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  • 1 A. Jolles, Formes simples, traduit de l’allemand par A. M. Buguet, Paris, Seuil, 1972.

1La raccolta di saggi che qui presentiamo, a un anno di distanza circa dal convegno omonimo tenutosi alla Scuola Normale Superiore di Pisa nel luglio 2015, si può considerare un primo tentativo di riconsiderazione critica del pensiero di André Jolles (1874-1946), attraverso una serie di contributi incentrati sulla biografia, l’analisi storica e filologica dei testi e la loro rilettura da punti di vista diversi e complementari che ne saggiano la validità nell’orizzonte letterario ed ermeneutico contemporaneo. L’idea di un convegno dedicato a Jolles si giustifica con la necessità di tornare a interrogarsi sulle sue categorie morfologiche dopo una ricezione parziale a lungo fondata su di un solo testo, Einfache Formen (1930): il libro più noto della maturità, che rappresenta però solo la sintesi di un itinerario critico ben più articolato e complesso, estraneo all’orizzonte del formalismo e dello strutturalismo al quale si è voluto ricondurlo a partire dalla fortunata traduzione francese del 19721. Se è vero infatti che le «forme semplici» rappresentano un interesse costante di Jolles, anche per la loro sotterranea parentela con le Pathosformeln di ascendenza warburghiana, è altrettanto certo che lo spazio della letteratura, inteso come trasformazione progressiva delle «forme semplici» in «forme artistiche» (e viceversa), nell’ambito di una teoria dei generi in perenne movimento e in rapporto con il divenire storico, costituisce per Jolles un problema altrettanto importante sul quale non si è riflettuto abbastanza, forse anche perché, fino alla traduzione italiana del 2003, molti dei saggi di Jolles erano disponibili solo nella loro veste originale in nederlandese (è il caso del primo libro uscito nel ’23, Bezieling en vorm), o disseminati su riviste olandesi di fine Ottocento e di inizio Novecento come «De Kroniek» e «De Gids». La dispersione degli scritti dedicati all’arte e alla letteratura dall’antichità greca all’Ottocento romantico è probabilmente anche la conseguenza di un metodo di lavoro e di un atteggiamento culturale da parte del critico: come provano i carteggi fittizi con Aby Warburg e con Johan Huizinga, Jolles sembra diffidare delle forme tradizionali della comunicazione scientifica, e si mostra se mai incline ad affidare alla forma effimera ma intensamente dialogica della lettera i nuclei profondi della sua riflessione. Del resto anche al volume tedesco sopra le Einfache Formen, Jolles non giunge in maniera pacifica, né probabilmente lo intende come un approdo definitivo della sua indagine morfologica, dal momento che, come avviene per un altro illustre caso critico novecentesco, il Cours de linguistique générale di Ferdinand de Saussure (1916), lo si può leggere solo nella forma degli appunti delle lezioni universitarie trascritte dagli studenti.

  • 2 Cfr. per esempio A. van der Lem, Johan Huizinga. Leven en werk in beelden en documenten, Amsterdam, (...)
  • 3 Anche la tesi di dottorato di A. Bodar, De schoonheidsleer van André Jolles. Morphologische beschou (...)
  • 4 Per questo e altri riferimenti agli studi su Jolles si rimanda alla bibliografia complessiva della (...)
  • 5 A. Jolles, Simple Forms. Legend, Saga, Myth, Riddle, Saying, Case, Memorable, Fairytale, Joke, trad (...)
  • 6 Cfr. J. Huizinga, Mijn weg tot de histoire en gebeden, A. van der Lem (a cura di), Nijmegen, Vantil (...)

2Neppure nei Paesi Bassi, con l’eccezione forse degli storici studiosi di Huizinga che si sono occupati a varie riprese del sodalizio con Jolles2, l’interesse per il critico è parso finora adeguato ai risultati del suo lavoro teorico3, tanto che la prima traduzione in nederlandese di Einfache Formen, a opera del principale studioso di Jolles, Walter Thys, da poco scomparso, risale appena al 20094, mentre deve ancora vedere la luce la prima traduzione inglese, a opera di Peter Schwartz (il cui intervento al convegno pisano non è stato possibile accogliere qui per ragioni editoriali, essendo parte dell’introduzione al libro in corso di stampa5). Qualcosa tuttavia sembra essere cambiato negli ultimi anni, e da questo punto di vista l’intervento di Willem Otterspeer, collocato in apertura di volume, è senz’altro significativo di una linea interpretativa più recente, che mostra di saper leggere Jolles fuori dalle coordinate politiche che lo hanno reso per molto tempo inviso al contesto olandese (anche per il confronto con la figura per tanti versi esemplare di Huizinga), restituendolo a un orizzonte culturale entro il quale si muovono filologi e storici della cultura come Curtius, Spitzer e Auerbach. Otterspeer approfondisce in particolare il concetto di «vita (intellettuale) parallela» che caratterizza i romanisti attivi all’epoca di Jolles, uniti dal comune interesse per le «forme» della letteratura e della cultura, nonché da un entusiasmo fondativo nei confronti della Weltliteratur. Il rapporto con Huizinga è senza dubbio centrale, così come lo sono le tormentate vicissitudini — difficili da ricostruire con esattezza — che hanno condotto i due a interrompere definitivamente i rapporti nel 1933, dopo un sodalizio pluridecennale: una decisione, occorre precisarlo, che sembra essere frutto dell’iniziativa di Jolles, a causa delle inconciliabili divergenze politiche sorte dopo la sua adesione al nazismo nel ’33, e che viceversa Huizinga sembra rimpiangere anche negli scritti più tardi, come mostra la pacata ma sofferta rievocazione autobiografica di Mijn weg tot de historie (La mia via alla storia)6. In quello che è probabilmente il suo ultimo contributo critico dedicato a Jolles, ripreso in appendice al presente volume, Walter Thys cerca proprio di fare luce sulle ragioni della brusca rottura, alle quali Huizinga si è sempre riferito in maniera allusiva.

  • 7 Cfr. S. Contarini, «Forme artistiche»: Jolles e la teoria della novella, in G. M. Anselmi et al. (a (...)
  • 8 A. Jolles, Introduzione a Forme semplici, in Id., I travestimenti della letteratura. Saggi critici (...)
  • 9 Ivi, p. 263.
  • 10 Cfr. André Jolles (1874-1946) ‘gebildeter Vagant’. Brieven en documenten, bijeengebracht, ingeleid (...)
  • 11 A. Jolles, Introduzione a Forme semplici, cit., p. 263.
  • 12 A. Jolles, Het sprookje en de moraal, in Festschrift Eugen Mogk zum 70. Geburtstag, Halle a.d. Saal (...)

3Come si è già avuto modo di osservare in altra sede7, l’intuizione dell’esistenza di «forme semplici» presenti nella realtà della lingua prima che nella dimensione letteraria, segnata dalla presenza autoriale, comprende fin dall’inizio per Jolles l’esigenza di determinare «il percorso che conduce dalla lingua alla letteratura», ovvero «quando, dove e come il linguaggio, senza cessare di essere segno, può divenire e diviene allo stesso tempo costruzione»8. Per utilizzare il lessico warburghiano che percorre le pagine più intense di Jolles, si tratta in primo luogo di osservare e confrontare «il modo in cui il medesimo fenomeno si ripete, arricchendosi, su un altro livello, il modo in cui la stessa energia, capace di costruire e delimitare la forma, domina, accrescendosi di volta in volta, il sistema nella sua totalità»9. Fin dall’inizio dunque il sistema messo a punto con straordinaria coerenza tra gli anni Venti e Trenta contempla, accanto alle einfache Formen, quelle che Jolles definisce Kunstformen — in primo luogo la novella e la fiaba d’arte, ma anche l’epica e il romanzo — alle quali aveva dedicato i suoi corsi universitari a Lipsia10, e che nelle sue intenzioni dovevano divenire l’oggetto di un libro a parte, perché lo studio sulle «forme semplici» era solo «il primo capitolo della [sua] scienza letteraria»11. E anche se quel progetto è poi rimasto allo stato di abbozzo, il lungo saggio sul Decameron, pensato originariamente come introduzione all’edizione tedesca di Albert Wesselski uscita a Lipsia nel 1921, ma ripreso due anni dopo in versione nederlandese nella raccolta di saggi intitolata Bezieling en vorm (Intuizione e forma) e pubblicata ad Haarlem con il patrocinio di Huizinga presso lo stesso editore di Herfsttij der Middeleeuwen, così come i numerosi scritti sulla letteratura italiana, francese e tedesca pubblicati tra il ’21 e il ’28 in «De Gids» e in altre sedi occasionali (come la Festschrift Eugen Mogk che ospita il contributo sopra la fiaba e la morale, ancora sul Decameron12) sono senza dubbio una testimonianza concreta del lavoro teorico compiuto da Jolles sulla forma breve della novella, la sua genesi e le sue trasformazioni.

  • 13 Cfr. n. 22.
  • 14 W. Pabst, Die Theorie der Novelle in Deutschland, «Romanistisches Jahrbuch», 2, 1949, pp. 81-124.
  • 15 Cfr. V. Branca, Linee di una storia della critica al Decameron. Con bibliografia boccaccesca, Genov (...)
  • 16 Cfr. N. Giannetto, André Jolles, la «Rahmenerzählung» e il Decameron, in Tra storia e simbolo. Stud (...)
  • 17 Cfr. H.-J. Neuschäfer, Boccaccio und der Beginn der Novelle. Strukturen der Kurzerzählung auf der S (...)
  • 18 Fanno eccezione lo studio già ricordato di N. Giannetto e il contributo di H. Wetzel, Premesse per (...)
  • 19 Cfr. in part. M. Picone, Tre tipi di cornice novellistica: modelli orientali e tradizione narrativa (...)
  • 20 Cfr. A. Jolles, Einfache Formen [Märchen und Novelle], in Novelle, J. Kunz (Hg.), Darmstadt, Wissen (...)
  • 21 Cfr. ad esempio B. König, Linea di una storia della critica boccaccesca in Germania, e W. Hirdt, Bo (...)

4E tuttavia, non solo per la dispersione degli scritti a cui si è già accennato, si ha l’impressione che nel variegato panorama bibliografico sulla teoria dei generi letterari di area tedesca il riferimento a Jolles ricorra (con l’eccezione rilevante di Jauss13) molto meno di quanto ci si potrebbe aspettare. A spiegare la ricezione limitata del pensiero di Jolles all’interno di una riflessione teorica che spesso ha ripreso e utilizzato — in maniera più o meno consapevole — molte delle sue tesi, concorrono le oramai ben note ragioni di carattere biografico, tra cui l’adesione al nazismo e il suicidio nel 1946, in circostanze mai del tutto chiarite: un epilogo che basta probabilmente da solo a giustificare le reticenze di Pabst allorché, nel 1949, liquida in poche battute ogni riferimento al critico olandese14. Di fatto, dopo la tempestiva segnalazione di Vittore Branca, che nel 1939 includeva nella sua bibliografia della critica boccacciana il saggio di Jolles sul Decameron15, bisognerà attendere gli anni Novanta perché gli altri scritti attirino di nuovo l’interesse della critica16, solita per lo più a riferirsi a Einfache Formen come a una sorta di testo adespoto, privo di una sua organica storia interna. La controprova è fornita dallo studio notissimo di Neuschäfer intitolato all’origine della novella, dove Jolles non compare mai tra i teorici del genere (Hirsch, Wiese, Polheim, Jauss, Sklovskij, Tynjanov), anche se poi paradossalmente a Einfache Formen Neuschäfer deve attingere quando si trova a esaminare il rapporto contrastivo che la novella intrattiene con la leggenda e con la fiaba, o la derivazione della novella dalla «forma semplice» del Caso accettata e ripetuta dalla maggior parte della critica più recente17, la quale viceversa non sembra avere assimilato in maniera altrettanto netta18 il fatto che il saggio del ’21 sul Decameron avesse messo in luce, assai prima degli studi di Picone19, il rapporto tra la cornice e i modelli orientali. E, per limitarsi a un altro esempio, se agli inizi degli anni Settanta l’antologia di Josef Kunz sulla novella20 riportava in maniera coerente il capitolo sulla fiaba di Einfache Formen, attribuendogli un titolo editoriale che ne rispecchia esattamente il contenuto, vale a dire Märchen und Novelle, la Theorie und Kritik der deutsche Novelle von Wieland bis Musil di Polheim, edita l’anno successivo, tace perfino il nome del critico olandese, ignorato anche dalle rassegne sul Boccaccio in Germania che compaiono nel volume miscellaneo del 1978 a cura di Francesco Mazzoni21.

  • 22 H. R. Jauss, Alterità e modernità nella letteratura medievale, traduzione italiana di M. G. Saibene (...)
  • 23 Ivi, p. 240.
  • 24 Ivi, p. 236. Sul rapporto tra il Decameron e i generi medievali ci limitiamo a qualche riferimento (...)

5A queste ragioni, che riguardano soprattutto la prima ricezione tedesca di Jolles, bisogna aggiungere ancora, da un altro punto di vista, la riscoperta tardiva di Einfache Formen nella traduzione francese del 1972, che, come osservava già Jauss rispondendo alle obiezioni di Paul Zumthor sul valore euristico delle categorie di Jolles22, se favorisce un’ampiacircolazione del libro, ne promuove al tempo stesso un’interpretazione in chiave strutturalista oggi non più condivisibile, dimenticando che la sua origine si trova, semmai, nella morfologia di Goethe rivitalizzata da Warburg. Coniugando l’interesse per le categorie formali al senso profondo del mutamento e della diacronia nel senso di Usener e poi di Warburg, su cui scrive qui pagine illuminanti Giovanna Targia, il metodo di lavoro di Jolles sembra invece annunciare un’istanza ribadita più tardi convintamente da Jauss, secondo il quale «la teoria dei generi letterari non può arrestarsi di fronte alle strutture di storie dei generi in sé conchiuse, ma deve considerare anche la possibilità di una sistematica storica»23. Già nelle pagine sul Boccaccio che preparano la sintesi teorica di Einfache Formen, del resto, si manifesta quell’attenzione alla metamorfosi interna di una «forma artistica» — la novella — che sarà poi la caratteristica distintiva della letteratura critica più recente, impegnata da Neuschäfer in poi a definire i rapporti tra il Decameron e i generi della cultura medievale in termini di «mutamenti strutturali»24.

6Anche senza tenere conto della mislettura francese, bisogna poi considerare che Einfache Formen, frutto degli appunti delle lezioni trascritte da Elisabeth Kutzer e Otto Görner, restituisce solo le conclusioni ultime di un discorso più ampio e stratificato, di cui — come per altro avverte lo stesso Jolles nelle note al testo — sono parte integrante i saggi editi tra il ’21 e il ’28 in «De Gids» menzionati in precedenza. Prestare scarsa attenzione a tali rimandi interni, limitandosi alla sintesi efficace ma non sempre perspicua di un volume che, per di più, risente volutamente della provvisorietà asistematica implicita in ogni contributo di Jolles, concepito come il tassello di un mosaico sempre suscettibile di variazioni e di ripensamenti, ha avuto qualche conseguenza sulla comprensione generale della teoria di Jolles, per cui ad esempio le parti dedicate alla fiaba — sia pure nel capitolo del libro che riassume il lungo saggio del ’22-’23 — sono sembrate più sviluppate e coerenti di quelle sulla novella, alla quale viceversa il critico rivolge il suo interesse principale negli stessi anni in cui Auerbach redige il suo Zur Technik der Frührenaissancenovelle in Italien und Frankreich (1926). Ancora una volta, tentare di ricostruire il percorso di Jolles implica dunque sottrarlo alla rigidità di un’interpretazione anacronistica per ritrovare il senso di un’ipotesi di lavoro complessa — quella di «forma» — che, come confermano in questa sede i contributi di Renzo Bragantini, Philippe Guérin e Gabriele Fichera, trova nel Decameron di Boccaccio un osservatorio e un punto di riferimento privilegiato per saggiarne la validità in vista dell’enunciazione teorica rappresentata dal libro degli anni Trenta.

  • 25 Cfr. S. Contarini, Gesti verbali. Jolles lettore di Decameron VI, 9, in A. Ferracin, M. Venier (a c (...)

7Rispecchiando l’impianto del convegno pisano, frutto di un call for papers che ha inteso chiamare a raccolta gli studiosi di Jolles, la struttura complessiva del volume si articola in tre sezioni dedicate rispettivamente alla biografia, all’esegesi e alle interpretazioni. Nella prima parte, aperta dall’intervento di Otterspeer di cui si è già detto, le indagini si concentrano soprattutto sulla restituzione dell’orizzonte culturale entro cui si forma il pensiero critico di Jolles. Dopo la rapida incursione biografica di Anton van der Lem, curatore insieme a Léon Hanssen e Wessel Krul, dell’epistolario in tre volumi di Huizinga, sulla formazione simbolista di Jolles nell’ambito della rivista «De Kroniek», che culmina nella descrizione dei ritratti del giovane aspirante studioso a opera di un pittore molto amato anche da Warburg, Jan Veth, i due saggi di Daniela Sacco e di Giovanna Targia si concentrano sul periodo fiorentino di Jolles, emblematicamente suggellato dalla corrispondenza fittizia con Warburg sulla figura della Ninfa del Ghirlandaio nella Cappella Tornabuoni (1901). Se Daniela Sacco, riprendendo le osservazioni di studiosi come Georges Didi-Huberman e James Hillman, insiste sulla parentela con figure archetipiche del profondo attive nel primo Novecento, quali la Gradiva di Jensen che aveva attirato l’attenzione di Freud, e sul valore euristico del mito tradotto in immagine che percorre tutta la riflessione di Jolles, dal saggio giovanile sul folklore a Forme semplici passando per la corrispondenza fittizia con Huizinga intitolata a Clio e Melpomene, Giovanna Targia, che ha al suo attivo (con Maurizio Ghelardi e Susanne Müller) l’edizione dei Frammenti sull’espressione di Warburg, mette da parte le analogie di superficie per concentrarsi sulla filiazione delle categorie di Jolles dai modelli biologici di fine secolo, primo fra tutti (ma non solo) quello di Darwin. E per la verità, a scorrere queste pagine si ha davvero la sensazione che i Frammenti sull’espressione, redatti nel momento di più intensa frequentazione tra Warburg e Jolles (e nei quali non a caso il nome di Jolles affiora a diverse riprese), costituiscano un serbatoio prezioso e finora inesplorato per comprendere la genesi filologica di un’idea di «forma» che, come aveva intuito già Cassirer, muta ed evolve nel duplice segno della progressione e della regressione. Una rilettura di Einfache Formen fuori dall’ottica parziale dello strutturalismo dovrebbe probabilmente cominciare anche da qui, percorrendo a ritroso il cammino di Jolles e riannodando gli innumerevoli fili con gli scritti sull’arte degli anni Venti: non solo la fondamentale conferenza del 1905 intitolata Zur Deutung des Begriffes Naturwahrheit in der bildenden Kunst, ma in primo luogo gli scritti giovanili sui Primitivi, che dietro la veste estetizzante alla Pater lasciano intravedere i germi di una riflessione antropologica più ampia sul gesto come veicolo delle emozioni, e sulla sua traduzione attraverso schemi figurativi che troverà poi un’applicazione letteraria nell’analisi della novella boccacciana di Guido Cavalcanti25.

8Alla decodifica dei riferimenti culturali di Jolles, più spesso mascherati che esibiti, è dedicato anche il contributo di Andrea Tabarroni, che apre la sezione letteraria del volume soffermandosi sulla conclusione ellittica del saggio sopra La visione d’amore nella Vita nuova (1923), riletto attraverso il rapporto tra l’arte medievale e il problema degli universali. Il nodo nascosto, come nota l’autore del saggio, è quello capitale delle modalità della rappresentazione nell’arte e nella letteratura fra Due e Quattrocento, tra realismo, simbolismo e allegoria, che negli stessi anni Jolles aveva affrontato nel carteggio con Huizinga durante la revisione condivisa di Herfsttij der Middeleeuwen in vista della seconda ristampa del ’21. Come mostra l’esempio emblematico di Dante, riletto fra Vossler e Huizinga, per Jolles realismo e nominalismo rappresentano due istanze complementari dell’arte medievale, che concorrono a far incontrare immagine e pensiero, sensi e ragione. Da questo punto di vista l’esegesi del brano con cui Jolles si congeda in maniera volutamente sibillina dal lettore — le parole con cui Anselmo aveva bollato i suoi avversari nominalisti come eretici — consente di individuarne appieno la strategia citazionistica, che attraverso la variante significativa di un passo molto noto intende ribadire il valore della visione nella cultura medievale, l’indissolubilità del nesso tra immagine e idea, e dunque rivendicare anche al secolo di Dante prerogative che la vulgata di Burckhardt aveva voluto proprie della civiltà del Rinascimento. Richiamando l’analogia con Jung, che negli stessi anni si era espresso a favore di una mediazione tra nominalismo e realismo individuata nell’attività della psiche, la fantasia, mescolanza di «sentimento» e «pensiero», «intuizione» e «sensazione», l’intervento di Tabarroni sembra dunque dare ragione, con più fondati argomenti, a quanto suggerisce Daniela Sacco riguardo a una possibile consonanza tra le tesi di Jung e quelle di Jolles, il quale, non bisogna dimenticarlo, intitola proprio Bezieling en vorm (Intuizione e forma) il libro del ’23 dove figura anche il saggio dantesco. Ma questo è evidentemente uno snodo fondamentale, su cui le ricerche future dovranno ritornare.

9La lunga fedeltà di Jolles al Decameron è comprovata dai tre interventi sul testo di Boccaccio che costituiscono una parte consistente della sezione letteraria, all’interno della quale figura anche una prima ricognizione di Andrea Penso sul rapporto tra teatro e fiaba, dedicata alla riflessione sulle Fiabe teatrali di Gozzi che compare nel saggio sopra Het sprookje in de nieuwe Westersche letterkunde (La fiaba nella letteratura occidentale moderna). Muovendo dal testo di Jolles forse più noto al pubblico italiano, vale a dire il lungo saggio sul Decameron apparso prima in tedesco nel ’21 e poi ristampato nella versione nederlandese di Bezieling en vorm, Renzo Bragantini si sofferma sull’ampio saggio sulla fiaba uscito a puntate su «De Gids», preparatorio a Einfache Formen, ricollocando sapientemente il pensiero di Jolles nell’ambito della tradizione della critica boccacciana vecchia e nuova, per metterne in luce i suggerimenti più efficaci e suscettibili di ripresa e di approfondimento, come la sensibilità nei riguardi degli intertesti boccacciani. A confronto con l’approccio positivistico della critica delle fonti diffusa tra Otto e Novecento, Jolles insiste sui procedimenti parodici di riscrittura e commistione, in osservanza al principio di un autore che interviene sul materiale della tradizione per dare vita a una forma inedita, la novella, intesa come creazione individuale e insieme oggettiva. Degne di rilievo, e tutte da sviluppare, sono anche le osservazioni sul rapporto tra fiaba e romanzo nel Cunto de li cunti, quando Bragantini mostra, con argomenti che rimandano alla distinzione dei formalisti russi tra «forma lunga» e «forma breve», che Basile contravviene «alle leggi imperanti nel genere fiabesco da lui praticato, intasando tanto di filatesse sinonimiche quanto di indugi glossatorî» una forma narrativa tradizionalmente concentrata sulla rapidità e la velocità dell’azione. Ancora una volta, dunque, riappare in filigrana la relazione tra le «forme semplici», che esistono nella lingua, e le «forme artistiche», frutto di un’istanza autoriale che opera su livelli diversi interpretando le esigenze culturali di un’epoca, secondo quello che uno studioso caro a Jolles e da lui mai dimenticato, Alois Riegl, aveva definito come Kunstwolle. Proprio all’Historische Grammatik der bildende Kunste, il cui influsso traspare anche da un altro testo importante, dalla fisionomia composita, che precede di pochi anni quello sul Decameron (Wege zu Phidias. Briefe über antike Kunst, 1918), si riallaccia non a caso il saggio di Fichera sul Decameron, che si sofferma sull’opposizione tra la poesia «pittorica» e visiva di Dante e la prosa «sonora», musicale, di Boccaccio, per affrontare il rapporto complesso tra la cornice e le novelle alla luce del rilievo assunto da un’oralità che «privilegia la dimensione dell’udito». Giustamente Fichera nota che la lettura approfondita del Decameron da parte di Jolles diviene a tratti l’occasione per tastare la validità di una morfologia in divenire, in equilibrio tra storia e letteratura, dove una «forma semplice» come quella del Memorabile, indagata anche nel saggio di Giuseppe Panella per i suoi rapporti con il sublime, può fare la sua comparsa prima ancora della sua definizione teorica nelle vicende diametralmente opposte di Ser Ciappelletto e di Griselda, restituendo a queste figure una «verità» letteraria che la storia non può cogliere. Ma sul rapporto tra «forma semplice» e forma letteraria torna in maniera ancora più persuasiva l’intervento di Philippe Guérin dedicato all’analisi della struttura del Decameron, che, affrontando la questione centrale, posta in termini differenti da Auerbach e da Jolles, dell’unità del testo boccacciano, riflette sul principio dell’autorialità riferito a Boccaccio dopo una puntuale disamina delle definizioni di «novella» e di «cornice». Se è fuori di dubbio che l’idea (poi ripresa in Einfache Formen) di novella come «rappresentazione di un fatto e di un avvenimento di significato chiaro e riconoscibile che suscita nel lettore un’impressione di verità» trae origine dall’incontro con il Decameron, è altrettanto vero, come osserva acutamente Guérin, che essa non si adatta a racconti come quelli già citati di Ser Ciappelletto e di Griselda, più vicini se mai alla «forma semplice» del Caso. Ciò che consente alla fine la loro trasformazione nella forma letteraria della novella (senza che per altro, come si è visto, ciò implichi l’armonizzazione di tutti i particolari) è appunto la mediazione della cornice in quanto «luogo per eccellenza dell’istanza giudicatrice, a un tempo estetica ed etica», incarnata dalla figura plurale della lieta brigata, alla quale Boccaccio delega l’istanza autoriale. La tensione che si crea fra la «forma semplice» del Caso e la sua realizzazione in novella — che conduce alla dissoluzione del Caso stesso come quaestio —, è un punto fondamentale dell’esegesi di Jolles, perché proprio in questa dinamica di esautoramento attraverso la produzione artistica va interpretata la visione poetica e morale di Boccaccio, i cui racconti rappresentano altrettante risposte al caos del mondo.

10La terza sezione del volume è consacrata a letture e percorsi che costituiscono altrettanti tentativi di riflessione autonoma del sistema morfologico elaborato da Jolles, il cui scopo è anche quello di mostrare la vitalità di alcune intuizioni, dal momento che l’approccio interdisciplinare del critico olandese si presta ad applicazioni diverse ed è suscettibile di ripresa e di adattamento nel dibattito contemporaneo. Ne è un esempio il contributo di Andrea Rondini a proposito di quella che viene considerata la concrezione di una «disposizione mentale» tipica del Novecento, quella del necrologio. Essa presenta alcune caratteristiche che la accomunano al Memorabile e, in una certa misura, al Caso, ma al contempo se ne distingue a tal punto che l’autore si sente legittimato a definirla come forma autonoma, ampliando così il catalogo originario di Einfache Formen. A un ampliamento concettuale della forma del Memorabile contribuisce anche Panella, che approfondisce un aspetto lasciato da parte da Jolles, quello delle valenze estetiche delle «forme semplici», indagandone i rapporti con il sublime (nell’accezione moderna derivata da Burke) a partire dall’effetto suscitato dai particolari all’interno di una narrazione improntata all’evidenza patetica. Se Filippo Fonio si impegna in un’articolata disamina della Leggenda che ne rileva le aporie e i punti di forza, in vista di un suo trasferimento in un ambito critico più generale, fuori dal sistema contemplato in origine, dal canto suo François Bouchard ritorna sulla dialettica tra «forma semplice» e forma letteraria illustrando la migrazione di una formula peculiare della fiaba («Cammina cammina»), che passa dalla Serpicina di Guerrazzi a Manzoni, contaminando lo spazio del romanzo e della storia. Da questo punto di vista, il percorso così delineato sembra rafforzare le osservazioni fatte a suo tempo da Domenico De Robertis riguardo alla cosiddetta «favola di Renzo» nel capitolo XVII dei Promessi sposi, che Bouchard riprende nel confronto eloquente con l’archetipo di Perrault, suggerendo un’inedita linea di ricerca suscettibile di approfondimenti ulteriori, non solo in vista dei commenti manzoniani, ma anche degli studi sul genere della fiaba nell’Ottocento, fino a Collodi.

  • 26 Per le principali traduzioni di Einfache Formen, cfr. la bibliografia in calce al volume.

11Il volume che presentiamo non vuole avere naturalmente alcuna pretesa di esaustività. Gli studi qui raccolti servono, a nostro avviso, ad aprire la via a una rivalutazione complessiva dell’opera di Jolles, tentando di leggerla — come raramente è stato fatto — nel suo contesto di produzione e di ricezione, caratterizzato da una fitta rete di scambi e influenze — accettandone la frammentarietà e in certo modo l’incompletezza, integrandola dove possibile. Molto resta ancora da fare: sarebbe in primo luogo fondamentale proseguire l’opera di traduzione26, sia degli scritti di storia dell’arte di Jolles, dai Primitieven a Wege zu Phidias fino al libro su Vitruvio che aveva attirato l’attenzione del giovane Longhi, che dei saggi sparsi sulla letteratura europea (è ancora ignorato, per esempio, il lungo saggio su Zola in Bezieling en vorm), allo scopo di comprendere, nel suo complesso, la figura di un romanista tanto tipico della sua epoca sotto l’aspetto della pluralità degli interessi, quanto eterodosso sul piano dell’elaborazione ardita di un metodo davvero trasversale e applicabile a campi semiotici molto diversi. Ma, lo ripetiamo ancora una volta, questo può avvenire solo ricostruendo con pazienza il suo itinerario critico, la genealogia dei concetti (i rapporti con la riflessione parallela di Warburg e di Huizinga, per citare solo i nomi più noti), e soprattutto il contesto culturale, storico e antropologico, nel quale la morfologia di Jolles prende corpo, si sviluppa e si modifica, nutrendosi di varie suggestioni ma mantenendo fino alla fine un orientamento coerente rispetto alle domande originarie. O almeno così ci sembra.

12In conclusione, teniamo a esprimere il nostro ringraziamento a tutti coloro che hanno reso possibile la riuscita del convegno internazionale che ha dato inizio al progetto di questo volume, così come a tutti coloro che hanno avuto parte attiva nella riflessione di cui il libro è frutto: anzitutto la Scuola Normale Superiore di Pisa, che ha concesso la sua ospitalità; Geertjan de Vugt, Léon Hanssen, Peter Schwartz e Paolo Zublena che hanno partecipato al convegno e al dibattito anche se non hanno potuto contribuire al volume; Philippe Guérin e Salvatore Settis per aver sostenuto l’idea fin dall’inizio; il GERCI (Groupe d’études et de recherches sur la culture italienne) dell’Université Stendhal-Grenoble 3; la Commission de la Recherche della medesima università; l’Università di Udine. La nostra gratitudine va infine a Walter Thys, che ha creduto nella nostra iniziativa e ha tenuto a farci avere il suo ultimo contributo alla biografia di Jolles.

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Notes

1 A. Jolles, Formes simples, traduit de l’allemand par A. M. Buguet, Paris, Seuil, 1972.

2 Cfr. per esempio A. van der Lem, Johan Huizinga. Leven en werk in beelden en documenten, Amsterdam, Wereldbibliotheek, 1993, cap. IX.

3 Anche la tesi di dottorato di A. Bodar, De schoonheidsleer van André Jolles. Morphologische beschouwingen, discussa presso l’Università di Amsterdam nel 1987, da cui è tratto l’articolo in italiano Labirinto europeo. Per una bibliografia critica di André Jolles («Intersezioni», 8, 1, 1988, pp. 153-170), appare più simile a una biografia intellettuale che a una vera e propria disamina del pensiero critico.

4 Per questo e altri riferimenti agli studi su Jolles si rimanda alla bibliografia complessiva della critica in calce al volume.

5 A. Jolles, Simple Forms. Legend, Saga, Myth, Riddle, Saying, Case, Memorable, Fairytale, Joke, traduzione inglese e cura di P. J. Schwartz, prefazione di F. Jameson, London, Verso Books, 2017 (di prossima pubblicazione).

6 Cfr. J. Huizinga, Mijn weg tot de histoire en gebeden, A. van der Lem (a cura di), Nijmegen, Vantilt, 2016.

7 Cfr. S. Contarini, «Forme artistiche»: Jolles e la teoria della novella, in G. M. Anselmi et al. (a cura di), Boccaccio e i suoi lettori. Una lunga ricezione, Bologna, Il Mulino, 2013, pp. 109-127.

8 A. Jolles, Introduzione a Forme semplici, in Id., I travestimenti della letteratura. Saggi critici e teorici (1897-1932), S. Contarini (a cura di), premessa di E. Raimondi, Milano, Mondadori, 2003, p. 262.

9 Ivi, p. 263.

10 Cfr. André Jolles (1874-1946) ‘gebildeter Vagant’. Brieven en documenten, bijeengebracht, ingeleid en toegelicht door W. Thys, Amsterdam, Leipzig, Amsterdam University Press, Leipziger Universitätsverlag, 2000, p. 1058.

11 A. Jolles, Introduzione a Forme semplici, cit., p. 263.

12 A. Jolles, Het sprookje en de moraal, in Festschrift Eugen Mogk zum 70. Geburtstag, Halle a.d. Saale, Niemeyer, 1924, pp. 612-623.

13 Cfr. n. 22.

14 W. Pabst, Die Theorie der Novelle in Deutschland, «Romanistisches Jahrbuch», 2, 1949, pp. 81-124.

15 Cfr. V. Branca, Linee di una storia della critica al Decameron. Con bibliografia boccaccesca, Genova, Roma, Napoli, Società anonima editrice Dante Alighieri, 1939, p. 139.

16 Cfr. N. Giannetto, André Jolles, la «Rahmenerzählung» e il Decameron, in Tra storia e simbolo. Studi dedicati a Ezio Raimondi dai Direttori, Redattori e dall’Editore di «Lettere Italiane», Firenze, Olschki, 1994, pp. 225-252.

17 Cfr. H.-J. Neuschäfer, Boccaccio und der Beginn der Novelle. Strukturen der Kurzerzählung auf der Schwelle zwischen Mittelalter und Neuzeit, München, Fink, 1969. Sul Caso e la novella si vedano P. Cherchi, From controversia to novella, in M. Picone, G. Di Stefano, P. Stewart (a cura di), La nouvelle. Formation, codification et rayonnement d’un genre médiéval, actes du colloque international de Montréal (14-16 octobre 1982), Montréal, Plato Academic Press, 1983, pp. 89-99, e L. Battaglia Ricci, Novellistica, omiletica e trattatistica nel primo ’300, in G. Albanese, L. Battaglia Ricci, R. Bessi (a cura di), Favole parabole istorie. Le forme della scrittura novellistica dal Medioevo al Rinascimento, Atti del Convegno di Pisa (26-28 ottobre 1998), Roma, Salerno, 2000, pp. 31-54.

18 Fanno eccezione lo studio già ricordato di N. Giannetto e il contributo di H. Wetzel, Premesse per una storia del genere della novella, in La novella italiana, Atti del Convegno di Caprarola (19-24 settembre 1998), Roma, Salerno, 1989, vol. I, pp. 265-281.

19 Cfr. in part. M. Picone, Tre tipi di cornice novellistica: modelli orientali e tradizione narrativa medievale, «Filologia e critica», 13, 1, 1988, pp. 3-26.

20 Cfr. A. Jolles, Einfache Formen [Märchen und Novelle], in Novelle, J. Kunz (Hg.), Darmstadt, Wissenschaftliche Buchgesellschaft, 1973, pp. 167-173.

21 Cfr. ad esempio B. König, Linea di una storia della critica boccaccesca in Germania, e W. Hirdt, Boccaccio in Germania, in F. Mazzoni (a cura di), Il Boccaccio nelle culture e letterature nazionali, Firenze, Olschki, 1978, rispett. pp. 3-25 e 26-51.

22 H. R. Jauss, Alterità e modernità nella letteratura medievale, traduzione italiana di M. G. Saibene Andreotti, R. Venuti, presentazione di C. Segre, Torino, Bollati Boringhieri, 1989 [Alterität und Modernität der mittelalterlichen Literatur, in Gesammelte Aufsätze 1956-1976, München, Fink, 1977], p. 38.

23 Ivi, p. 240.

24 Ivi, p. 236. Sul rapporto tra il Decameron e i generi medievali ci limitiamo a qualche riferimento tra i più significativi: dopo lo studio di C. Delcorno, Exemplum e letteratura. Tra Medioevo e Rinascimento, Bologna, Il Mulino, 1989, si vedano ancora M. Picone, Dal fabliau alla novella. Il caso di Chichibio (Decameron VI, 4), in La nouvelle, cit., pp. 111-122; L. Surdich, Esempi di «generi letterari» e loro rimodellizzazione novellistica, in Autori e lettori di Boccaccio, Atti del Convegno internazionale di Certaldo (20-22 settembre 2001), Firenze, Cesati, 2002, pp. 141-177; F. Fonio, Dalla leggenda alla novella: continuità di moduli e variazioni di genere. Il caso di Boccaccio, «Cahiers d’études italiennes», 6, 2007, pp. 127-181; S. Marchesi, Favole, parabole, istorie: teoria letteraria e pratica dei generi nella cornice esterna del Decameron, in Id., Stratigrafie decameroniane, Firenze, Olschki, 2004, pp. 1-30.

25 Cfr. S. Contarini, Gesti verbali. Jolles lettore di Decameron VI, 9, in A. Ferracin, M. Venier (a cura di), Giovanni Boccaccio: traduzione, interpretazione e fortuna. In ricordo di Vittore Branca, Udine, Forum, 2014, pp. 229-241.

26 Per le principali traduzioni di Einfache Formen, cfr. la bibliografia in calce al volume.

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Pour citer cet article

Référence papier

Silvia Contarini et Filippo Fonio, « Intuizione e forma »Cahiers d’études italiennes, 23 | 2016, 5-16.

Référence électronique

Silvia Contarini et Filippo Fonio, « Intuizione e forma »Cahiers d’études italiennes [En ligne], 23 | 2016, mis en ligne le 23 janvier 2017, consulté le 04 décembre 2024. URL : http://0-journals-openedition-org.catalogue.libraries.london.ac.uk/cei/3053 ; DOI : https://0-doi-org.catalogue.libraries.london.ac.uk/10.4000/cei.3053

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Silvia Contarini

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