi in transfert«oggetti». Mi riferisco in particolare alla Leggenda, al Mito, al Caso e al Memorabile, che sono al contempo anche frutto delle costruzioni logiche meno audaci, le forme più «scontate» dell’affabulazione umana, quasi. Per quanto riguarda la Saga, invece, è proprio la sua scarsa impermeabilità rispetto alla «forma semplice» della Leggenda a renderne più arbitraria l’individuazione. Laddove infatti si sia di fronte a una versione desacralizzata della «forma semplice attualizzata» corrispondente alla Leggenda, infatti, oppure a una concrezione del Mito inteso come racconto a soggetto mitologico, eziologico ecc., i confini di queste due «forme semplici» rispetto alla Saga tendono ad assottigliarsi, quest’ultima forma tendendo a venire inglobata da quelle. Il Caso, poi, attraverso la sua prestigiosa attualizzazione nella novella, tende ugualmente ad appropriarsi, a seconda dei casi, materiali «grezzi» in origine — ovvero nelle fasi anteriori e fino alla «forma semplice» — ascrivibili piuttosto a Enigma, Massima e Memorabile.

9Lo Scherzo, infine, costituisce quasi un caso-limite di «forma semplice», dal momento che esso si presenta ab origine come strettamente connesso a un atteggiamento mentale e a una strategia discorsiva di negazione, come reazione ex negativo, come il rovescio di una medaglia di cui il recto preesiste affinché possa appunto fare oggetto di Scherzo — il che richiede ovviamente anche una fase di preparazione o ulteriore mediazione. Se dunque la «semplicità» caratterizza le forme ai loro primi stadi di aggregazione, parimenti alla separatezza dalle altre «forme semplici», si vede bene come lo Scherzo non possieda tali caratteristiche. Vieppiù, la specificità stessa, o la specializzazione mi sembra mancare a tale forma, dato che si percepisce facilmente come lo Scherzo sia caratterizzato da una innata componente trans-generica. E se le «forme semplici» sono all’origine di altrettanti generi letterari o antropologici, trans-genericità dunque significa, nel caso dello Scherzo, anche trans-morfologicità. E proprio la natura proto-generica delle forme — di nuovo ragionando induttivamente — rende ragione della necessità della loro tendenzialmente reciproca esclusione, dal che emerge quanto lo Scherzo sia davvero da considerarsi un caso problematico.

Un presupposto antropologico: la «disposizione mentale»

10Ciascuna «forma semplice» si trova, rispetto alla «disposizione mentale» che ne è alla base, in un rapporto genetico. Ogni «forma semplice» ha all’origine una «disposizione mentale».

11Ma la distanza della «forma semplice» rispetto alla prima concrezione jollesiana, quella della «disposizione mentale», è molteplice. La «forma semplice» è infatti l’aggregazione di secondo grado della «disposizione mentale», per ricostruire la quale siamo indotti a tentare un’operazione foucaultiana di stratigrafia «archeologica». E la distanza aumenta ulteriormente laddove si cerchi di partire da quel primum analizzabile che è la «forma artistica».

  • 10 La letteratura sembra infatti essere il campo di applicazione a cui il riscontro delle «forme sempl (...)
  • 11 Il caso di testi adespoti o di attribuzione controversa, o di quelli in merito ai quali l’epoca e l (...)

12L’analisi antropologico-letteraria suggerita da Jolles, che è in certo qual modo il campo di applicazione più legittimo — o più pertinente, probabilmente — delle «forme semplici»10, ha in effetti a propria disposizione come oggetti di studio delle individualità testuali nelle quali il campo della testualità è tanto importante quanto lo è il carattere di individualità e separatezza, di relativa autonomia del prodotto letterario pur in una prospettiva genetica. I testi sono infatti il frutto dell’attività di uno o più produttori e la loro genesi e realizzazione copre un determinato arco spaziale e temporale11. Ma la distanza tra «disposizioni mentali» e «gesti verbali» necessari alla produzione dell’opera letteraria e l’opera stessa, e la mediazione con consistente perdita e acquisto che va dagli uni all’altra è quadruplice. Ciò significa che la ricostruzione induttiva della «disposizione mentale» deve procedere a una sottrazione o regressione di quarto grado, quanto mai aleatoria.

13Il presupposto dell’esistenza di una «disposizione mentale» alla base delle «forme semplici» e, a fortiori, dei generi letterari, è il riconoscimento di un fondamento antropologico della letteratura — e degli altri linguaggi artistici, di cui qui non sarà questione — e al contempo l’accettazione che la componente naturale prevalga su quella culturale nell’elaborazione, per lo meno in nuce, delle forme letterarie. Se la componente culturale è fattore imprescindibile di ogni fenomeno letterario «compiuto», regredendo da esso alla ricerca non solo del sistema segnico che ne ha reso possibile la produzione, ma del «gesto» in cui si traduce il bisogno che è all’origine della nascita della «forma» l’elemento naturale ha, secondo Jolles, un’importanza preponderante. Laddove infatti i bisogni affabulatori sono quelli del racconto sul mondo, sull’io e sui suoi rapporti nei confronti del mondo e dei suoi simili, ecc., va ricercata la «disposizione mentale».

14Per la verità, Jolles, pur privilegiando il fondamento antropologico della «disposizione mentale» — operando in questo caso un ragionamento deduttivo, ovvero riconoscendo che le «forme semplici» in cui si concretano, dopo diverse fasi di mediazione, «disposizione mentale» e «gesto verbale» siano da considerarsi una sorta di universali discorsivi, di agglomerati-base di concrezioni verbali —, suggerisce al contempo che la «pista culturale» non sia da trascurare, specie se si procede a una lettura delle «forme semplici» più specifica, che tenda cioè a riconoscere in esse i prodromi di un tipo particolare di aggregazione discorsiva, ovvero degli universali o proto-generi letterari.

15Ferme restando così le difficoltà del passaggio dalla «disposizione mentale», ovvero dalla fase pre-verbale della «forma semplice», intesa dunque come universale discorsivo — da cui lo specifico letterario è sussunto —, alla «forma semplice» stessa, attraverso le mediazioni che le diverse fasi di rielaborazione implicano, appare chiaro che nella «disposizione mentale» è da riconoscere il fondamento antropologico della «forma semplice».

16Per illustrare il metodo secondo cui procede Jolles è utile passare in rassegna le «disposizioni mentali» che sono presupposto e condizione di esistenza delle nove «forme semplici».

  • 12 A. Jolles, Forme semplici, in Id., I travestimenti della letteratura, cit., pp. 281 sgg.
  • 13 La reversibilità è uno dei tratti caratterizzanti delle «forme semplici». Tale reversibilità muove (...)

17La tendenza all’imitazione è così riconosciuta come il fondamento della «forma semplice» della Leggenda12. Insita in tale tendenza è un’idea di bene a cui ci si voglia avvicinare o verso cui si voglia tendere — così come, nella specularità e reversibilità del sistema di Jolles13, a un’anti-Leggenda corrisponde un’idea di male. A tale idea di bene si vuole conformare il proprio comportamento, certo, ma subito appare il carattere illusorio di tale tentativo, poiché di nuovo si tratta di una tensione il cui modello — il santo, incarnazione e proto-personaggio della «forma semplice» della Leggenda — è intuitivamente sentito come irraggiungibile. Anzi, il santo è egli stesso l’incarnazione di uno sforzo eternamente frustrato, dal momento che il suo comportamento, pur sentito come esemplare dai fedeli, è a sua volta un’imitatio Christi che non può competere con il proprio modello. L’irraggiungibilità del modello, secondo Jolles, non fa tuttavia prevalere la prostrazione, anzi ha una duplice ricaduta positiva, da un lato infatti spinge l’uomo, nella convinzione della perfettibilità indefinita della propria natura, a tendere verso un’aemulatio caratterizzata da una sana competizione nei confronti del proprio modello — e qui fornisce il modernissimo esempio degli atleti e dei record sportivi — e dall’altro a fare di tale irraggiungibilità e delle figure esemplari che sembrano incarnare questa perfezione del bene l’oggetto, e i protagonisti, di affabulazioni del tipo della Leggenda appunto, agiografica o eroica, «forma semplice» caratterizzata da una forte individualizzazione e insistenza sul personaggio-modello.

  • 14 Ivi, pp. 310 sgg.

18Alla figura dell’eroe, inserito stavolta nel suo contesto sociale e in special modo familiare, rinvia la «disposizione mentale» all’origine della seconda delle «forme semplici», la Saga14. I legami di sangue sono per Jolles un altro fondamentale bacino affabulatorio, un incentivo alla formazione del racconto tanto forte quanto lo è la tendenza all’imitazione dell’inimitabile, tanto canonica quanto lo è l’altra. Si tratta però al contempo di una «disposizione mentale» meno unitaria e più sfaccettata della precedente, e Jolles ne riconosce il carattere composito nella misura in cui la situa a fondamento di buon numero dei motivi di maggior fortuna nelle letterature di tutti i tempi e luoghi. Le saghe familiari che vertono sull’eredità materiale e spirituale, sui rapporti di parentela e conflitto endogeno, su incesto, adozione, adulterio — due meccanismi, questi ultimi, di fare progredire l’affabulazione allargando il campo della saga familiare — sulla rivendicazione di identità e appartenenza — ivi compreso l’onore, la difesa delle tradizioni, ecc. — dipendono tutte dalla «voce del sangue», altro atteggiamento antropologico che è, certo, modificato e fatto evolvere dalla cultura, ma caratterizzato, per Jolles, da un’originaria componente naturale.

  • 15 Ivi, pp. 326 sgg., 346 sgg.

19Le «forme semplici» del Mito e dell’Enigma15 hanno in comune la «disposizione mentale» del dialogo, si distinguono tuttavia in natura del fatto che il Mito si presenta come risposta che presuppone una domanda preesistente, anche se non necessariamente formulata, laddove nel caso dell’Enigma esso si pone come una domanda che richiede risposta. Questa «disposizione mentale» concepita come originariamente complementare, dà ciononostante vita a due «forme semplici» distinte riconoscibili negli stati di aggregazione più complessi. Se infatti domanda e risposta si implicano reciprocamente, e nascono da un atteggiamento mentale affine, tale corrispondenza non può essere estesa altrettanto automaticamente a un’assimilazione di miti e di enigmi «attualizzati», se non in casi tutto sommato sporadici — il mito di Edipo e l’enigma della Sfinge, ad esempio. Come è il caso della pluralità delle virtù imitabili, e delle diverse implicazioni dei legami di sangue, così questa dinamica della domanda e della risposta garantisce alla «disposizione mentale» del Mito e dell’Enigma una gamma di possibili affabulatori molto vasta, dato che le due «forme semplici» sono basate sulle attitudini antropologiche anch’esse molto sfaccettate della curiosità e del desiderio di scoperta.

  • 16 Ivi, pp. 368 sgg., 380 sgg.

20La Massima (che include tanto la componente della saggezza popolare propria del proverbio, quanto la sagacia del «motto» in senso boccacciano) e il Caso16 sono parimenti assimilabili sul piano della «disposizione mentale» da cui derivano, benché ciò avvenga in maniera meno meccanica che nel caso di Mito ed Enigma. Massima e Caso sarebbero infatti, secondo Jolles, accomunati nella «disposizione mentale» dell’esperienza. E sarebbe piuttosto sulla base dell’uso del contenuto esperienziale acquisito che Massima e Caso intesi come «forme semplici» si differenzierebbero: in merito alla prima Jolles afferma — in maniera non del tutto condivisibile — che l’esperienza che ne è alla base (che è già, a ben vedere, la rielaborazione mentale di un Erlebnis) sarebbe priva di intento didascalico o esemplare. Il Caso invece prevede che al resoconto dell’esperienza vissuta si intenda attribuire un valore normativo o prescrittivo, se ne voglia trarre una morale. Quel che Jolles sembra suggerire, trattandosi di «disposizioni mentali», ma che non è ulteriormente specificato, è che la componente gnomica sia insita nell’Erlebnis, mentre il senso comune sembra suggerire che Massima e Caso si distinguano piuttosto per la tecnica argomentativa che non per il mero contenuto e la presenza, o meno, di una finalità didascalica — e si pensi alle sottigliezze affabulatorie delle novelle (attualizzazione artistica del Caso, fra l’altro) della sesta giornata del Decameron. La sottigliezza e il rischio di parzialità della distinzione introdotta da Jolles sembrano suggerire del resto che Massima e Caso possano essere in realtà riconducibili a un’unica «forma semplice», la presenza o l’assenza di finalità esemplare rientrando del resto nei possibili della varietas che ogni «forma semplice» contempla al proprio interno, in maniera non troppo dissimile da quanto avviene per la dinamica della domanda-risposta alla base di Mito ed Enigma.

  • 17 Rispett. ivi, pp. 401 sgg., 422 sgg.

21Di natura oppositiva, benché anche qui reciprocamente dipendenti, sono invece le «disposizioni mentali» del Memorabile e della Fiaba17, «forme semplici» che trarrebbero origine rispettivamente dalla tendenza verso il concreto e dall’indugiare nel meraviglioso — due altre attitudini proprie alla natura umana. Ma laddove il Memorabile coincide con la netta propensione alla concretezza, al carattere effettivo, nonché anche in questo caso pragmatico, dell’affabulazione, l’essenza della Fiaba appare più composita, dal momento che altrettanto connaturata nell’uomo sarebbe la tendenza a ricondurre il meraviglioso al reale, a farlo rientrare nelle categorie del plausibile. Questa polarità fra le due «disposizioni mentali» dovrebbe ripercuotersi, amplificata anzi, nelle corrispondenti «forme semplici», come pure la natura conflittuale insita nella Fiaba e la propensione del Memorabile per la razionalità. Il che non è esente da problemi. Il Memorabile e la sua tendenza al concreto e al verisimile, infatti, si scontrano con lo scacco di ogni tentativo di produzione «realistica» che sia stato fatto nella storia della letteratura e della cultura, a causa del carattere imprescindibile di astrazione e di soggettività che la mediazione affabulatoria implica. Così come la «forma semplice» della Leggenda, il Memorabile non può non presentare elementi linguistici e narrativi disposti in un sistema ordinato e teleologicamente significante. La propensione al concreto e all’effettivo è insomma inficiata dalla natura del fatto linguistico stesso, della composizione estetica in quanto immancabilmente caratterizzata da figure, ricorrenze e altri artifici. Detto questo, concretezza e astrazione o propensione per il meraviglioso sono evidentemente «disposizioni mentali» connaturate all’uomo, e la cui estensione garantisce anche al Memorabile e alla Fiaba la varietas che abbiamo visto caratterizzare le altre «forme semplici».

  • 18 Ivi, p. 436.
  • 19 Ivi, p. 439.
  • 20 Cfr. n. 12.
  • 21 L’agiografia medievale e moderna è del resto un terreno particolarmente fecondo di applicazione del (...)

22Per quanto riguarda l’ultima «forma semplice», quella dello Scherzo, la radice antropologica relativa risiederebbe nella scomposizione di una «struttura», di un «insieme»18 sottoposto a una decostruzione comica. La «disposizione mentale» dello Scherzo viene dunque riconosciuta da Jolles nel comico19. Si tratta evidentemente di una propensione naturale, e se la base antropologica degli schemi che il comico tende a sovvertire — le altre «disposizioni mentali», in pratica — è assodata, così deve esserlo il «sentimento del contrario» che è la radice dello Scherzo. Se la percezione del mondo è propria all’uomo, lo stesso deve potersi dire del rovesciamento parodico di essa, della carnevalizzazione, del «mondo alla rovescia», oppure se il Motto è una delle forme-base dell’affabulazione, così sarà anche per la pointe satirica che ne è il contraltare. E dalla varietà delle percezioni del mondo è garantita quella dei sovvertimenti operati dallo Scherzo. Tuttavia, come detto sopra20, la natura ex negativo di quest’ultima «forma semplice» — ma già della relativa «disposizione mentale» — tende a renderne problematica la comprensione, la fissazione delle relative pertinenze e, soprattutto, inficia il postulato della reversibilità delle «forme semplici». Per tornare a un’analogia con la Leggenda al fine di chiarire questo punto, ci si può infatti chiedere in che cosa un’anti-Leggenda, ovvero la gesta di un anti-santo, nella misura in cui essa ribalta il codice assiologico su cui si fonda una Leggenda agiografica, sia presentando la stigmatizzazione di un’esemplarità negativa sia celebrandola con intento parodico, si distingua da uno «scherzo agiografico», per esempio in che cosa l’anti-agiografia di Ciappelletto nel Decameron si differenzi da una parodia organica del legendario di Iacopo da Varazze come La Nouvelle Légende dorée di Pierre-Sylvain Maréchal21. In definitiva, l’individuazione di questa nona «forma semplice» risulta superflua sulla base del fatto che ogni «disposizione mentale» e ogni «forma semplice» implicano già il proprio opposto.

  • 22 Fra gli orientamenti metodologici del Novecento, la tematologia e la mythocritique in particolare a (...)

23L’archetipo junghiano ha in comune con la «disposizione mentale» di Jolles diversi aspetti22, primo fra tutti quello dei caratteri di universalità e atemporalità. Saldamente dipendenti dalla «componente naturale» della specie, infatti, tanto le «disposizioni mentali» quanto gli archetipi tendono a presentarsi come costanti soggiacenti alle produzioni culturali di diversi luoghi ed epoche, come motivi (specie nel caso degli archetipi) trans-storici. L’archetipo, nondimeno, è contraddistinto da caratteri di minore astrattezza rispetto alle «disposizioni mentali», e la sua ricostruzione per via induttiva a partire dai livelli passibili di analisi appare meno complicata perché inferiori in numero e in complessità sono i gradi di mediazione. Un altro elemento importante di distinzione fra archetipo e «disposizione mentale» è visibile sul piano delle rispettive funzionalità in rapporto all’analisi del testo. Se l’archetipo si presta infatti a incarnare costanti policentriche e di lungo periodo secondo un approccio eminentemente tematologico — oggigiorno più che in prospettiva psicanalitica, ovviamente — il concetto di «disposizione mentale» trova la sua applicabilità più fruttuosa tanto nei confronti dei temi e motivi letterari, quanto nelle forme, nei generi e nelle strategie del discorso.

  • 23 Un esempio è l’universale tematico del puer senex, che Curtius assimila a un archetipo, cfr. ivi, p (...)

24Da questo punto di vista, forse l’archetipo si avvicina piuttosto al ruolo che la «forma semplice» ricopre nel sistema jollesiano che non a quello della «disposizione mentale». Un altro tratto non secondario che accomuna le «forme semplici» agli archetipi è che questi ultimi presentano per lo più natura oppositiva, essendo costituiti spesso da coppie ossimoriche, così come le «forme semplici» tendono, come nel caso della Leggenda e dell’anti-Leggenda, a inglobare il proprio opposto23. Questa caratteristica di un prevalere della coincidentia oppositorum, sia qualora si presenti nella forma di un archetipo, sia di una «forma semplice» e del suo rovesciamento, oppure ancora di due «forme semplici» in diversi casi, deriva probabilmente dal fondamento antropologico che entrambi gli schemi riconoscono all’origine delle rispettive «forme». Ma benché gli archetipi sembrino assimilabili al ruolo che la «forma semplice» occupa nella teorizzazione di Jolles, se partiamo dal principio che le «forme semplici» siano da considerarsi più come universali o nuclei discorsivi che come universali tematici, vediamo che nemmeno questa identificazione appare sodisfacente. Gli archetipi sono infatti caratterizzati da una prevalenza della componente tematica, sono nuclei forti e trans-generici che trascendono tanto il piano discorsivo quanto quello della tipologia testuale — e persino del linguaggio artistico — in cui li si riscontra, come si vede bene dalla mappatura della Weltliteratur messa a punto da Curtius pochi anni dopo i corsi accademici di Jolles sulle «einfache Formen».

  • 24 Ciascuna «forma semplice» è infatti alla base di un genere letterario, con importanti eccezioni per (...)

25Le «disposizioni mentali» sono invece concepite da Jolles come funzionali all’origine e condizioni di possibilità delle «forme semplici, che sono in certo modo forme ibride, nel senso che pertengono in minima parte a una ripartizione di natura tematica (il sangue e le relazioni familiari nel caso della Saga), ma soprattutto tendono a coincidere, o piuttosto a confluire — imperfettamente —, con concrezioni embrionali dei generi letterari e discorsivi24.

«Forma semplice» e «gesto verbale»

26Al fine di rendere conto del passaggio dalla «disposizione mentale», che costituisce la «forma semplice» in potenza, alla vera e propria «forma semplice» — la quale va distinta dalla «forma semplice attualizzata», che rappresenta uno stato ulteriore di aggregazione e corrisponde al livello pre-letterario — Jolles introduce la nozione di «gesto verbale». I caratteri del «gesto verbale» sono ancora più difficili da cogliere rispetto a quelli della «disposizione mentale», tanto più che il critico vi si sofferma molto meno, quasi considerasse il «gesto verbale» nient’altro che la scintilla — l’atto creatore inteso come miccia e non come processo — che separa la potenza dall’atto.

  • 25 A. Jolles, Forme semplici, in Id., I travestimenti della letteratura, cit., pp. 287-288.

Quando […] sotto l’influsso dominante di una disposizione mentale la pluralità e la molteplicità dell’esistenza e degli avvenimenti concreti si condensano e prendono forma, quando vengono colte dal linguaggio nelle loro unità elementari non divisibili e in architetture linguistiche designano e al tempo stesso significano tale esistenza e tali avvenimenti, diciamo che nasce una «forma semplice»25.

27Dopo aver postulato la dipendenza delle «forme semplici» dalle «disposizioni mentali», e dopo aver determinato la natura e le caratteristiche di queste ultime, Jolles constata che le «disposizioni mentali» sono per l’uomo una sorta di mappa esperienziale, i cui diversi elementi intrecciandosi, sovrapponendosi e alternandosi consentono all’uomo di tracciare una serie di percorsi per orientarsi nell’Erlebnis e nella sua molteplicità. Una possibilità di ordinamento e semplificazione di tale molteplicità è data dal «gesto verbale», a proposito del quale Jolles parte dal chiarimento di alcuni possibili fraintendimenti.

  • 26 Ibid.
  • 27 Ibid.

28Il «gesto verbale» si situa ancora su un piano che precede l’affabulazione, riunisce l’esperienziale strutturato in accordo a cronologia e logica — la fabula —, ma si presenta ancora come affastellamento di motivi, temi, funzioni e sequenze, e da esso crea un embrione di intreccio. Fra queste varie denominazioni dei segmenti affabulatori che gli si propongono, Jolles esclude fin da principio di potersi servire del termine «motivo», usato e abusato dalla storiografia e dalla critica letterarie oltreché carico di troppo precise valenze causali26. Da questo bisogno di inserire un passaggio ulteriore tra la predisposizione mentale e la produzione di un proto-testo già dotato di marche generiche — come sarà la «forma semplice» — nasce l’esigenza del ricorso al «gesto verbale». Esso consiste in un «avvenimento espresso in concetti, unità caricate di senso»27, di cui Jolles sottolinea al contempo il carattere individuale — il che lo distingue già, profondamente, dalla «disposizione mentale».

  • 28 Cfr. a tal proposito specialmente la teorizzazione più compiuta del «gesto verbale», che non si tro (...)

29L’affacciarsi, in uno stadio assai precoce della concrezione della «forma», di una componente proto-autoriale che si afferma attraverso il «gesto» creatore sembra un retaggio delle estetiche romantiche, specie laddove il ruolo demiurgico dell’artista è rivendicato all’origine non solo del passaggio immediatamente precedente quello dell’opera, ma anche nella transizione fondamentale dal collettivo della «disposizione mentale» all’individuale della «forma semplice». La componente individuale, tuttavia, non è ancora pienamente affermata nella fase del «gesto verbale», anzi esso si connota come l’apporto dell’individuale a quel che è ancora tendenzialmente universale, come è del resto la «forma semplice». Il «gesto verbale» è insomma quella scintilla, proveniente da un individuo — o, immaginiamo, da più individui nelle diverse aree geografiche e forse anche in epoche diverse — che contribuisce alla formazione del genere (di nuovo, letterario ma anche discorsivo)28.

30Jolles è ben conscio del fatto che la netta distinzione introdotta fra «gesto verbale» e motivo o nucleo tematico rischi di risultare in un misticismo estetico dell’opera e del suo creatore, individuo dotato di facoltà, per lo meno ordinatrici, fuori del comune. Egli insiste infatti sulla preminenza gerarchica del «gesto verbale» rispetto al Motiv, perché la marca generica che nel «gesto verbale» si afferma almeno embrionalmente implica già il principio sistematore dei Motive. La scintilla di cui consta il «gesto verbale» è intuizione logico-narrativa, capacità di dare forma e struttura ai materiali proto-generici a disposizione dell’artista.

  • 29 A. Jolles, Forme semplici, in Id., I travestimenti della letteratura, cit., pp. 288 sgg.
  • 30 Lo stesso tipo di ricorrenze può essere individuato anche, con leggere variazioni, per l’altra decl (...)
  • 31 Con le quali i «gesti verbali» vengono in pratica a coincidere, seppure non a identificarsi.

31Passando ora ai «gesti verbali» che sono all’origine delle singole «forme semplici», vediamo che il principio aggregatore che innesca la dinamica dell’imitatio irraggiungibile a fondamento della Leggenda si manifesta attraverso una serie di parole, ma soprattutto di concetti chiave caratteristici della legenda agiografica. È interessante notare qui che Jolles tende quasi a far coincidere il «gesto verbale» con quelli che per Curtius saranno i topoi. Così nella legenda agiografica, intesa non più soltanto come bisogno umano innato, ma come prima ipostasi del genere letterario, possono essere riconosciuti altrettanti «gesti verbali» quante sono le costanti e ricorrenze nelle vitae29: le dinamiche della conversione — voce celeste, incontro con una figura Christi, dimostrazione di debolezza delle divinità pagane, ecc. — il rapporto fra il santo e Dio o Cristo, le peripezie, ostacoli, conflitti, persecuzioni subite, le buone opere e i miracoli, il martirio e i suoi strumenti30. Dalla selezione e dalla combinazione di questi temi topici nasce la «forma semplice» della Leggenda, che a sua volta, attualizzandosi, dà vita al testo individuale della Vita sancti… Il «gesto verbale» sembra così coincidere con una versione contenutistica delle funzioni proppiane, e laddove queste ultime si pongono come eminentemente strutturali e situazionali il «gesto verbale» di Jolles assume anche valenza tematica. Affinché tuttavia queste declinazioni tematiche e specializzazioni del desiderio innato all’imitatio diano vita alla «forma semplice» della Leggenda, manca appunto un principio regolatore che li strutturi in un intreccio, dapprima meramente topico e quindi, nella «forma semplice attualizzata», individuale e testuale. Mancano, in altre parole, l’intervento della logica narrativa e i connettivi di causalità e spazio-temporali che ordinino le sequenze tematiche31 della fabula in una Leggenda. «Gesto verbale» è pertanto anche questo sistema necessario di connettivi — dal che si capisce meglio perché Jolles tenesse a sottolineare l’alterità dei «gesti verbali» rispetto al semplice Motiv —, la scintilla individuale che raggruppa la memoria antropologica della specie per farne un modello di storia afferente a un genere.

  • 32 Ivi, p. 321.

32Per quanto riguarda la «forma semplice» della Saga, Jolles precisa che «il suo gesto verbale appare meno cristallizzato, meno chiaro ed evidente [rispetto a quello della Leggenda]»32. E di nuovo procede induttivamente a ricostruirlo a partire dalle saghe formalizzate, riconoscendovi all’origine forme di registrazione annalistica e genealogica. Nel documento utilitario, manifestazione prima — orale o scritta, poco importa — dell’esigenza di fissazione della «disposizione mentale» tesa a valorizzare il legame di sangue, di stirpe o di famiglia, sarebbe quindi da rintracciare l’origine della Saga. Così, gli annali delle stirpi nordiche sono condizione necessaria alla formalizzazione risultante nel Nibelungenlied, come i capitolari carolini lo sono nei confronti della Vita Karoli di Eginardo. Tanto il materiale indispensabile, quanto il principio ordinatore — altra componente essenziale del «gesto verbale», come abbiamo visto — della Saga sono da riconoscersi nel trattamento che viene fatto di questi materiali grezzi di natura cronachistica e degli alberi genealogici. In entrambe queste forme di fissazione è essenziale una concezione ciclica del tempo, che fa sì che la cristallizzazione nella «forma semplice» della Saga non sia, come è per la Leggenda, basata sull’introduzione, grazie a un «gesto verbale», dei connettivi logici che danno vita a una legenda, bensì sull’ordinamento in forma di intreccio di questi materiali fondati su meccanismi di ripetizione. Se la Leggenda è resa possibile dalla strutturazione affabulatoria della vita di un individuo, e si fonda sullo spirito di imitazione, quel che rende possibile la nascita della Saga è l’accumulazione di materiali annalistici e genealogici per nuclei tematici affini, che hanno tendenza a ripetersi modularmente e che hanno come finalità ultima la celebrazione dei legami di sangue.

  • 33 Ivi, pp. 337 sgg.

33Il «gesto verbale» che Jolles situa all’origine del Mito, ovvero la progressiva concretizzazione dell’istanza umana a fornire una risposta a una domanda inespressa, viene descritto come un atteggiamento prossimo a quello dell’osservazione scientifica. La risposta nella quale consta il Mito viene in qualche modo preparata dal «gesto verbale» che consiste nell’osservazione e successiva descrizione dell’evento che costituisce la risposta stessa. La molteplicità del reale, esperita in quanto effetto che sembra rendere ragione di tali domande, viene rielaborata, ordinata, sistematizzata attraverso, di nuovo, l’induzione33, «gesto verbale» da cui il Mito trae origine. In altre parole, ricondurre la molteplicità degli epifenomeni a unità crea le condizioni della formalizzazione dell’intreccio eziologico-tipo che sarà il Mito.

  • 34 Ivi, p. 268.
  • 35 Ivi, p. 358.

34Come nel caso della «disposizione mentale», così il «gesto verbale» dell’Enigma si costruisce per opposizione rispetto a quello che Jolles situa alla base del Mito. Se infatti la condizione che rende possibile quest’ultimo è quella di un reale e di un epifenomenico che si rivelano alla conoscenza, che si fanno pensare dall’uomo attraverso quella propedeutica gnoseologica che è il «gesto verbale» del Mito, laddove, come nel caso dell’Enigma, è la domanda a prevalere sulla risposta, il reale esperito tende a mostrare il suo carattere misterioso e inconoscibile, l’evento tende non a farsi noto, spiegabile, ordinabile, bensì a celarsi all’osservatore. Nel caso dell’Enigma, poi, il «gesto verbale» si presenta più come gesto di concrezione discorsiva che non sotto forma di specificazione o «bozza di struttura» narrativa. Già nell’Introduzione alle Einfache Formen34, Jolles riconosce che la produttività è una delle caratteristiche universali delle lingue naturali — del resto l’intuizione era già in Humboldt —, e tale caratteristica rende possibili quegli «usi speciali della lingua» che sono altrettanti «gesti verbali» all’origine dell’Enigma o indovinello35. Analogamente a quanto Jakobson definirà come caratteristico della «poetic function», Jolles situa alla base dell’Enigma tutte quelle forme di camuffamento e dissimulazione del reale operate dal linguaggio, tanto sotto forma di «lingue speciali» — idioletti, argot, lingue furbesche, ecc. — quanto di «usi speciali» o marcati della lingua, dal calembour alla figura di stile. Il gioco di scambi fra denotazione e connotazione operato dal linguaggio porta così il reale a presentarsi all’osservatore in forma quasi cifrata, il che rende possibile la formulazione di un Enigma in cui si traduce l’esigenza della domanda che laceri il velo.

  • 36 Ivi, pp. 373 sgg.
  • 37 Ibid.

35La componente linguistica, benché non esclusiva, è centrale anche per quanto riguarda il «gesto verbale» all’origine della Massima o del proverbio. In questo caso l’aspetto esperienziale torna ad assumere ruolo preponderante, dal momento che la Massima si presenta anch’essa — come il Mito, in particolare — sotto forma di un tentativo esegetico dell’Erlebnis, distinguendosi dal Caso per l’assenza di carattere normativo. Le modalità di appropriazione dell’esperienza che danno origine alla Massima sono pertanto di tipo meramente oggettivante, affermativo o — per restare sul piano retorico — apodittico36. Un’enunciazione di «grado zero», tendenzialmente non marcata e piuttosto monologica starebbe dunque a fondamento della Massima, laddove la mediazione discorsiva dell’esperienza alla base della «forma semplice» del Caso si presenta piuttosto dotata di un carattere «dialogico», «colloquiale», «evolutivo» o «discorsivo»37. La risultante di un simile «gesto verbale» — la Massima o proverbio — è pertanto un pattern che si pone come dato una tantum, non passibile di modifica né destinato a entrare in un rapporto dialettico con le risultanti di altre esperienze. Il che non significa che l’esperienza in sé si dia come monolitica, aproblematica e priva di sfaccettature, bensì che la Massima come aggregato discorsivo tenda a presentarla come tale, ammettendo quindi l’aporia o la contraddizione non sul piano del singolo testo, ma al limite su quello di testi reciprocamente contradditori — e soprattutto, non selezionando aporia e contraddizione tra i caratteri distintivi che pertengono alla Massima.

  • 38 Ivi, p. 387.
  • 39 Ibid.
  • 40 Il che non manca di lasciare perplessi, di nuovo se riflettiamo sulla legenda agiografica. La non-i (...)

36Benché ciò possa a prima vista parere paradossale, Jolles riconosce nei meccanismi di accumulazione il «gesto verbale» che consente alla «disposizione mentale» dell’esperienza percepita nella sua finalità didascalica di dar vita alla «forma semplice» del Caso. Ovviamente, e Jolles stesso lo riconosce, qualora per «accumulazione» si intenda un’aggiunta di elementi intercambiabili fra loro — come sembra essere il caso della Saga — la significazione morale o gnomica dell’orientamento dato all’esperienza rischia di passare in secondo piano38. E nonostante egli riconosca che per il Caso «i gesti verbali appaiono sbiaditi»39, qualora si pensi a quella «forma semplice attualizzata» del Caso che è la novella, il principio aggregativo dell’accumulazione adiafora sembra ancora meno giustificato. Cionondimeno Jolles insiste su questo carattere delle aggiunte in cui il Caso prende vita, probabilmente per distinguerlo meglio dalla «forma semplice» della Leggenda, che ha in comune con il Caso in particolare la componente precettistica e la finalità morale. Gli snodi tematici che si aggregano per dar vita alla Leggenda sarebbero così caratterizzati da più solidi rapporti di anteriorità-posteriorità e di causa-effetto, da posizioni tendenzialmente più fisse all’interno dell’intreccio40.

  • 41 Di nuovo agevole è l’analogia con i generi agiografici, non tanto e non solo le vitae in questo cas (...)
  • 42 Ivi, p. 411.

37La situazione si fa ancora meno chiara per il Memorabile, dalla cui trattazione si desume che tale «forma semplice» non sembra essere dotata di «gesti verbali» specifici. Dal che emerge con ancora maggiore forza il carattere incerto del Memorabile, che tende, specie nei propri stadi di aggregazione meno complessi, a confondersi con altre «forme semplici». Anche qui, come per il Caso e per la Leggenda, sembra che il «gesto verbale» del Memorabile possa essere riconosciuto nella tendenza all’accumulazione, esso trova anzi nell’accumulazione la propria cifra distintiva, dato che il carattere esemplare, «memorabile» in senso etimologico, di una figura o di un fatto emerge con maggior forza laddove molti elementi sono affastellati41. Si tratta nondimeno di un’accumulazione non adiafora, in quanto il Memorabile nasce pur sempre da un’istanza di interpretazione teleologicamente orientata della realtà42.

  • 43 Ivi, p. 433.

38La «disposizione mentale» al meraviglioso, o il rapporto di tensione fra concretezza e meraviglioso, entrambe dinamiche che sono all’origine della Fiaba, si presentano anch’esse come griglie di interpretazione del reale esperito, in questo caso specifico però nell’ottica dell’asse verisimile-inverosimile. Questa chiave di lettura dell’Erlebnis si esplica secondo Jolles attraverso i parametri della «giustizia» e della «tragicità»43, rispettivamente coincidenti con il codice etico di una morale ingenua, innocente, e con le prese di coscienza della distanza fra valori ingenui e morale vigente. La «forma semplice» della Fiaba tuttavia tende a privilegiare, sul piano dell’interpretazione del mondo, il polo del meraviglioso a discapito di quello del verisimile. In essa, dunque, la constatazione della «tragicità» tende a stemperarsi o a sublimarsi nello scioglimento «a lieto fine» per mezzo di un ristabilimento della «giustizia». La «tragicità», la «giustizia» e la tensione fra i due poli sono i criteri di selezione dell’esperienza che vengono messi in atto dalla Fiaba, e proprio tale tensione costituisce l’aspetto che l’intreccio-tipo della Fiaba tende a mettere in valore.

39Infine, nel caso dello Scherzo anche i «gesti verbali» agiscono ex negativo nei confronti dell’esperienza del reale. La «forma semplice» dello Scherzo si distingue dalle altre anche per il criterio di selezione dell’esperito, che in questo caso viene ritenuto sulla base del parametro della dissociazione — non come per le altre «forme semplici», quindi, che privilegiano criteri di associazione, coerenza e coesione nell’epifenomenico, o di «logica narrativa». Ma se una «forma semplice» è, come Jolles afferma a più riprese, un aggregato, sembra poco sostenibile che tale aggregato possa nascere adottando la dissociazione come criterio di selezione. A meno di non vedere in serie dissociative (esperienze paradossali, ossimori e via dicendo) proprio quei fatti ed esperienze che lo Scherzo tende a selezionare — trovandosi poi però a doverli aggregare in qualche modo per dare vita alla «forma semplice».

Concrezioni successive: «forma semplice pura», «attualizzata», «forma relativa». Dalla «forma semplice» alla «forma artistica»

  • 44 Ivi, p. 427.

Ogni volta che si attualizza, la forma semplice compie un passo nella direzione che può condurla alla fissazione definitiva propria della forma artistica, percorrendo la strada verso la solidità, la particolarità, l’unicità e perdendo così qualcosa della propria mobilità, generalità e pluralità44.

  • 45 Ivi, p. 426.

40«Forma semplice attualizzata» e «forma artistica» sono i due stati di aggregazione successivi della «forma semplice». Dalla struttura generica — o dalle costanti di genere — individuabili in un proto-testo, inteso ancora sul piano ideale, si passa così nel sistema di Jolles alle opere concrete, al primum analizzabile appunto. Se dunque la «forma semplice» mantiene un certo grado di apertura, di permeabilità, essendo al contempo dotata di caratteri specifici solo fino a un certo punto, nel passaggio alla «forma semplice attualizzata» e alla «forma artistica» tali caratteristiche si perdono progressivamente45, dato che, da una «forma» appunto, si passa a un individuo. Jolles non chiarisce in cosa consista la differenza tra «forma semplice attualizzata» e «forma artistica», se non distinguendole per gradi diversi di complessità. Così possiamo presumere che la «forma semplice attualizzata» possa consistere in un corpus di testi affini, oppure in un macrotesto composito all’interno del quale le suture restino visibili, o ancora in una sorta di canovaccio del testo, un pre-testo in cui la «disposizione mentale» relativa sia concretata in un numero congruo di «gesti verbali» dotati di un certo grado di unitarietà (una legenda- o una fiaba-tipo, ad esempio), senza che ciò abbia ancora dato vita a un testo «autoriale». L’ipotesi del canovaccio mi pare la più plausibile, se non altro perché Jolles mostra a più riprese di interessarsi in particolare, e di privilegiare lo stadio pre-artistico. La «forma artistica» coinciderebbe invece decisamente con il testo o l’opera singoli, con il frutto dell’attività di un artifex ben conscio di operare in accordo alle costanti di un genere, di un’epoca e di un contesto socio-culturale ed estetico.

  • 46 Ivi, p. 333.
  • 47 Per esempio nel Rêve di Zola, non solo la Legenda aurea di Iacopo da Varazze ha il ruolo di un libr (...)

41Prima di passare in rassegna le «forme semplici attualizzate» e le «forme artistiche» derivanti dalle singole «forme semplici», è necessario prendere rapidamente in considerazione un’altra categoria introdotta brachilogicamente da Jolles, quella di «forma relativa» o «analogica». Quest’ultima tende a possedere una serie di caratteri in comune con la «forma semplice pura» e con la «forma semplice attualizzata», pur presentando anche una differenza di fondo rispetto a esse, dato che, nella «forma relativa», «un elemento non direttamente legato alla disposizione mentale assume l’aspetto della forma corrispondente»46. Col rischio di sovrapporsi alle pertinenze sopra riconosciute nel caso dello Scherzo, sembra che la «forma relativa» si costruisca per analogia — quindi a posteriori — rispetto alle forme corrispondenti «pure». La «forma relativa» è forma parodica — in senso etimologico. Così possiamo trovare una Leggenda, un’anti-Leggenda nel caso in cui l’imitazione vada intesa al rovescio, ma anche una para-Leggenda, dove il pattern agiografico si presenti come permeante, ma ad esempio il sistema assiologico presentato come imitabile sia in una certa misura eterodosso47. Quel che distingue una «forma relativa» dallo Scherzo è ovviamente l’intento, che in questo caso si fonda sul rovesciamento, mentre nella «forma relativa» sulla semplice analogia.

  • 48 Sempre restando in ambito agiografico, la «disposizione mentale» dell’imitatio della serie delle vi (...)

42La «forma semplice» della Leggenda si attualizza nella «forma-tipo» della vita, cristallizzata ulteriormente nella «forma artistica» Vita sancti… Attraverso queste varie fasi il processo connettivo fra i nuclei tematici (i «gesti verbali») aumenta progressivamente, dalla fabula agiografica si costruisce un intreccio ancora aperto — ovvero che contempli diverse possibilità combinatorie — una forma o contenitore diventa testo, opera, e si compie così il passaggio che dalla «disposizione mentale» dà vita a quel primum analizzabile e cristallizzato che è una certa versione della leggenda di un dato santo. La decostruzione della «forma artistica» consente, per induzione, di ricostruirne le strutture e come l’impalcatura, risalendo indietro fino alla prima manifestazione linguistica — il «gesto verbale» — della «disposizione mentale»48. Da questo passaggio in particolare si vede come il sistema di Jolles sia, pur considerandone le aporie, più maneggevole del formalismo proppiano, pensato com’è, in particolare, per la disamina di una gamma più ampia di fenomeni letterari e discorsivi anche complessi. Non a caso, sarà proprio lo strutturalismo francese, alla ricerca di modelli di formalizzazione alternativi, a «riabilitare» l’opera jollesiana.

  • 49 Proseguendo con il medesimo esempio, le vitae di uno stesso santo, oppure quelle di santi affini e (...)

43Va nondimeno segnalato che, con l’eccezione della Fiaba, trattata non a caso non nelle Einfache Formen, l’illustrazione del sistema di Jolles si ferma per la verità al di qua della «forma artistica», accennando appena alla genesi dell’individuo-testo, e soprattutto senza procedere a una fase di controprova che avrebbe potuto coincidere col ritorno alle «disposizioni mentali» via la «forma artistica», e che il sistema morfologico sembra poter prevedere. Il che, pur considerandone i limiti, ne aumenta ovviamente la suggestione e ne rende particolarmente proficua l’applicazione in ambito comparatistico49.

44L’attualizzazione della Saga procede nella concrezione progressiva che ne caratterizza il «gesto verbale» tipico, ma laddove la Leggenda dà vita a storie tendenzialmente chiuse, benché come abbiamo visto modulabili, la «forma semplice attualizzata» della Saga presenta un carattere aperto e potenzialmente indefinito — come può esserlo la storia di una famiglia tratta dagli annali e dagli alberi genealogici. I moduli analoghi, o riconducibili entro un certo ventaglio di possibilità, attraverso i quali la Saga si fa storia familiare, la distinguono dalla Leggenda nella misura in cui quest’ultima si presenta come la storia di un individuo — salvo nel caso dei miracoli post mortem, quindi, limitata da precisi limiti cronologici —, mentre la prima, incentrata sulla famiglia o la stirpe, ha tendenza ad aprirsi all’affresco, alla coralità, a una non-delimitazione cronologica concessale dall’estensione a generazioni successive, rami cadetti, ecc. La «forma artistica» corrispondente alla Saga può dunque essere riconosciuta in ogni forma di epos familiare o nazionale, come pure in un certo tipo di romanzo, corale o d’affresco — dai Buddenbrooks al Nibelungenlied, per intenderci.

  • 50 A. Jolles, Forme semplici, in Id., I travestimenti della letteratura, cit., p. 328.

45Quella risposta a una domanda — anche inespressa — che costituisce la «forma semplice» del Mito si attualizza mediante una serie di procedimenti diversi, accomunabili nondimeno sul piano della vocazione eziologica. Evidente è dunque la struttura «a tesi» del racconto mitico, già nella selezione di determinati materiali attraverso il suo «gesto verbale». Tali materiali divengono altrettante prove a sostegno della tesi enunciata, tanto è vero che, fra le attualizzazioni delle «forme semplici», quella relativa al mito si mantiene più vicina delle altre — pure nella «forma artistica» — alla rielaborazione dei «gesti verbali» relativi50. Dato poi lo stretto legame tra la «forma semplice» del Mito e le strategie discorsive impiegate per raccogliere, sistematizzare e trasmettere forme diverse di conoscenza sul mondo, tra le «forme artistiche» risultanti dal Mito possono annoverarsi testi assai disparati, quali i dialoghi di impianto argomentativo, come pure ad esempio resoconti di scoperte scientifiche che ne ricostruiscano la genesi logica a partire dall’osservazione della natura.

  • 51 Ivi, p. 349.
  • 52 Credo che si ricolleghino all’Enigma una gamma di forme letterarie molto più vasta di quelle ricono (...)

46Pur se in modo forse meno evidente, anche le risultanti artistiche della «forma semplice» dell’Enigma intrattengono uno stretto rapporto con la struttura dialogica, dal momento che un enigma o un indovinello suscitano da parte del lettore e dell’ascoltatore meccanismi di cooperazione. Jolles ascrive in particolare il dialogo maieutico platonico tra le «forme artistiche» derivanti dall’Enigma, sulla base di una struttura a domanda-risposta in cui la prima sembra rivestire un ruolo preponderante51. Tale affermazione è solo in parte condivisibile, nella misura in cui si può altrettanto legittimamente interpretare la struttura del dialogo platonico come un meccanismo di domanda-risposta in cui la prima è funzionale alla seconda, ragion per la quale questa «forma artistica» potrebbe apparentarsi più a una realizzazione del Mito che non a una dell’Enigma. Tanto più che il dialogo maieutico assegna innegabilmente un ruolo fondamentale alla trasmissione della conoscenza, più, senz’altro, che a quello del suo occultamento, cui provvederebbero l’Enigma e le sue «forme artistiche». E tuttavia, se pensiamo al rapporto dialettico che si crea fra enigmista e solutore, spesso per via della posta in gioco nella soluzione dell’indovinello (la promozione sociale, la salvezza della vita financo), anche il dialogo sapienziale in senso lato può legittimamente ricollegarsi all’Enigma. Inoltre, il dialogo platonico è un caso limite, precisa Jolles, dal momento che la realizzazione più frequente della «forma semplice» dell’Enigma si attualizza in quello che egli definisce «indovinello artistico»52.

  • 53 Ivi, p. 367.
  • 54 Lo stesso può dirsi in fin dei conti anche dell’Enigma.

47I «gesti verbali» della Massima sono soggetti a un analogo lavoro di cristallizzazione nei confronti delle esperienze prive di finalità didascalica, attualizzandole ad esempio in un detto, provvisto, per lo meno nelle intenzioni, di validità universale53. La corrispondente «forma artistica» della Massima è dotata di un evidente carattere trans-generico. Fra le varie manifestazioni artistiche della Massima, accomunabili sul piano del «gesto verbale» che le origina, sono il proverbio, l’aforisma, l’apoftegma, il motto, la facetia, che possono a seconda dei casi presentarsi in maniera autonoma e indipendente, oppure essere inseriti come sequenze, episodi o altro in forme letterarie più o meno complesse e più o meno ibridate. La novella in particolare, provvista di un carattere assai versatile sul piano dei materiali eterogenei che si presta a contenere, viene considerata da Jolles come il genere artistico in cui la Massima trova ampio spazio54.

  • 55 Ivi, p. 396.

48Ma la novella è la «forma artistica» che cristallizza in particolare i materiali raccolti da un’altra «forma semplice», quella del Caso. Attraverso l’accumulazione di episodi analoghi e tendenzialmente interscambiabili — come avviene nella fase del «gesto verbale» per il Caso —questa forma si attualizza proprio nel momento il cui il caso viene posto. E la novella costituisce al contempo la cristallizzazione delle circostanze in cui il caso è sorto, e il superamento della forma problematica in cui le esperienze accumulate erano state presentate. La novella infatti, «proprio perché contiene la decisione, elimina il caso»55.

49Anche la «forma semplice» del Memorabile ha come principale corrispettivo «artistico» la novella. Questa constatazione mette in luce da un lato che probabilmente nel genere novellistico è da riscontrarsi uno degli interessi precipui di Jolles, e dall’altro lato che lo studioso è ben conscio della natura tendenzialmente onnicomprensiva del genere stesso, specie qualora lo si esamini dal punto di vista del suo rapporto con il reale e le varie manifestazioni di esso. Il Memorabile, poi, sembra intrattenere un rapporto ancora più stretto con il reale di quanto non accada con il Caso, che appunto ha la caratteristica di dissolversi una volta attualizzato, cristallizzandosi nel dimostrare una norma che porta al superamento di un dubbio attraverso la prova empirica. Il Memorabile si attualizza facendo leva su quegli elementi che possano conferirgli attendibilità mediante il radicamento nel reale, andando così incontro a un processo di ulteriore concretizzazione, che lo fa per così dire tornare alla «disposizione mentale» che l’aveva originato.

  • 56 Ivi, p. 418.
  • 57 Ivi, pp. 423-424.

50Pur se dotata di una «forma artistica» sua propria — il genere letterario eponimo — anche la «forma semplice» della Fiaba non è priva di legami con la novella, quanto meno nelle fasi che il genere conosce prima della sua concretizzazione «artistica», e specialmente in quella dell’attualizzazione della fabula aggregante il meraviglioso esperienziale in intreccio fiabesco-tipo. La formazione romantica di Jolles ha un peso notevole nella trattazione della «forma artistica» della fiaba, in particolare nelle distinzioni — spesso difficili da cogliere, come studi recenti sul genere della fiaba non hanno mancato di mostrare — tra «fiaba di natura» e «fiaba d’arte», e più in generale sulle caratteristiche della Volksliteratur. Il progressivo allontanamento dalla spontaneità dell’esperienza vissuta — pur laddove, come è il caso della Fiaba, di meraviglioso più che di reale si tratta — caratterizza secondo Jolles il passaggio da una fabula minima della fiaba a un intreccio fiabesco-tipo, e quindi alla cristallizzazione della forma in fiaba artistica, al punto tale che egli introduce un parallelismo tra le nozioni di «forma semplice» e «forma artistica» e i concetti grimmiani di «Naturdichtung» e «Kunstdichtung»56. All’ordine del verisimile con le sue leggi e una sua logica, tipico della novella, la Fiaba tende nondimeno — specie nelle sue realizzazioni artistiche — a sostituire quello del meraviglioso, il che costituisce la differenza principale fra le due forme letterarie57.

  • 58 Ivi, p. 441.

51Infine, la (pseudo-)«forma semplice» dello Scherzo mostra con ancora maggiore evidenza, proprio nelle sue attualizzazioni e «forme artistiche», la fallacia dello statuto autonomo che Jolles le conferisce in quanto «forma semplice». L’aporia dell’individuazione di questa «forma semplice» ricade e si amplifica nelle sue manifestazioni artistiche. Jolles introduce, fra le attualizzazioni dello Scherzo, la distinzione fra satira e ironia, l’una che denota la non-adesione alla realtà schernita da parte di chi deride, la seconda indice invece di un coinvolgimento emotivo nei confronti di qualcosa a cui si tiene ma che si vorrebbe sia diverso58. Queste precisazioni tuttavia non fanno altro che confermare la difficile accettazione della «forma semplice» dello Scherzo in quanto forma autonoma, dal momento che satira e ironia non sono nient’altro che due modalità distinte del comico, il quale è a sua volta un tono, una cifra, un elemento che può essere, o meno, presente in forme artistiche quanto mai diverse. Il comico non può essere considerato un universale generico, essendo manifestamente un trans-genere. E neppure può dirsi che i generi letterari e discorsivi in cui esso è fortemente presente perdano, in virtù della presenza del comico, i loro caratteri autonomi nei confronti del comico stesso — così si parla di romanzo comico, di poesia satirica, ecc. —, se non nel caso della commedia… che però sarebbe molto riduttivo, oltre che tautologico, definire come un genere letterario a dominanza comica.

Dalla «forma semplice» al «transfert»

52Analogamente a quanto avviene nei confronti del linguaggio inteso come sistema segnico, ciascuna «forma semplice» intrattiene un determinato rapporto con i referenti del linguaggio, gli oggetti, i realia. Per comprendere tale rapporto tra «forma semplice» e «oggetti» postulato da Jolles occorre prescindere dagli stati di aggregazione successivi a quello della «forma semplice», per tornare al livello dei «gesti verbali» e del loro significato. Il fatto di associare ogni «forma semplice» a determinati «oggetti» sembra essere un modo, per Jolles, di attenuare il legame — che il lettore può a giusto titolo sentire come troppo esclusivo — tra le «forme semplici», la letteratura e gli altri linguaggi artistici e universali discorsivi, e ciò gli consente di ribadire come esse rinviino costantemente alla «vita», intesa sia come vita delle forme, sia in senso esistenziale e biologico. La connotazione di «oggetti» specifici da riconnettersi alle nove forme è considerata da Jolles come una sorta di «ritorno alla vita» delle forme stesse una volta costituite, appunto, in «forme semplici».

53È ancora una volta nelle pagine dedicate alla Leggenda che Jolles chiarisce meglio questo passaggio. La Leggenda, infatti:

  • 59 Ivi, pp. 291-292.

È un processo linguistico, letterario: nominando, producendo, creando e interpretando il linguaggio costruisce, sotto l’influenza di una disposizione mentale, una figura che, dopo essere scaturita dalla vita, interviene di continuo in quest’ultima senza aver bisogno di alcuna opera d’arte. La forma non si è mai cristallizzata nella creazione di un artista attraverso un procedimento unico e irripetibile, non esiste alcuna epopea di san Giorgio. E tuttavia egli è dinanzi a noi, possiamo raffigurarlo. E quando vediamo l’immagine del santo, dove il gesto verbale si è ormai oggettivato in attributo […], la riconosciamo, e nella misura in cui ne sentiamo il desiderio egli diviene per noi un imitabile […]59.

  • 60 Come infatti il drago può evocare la storia di san Giorgio o la sua figura a chi non fosse familiar (...)

54Questo passaggio pare contraddire — ma ciò non è nuovo per Jolles — quanto detto a proposito delle «forme artistiche», che cristallizzano le «forme semplici» mediante un procedimento unico e irripetibile, il «gesto» dapprima, e poi l’opera di un artifex. Il punto più interessante di questa citazione risiede tuttavia nella caratterizzazione degli attributi, ovvero, in questo caso, di «oggetti» in grado di richiamare la figura di san Giorgio in absentia — pensiamo alla lancia, allo stendardo, al drago concepito come attributo agiografico, o nel caso di san Sebastiano all’arco e le frecce, o all’ipostasi allegorica in porcospino, al cane nel caso di san Rocco, ecc. Il problema, piuttosto, centrale in questo passaggio è dovuto alla posizione dell’attributo agiografico nel sistema di Jolles, dal momento che, certo, la presenza di una serie di attributi può, come in un gioco a indizi, farci apparire san Giorgio e farci pensare alle sue storie, ma questo non può verificarsi al livello del «gesto verbale», sia perché quello di cui noi possiamo ricordarci è una storia, o meglio una serie di storie, non potendo risalire, di fronte alla percezione dell’attributo, a un piano tanto astratto quanto lo è quello del «gesto verbale»; sia, semplicemente, perché il «gesto verbale» non è passibile di fruizione né di analisi per se60.

55Si potrebbe al limite concepire un percorso del tipo vita-linguaggio-arte-linguaggio-vita, che si concluda con il ritorno delle «disposizioni mentali» alla vita per il tramite di questi «oggetti» semanticamente carichi, un percorso non troppo dissimile dagli universali tematici di Jung, come da quelli di Curtius, il quale del resto si pone in maniera analoga rispetto alle metafore universali, che considera altrettanti patterns della coscienza individuale e collettiva. La principale utilità di istituire questo rapporto biunivoco fra linguaggio e referente consiste tuttavia in quella che possiamo definire la «mnemotecnica delle forme semplici», ovvero in un sostrato che anche la più indiretta delle fruizioni non può fare a meno di «depositare» nel fruitore, e grazie al quale si gettano le basi per una memoria culturale dell’individuo — e della specie, per alcuni aspetti per lo meno.

  • 61 Cfr. ivi, p. 345.
  • 62 Ivi, pp. 291-292.

56La Leggenda trova in determinati oggetti semanticamente carichi un «correlativo oggettivo» della disposizione mentale dalla quale ha preso le mosse, e come un richiamo a essa. Si tratta di reliquie e immagini sacre61, attributi dei santi e delle figure protagoniste delle leggende62, la sola vista delle quali è in grado di suscitare lo stesso stimolo all’imitatio a cui indurrebbero la vista del santo incarnato o la lettura della sua vita. Tali oggetti agiscono da «transfert» nei confronti delle istanze di cui la «disposizione mentale» risulta carica. Appare qui evidente il forte legame degli attributi e delle reliquie con il primo movimento che caratterizza i «gesti verbali» della Leggenda, quello dell’individuazione di una serie di parole chiave che ne oggettivino i nuclei tematici. Jolles ha ovviamente buon gioco nel trattare il caso dell’agiografia, dato che spesso queste parole chiave coincidono con gli oggetti semanticamente carichi in riferimento alla vita di un determinato santo (il drago nel caso di san Giorgio).

  • 63 Jolles non vi si sofferma più di tanto, cfr. tuttavia ivi, pp. 312, 321.

57Lo stesso accade per la «forma semplice» della Saga e la «disposizione mentale» dei vincoli di sangue. Determinati oggetti sono infatti in grado di tradurre il valore iconico delle istanze che sono alla base di questa «forma semplice». Si tratta anche qui di parole e oggetti simbolici che rappresentano le dinamiche familiari e dinastiche, dal podere all’eredità, al trono, alla spada63.

  • 64 Ivi, p. 345.
  • 65 Ivi, p. 344.

58Rispetto a quanto accade nel caso della Saga, la «forma semplice» del Mito appare maggiormente dipendente da quegli «oggetti» che possono fungervi da «transfert». Jolles designa l’attributo della «forma semplice» del Mito con il termine «simbolo», precisando che «il simbolo non è […] un’immagine, bensì un oggetto che è effettivamente caricato del mito, detentore autonomo del suo potere»64. Da questa affermazione è possibile comprendere meglio la natura in certo modo autotelica del Mito come «forma semplice» all’interno della quale determinati «oggetti» o «simboli» possono godere di vita autonoma, oppure — e questa è l’altra possibilità nel caso di maggiore «debolezza» intrinseca del simbolo — di una vita regolata dal sistema di leggi interne al mito stesso65.

  • 66 Benché, suggerendo l’apertura di feconde prospettive di indagine futura in merito, Jolles resti in (...)
  • 67 Ivi, p. 363.

59L’esempio di Edipo e la Sfinge illustra in maniera efficace66 come determinati «oggetti» si caricano delle valenze che sono proprie alla «forma semplice» dell’Enigma67. Jolles chiama «rune» gli «oggetti» di questo tipo, probabilmente riferendosi alle molteplici possibilità interpretative alle quali la scrittura runica si presta, alle rune come simboli «enigmatici» per antonomasia.

60La «forma semplice» della Massima si oggettiva in una serie di «emblemi»:

Ogniqualvolta un emblema non solo allude a un insieme a partire da una molteplicità di particolari, ma significa in sé la molteplicità nella sua composizione di elementi singoli, riconosciamo in esso l’oggetto che, caricato ancora una volta della disposizione mentale, rappresenta quest’ultima nel mondo degli oggetti.

  • 68 Ivi, p. 378.

Come già il simbolo, l’emblema ha assunto il significato generale di immagine significante. A nostro avviso, esso non è in primo luogo un’immagine, ma un oggetto. In secondo luogo non incarna il senso di una totalità in quanto tale, ma rivela che il senso di un insieme può essere inteso solo come combinazione di unità distinte68.

61L’idea dell’«emblema», mutuata dall’araldica, introduce per la prima volta una considerazione valida in realtà per tutti i «correlativi» delle «forme semplici». Esso è infatti una sineddoche; rappresentando una parte più o meno complessa della struttura affabulatoria alla quale l’«emblema» si riferisce, questo «oggetto» sta a significarne il tutto, in maniera analoga a quanto accade, a ben vedere, per gli attributi connessi alle altre «forme semplici».

  • 69 Ivi, p. 397. Come a dire che la testa di Sherazade, che costituisce il «pegno» al quale è legata l’ (...)

62Se ragionassimo sulla base di quanto detto sopra, il Caso parrebbe privo di un simile «correlativo oggettivo», dal momento che, fra tutte le «forme semplici», è quella più aderente al mero tessuto verbale, con il quale tende anzi a identificarsi — in altre parole, un Caso coincide con la sua formulazione. Nondimeno, forse per fornire maggiore omogeneità al sistema, Jolles individua nel «pegno» o nella «ricompensa» l’attributo della «forma semplice» del Caso69.

  • 70 Ivi, p. 409.

63Il correlativo che connota il Memorabile è invece del tutto ammissibile. Se il Memorabile parte infatti da una fonte storiografica o da un dato esperienziale che vengono manipolati per renderli teleologicamente fondati, è tornando a tali fonti senza mediazione che si troverà un segnale che rinvii a questa forma di ricostruzione faziosa di una biografia o di una visione del mondo. Jolles definisce — logicamente — «documenti» gli «oggetti» che svolgono tale funzione70.

64La «forma semplice» della Fiaba rinvia, come è il caso del Mito, a un sistema in qualche modo autotelico, nell’ambito del quale alcuni oggetti, emblematicamente significativi nei confronti di una data fiaba, giungono quasi a perdere — laddove si entri in un mondo o in un orizzonte d’attesa fiabesco — le loro proprietà reali per assumere in primis una valenza meravigliosa:

  • 71 Ivi, p. 434.

[…] la zucca, i topi e la noce sono oggetti della realtà, ma poiché sono caricati del potere del meraviglioso in maniera così intensa da soddisfare le esigenze della morale ingenua, neppure la realtà li riconosce più come suoi71.

  • 72 Ibid.

65Jolles ammette di non trovare un nome adatto a designare tali «oggetti» trattati magicamente72.

  • 73 Ivi, p. 446.

66Il «correlativo» dello Scherzo, infine, che Jolles chiama «caricatura»73, traduce ovviamente e viene a indicare la «disposizione mentale» del «sentimento del contrario». Sarà quindi un «oggetto» volta a volta esagerato, grottesco, oppure ironicamente carico nel senso del comico, di nuovo in chiave ironica o parodica, e teso magari a mettere in evidenza un punto debole, un difetto, una contraddizione latente.

67In definitiva il modello di Jolles, pur mantenendo inalterato il proprio fascino e conservando intatta l’audacia pionieristica che contraddistingue questo esempio tipico di indagine storico-culturale novecentesca di impianto morfologico, mostra nondimeno una serie di limiti. L’applicabilità di alcune delle categorie individuate ne risulta inficiata, specie laddove si tenti di estendere la portata del sistema a forme più complesse di organizzazione testuale rispetto a quelle, prevalentemente pre-letterarie, per cui era stata pensata. In altri casi, invece, come si è visto con gli esempi e le discussioni inerenti la Leggenda in particolare, il sistema delle «forme semplici» si mostra proficuo e permette di far luce su determinati aspetti dei testi che altrimenti sarebbero difficilmente formalizzabili. Ciò è dovuto anche, a mio parere, alla differenza fra la trattazione jollesiana della Leggenda e quella delle altre «forme semplici». La sensazione del lettore odierno, infatti, è che la Leggenda sia stata oggetto di un’attenzione particolare da parte del critico — in maniera analoga a quanto può dirsi per la novella, o per la Fiaba (intesa in questo caso soprattutto come «forma semplice»), benché non nelle Einfache Formen. Jolles stesso ha probabilmente sentito come la prima delle «forme semplici» individuate — e forse questo ordine non è da ritenersi casuale — fosse il reale banco di prova dell’intero sistema, in tutte o quasi le sue parti. Laddove in particolare si tratta di leggenda sacra, poi, il genere letterario nella sua forma «artistica» ha la caratteristica, un po’ come avviene per la fiaba, ma in maniera ancor più evidente, di presentarsi come molto coeso, unitario quasi, il che corrisponde in fin dei conti a diversi dei postulati jollesiani.

68Dalla «disposizione mentale» al «gesto verbale», via via attraverso le concrezioni successive e fino all’opera letteraria in senso stretto, il genere agiografico sembra rispondere meglio degli altri a una serie di fattori che per Jolles sono fondamentali, come il radicamento dell’affabulazione nella predisposizione della specie, la componente sia letteraria che discorsiva — senza che una delle due prevalga realmente — la ricorsività dei temi, un impianto assiologico tendenzialmente non ambiguo, e infine la forte componente simbolica degli «oggetti».

  • 74 Riprendo questo schema, adattandolo, da F. Fonio, Dell’applicabilità del sistema delle Einfache For (...)

Tavola sinottica delle forme semplici74.

Disposizione mentale

Gesto verbale

Forma semplice

Forma semplice attualizzata

Forma artistica

Oggetto

Imitatio

Termini chiave, temi, liaisons

Leggenda

Vita-tipo

Vita

Reliquia

Legami di sangue

Annali, alberi genealogici, ripetizione

Saga

Concrezioni successive

Epos, romanzo corale

Eredità (beni di famiglia, attributi regali)

(Domanda) risposta

Evento, induzione

Mito

Eziologia, resoconto di una scoperta

Racconto mitico

Simbolo

(Risposta) domanda

Lingua speciale, cifratura

Enigma

Indovinello

Indovinello artistico

Runa

Esperienza non didattica

Affermazione, modo apodittico, enunciazione

Massima

Detto di validità universale

Proverbio

Emblema

Esperienza didattica (norma)

Accumulazione, aggiunte intercambiabili

Caso

Illustrazione e soluzione di un caso

Novella

Pegno

Concreto (effettivo)

Cfr. Leggenda e Caso

Memorabile

Attendibilità

Novella

Documento

Meraviglioso

Evento, tragicità e giustizia

Fiaba

Fiaba-tipo

Fiaba artistica

Oggetto magico

«Sentimento del contrario», rovesciamento

Assimilazione dissociativa

Scherzo

Satira, ironia

Trans-genere del comico

Caricatura

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Notes

1 Il contributo qui proposto costituisce un ideale complemento — oltreché una parziale revisione — di F. Fonio, Dell’applicabilità del sistema delle Einfache Formen di André Jolles. Una tappa della tematologia nella prima metà del Novecento, «Franco-Italica», 29-30, 2006, pp. 199-227.

2 Almeno a partire da Winckelmann. Cfr. in part. J. J. Winckelmann, Gedanken über die Nachahmung der griechischen Werke in der Malerei und Bildhauerkunst [1755], L. Uhlig (Hg.), Stuttgart, Reclam, 1969.

3 F. Schiller, Über naive une sentimentalische Dichtung [1795-1796], in Schillers Werke. Nationalausgabe, Bd. 20, Weimar, Böhlau, 1962, pp. 413-503.

4 Di particolare interesse le ricostruzioni novecentesche dei presupposti gnoseologici, prima che storico-culturali, dello specifico dell’oralità, a opera in part. di W. J. Ong e di P. Zumthor. Cfr. W. J. Ong, The Presence of the Word. Some Prolegomena for Cultural and Religious History, New Haven, London, Yale University Press, 1967; Id., Orality and Literacy: The Technologizing of the Word, London, Methuen, 1982; P. Zumthor, La poésie et la voix dans la civilisation médiévale, Paris, PUF, 1984; Id., La lettre et la voix : de la « littérature » médiévale, Paris, Seuil, 1987.

5 Evidente è l’analogia metodologica con la linguistica ricostruttiva e l’indeuropeistica, discipline egemoniche al tempo della formazione di Jolles.

6 Cfr. in part. gli studi di Elisabeth Frenzel, fra cui Stoffe der Weltliteratur, Stuttgart, Kröner, 1962, Motive der Weltliteratur, Stuttgart, Kröner, 1976, e Vom Inhalt der Literatur. Stoff — Motiv — Thema, Freiburg i. B., Herder, 1980, e di Raymond Trousson (Thèmes et mythes, Bruxelles, Éditions de l’Université de Bruxelles, 1981), o la silloge più recente The Return of Thematic Criticism, W. Sollors (a cura di), Cambridge, London, Harvard University Press, 1993.

7 A. Jolles, Einfache Formen, Tübingen, Max Niemeyer, 1930, trad. it. in Id., I travestimenti della letteratura. Saggi critici e teorici (1897-1932), S. Contarini (a cura di), premessa di E. Raimondi, Milano, Bruno Mondadori, 2003, pp. 253-451. L’edizione che possiamo leggere oggi è il risultato degli appunti delle lezioni universitarie di Jolles, trascritti da Elisabeth Kutzer e Otto Görner.

8 Rispettivamente A. Jolles, Het sprookje [1922-1923], La fiaba nella letteratura occidentale moderna, in Id., I travestimenti della letteratura, cit., pp. 117-219, De facetie van Guido Cavalcanti [1921], La facezia di Guido Cavalcanti, ivi, pp. 44-56, e De Decameron van Boccaccio [1921 e 1923], Il Decameron di Boccaccio, ivi, pp. 57-116.

9 In maniera più episodica, Jolles si era precedentemente occupato anche di Enigma, Massima, Memorabile e Scherzo.

10 La letteratura sembra infatti essere il campo di applicazione a cui il riscontro delle «forme semplici» si presta particolarmente — nonostante alcune resistenze di Jolles stesso in proposito. Ciò non toglie che la disamina della serie «forma semplice» — «forma semplice attualizzata» — «forma artistica» sia nondimeno possibile anche in riferimento ad altre sfere semiotiche e linguaggi artistici. Jolles stesso previene le difficoltà che l’estensione extraletteraria — e soprattutto extra-antropologica — della nozione di «forma semplice» può comportare, ad esempio nelle arti figurative, in cui, se il concetto di «forma» è del tutto pertinente, anzi negli anni della formazione di Jolles esso permea l’estetica e la storia dell’arte, è piuttosto la nozione di «genere», assumendo tendenzialmente valenza stilistica o tematica, a distinguersi da quella di «genere letterario». Inoltre, nelle arti figurative come in altri linguaggi artistici il rapporto genetico della «disposizione mentale» nei confronti della «forma semplice» appare profondamente modificato, nella misura in cui le dinamiche della domanda-risposta o del problema-soluzione, che sono fondamentali nello specifico letterario, vi appaiono meno onnipresenti e spesso subordinate alla dinamica rappresentazione-espressione.

11 Il caso di testi adespoti o di attribuzione controversa, o di quelli in merito ai quali l’epoca e le circostanze di produzione siano difficilmente ricostruibili non prescinde dall’autorialità come azione che dà vita a un prodotto, né dall’attività concreta di produzione.

12 A. Jolles, Forme semplici, in Id., I travestimenti della letteratura, cit., pp. 281 sgg.

13 La reversibilità è uno dei tratti caratterizzanti delle «forme semplici». Tale reversibilità muove su un piano etico o assiologico, secondo Jolles, il che tuttavia pone diversi problemi se si analizzano le «disposizioni mentali» nel loro complesso. Non tutte, infatti, le «forme semplici» sono originate da una «disposizione mentale» che verta sul piano etico o assiologico (per esempio nel caso del Mito o dell’Enigma, la dinamica di domanda-risposta su cui essi si fondano non può essere ricondotta sistematicamente a una dimensione aretologica, come invece è agevole in particolare nel caso della Leggenda). Il verso della medaglia non può pertanto essere costruito su base assiologica rovesciando un recto che abbia, in particolare, carattere gnoseologico e non morale. Di nuovo particolarmente probante sembra il caso dello Scherzo, la cui «disposizione mentale», illustrata più oltre, risiede nel pirandelliano «sentimento del contrario», o nel «riso» bergsoniano, reazione a un dato preesistente, il cui rovesciamento sarebbe dunque costituito, a rigore, volta a volta da una delle altre otto «forme semplici» e dalle corrispondenti «disposizioni mentali». Questa interrelazione contraddice, come già segnalato, alla postulata reciproca indipendenza delle «forme semplici». Il riconoscimento sistematico di un fondamento etico o assiologico al rovesciamento di ogni «forma semplice», per di più, farebbe propendere per una lettura piuttosto «culturale» che non naturale delle «forme semplici» stesse, che in questo caso sarebbero da considerare meno degli universali discorsivi che dei proto-generi letterari.

14 Ivi, pp. 310 sgg.

15 Ivi, pp. 326 sgg., 346 sgg.

16 Ivi, pp. 368 sgg., 380 sgg.

17 Rispett. ivi, pp. 401 sgg., 422 sgg.

18 Ivi, p. 436.

19 Ivi, p. 439.

20 Cfr. n. 12.

21 L’agiografia medievale e moderna è del resto un terreno particolarmente fecondo di applicazione delle «einfache Formen». E in questo caso le vite dei santi illustrano con particolare chiarezza l’aporia in cui cade Jolles nella teorizzazione dello Scherzo. Specie nelle vite medievali precedenti alle grandi compilazioni domenicane come la Legenda aurea, infatti, ovvero laddove le vitae si trovano spesso in forma isolata e «lunga», è specialmente agevole osservare come un genere come quello agiografico si muova in costante equilibrio narrativo fra una polarità positiva — il santo, le sue virtù, i miracoli, la ricompensa celeste, ecc. — e una negativa — la tracotanza del peccatore punita, l’anti-miracolo o lo pseudo-miracolo compiuto dal demonio o dal prete pagano, le prove di forza spirituale e di sofferenza a cui i martiri sono sottoposti. Exemplum e anti-esempio si avvicendano quindi nella narrazione senza che l’uno prenda il sopravvento sull’altro. Anzi, un interessantissimo campo di realizzazione dell’agiografico come è il teatro aureo spagnolo mostra, nella commedia detta «de santos y bandoleros», come la megalopsichia del grande peccatore lo renda particolarmente soggetto, una volta avvenuta la conversione o il ravvedimento, a farsi, proprio in virtù della grandezza d’animo, campione dell’esemplarità e sommamente imitandum.

22 Fra gli orientamenti metodologici del Novecento, la tematologia e la mythocritique in particolare accordano una grande importanza al concetto di «archetipo» ai fini della creazione di modelli di analisi di testi e di questioni storico-culturali. Ma non può essere tralasciata, per lo meno per le numerose analogie rispetto al sistema di Jolles, la menzione della grande mappa degli universali tematici tracciata da Ernst Robert Curtius in Europäische Literatur und lateinisches Mittelalter, Bern, München, Francke, 1948.

23 Un esempio è l’universale tematico del puer senex, che Curtius assimila a un archetipo, cfr. ivi, pp. 106 sgg.

24 Ciascuna «forma semplice» è infatti alla base di un genere letterario, con importanti eccezioni però, costituite dai generi più diffusi nell’Occidente, quali il romanzo (che è tuttavia, entro certi limiti, uno sviluppo della novella), la lirica, il dramma (genere che può però essere desunto dalle caratteristiche di alcune fra le «forme semplici», in particolare da quelle a impianto dialogico). Il che non inficia la validità della teoria di Jolles, bensì mostra soltanto come i generi letterari non siano desumibili in modo meccanico, come sistema, dalle «forme semplici» o dalla loro attualizzazione. O meglio, perché tale corrispondenza «tenga» in modo meno aleatorio, e perché le eccezioni summenzionate possano non essere più considerate tali, dovrebbe darsi il caso che le opere afferenti ai diversi generi si caratterizzino sulla base di una corrispondenza fra forma (il genere stesso) e contenuto più rigida, come è stato spesso preconizzato e applicato in epoche di classicismi imperanti.

25 A. Jolles, Forme semplici, in Id., I travestimenti della letteratura, cit., pp. 287-288.

26 Ibid.

27 Ibid.

28 Cfr. a tal proposito specialmente la teorizzazione più compiuta del «gesto verbale», che non si trova nelle Einfache Formen bensì in A. Jolles, La fiaba nella letteratura occidentale moderna, in Id., I travestimenti della letteratura, cit., passim. In questa storia morfologica della fiaba — in particolare in Occidente — dal Basso Medioevo al Romanticismo, Jolles insiste molto sul ruolo che una serie di artisti-demiurghi (Basile, La Fontaine, Grimm, Wieland fra gli altri) hanno avuto nell’evoluzione della «forma semplice» della Fiaba in «forma artistica», attualizzandola in una serie di opere fondamentali che sono risultate tanto in una codificazione, quanto in una canonizzazione del genere stesso.

29 A. Jolles, Forme semplici, in Id., I travestimenti della letteratura, cit., pp. 288 sgg.

30 Lo stesso tipo di ricorrenze può essere individuato anche, con leggere variazioni, per l’altra declinazione possibile della «forma semplice» della Leggenda, quella della leggenda profana (storica, per esempio), che del resto è strettamente connessa alla leggenda sacra.

31 Con le quali i «gesti verbali» vengono in pratica a coincidere, seppure non a identificarsi.

32 Ivi, p. 321.

33 Ivi, pp. 337 sgg.

34 Ivi, p. 268.

35 Ivi, p. 358.

36 Ivi, pp. 373 sgg.

37 Ibid.

38 Ivi, p. 387.

39 Ibid.

40 Il che non manca di lasciare perplessi, di nuovo se riflettiamo sulla legenda agiografica. La non-intercambiabilità delle sequenze narrative di una vita di santo, in effetti, è ammissibile solo nella misura in cui si applichi a essa il modello biografico o «biopico». Per ovvie ragioni, così, l’infanzia del santo — e ancora con certi limiti, come nell’artificio topico del puer senex — non può precedere l’età adulta o la vecchiaia, per esempio. Il che è vero anche metaforicamente, così difficilmente le azioni virtuose possono precedere la conversione. Se si confrontano tuttavia diverse versioni delle vite di santi, in particolare vitae abbreviate e versioni estese, ci si accorge che, all’interno delle «rubriche» tradizionali del genere — i miracoli, i tormenti, i pellegrinaggi, ecc. — tutto o quasi può avvenire con la più grande libertà narrativa, i «pezzi» sono scambiabili a piacere da parte dell’autore. Ad esempio, quello che è «supplicium cruentum» per l’uno diventa «supplicium incruentum» per l’altro, tipologie non troppo dissimili di miracolo possono avere luogo ante mortem o post mortem, il miracolo non è poi tanto diverso dallo pseudo-miracolo pagano e via dicendo.

41 Di nuovo agevole è l’analogia con i generi agiografici, non tanto e non solo le vitae in questo caso ma i dossiers di canonizzazione, o le raccolte di miracoli, in cui dall’affastellamento di materiali spesso molto diversi — ma unificati da un’interpretazione precisa che si intende darne, e che è esplicitata fin dall’inizio come è il caso del Memorabile — emerge con più forza la finalità stessa.

42 Ivi, p. 411.

43 Ivi, p. 433.

44 Ivi, p. 427.

45 Ivi, p. 426.

46 Ivi, p. 333.

47 Per esempio nel Rêve di Zola, non solo la Legenda aurea di Iacopo da Varazze ha il ruolo di un libro-feticcio, ma anche l’itinerario di Angélique appare modellato su quello di una vita.

48 Sempre restando in ambito agiografico, la «disposizione mentale» dell’imitatio della serie delle virtù cristiane viene tradotta o concretata in una serie di parole chiave che servono al contempo a individuare e a ordinare i nuclei tematici di una storia agiografica-tipo, per esempio sotto forma di: vita nel secolo, ordalia e assistenza passiva a un evento miracoloso o compimento di esso, conversione, eventualmente pellegrinaggio, apostolato e/o iactatio, supplizio, possibile morte, assunzione, miracoli post mortem, oppure secondo, terzo… supplizio, anche intervallati da miracoli, morte, ascensione, miracoli post mortem (nel caso specifico di una vita martyris, e in un ipotetico ordine di intreccio). Da questo schema o canovaccio si possono trarre molteplici vite di diversi santi, lo schema può variare anche notevolmente senza che la marca generica agiografica venga meno, e si presta inoltre a influenze reciproche una volta creatosi un canone agiografico.

49 Proseguendo con il medesimo esempio, le vitae di uno stesso santo, oppure quelle di santi affini e prodotte nella stessa epoca o luogo — poniamo, le vitae di santi militari redatte in ambiente monastico in epoca tardoantica — costituiscono un corpus dotato di forti elementi di omogeneità, il che fa uscire le singole vitae dal carattere di compiutezza, ma anche di isolamento, proprio alla condizione dell’individuo-testo. Lo studio sinottico del corpus così individuato in base a una serie di caratteri comuni — identificabile anche nel variare dei contesti, seppur in maniera più elastica — porterà all’individuazione di una serie ulteriore e probabilmente più ampia di parole chiave e «gesti verbali», da ricondursi a una «disposizione mentale» che, se l’analisi svolta risulta pertinente, sarà nuovamente quella dell’imitatio, certo, ma probabilmente arricchita dall’affiancarsi dei nuovi elementi risultanti dalla comparazione effettuata. In agiografia, uno degli elementi principali che emergono da un’analisi di questo tipo operata su dei corpora idealmente assai omogenei consiste nell’individuazione di possibili committenze o di vere e proprie strumentalizzazioni in chiave ideologico-politica.
Un’applicazione particolarmente interessante del sistema di Jolles in ambito agiografico è costituita da S. Ringler,
Zur Gattung Legende. Versuch einer Strukturbestimmung der christlicher Heiligenlegende des Mittelalters, «Untersuchungen zur Literatur und Sprache des Mittelalters», P. Kestling (Hg.), München, Fink («Würzburger Prosastudien», 2), 1975, pp. 255-270. Cfr. inoltre H.-P. Ecker, Die Legende: kulturanthropologische Annäherung an eine literarische Gattung, Stuttgart, Weimar, Metzler, 1993.

50 A. Jolles, Forme semplici, in Id., I travestimenti della letteratura, cit., p. 328.

51 Ivi, p. 349.

52 Credo che si ricolleghino all’Enigma una gamma di forme letterarie molto più vasta di quelle riconosciute da Jolles. La dinamica della domanda che richiede una risposta può infatti manifestarsi in generi letterari o discorsivi assai diversi, dalle quartine di Nostradamus e dalla Prophetia Sancti Malachiae agli enigmi tuttora insoluti dei romanzi di Rabelais o della Commedia di Dante, ogni volta insomma che al lettore si richieda uno sforzo di completamento o congettura. Sterminata è poi la serie di riferimenti che il mutare del contesto impedisce a un lettore non «ideale» di risolvere.

53 Ivi, p. 367.

54 Lo stesso può dirsi in fin dei conti anche dell’Enigma.

55 Ivi, p. 396.

56 Ivi, p. 418.

57 Ivi, pp. 423-424.

58 Ivi, p. 441.

59 Ivi, pp. 291-292.

60 Come infatti il drago può evocare la storia di san Giorgio o la sua figura a chi non fosse familiare con quella particolare storia, e financo con tale uso iconico-metaforico degli «oggetti» che è fondamentale per la comprensione dell’arte cristiana?

61 Cfr. ivi, p. 345.

62 Ivi, pp. 291-292.

63 Jolles non vi si sofferma più di tanto, cfr. tuttavia ivi, pp. 312, 321.

64 Ivi, p. 345.

65 Ivi, p. 344.

66 Benché, suggerendo l’apertura di feconde prospettive di indagine futura in merito, Jolles resti in realtà molto vago.

67 Ivi, p. 363.

68 Ivi, p. 378.

69 Ivi, p. 397. Come a dire che la testa di Sherazade, che costituisce il «pegno» al quale è legata l’efficacia delle novelle che la fanciulla deve narrare, fungerebbe da rinvio nei confronti della «disposizione mentale» alla base della cornice delle Mille e una notte. Il che è manifestamente una forzatura.

70 Ivi, p. 409.

71 Ivi, p. 434.

72 Ibid.

73 Ivi, p. 446.

74 Riprendo questo schema, adattandolo, da F. Fonio, Dell’applicabilità del sistema delle Einfache Formen di André Jolles, cit.

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Pour citer cet article

Référence papier

Filippo Fonio, « Le Einfache Formen di André Jolles: struttura, problematicità, applicabilità della «forma» della Leggenda »Cahiers d’études italiennes, 23 | 2016, 151-182.

Référence électronique

Filippo Fonio, « Le Einfache Formen di André Jolles: struttura, problematicità, applicabilità della «forma» della Leggenda »Cahiers d’études italiennes [En ligne], 23 | 2016, mis en ligne le 23 janvier 2017, consulté le 11 décembre 2024. URL : http://0-journals-openedition-org.catalogue.libraries.london.ac.uk/cei/3217 ; DOI : https://0-doi-org.catalogue.libraries.london.ac.uk/10.4000/cei.3217

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Auteur

Filippo Fonio

Université Grenoble Alpes

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