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Jolles e la letteratura

Il salto di Jolles fra gli stili del Decameron: dalla cornice alle novelle, e viceversa

The Jump of Jolles between the Styles of the Decameron: From the Frame to the Stories, and Vice Versa
Le saut de Jolles entre les styles du Décaméron : du récit-cadre aux nouvelles, et vice versa
Gabriele Fichera
p. 125-135

Résumés

Cette étude est consacrée aux rapports complexes qui se tissent entre le récit-cadre et les nouvelles du Décaméron, tels qu’ils sont analysés par Jolles. Ce dernier a établi une dichotomie très précise entre le style de Boccaccio en tant que narrateur et en tant qu’auteur. Le premier tend à se rapprocher des récits représentés d’une façon réaliste ; par contre le deuxième, qui est celui du récit-cadre, tend plutôt à prendre ses distances par rapport à la narration. La contribution vise à montrer de quelle manière et pour quelles raisons Jolles, après de nombreuses hésitations, considérera que le réalisme « optique » — pour citer des catégories de Riegl — du cadre est plus « vrai » que celui, « tactile », des nouvelles. En outre, dans la dichotomie susdite réside un important « déguisement » morphologique qui annonce et préfigure les incarnations de « Clio et Melpomène » et la forme simple du « Mémorable », en évoquant la question des rapports entre l’historien et le poète.

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Texte intégral

  • 1 «Piacevoli donne, assai son coloro che credono Amor solamente dagli occhi acceso le sue saette mand (...)

1All’inizio del suo saggio del ’21 sulla Vita nuova di Dante, Jolles cita un passo del Decameron che considera molto importante. Si tratta dell’«epigrafe» alla quarta novella della quarta giornata. In queste righe, che nella finzione della cornice sono pronunziate dalla giovane Elissa, e che introducono la storia drammatica di Gerbino, si sostiene che anche attraverso il semplice udito, e non solo per mezzo della vista, è possibile innamorarsi1. Jolles aggiunge inoltre che se dovesse scrivere un commento al Decameron, cosa che in realtà sta facendo, o ha appena finito di fare proprio in quel periodo, partirebbe proprio da questa epigrafe. La passione d’amore può accendersi dunque sia attraverso il senso della vista, ed è quello che succede a Dante nella visione onirica di Beatrice, sia per mezzo dell’udito, magari ascoltando una novella direttamente dalla bocca di un eccezionale affabulatore.

2Per quanto Jolles, nella sua introduzione al Decameron, non ritorni esplicitamente sul passo in questione, possiamo comprendere come in una certa misura il problema orienti il taglio interpretativo dato alla materia analizzata. Il fulcro del Decameron, per Jolles, è infatti la cornice. Le figure più intriganti, per quanto siano poco individualizzate, o forse proprio per questo, sono quelle dei dieci narratori della lieta brigata. La cornice come forma dello scambio orale privilegia il vettore conoscitivo dell’udito. Jolles non riesce a resistere, e non solo si «innamora» lui stesso della cornice di Boccaccio, ma spinge il lettore del saggio a seguirlo ed emularlo. Non è un caso che nelle pagine dedicate allo stile della cornice, distinto da quello delle novelle, il critico si concentri sul fatto che qui

  • 2 A. Jolles, Il Decameron di Boccaccio, in Id., I travestimenti della letteratura. Saggi critici e te (...)

[…] la lingua deve la sua forza di rappresentazione in primo luogo non al valore plastico degli aggettivi e dei verba, ma al movimento ritmico e melodico della frase grazie al quale si percepisce con chiarezza la musicalità di questa prosa2.

3Su questo passaggio conviene soffermarsi, perché intrattiene un nesso con lo studio sulla Vita nuova, in quanto instaura un paragone implicito tra la poesia «pittorica» e visiva di Dante e la prosa musicale di Boccaccio. Lo scarto è evidente. Dice infatti Jolles:

  • 3 Ibid.

[…] si è parlato dell’amore della forma e dell’abilità formale dello Stilnovo e dell’arte pittorica del Trecento, ma a questo punto dobbiamo ricordare che la nascita del Decameron è contemporanea a un’ampia fioritura della musica e che il poeta fiorentino è stato senza alcun dubbio un conoscitore della fiorentina ars nova. La musicalità era in fondo un mezzo per diminuire il senso della realtà nel lettore e rafforzare il senso della distanza3.

  • 4 Per questa e per la citazione successiva vedi A. Jolles, La facezia di Guido Cavalcanti, in Id., (...)

4Considerazioni, queste ultime, molto importanti, e su cui mi riprometto di tornare più tardi. Per il momento vorrei sottolineare come anche le pagine di Jolles sulla facezia di Cavalcanti, pubblicate sempre nel ’21, ripropongano, in modo diverso, la stessa intuizione: l’accensione dell’amore, che poi è anche figura della passione per il sapere e del desiderio di migliorarsi spiritualmente, passa attraverso le parole sagaci e mordenti pronunciate in mezzo agli altri, e indirizzate a persone in carne e ossa. Non è un caso infatti che proprio all’inizio del saggio su Cavalcanti Jolles si lamenti del fatto che molti storici della cultura lavorino, «a scapito delle loro orecchie», in maniera «troppo ottica e poco acustica»4. Dal principio metodologico riassunto nella formula «Chi vuole vedere Anslo lo deve ascoltare», Jolles fa conseguire l’auspicio che in modo simile si comporti chi vuole vedere il Decameron. La giovane Elissa, prima menzionata per la sua sensibilità alla forza delle parole udite, è la narratrice della facezia di Cavalcanti, nonché la regina della sesta giornata dedicata ai motti.

  • 5 Ivi, p. 51.
  • 6 A. Jolles, Il Decameron di Boccaccio, cit., p. 114.
  • 7 S. Contarini, Introduzione, in A. Jolles, I travestimenti della letteratura, cit., p. xlv.

5Il veicolo uditivo è dunque uno degli elementi che mettono in correlazione la cornice di Boccaccio e la facezia in generale. Ma non il solo. In effetti, agli occhi di Jolles era già ben chiaro, e con grande anticipo sui tempi, il ruolo di «cornice interna» ascrivibile alla sesta giornata del Decameron. Il motto o facezia ricopre infatti, seppure a un livello diverso, una funzione di contenimento simile a quella svolta dalla cornice rispetto alle novelle. Se il «morso d’agnello»5 della facezia ferisce sì l’interlocutore, ma in modo dolce e con la mediazione civile dell’ironia, la forma complessa della cornice, con la sua forza tranquilla e il suo stile elevato, serve a mediare e attutire la supposta oscenità delle novelle, in particolare di quelle erotiche. È principalmente in virtù della pregnanza della cornice che Jolles può sostenere, e può decidere di voler dimostrare, che il Decameron è, nonostante tutto quello che se ne dice, «un libro morale»6. D’altronde, come ha già segnalato Silvia Contarini, l’ironia, intesa come sostanza edificatrice e costruttiva della facezia, contiene, seppur all’interno di una forma portata per sua natura a dissolvere, un’«istanza pedagogica», basata sulla condivisione di orizzonti fra schernitore e schernito7.

  • 8 A. Jolles, Il Decameron di Boccaccio, cit., p. 99.
  • 9 Ivi, p. 98.
  • 10 E. Auerbach, La tecnica di composizione della novella, F. Schalk (a cura di), traduzione di R. Prec (...)
  • 11 Ivi, p. 104.
  • 12 Ivi, p. 103.
  • 13 Ivi, p. 104.
  • 14 Ivi, p. 100.

6Ho accennato poc’anzi alla musicalità raffinata dello stile di Boccaccio. La presenza di tale musicalità si riscontra principalmente nella cornice del libro, molto meno nelle novelle. Questa distinzione va sottolineata, perché ci aiuta ad avvicinarci alla questione principale del presente intervento. Per Jolles, la divaricazione fra cornice e novelle è un grimaldello metodologico decisivo per comprendere il Decameron. Se queste ultime infatti sono realisticamente connotate in senso spaziale, e parlano di avvenimenti localizzati con precisione, la cornice al contrario tende a provocare un effetto di distanziamento dalla realtà, dando indicazioni generiche sui luoghi in cui si svolgono i fatti. Mentre per le novelle Jolles parla di prevalenza della «soggettività del narratore» e di narrazioni «illuminate dalla luce abbagliante del sole»8, per la cornice sottolinea la «completa oggettività di colui che descrive», e i toni cromatici soffusi di una rarefatta «luce crepuscolare». Usando per un attimo delle categorie di uno storico dell’arte come Riegl, tra l’altro eccezionale esponente, come Jolles, dell’alveo di studi morfologici, potremmo dire che, se le novelle calate in mezzo al cuore del reale sembrano così vicine a esso da poter essere oggetto di una percezione «tattile-aptica», la distanza finemente stilizzata della cornice, con la sua astratta atmosfera rappresentativa, implica invece modalità conoscitive di tipo «ottico». Jolles usa al riguardo una metafora architettonica, che di certo non sarebbe dispiaciuta a Riegl: quella di una chiesa romanica, le cui colonne appaiono uguali a distanza, ma che a una visione ravvicinata mostrano invece la loro individualità artistica9. I narratori della cornice, proprio come queste colonne romaniche, non presentano spiccate caratterizzazioni individuali, vivono immersi in un’aura di omogeneità che è fondamentale per preservare l’equilibrio complessivo dell’opera, in quanto funge da contrappeso alle pulsioni destrutturanti incarnate dai personaggi delle novelle. Questo punto, tra l’altro, sarà pienamente condiviso da Auerbach nel suo saggio sulla novella10. Ci sono dunque due stili nella stessa opera, posti in un rapporto di tipo contrastivo, «l’uno contro l’altro»11. Da una parte lo stile del «narratore», che prende corpo nei racconti a partire da un materiale letterario «tipico», legato a filo doppio alla tradizione narrativa, ma anche profondamente rielaborato. Il Boccaccio «narratore» appare «legato all’istante»12, perché cerca sempre di restituire i contorni dei fatti in modo preciso. Dall’altra parte abbiamo invece lo stile dello «scrittore» Boccaccio, per il quale si dice che «la dimensione del tempo non gioca alcun ruolo»13, e che quindi si basa sull’invenzione poetica di una materia nuova. Scrive Jolles: «Il Boccaccio della cornice dipinge a memoria», laddove quello delle novelle «al contrario dipinge dal vero»14.

7Premettendo fin d’ora che, con una vistosa torsione, alla fine del saggio l’autore ribalterà i termini interpretativi della polarità novelle/cornice, vorrei per un momento allontanarmi dalle pagine sul Decameron per cercare di comprendere se la distinzione fra i due Boccaccio in esse messa in campo possa essere confrontata ad altri snodi del pensiero estetico di Jolles. In questo senso acquistano particolare rilevanza alcune considerazioni espresse nel carteggio degli anni Venti, intrattenuto con un amico d’eccezione come lo storico della cultura Huizinga.

  • 15 A. Jolles, Carteggio con J. Huizinga. Clio e Melpomene, in Id., I travestimenti della letteratura, (...)
  • 16 Ivi, p. 243.

8Jolles si pone delle domande sulla narrazione storica e su quella letteraria. Huizinga vede queste sfere nettamente separate, e infatti per lui esistono soggetti che possono essere espressi solo dal racconto storico: quando la storia parla, anche la poesia deve tacere. Per Jolles invece i domini delle rispettive muse Clio e Melpomene non sono asetticamente compartimentati. Piuttosto sembrano contagiarsi a vicenda, in virtù di salutari scantonamenti, contatti e parziali coincidenze. Scrive Jolles all’amico: «Mi piacerebbe […] sapere se Clio non sia in se stessa una sorta di Melpomene»15. Il primo denominatore comune individuato è quello delle «forme semplici». Jolles si chiede «fino a che punto la storia, in quanto rappresentazione del vero, assuma una forma corrispondente a ciò che in letteratura si definisce come “forma semplice”»16. Nel caso specifico, rappresentato dal racconto delle gesta di Giovanna d’Arco, egli vi rintraccia la presenza operante di ben tre «forme semplici»: quelle del Memorabile, della Leggenda e del Mito. Ma Jolles non si ferma qui e imbastisce un’antitesi tra metodo storico «puro» e metodo morfologico. Huizinga aveva delimitato il campo storiografico all’interno del desiderio di sapere «come le cose sono realmente avvenute». Jolles risponde con un ragionamento che vale la pena citare in modo disteso:

  • 17 Questa e la citazione immediatamente precedente si trovano in una lettera di Jolles a Huizinga del (...)

Io avrei delle riserve su questo punto. Più esattamente so «come una cosa è avvenuta», più grande è il rischio di interpretarla al di fuori del suo contesto, di esaminarla nel suo «essere veramente accaduta» solo in quel modo e in quel momento. Il puro metodo storico, fondato sull’esclusività del come, conduce a isolare i fatti […]. Più si è studiato un fatto con passione e attenzione, nella sua particolarità storica non ripetibile, più si esita a considerare tale fenomeno nella sua generalità. In breve, Clio tende a rendere le cose nel suo regno incomparabili e uniche17.

  • 18 Ivi, p. xxxviii.
  • 19 Sulla particolare «storicità» del Boccaccio «narratore», vedi A. Jolles, Il Decameron di Boccaccio, (...)
  • 20 Ivi, p. 112.
  • 21 Ivi, p. 113.

9Poco dopo aggiungerà che la morfologia cerca di mantenersi in equilibrio fra due scienze entrambe insufficienti; la prima non ha senso storico, l’altra invece, avendone fin troppo, finisce per perdere, in rapporto ai fatti concreti, quella «distanza necessaria per comprenderli nel loro valore generale»18. Particolarità irrelata versus visione generale, sguardo schiacciato sull’empiria versus distanziamento necessario per formulare uno sguardo d’assieme. La morfologia di Jolles cerca di esplorare la difficile strada di un’aurea mediocritas fra discorso storico e invenzione poetica. In questo quadro il saggio sul Decameron si presenta, fra l’altro, come un eccezionale campo di sperimentazione pratica e teorica dei contatti fra queste due sfere del sapere umano. Il Boccaccio narratore delle novelle, «legato all’istante», che si concentra su eventi precisi e che particolarizza narrazione e personaggi, fino a toccare il realismo più minuto, ricorda per molti versi l’operato della musa Clio, condannata a inseguire il pathos dell’irripetibilità storica19. Lo scrittore Boccaccio, che conserva la distanza dalla realtà, la sottopone a un processo di formalizzazione raffinato e complesso, ed è dunque creatore di una materia nuova, si avvicina sensibilmente a Melpomene. Ma per Jolles appunto le due muse sono intrecciate in un abbraccio metamorfico che non permette di fare distinzioni trancianti e definitive. Ed è anche per questo motivo, in fondo, che in conclusione al saggio sul Decameron il critico potrà ribaltare il senso dei rapporti fra cornice e novelle. Sarà infatti proprio la cornice dello «scrittore», precedentemente descritta addirittura come «ornamentale»20, ad avvicinarsi maggiormente alla realtà, grazie alla capacità di dar vita artistica a personaggi leali e moralmente onesti. Le novelle invece verranno viste come testi condannati a rivelare «le parvenze ideali della vita»21.

  • 22 Ivi, p. 114.

10La porosità vitale dei rapporti fra cornice e novelle non è però altra cosa rispetto a quella che vivifica i nessi fra storia e poesia. In entrambi i casi bisogna osservare, o sarebbe meglio dire ascoltare, sotto la pelle del visibile, la musica sotterranea delle «forme semplici». Ma andiamo per gradi. La cornice conferisce spessore morale a un libro che ha una struttura ascensionale, scandita da trionfi successivi, e che raggiunge il suo vertice morale con la decima giornata, consacrata a fulgidi esempi di umana magnanimità. Ovviamente l’autodisciplina civile della lieta brigata, tanto lodata da Jolles, si rispecchia in modo sublimato nella nobiltà di questi ultimi personaggi, e la decima giornata finisce così per essere quasi risucchiata nell’alveo tematico e strutturante di una cornice che è allo stesso tempo ieraticamente rarefatta, ma anche vicina alla verità concreta della vita. Bisognerà dedurne che, in questo «libro morale» che è il Decameron, è proprio l’insieme che conferisce senso ai particolari, riverberando sulle singole novelle una tensione pedagogica via via più consistente man mano che i racconti si susseguono, secondo quello che Jolles chiama «motivo della progressione»22. È questa struttura che permette a Boccaccio di rappresentare, dall’inizio alla fine dell’opera, un’escursione morale notevole, se si pensa a quel salto etico fra due superlativi di segno opposto che trasporta il lettore dal pessimo Ser Ciappelletto alla commovente bontà di Griselda.

  • 23 A. Jolles, Carteggio con J. Huizinga, cit., p. 240.

11Ma per individuare una delle fonti intellettuali da cui proviene l’energia artistica necessaria per tale impresa, bisogna riferirsi di nuovo a una «forma semplice». In questo caso a quella del Memorabile. Ancora una volta l’analisi di questa forma appare centrale già nel carteggio con Huizinga su storia e invenzione, prima menzionato. In una lettera, Jolles chiarisce che è grazie alla «disposizione mentale» del «memorabile» se fatti apparentemente slegati tra loro o distanti «sono posti l’uno accanto all’altro in modo tale che si illuminino a vicenda, tanto che la loro importanza aumenta»23. Grazie al filtro del «memorabile», inteso come luogo dell’elaborazione del concreto, è possibile instaurare nuovi rapporti fra gli eventi. Essi possono consistere:

  • 24 Ibid. [Corsivo mio.]

[…] nell’antitesi, nella comparazione, nel commento, e nell’interpretazione di tutti gli elementi che si corrispondono, generando ciò che si può definire il fin mot della storia, il suo senso profondo. L’insieme ha assunto una forma letteraria nella quale ogni dettaglio dell’insieme ha un significato, si relaziona agli altri e a sua volta riceve senso e significato dall’insieme24.

12Se il metodo storico isola i fatti rendendoli appunto incomparabili e consegnandoli al pathos dell’unicità, il metodo morfologico, che ha legami evidenti con la forma del Memorabile qui delineata, privilegiando l’asse semantico della continuità, della ripetibilità e quindi della «circolarità delle forme» riesce a comprendere il senso profondo della realtà. Per Jolles è cruciale chiedersi non tanto cosa veramente è successo, per riprendere il passo di Huizinga prima citato, ma piuttosto cosa sono veramente i fatti storici, e quale sia la loro sostanza più intima.

  • 25 A. Jolles, Forme semplici, in Id., I travestimenti della letteratura, cit., p. 406. [Corsivi miei.]
  • 26 Ibid.
  • 27 Ivi, p. 408.

13Nel saggio sul Memorabile Jolles analizza il racconto dell’assassinio di Guglielmo d’Orange, insistendo spesso sul senso retrospettivo che i molti dettagli del racconto assumono alla luce del finale tragico. Ma aggiunge Jolles: «Nel momento in cui il personaggio viene eliminato dalla storia, in cui la storia deve proseguire senza di lui, qualcosa si stacca dal fatto storico, si separa da esso e diventa autonomo passando per così dire a un ordine superiore»25. Come il Cavalcanti della facezia si stacca col suo salto verbale dalla mera fattualità dei vivi già defunti, per ricollocarsi in un dominio intellettuale qualitativamente superiore, così Jolles indica la presenza di uno scarto ermeneutico decisivo fra storia e poesia, che ricolloca ancora una volta l’avvenimento particolare, di per sé irrilevante, in una «struttura graduale, nella quale riconosciamo una progressione»26. «Progressione», «struttura graduale», «realtà superiore». Con il Memorabile siamo davvero a un passo dagli elementi enfatizzati da Jolles nella cornice del Decameron. E in effetti, proprio riflettendo sulla svolta interpretativa finale che la pone, quasi in virtù di una perfetta sintesi ottico-tattile, lontana ma allo stesso tempo moralmente vicina alla realtà concreta, si può considerare la cornice come punto d’intersezione fra elementi che all’inizio sembrano crescere separatamente, ma che poi «finiscono per ricongiungersi e crescere insieme». È proprio in questo senso, anche etimologico, dal verbo latino concresco, che per Jolles «il memorabile può essere definito come la forma in cui ha luogo il concreto»27.

  • 28 A. Jolles, Il Decameron di Boccaccio, cit., p. 112.

14Ma è necessario adesso passare alle novelle. Perché perderebbero la loro consistenza realistica, sfumando in una lontananza «ottica», che le fa apparire addirittura «parvenze ideali»? Un attimo prima di capovolgere di segno la polarità cornice/novelle, Jolles scrive che queste ultime, vivendo sotto il dominio di Amore, sono inevitabilmente segnate dallo stigma della mancanza. La loro verità è di tipo psicologico, e di natura negativa. Per avere un significato pregnante le novelle devono presentare infatti al lettore non l’immagine di contenuti che si ritrovano nella vita reale, ma esattamente ciò che a quest’ultima manca. L’amore, nella novella erotica di Boccaccio, «non è quello che possediamo, ma quello che ci manca. Amore non è l’immagine divina di ciò che ci appartiene, ma ciò che desideriamo avere»28.

  • 29 Ivi, p. 57.

15L’impossibilità di giungere alla rappresentazione della pienezza umana provoca e asseconda un processo evidente di «intensificazione» espressiva, un superlativo del contenuto e della forma, che si sbilancia sul versante di un realismo intriso di pathos. Si potrebbe sostenere che l’interpretazione complessiva di Jolles sembra consegnarci, in termini warburghiani, un Decameron massimamente divaricato tra il pathos delle novelle e l’ethos della cornice, tra il turbinoso movimento degli avvenimenti narrati e la quiete apollinea del paesaggio descritto, da cui la lieta brigata trae spirituali nutrimenti per i suoi esercizi morali. E tutto questo fotografato allo «stadio superlativo» di una metaforica «Pathosformel all’antica», in cui queste polarità cercano di trovare una sintesi. La citazione goethiana posta in esergo al saggio, «Ammirata molto e molto vilipesa, Elena»29, accende, in questa chiave, una duplice spia grammaticale, retrospettivamente rivelatoria.

  • 30 A. Jolles, Carteggio con J. Huizinga, cit., p. 246.

16La dialettica tra forze patetiche contrapposte, tra immobilità contemplativa ed esplosione misurata di energia, intellettuale e fisica, ha ancora una volta nella figura di Cavalcanti il suo corrispondente simbolico più pregnante. Guido Cavalcanti, questo Ulisse dantesco redivivo, disposto ancora a spiccare il folle volo della conoscenza, ma senza speranza di compagni, e senza nessuna «picciola orazione». Munito tutt’al più di un motto criptico e beffardo, che viene sì ascoltato, ma non immediatamente capito da coloro a cui si rivolge. Così il Cavalcanti che brucia di passione per la scienza e la poesia, morto alla vita banalmente «storica» di tutti i giorni, col suo salto verbale rinasce, passando anche lui a un «ordine superiore», all’incrocio fra sfera eternizzante del Memorabile e «forma semplice» del Mito. Una forma, quest’ultima, caratterizzata, per Jolles, dal «desiderio di sapere»30, e quindi, di nuovo, da un’intrinseca mancanza.

17Nell’idea che se ne fa Jolles, Boccaccio supera questo senso di privazione col Decameron, suo capolavoro morale e artistico. In esso convivono spinte realistiche e sublimazioni ideali, capacità di formalizzazione e stilizzazione come vittorie sul caos della morte e dionisiaco disfrenamento di pulsioni patetico-dinamiche, attenzione alla minuta particolarizzazione storica e visione «poetica» del generale.

  • 31 A. Riegl, Grammatica storica delle arti figurative, A. Pinotti (a cura di), traduzione di C. Arment (...)
  • 32 Ivi, p. 26.
  • 33 Ivi, p. 31.
  • 34 Ivi, p. 92.
  • 35 Cfr. A. Jolles, Il Decameron di Boccaccio, cit., p. 99. Nella tavola 30 di Mnemosyne, Warburg porrà (...)

18Tentando di leggere questa posizione artistica nuovamente con il filtro del pensiero di Riegl si potrebbe dire che essa è simile a quella occupata da Giotto. Per Riegl, Giotto rappresenta il culmine del cosiddetto «secondo periodo» artistico, contraddistinto dall’intenzione di migliorare la natura attraverso la bellezza spirituale. E nella sua Grammatica storica delle arti figurative afferma: «Giotto era infatti destinato a portare l’arte italiana sulla strada della spiritualizzazione e del moderato avvicinamento ai fenomeni naturali transeunti»31. L’inizio di questo secondo periodo, collocabile temporalmente tra IV e V secolo d.C., è riassunto per Riegl in questo concetto-base: «la bruttezza della natura come vettore di bellezza spirituale»32. Si potrebbe già qui segnalare una prima consonanza con la rappresentazione che Boccaccio dà di Giotto nella celebre novella VI 5, il cui centro ruota sul contrasto fra la bruttezza fisica del pittore e il suo meraviglioso ingegno artistico, capace di rivaleggiare con la bellezza della natura. Ma ciò che più importa è che per Riegl, dopo questo apice incarnato da Giotto e Masaccio, comincia, almeno in Italia, quel movimento spirituale che pone in grande rilievo la rappresentazione della natura caduca: «il rivolgersi alla verità peritura della natura divenne la meta più importante dell’arte fiorentina»33. Negli immediati successori predominerà infatti «il gusto per la riproduzione dell’accidentale (nella maniera più esplicita in Gozzoli)»34. Jolles, parlando dei paesaggi rarefatti della cornice, dipinti «a memoria» da Boccaccio con straordinario senso dell’armonia, paragona lo scrittore proprio a Benozzo Gozzoli35.

19Nel Boccaccio di Jolles la dialettica fra cornice e novelle, con la sua torsione interpretativa finale, costruisce dunque l’immagine di uno scrittore completo, innanzitutto perché capace di aderire a una realtà non visibile e spiritualmente «migliorata» dalla stella polare della magnanimità. E poi perché ugualmente in grado di cogliere gli aspetti perituri della natura umana.

  • 36 Cfr. A. Jolles, Il Decameron di Boccaccio, cit., p. 82.

20Tattile e ottico allo stesso tempo, Boccaccio è per Jolles a tal punto un «greco» che non si accorge nemmeno di esserlo. In lui si possono osservare le tracce letterarie di una saldatura culturale fondamentale: quella tra arte romanica e arte greco-cristiana, entrambe strettamente legate, sottolinea Jolles, all’Ellenismo36.

  • 37 Ivi, p. 81.

21Nell’atto di proiettare uno sguardo fortemente sintetico sulle partizioni storiche che dividono l’Antichità dal Medioevo, e quest’ultimo dal Rinascimento, Jolles scrive: «Le suddivisioni storiche sono come pioli di una scala, lungo i quali siamo discesi con cautela nel vortice del passato». Ma subito aggiunge: «Ora che la profondità è stata misurata, coloro che non soffrono di vertigini possono arrischiare il salto»37. Davvero Jolles non ha avuto paura di saltare fra i diversi livelli espressivi del Decameron, di distinguerli, staccarli, contrapporli, metterli in relazione e infine ricomporli in una sintesi d’ordine superiore.

22Generata all’intersezione fra i salti logici della forma destrutturante dello Scherzo, con i suoi scarti fulminei, e le pazienti cuciture del Memorabile, l’interpretazione che Jolles ci dà del Decameron, tanto articolata quanto mossa e imprevedibile, prelude al grande affresco delle «forme semplici», non solo e non tanto perché le menziona, ma nella misura in cui le elegge, sotterraneamente, a segreti centri propulsori di un intero metodo critico.

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Notes

1 «Piacevoli donne, assai son coloro che credono Amor solamente dagli occhi acceso le sue saette mandare, coloro schernendo che tener vogliono che alcun per udita si possa innamorare; li quali essere ingannati assai manifestamente apparirà in una novella la qual dir intendo» (G. Boccaccio, Decameron, A. Quondam, M. Fiorilla, G. Alfano (a cura di), Milano, Rizzoli, 2014, p. 739).

2 A. Jolles, Il Decameron di Boccaccio, in Id., I travestimenti della letteratura. Saggi critici e teorici (1897-1932), S. Contarini (a cura di), Milano, Bruno Mondadori, 2003, p. 100.

3 Ibid.

4 Per questa e per la citazione successiva vedi A. Jolles, La facezia di Guido Cavalcanti, in Id., I travestimenti della letteratura, cit., p. 46.

5 Ivi, p. 51.

6 A. Jolles, Il Decameron di Boccaccio, cit., p. 114.

7 S. Contarini, Introduzione, in A. Jolles, I travestimenti della letteratura, cit., p. xlv.

8 A. Jolles, Il Decameron di Boccaccio, cit., p. 99.

9 Ivi, p. 98.

10 E. Auerbach, La tecnica di composizione della novella, F. Schalk (a cura di), traduzione di R. Precht, Roma, Beniamino Vignola Editore, 1996 (1984) [Zur Technik der Frührenassaincenovelle in Italien und Frankreich, Heidelberg, Carl Winter Verlag, 1921], p. 24: «La cornice del Decameron può essere compresa nel modo più semplice proprio a partire dal concetto di forma sociale. Così diventa anche evidente perché Boccaccio lasci in penombra le caratteristiche dei narratori e le loro reciproche relazioni. Se queste fossero chiare, non più di cornice si tratterebbe, ma di un racconto a sé stante; […] la brigata dei giovani eleganti vive del segreto e della confusione; un’unica volontà decisa, un’unica passione apertamente espressa ne distruggerebbe la struttura» [corsivi miei]. Vedi A. Jolles, Il Decameron di Boccaccio, cit., p. 96.

11 Ivi, p. 104.

12 Ivi, p. 103.

13 Ivi, p. 104.

14 Ivi, p. 100.

15 A. Jolles, Carteggio con J. Huizinga. Clio e Melpomene, in Id., I travestimenti della letteratura, cit., p. 250.

16 Ivi, p. 243.

17 Questa e la citazione immediatamente precedente si trovano in una lettera di Jolles a Huizinga del 10 maggio 1928. Vedi S. Contarini, Introduzione, cit., p. xxxvii. [Corsivi miei.]

18 Ivi, p. xxxviii.

19 Sulla particolare «storicità» del Boccaccio «narratore», vedi A. Jolles, Il Decameron di Boccaccio, cit., p. 104: la sua «attitudine si manifesta nell’abilità illimitata di localizzare gli avvenimenti trasmessi, vale a dire di raccontarli come se questi fossero potuti accadere solamente una volta, in quel dato luogo, e con quei protagonisti» [corsivi miei].

20 Ivi, p. 112.

21 Ivi, p. 113.

22 Ivi, p. 114.

23 A. Jolles, Carteggio con J. Huizinga, cit., p. 240.

24 Ibid. [Corsivo mio.]

25 A. Jolles, Forme semplici, in Id., I travestimenti della letteratura, cit., p. 406. [Corsivi miei.]

26 Ibid.

27 Ivi, p. 408.

28 A. Jolles, Il Decameron di Boccaccio, cit., p. 112.

29 Ivi, p. 57.

30 A. Jolles, Carteggio con J. Huizinga, cit., p. 246.

31 A. Riegl, Grammatica storica delle arti figurative, A. Pinotti (a cura di), traduzione di C. Armentano, Macerata, Quodlibet, 2008 [Historische Grammatik der bildende Kunste, 1897 e 1899], p. 30.

32 Ivi, p. 26.

33 Ivi, p. 31.

34 Ivi, p. 92.

35 Cfr. A. Jolles, Il Decameron di Boccaccio, cit., p. 99. Nella tavola 30 di Mnemosyne, Warburg porrà il Corteo dei Magi di Gozzoli accanto agli affreschi aretini di Piero della Francesca. La tavola è introdotta da questo eloquente titoletto: «Piero della Francesca. Monumentalizzazione e presa di distanza. A tal proposito Gozzoli. Paleologo». Cfr. A. Warburg, Mnemosyne. L’Atlante delle immagini, M. Warnke, C. Brink (a cura di), traduzione di B. Müller, M. Ghelardi, Torino, Nino Aragno Editore, 2002 [Der Bilderatlas Mnemosyne, Berlin, Akademie Verlag, 2000], p. 50.

36 Cfr. A. Jolles, Il Decameron di Boccaccio, cit., p. 82.

37 Ivi, p. 81.

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Pour citer cet article

Référence papier

Gabriele Fichera, « Il salto di Jolles fra gli stili del Decameron: dalla cornice alle novelle, e viceversa »Cahiers d’études italiennes, 23 | 2016, 125-135.

Référence électronique

Gabriele Fichera, « Il salto di Jolles fra gli stili del Decameron: dalla cornice alle novelle, e viceversa »Cahiers d’études italiennes [En ligne], 23 | 2016, mis en ligne le 23 janvier 2017, consulté le 04 décembre 2024. URL : http://0-journals-openedition-org.catalogue.libraries.london.ac.uk/cei/3153 ; DOI : https://0-doi-org.catalogue.libraries.london.ac.uk/10.4000/cei.3153

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Auteur

Gabriele Fichera

Université de Liège

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