Il mondo salvato dai ragazzini: un’ottica infantile sulla guerra e sulla violenza in Come prima delle madri di Simona Vinci
Texte intégral
Per divertire la noia della loro morte dovrà innocente recitare una commedia pervertita dove il segreto ultimo che confida sembri infine a lui stesso una favola di tradimento.
Elsa Morante, Il mondo salvato dai ragazzini.
Introduzione: infanzia, storia e violenza
- 1 Alberto Casadei, La guerra, Roma-Bari, Laterza, 1999, p. 66.
1Narrare la guerra non è più narrare una storia di eroi ma piuttosto narrare una storia di eroismo inutile. Come osserva Alberto Casadei a proposito del Partigiano Johnny di Fenoglio: «Ogni eroismo è ormai inutile, e il destino di tutti i partigiani, per quanto giusta possa essere la loro causa, è la morte1». Non è un caso quindi che Simona Vinci apra il prologo del suo romanzo Come prima delle madri con il ritrovamento di un morto:
- 2 Simona Vinci, Come prima delle madri, Torino, Einaudi, 2003, pp. 4-5.
Disteso nel greto asciutto del fiume […] c’era un uomo. Un uomo disteso che dormiva. […] L’uomo non stava dormendo. Aveva il cranio fracassato. […] L’uomo non aveva più una faccia. […] Un uomo solo, senza faccia, con le mani disfatte e il corpo nudo2.
- 3 Cfr. <http://www.simonavinci.it/par_speranza01.html> (20-11-2003).
2Sul suo sito web la scrittrice si chiede se raccontare la morte sia un atto di resistenza alla morte o invece la presa di coscienza, dopo Beckett, che il mondo è orribile, che l’unica certezza è la morte e quindi scriverne non serve a nulla. Per la sua riflessione sulla speranza nella scrittura l’autrice parte da due citazioni, una di Reinhard Jirgi che dice: «Le speranze sono in rovina […] In campo intellettuale le speranze equivalgono alla morte»; e una di Flannery O’Connor che afferma al contrario che «chi non nutre speranze non scrive romanzi3». Vinci, attratta da ambedue le asserzioni, tenta di farle operare in sinergia e giunge a una conclusione piuttosto paradossale: bisogna essere nichilisti per vederci chiaro e valutare meglio la speranza che permane nell’orribile:
Nel momento stesso in cui nutri speranze, il tuo sguardo si offusca, sovrappone morbidezze agli spigoli del reale, li arrotonda, diventa incapace di registrare freddamente ciò che ha davanti, di analizzarlo. Perde il suo scopo principale che è la capacità di vedere davvero. Il reale svanisce. Sei nella terra dell’illusione. Sei morto. (ibid.)
- 4 Torino, Einaudi, 1997.
- 5 «Prefazione 1964 al Sentiero dei nidi di ragno», in Romanzi e racconti, vol. 1, Milano, Mondadori,(...)
- 6 Alessandro Bottelli, «La linea d’ombra del giovane Pietro», La nostra Domenica, 30, 31 agosto 2003 (...)
3Per arrivare a vedere la realtà senza lasciarsi influenzare da preconcetti etici e utopici quali la speranza, l’autrice del famigerato esordio Dei bambini non si sa niente4 sceglie l’ottica di un bambino. Questa scelta l’accosta al Calvino del Sentiero dei nidi di ragno che nella prefazione alla sua prima opera del 1964 afferma di aver deciso di affrontare il tema troppo impegnativo della Resistenza non di petto ma di scorcio e che perciò «tutto doveva essere visto dagli occhi d’un bambino5». In un’intervista Simona Vinci dichiara che l’attrae il fatto che i bambini guardano alla vita senza strutture precostituite. L’a-moralità nello sguardo infantile è qualcosa che va al di là del giudizio e può giungere ad «opporsi a quello che tutti ritengono giusto, [a] andare contro la direzione obbligata delle cose6». È questo anche il senso che ha voluto dare al titolo del suo romanzo, tratto da una poesia di Elsa Morante: «la possibilità di affrancarsi dal sapere indotto […] Il sapere dei padri e delle madri. E anche della Storia» (ibid.).
- 7 Giuliana Minghelli, «What’s In A Word? Rosetta Loy’s Search for History in Childhood», MLN, 116, 2 (...)
4Ciò ci conduce al secondo nucleo tematico, che concerne la peculiare relazione tra infanzia e Storia. Giuliana Minghelli, in un articolo su La parola ebreo di Rosetta Loy7, fa alcune osservazioni sul rapporto tra infanzia e storia che possono essere utili per comprendere la scelta di un’ottica infantile per narrare una storia di guerra. Minghelli si sofferma sulla straordinaria posizione di soggetto che occupa il bambino. Da un lato, il bambino è dedito in modo assoluto al presente, e quindi è un attore di primo piano. Dall’altro però, grazie alla sua posizione marginale rispetto al mondo incomprensibile dei grandi, non partecipa alla Storia, ma è solo uno spettatore senza il ruolo di testimone. L’infanzia infatti rappresenta il «non ancora», una storia non raccontata che deve ancora essere compresa, e in questo senso è la posizione ideale per interrogare le risposte offerte dalla ricerca storica. Storia e infanzia non sono quindi due momenti che si escludono a vicenda, ma si dividono lo spazio per una comprensione critica di un passato traumatico.
5La narrazione ha quindi per scopo di convertire l’esperienza dello spettatore inconscio in quella del testimone, ovvero di trasformare l’attenzione senza percezione del bambino in una percezione che produce la possibilità di essere ferito e dunque anche quella di guarire e cambiare. Calvino, nella prefazione già citata a Il sentiero dei nidi di ragno, avverte però anche il rischio che la scrittura diventi un diaframma tra lo scrittore e l’esperienza, e recida i fili che lo legano ai fatti:
- 8 «Prefazione 1964», art. cit., p. 1203.
La memoria – o meglio l’esperienza, che è la memoria più la ferita che ti ha lasciato, più il cambiamento che ha portato in te e che ti ha fatto diverso –, l’esperienza primo nutrimento anche dell’opera letteraria (ma non solo di quella), ricchezza vera dello scrittore (ma non solo di lui), ecco che appena ha dato forma a un’opera letteraria insecchisce, si distrugge. Lo scrittore si ritrova ad essere il più povero degli uomini8.
- 9 Come prima delle madri, op. cit., p. 239
6Anche Simona Vinci è conscia dell’inganno della scrittura e fa scrivere alla protagonista femminile nel suo diario: «Scrivo, ma dentro la testa le frasi suonano molto più belle. Quando le metto sulla carta sono morte, non hanno lo stesso fiato di prima. Bisogna pensare a questa cosa»9.
- 10 «Prefazione 1964», art. cit., p. 1186.
- 11 «La linea d’ombra del giovane Pietro», art. cit..
7È significativo che sia proprio un personaggio a riflettere sull’espressione di sé, e qui bisogna fare un distinguo fra Calvino, che ha vissuto la guerra partigiana in prima persona, e Vinci che, nata nel 1970, può accedere alla vita vissuta solo tramite la vicenda particolare della bisnonna. Visto che per Calvino l’esperienza descritta ha un’origine autobiografica, egli può affermare che per lui e per la sua generazione si trattava di esprimere se stessi, «il sapore aspro della vita che avevamo appreso allora allora»10. Per Vinci invece si tratta di un’esperienza lontana nel tempo tramandatale dalla bisnonna tramite una scatola che conteneva lettere e vecchie fotografie. Nell’intervista già citata Vinci afferma che una delle difficoltà maggiori incontrate nella scrittura del suo primo romanzo a sfondo storico è stata proprio la ricreazione dell’atmosfera di un tempo che non ha conosciuto. Per lei lo scopo non può essere quindi quello di Calvino, che tentava di arrivare a una definizione di cos’era stata per lui la guerra partigiana. Vinci, leggendo le carte della sua bisnonna, comincia a costruirsi nella testa «una storia completamente diversa». Dichiara la scrittrice: «io stavo scrivendo nel Duemila e dovevo fare qualcosa di diverso»11.
- 12 «Prefazione 1964», art. cit., p. 1194.
8In che cosa consiste questo «qualcosa di diverso»? Più volte Vinci parla nell’intervista di romanzo noir, e avverte che non ha per scopo la ricostruzione fedele di una vita realmente vissuta, ma piuttosto una storia in cui succedono cose al di fuori della norma. Qui possiamo di nuovo tracciare un parallelo con quanto dice Calvino nella prefazione del 1964 sul romanzo neorealista della Resistenza. Per raffigurare il processo che permette di arrivare alla coscienza storica Calvino sceglie la via espressionistica del «negativo», della deformazione grottesca dei personaggi, della creazione di «torbidi chiaroscuri»12, una scelta che lo riempie di rimorso verso la «realtà tanto più variegata e calda e indefinibile, verso le persone vere» (ibid., p. 1190). Forse, per tornare all’inizio del nostro discorso, in entrambi i casi si tratta in fondo di creare attraverso il negativo una scrittura della speranza, solo che il negativo nel Duemila ha cambiato tono.
- 13 «La linea d’ombra del giovane Pietro», art. cit.
- 14 Torino, Einaudi, 1999.
9La grande differenza è che mentre i personaggi di Calvino, anche se marginali, sono comunque agenti storici, e anche se non sono spinti da ideali rivoluzionari hanno comunque un «furore» che nasce dall’offesa che li ha segnati e che giustifica la loro lotta, quelli di Vinci sono soggetti passivi che osservano e subiscono la violenza senza strumentalizzarla a una possibilità di riscatto. Qui c’entra la cambiata percezione della guerra che ormai è legata soprattutto alla visibilità, alla trasmissione televisiva in diretta che presenta un reale su cui non si può incidere. La scrittrice nell’intervista soprannominata fa appunto notare come attualmente, non potendo cambiare la realtà, molti ragazzi abbiano spesso un atteggiamento violento e autodistruttivo nei confronti del proprio corpo13. In termini di finzione, come recita il retro della copertina della raccolta di racconti In tutti i sensi come l’amore14, i personaggi di Vinci sono «innocenti carnefici dei propri destini». Se l’orribile toglie la possibilità di intervenire e se, al contrario, la violenza stessa diventa un tentativo di controllo, come rompere questa spirale? È questa una delle domande che si pone Vinci in Come prima delle madri che, con il riferimento esplicito a Elsa Morante, promette un “mondo salvato dai ragazzini”.
Tornare come Prima delle madri
10Prima di tutto bisogna precisare in che senso si può parlare di un’ottica infantile nel romanzo di Vinci che in realtà consiste in tre storie diverse unite tra di loro dal punto di vista di un narratore esterno. Predomina comunque lo sguardo del ragazzo Pietro, seguito dal narratore nel prologo e nella prima e terza parte, sull’ottica della madre Tea, esposta nella seconda parte del libro.
- 15 Come prima delle madri, op. cit., p. 72.
11Il romanzo inizia con un Prologo in cui un ragazzo trova nel greto asciutto di un fiume il cadavere di un uomo. Nella Parte Prima veniamo a sapere che questo ragazzo è Pietro, e che dopo l’accaduto è stato trasferito in un collegio di frati. Durante la sua assenza da casa muore la sua compagna di vita e di giochi Irina, presenza che lo visita nei sogni e rende sopportabile l’inferno del collegio. Oltre ad Irina gli manca la figura della madre, «l’unica cosa al mondo che gli dia la sensazione di essere qualcuno»15. Non fa amicizie nel collegio ma osserva e aspetta. Osserva per proteggersi: «Il ragazzo tiene gli occhi spalancati per non farsi sfuggire alcun dettaglio. Studia, osserva. Come se dall’esattezza di quest’osservazione dipendesse la sua possibilità di sopravvivere» (ibid., p. 17). Aspetta che torni sua madre, aspetta il primo colpo di violenza, «è certo che arriverà. Non sa quando, non sa da che direzione, ma sa che arriverà» (p. 25). È solo ed è entrato in un’altra vita dove non esiste l’incertezza, «un mondo organizzato da regole che scandiscono i giorni e li rendono l’uno la copia precisa dell’altro. Tutto quello che lui deve fare è impararle» (p. 21). Non di vita si tratta ma di «addestramento» (p. 29) e il mondo fuori non esiste. Pietro corrisponde esattamente all’immagine del bambino spettatore nel mezzo di una storia in corso che deve ancora compiersi. In una situazione simile non servono le parole ma lo sguardo:
Lui guarda e capisce le cose. Quali vengono prima e quali dopo. Il dolore, ad esempio e dopo le lacrime. Oppure la rabbia. Dipende. L’ombra non è da una parte. L’ombra sta in mezzo e lui è lì, dopo le cose che succedono, in quel punto nero tra due strade diverse. Non sa mai perché un istante dopo ne imbocca una e non l’altra. Non lo saprà mai. (p. 73)
12Questo venire dopo l’evento gli viene a costare caro in due occasioni in cui la strada scelta ha conseguenze dirette per la vita di un’altra persona. Si tratta di una prova a cui viene sottoposto dai suoi compagni del collegio. La vittima è Ernesto, un ragazzo solo come lui, e con cui condivide il segreto di una torre dalla quale è possibile vedere, oltre le mura del collegio, un’isola piena di fuochi in mezzo a un lago che loro chiamano «l’isola dei morti». Ernesto esce più morto che vivo dalla punizione inflittagli dai ragazzi, e Pietro, che ha scelto di collaborare invece di salvare l’amico, viene espulso dal collegio. La seconda occasione si presenta durante la notte in cui decide di uscire dal collegio da cui già è stato espulso. Nella città in cui viene a trovarsi assiste a una razzia. Una vecchia gli chiede di fuggire con la bambina a lei affidata ma lui esita, un soldato tedesco li sorprende, lui riesce a sgattaiolare via e le due donne vengono deportate sui treni. In un primo momento pensa che è colpa sua, «ha pensato solo a sé. Come un animale. Come una bestia» (p. 86). In un secondo momento però pensa che non è colpa sua: «È solo un ragazzo. Non sa niente, non capisce niente». Infatti è troppo presto per lui per essere un agente storico. Non sa neanche cosa sia la guerra. Ma gli eventi precipitano e il giorno dopo il Collegio viene requisito per via della Guerra. Fino ad allora, la guerra per Pietro era una cosa lontana che si faceva sui campi di battaglia. Ne aveva sentito parlare solo dallo zio Bruno, il fratello del padre di suo padre, il quale raccontava l’episodio della montagna in due modi: di solito, come la vittoria eroica sul nemico, ma una volta come quel che era successo davvero ai nemici – una carneficina orrenda che l’aveva fatto cadere in ginocchio e vomitare.
13Il ragazzo torna a casa dove non lo aspetta la riconquista del paradiso perduto dell’infanzia ma lo svelamento di un segreto tremendo che riguarda prima di tutto sua madre, e quindi la ragione della sua esistenza. Il ritorno a casa coincide anche con il passaggio da ragazzo a uomo. Ad iniziarlo al sesso prima che abbia compiuto i 13 anni è Nina, la figlia di una delle domestiche, Elide. Lei gli fa anche conoscere l’esistenza dei disertori che si fanno partigiani quando lo porta con sé al nascondiglio del fratello Nino e dai suoi compagni di brigata. Una notte, quando Nina esce nella neve per portare cibo al gruppo, viene violentata e uccisa dai fascisti. Pietro la trova la mattina dopo appesa ad un albero con il cartello «puttana» intorno al collo. Suo padre, un industriale che riceve i tedeschi e gente del partito in casa – per affari –, dice che sono stati «i disertori. I ribelli. […] Infestano tutto come le zecche. Vanno schiacciati uno per uno, cosí» (p. 139). Pietro, che non è più il bambino che non sa e non capisce niente, è consapevole del fatto che le cose stanno altrimenti «ma sente che questa cosa è meglio tenersela per sé» (pp. 139-140).
- 16 «La linea d’ombra del giovane Pietro», art. cit.
14Mentre Nina, in termini neorealistici un membro del proletariato, dona a lui, figlio dei padroni, una coscienza storica, Irina, in sogno, lo porta a scoprire il segreto della madre. Tornato a casa Pietro nota delle anomalie nel comportamento materno. Beve come una spugna e non mangia, si rinchiude in camera durante il giorno e riceve un tedesco, Kurt, che divide il letto con lei: «Il ragazzo non riesce a pensare che quella donna nuda e distesa sul letto sia proprio sua madre […]. Non è davvero sua madre. È una donna» (p. 105). Nell’intervista citata la scrittrice spiega che «la famiglia, dove tutte le cose sono al loro posto, […] può essere invece il luogo dell’errore, che non corrisponde per niente all’idea che te ne sei fatta16». I figli sono abituati a rinchiudere il padre e la madre entro ruoli familiari precisi, e non riescono a concepire che in realtà questa è solo una parte della loro personalità, che la madre può anche essere donna e amante. Inoltre Pietro scopre che la madre si fa delle punture, che dorme tutto il giorno e che sta male quando si sveglia. Dopo la morte di Nina fa un sogno nel quale gli appare Irina e sveglia in lui un ricordo sepolto da qualche parte: la promessa di andare dopo la morte di lei alla capanna che si era costruita sul fiume. Seguendo un percorso fatto di gusci di lumache e di sassolini trova il quaderno nascosto di Irina, dove viene a galla ancora un’altra faccia nascosta della madre, quella tremenda di assassina e bugiarda. L’uomo morto con la testa fracassata è il vero padre di Irina e di lui. La sicurezza domestica si è trasformata in un irreparabile rovina.
- 17 Come prima delle madri, op. cit., p. 189.
15Nella Parte Seconda viene raccontata la storia della madre, Tea, che da semplice ragazza di campagna diciassettenne destinata a lavorare tutta la sua vita nell’osteria dei suoi fratelli, a sposarsi e a ridursi entro dieci anni nella donna «sfatta e risucchiata17» che è sua madre, riesce a sfuggire alla sua sorte insieme ad un uomo chiamato Leòn che la porta dalla provincia di Verona a Berlino. Il suo racconto è costruito tutto in parallelo alla storia del figlio. Anche lei ad un tratto si trova sola, trapiantata in un’altra vita di cui deve imparare i costumi e la lingua. Anche nel suo caso si tratta di un percorso di formazione, ma per lei il cerchio si chiude e alla speranza si sostituisce una terra fatta di illusione e di morte. È significativo che Pietro quando torna dal collegio si analizzi nel modo seguente: «Conta i sassi. Li dispone a formare un semicerchio. Ecco, questo sono io, pensa. Prima invece ero così: e con altri due sassi chiude la linea che diventa un cerchio.» (p. 124) Tea invece racconta se stessa in termini sempre più schizofrenici.
16In ambedue i casi all’origine del disturbo c’è il confronto con la morte violenta. Quando Pietro trova il morto con il cranio fracassato che lo fa vomitare, insieme alla paura viene fuori «un altro, strano, mai provato, sentimento. Una cosa che lo fece piangere per quell’uomo buttato lí a marcire nel greto asciutto di un piccolo fiume. Un uomo solo, senza faccia, con le mani disfatte e il corpo nudo.» (p. 5) Nasce in lui l’urgenza di capire perché, e riesce così a instaurare un dialogo con la morte nella persona di Irina. Il racconto di Pietro è infatti intercalato da brani in corsivo pronunciati in seconda persona da una persona in procinto di morire, e che sembrano avere un valore profetico per chi li sa ascoltare. È su questo piano che lavora l’intertesto dei versi di Elsa Morante tratti dal quarto canto del poema «La smania dello scandalo», anch’essi in corsivo e enunciati come «stati al di qua della morte» che servono però «al gioco dell’al di là»:
- 18 Il mondo salvato dai ragazzini, Torino, Einaudi, 1968, p. 107.
E coi nostri archi e flauti, voci ingenue del principio,
sempre alla loro domanda ripetiamo la risposta:
[…]
Non abbiate paura della notte.
Lasciatevi alla sua guarigione
beati, come prima delle madri, quando
tutto il sangue terrestre è ancora una vena del mare.
La vostra misura non è il respiro18.
- 19 Come prima delle madri, op. cit., pp. 43-44.
17In copertina Elsa Morante, che dice di trovare le sue amicizie di preferenza fra i ragazzini «perché questi sono i soli che si interessano alle cose serie e importanti», caratterizza Il mondo salvato dai ragazzini tra l’altro come «un sistema filosofico-sociale (naturalmente coinvolto nelle Attualità contemporanee […] a cui si aggiunge il ricordo dell’altro mondo)». È con questo sapere dell’«al di qua» che Pietro alla fine riesce a vincere la «lotta con un essere sconosciuto che gli vive dentro come un assassino, in agguato»19. Tea invece incorpora la morte diventando assassina di sé, carnefice del proprio destino. Anche nella sua vita ci sono due momenti chiave in cui la violenza la costringe a riflettere sulle proprie azioni.
18Il primo avviene dopo l’incidente con il cane del tedesco Kurt, che si lancia su un volpino e lo uccide. Tea, che lo teneva al guinzaglio, non è riuscita a trattenerlo: «Era se stessa, in due modi diversi. Un occhio piangeva e inorridiva, l’altro era roso da una strana luccicanza, come se il sangue versato non fosse mai troppo, come se ci fosse qualcosa di oscuramente attraente nella morte» (ibid., p. 210).
- 20 È possibile vedere un riferimento intertestuale anche a livello del nome proprio, visto che il fil (...)
19La seconda volta Tea è coinvolta nell’omicidio di un partner dei loschi affari del suo amante Leòn e del suo amico e superiore Kurt. Sotto la pressione dei due uomini è lei che preme il grilletto della pistola e vede un’immagine che continuerà a perseguitarla nei sogni: «una macchia rossa che esplodeva nell’aria: un papavero soffiato via con le labbra» (pp. 43-44). Tornata a Berlino fa dei sogni orribili e comincia a bere. Vede un film che la colpisce molto, con una Maria buona che salva i figli degli operai dalla morte per annegamento e una Maria cattiva che festeggia la rovina insieme ai ricchi. Nella descrizione della trama è facile riconoscere Metropolis di Fritz Lang, film proiettato per la prima volta a Berlino nel 1927, dove infatti una giovane Maria santa cerca di redimere gli operai dall’oppressione facendo appello al loro cuore, mentre il suo doppio, un robot fatta costruire dal padrone industrialista, li incita invece a ribellarsi per poterli reprimere con la violenza. Il film colpisce Tea20 per la duplice somiglianza con la sua anima divisa in due e con la sua umile condizione sociale che lei tradisce scegliendo la via facile del sopruso per giungere a una vita migliore.
20L’immagine di Maria continuerà ad accompagnarla nella forma di un quadro enorme con una madonna marina appeso nella sua camera da letto che viene percepito e descritto da Pietro nella prima parte a lui dedicata. È uno dei molti paralleli che si incontrano come in un lavoro ad incastro. Questa Maria viene inoltre moltiplicata dalla fotografia della Madonna con bambino nella sovracoperta del libro, ancora una comparsa in questo coro di personalità contradittorie e compresenti. Il dipinto viene descritto da Pietro nei seguenti termini:
- 21 Come prima delle madri, op. cit., p. 56.
Una Madonna Marina, immersa fino alla vita in acque torbide e schiumose. Ha il bambino in braccio, la testa rovesciata sul braccio di lei, gli occhi socchiusi. La madonna sorride e guarda qualcosa oltre le proprie spalle, volta la testa per quanto può. Forse saluta un mostro marino. O un angelo che la rassicura sulla sorte sua e del piccolo Gesù in mezzo a quella tempesta dalla quale un umano mai e poi mai potrebbe fuggire senza un aiuto divino. Il bambino dorme sereno, sarà lei, la madre, a guidarlo fuori da quell’orribile tempesta21.
21Un’immagine poco ortodossa quindi, di carattere ambiguo. Infatti, mentre in prima istanza il quadro ispira a Pietro sentimenti di protezione verso la madre, in un secondo tempo, quando la scopre a letto con l’amante, la madonna diventa una troia che ha tradito il figlio.
22Torniamo a Tea che il 26 dicembre diventa madre nella clandestinità di una baita in montagna. Con l’aiuto della domestica Maria – anche qui quindi gli echi biblici non mancano – partorisce un figlio chiamato Pietro «come la pietra. Ci camminano sopra gli insetti. Ci si appoggia la gente. Ci dormono contro gli animali. Non cambia, la pietra. È una cosa buona. Una cosa che resiste» (p. 245). Pietro è figlio di Leòn, che è in carcere per l’omicidio commesso, e Tea, affidata alle cure di Kurt, riceve in dono un ricco marito che la porterà a vivere in una villa nei pressi di Ferrara, e una «nanna», l’eroina, per sedare gli incubi e uccidere la Tea di una volta. Scopre anche la scrittura ed è nel suo diario che leggiamo l’ultima diagnosi che è quasi un’autopsia:
Forse dentro di me c’è una Tea diversa. È qualcuno molto piccolo. Un essere meschino e debole. Piccolo piccolo nascosto dentro. Odio quella Tea. Non c’è più. Morta e sepolta, eppure ogni tanto ritorna. Magari basta la pistola che ho trovato in soffitta, nascosta iun un baule, basta colpirla […] Ma quell’essere piccolo meschino ce l’ho chiuso dentro e non riesco a vederlo. Allora devo mirare dritta al cuore e cosí ammazzo anche tutte le altre Tee che ci sono lí. Non posso farlo. (p. 257)
23Sarà il figlio a darle il colpo di grazia dopo aver scoperto che la madre non solo ha ammazzato il suo vero padre, ma anche Irina, testimone del delitto e sempre da lei odiata, e forse pure Nina, consegnandola ai fascisti.
24Prima di passare alla Terza Parte dove viene raccontata la storia di Pietro diventato ormai consapevole della sua situazione, bisogna soffermarsi un attimo sui parallelismi esistenti tra i vari personaggi femminili. Oltre alle parentele nascoste sotto il velo di una vita inventata – Nina è figlia della sorella di Leòn e Irina figlia di Leòn e della sorella di Kurt –, ciò che le lega fra di loro è la loro ascendenza umile, negata da Tea che si finge padrona delle altre due. Anche qui è tutto un gioco di richiami e di echi simbolici. Irina porta una lunga treccia che ricorda la treccia che Tea si è fatta tagliare a Berlino per liberarsi dalle radici familiari e rassicuranti. Forse proprio grazie alla sua treccia Irina ha un legame quasi ombelicale con l’universo che le permette di far rifluire il sangue della terra in una vena del mare e di nettarlo da ogni colpa. Tea non sopporta i suoi occhi che interrogano la Tea nascosta e cerca di distruggerla maltrattandola in tutti i modi possibili. Nina, la notte che viene violentata e uccisa, porta un vestito di lana verde sporco di sangue e di fango. Dopo che Tea ha partorito Pietro, Kurt la porta a una festa e le regala un vestito verde di velluto che le permette di abbandonare il ruolo di madre. Questi vestiti verdi si riallacciano al sogno che fa Pietro in collegio della madre morta in uno stagno, «il corpo vestito di fango verde» (p. 10). Un tradimento della terra e della speranza che invece Pietro impara ad ascoltare come già prefigura il suo nome? Dopo il fatto di Ernesto, pagato con l’espulsione dal collegio, Pietro si mette a pregare, ma a modo suo:
Le parole delle preghiere vere le ricorda tutte, una per una. Ma sono preghiere che non servono a niente. Parlano a qualcuno che non ha orecchie. Le orecchie del dio vero sono nel tronco degli alberi, sono le tane degli animali, sono le crepe che si aprono nel muro che circonda il Collegio. (p. 80)
25In fondo è il fiume che permette a Pietro di raggiungere lo stato indeterminato di come prima delle madri, che gli permette di andare contro la direzione obbligata delle cose. I sogni del fiume in piena lo hanno salvato dall’acqua stagnante del collegio, ed è di nuovo un fiume che lo porterà nella Parte Terza del romanzo dai partigiani che possono fare giustizia per l’orrore commesso. Se c’era una storia prima delle madri, non lo riguarda più. Ormai è troppo tardi. Egli sa esattamente dove deve andare e cosa deve fare. Non deve più fare domande perché ci sono solo le cose e le scelte che si fanno:
Adesso, il mondo visibile era tutto quello che l’occhio riusciva a percepire. C’erano gli alberi, il cielo, l’acqua ghiacciata del fiume, gli avanzi di neve tra l’erba, la luna. E lui, il ragazzo, che camminava già sulla strada che aveva imboccato e non poteva guardare indietro. (p. 323)
26Il mondo autoritario pieno di certezze del collegio ed il mondo fantastico creato da sostanze allucinogene che appartengono al regno della morte sono stati sostituiti alla fine da un mondo fenomenologico dove è possibile tracciare di nuovo un’unione primordiale tra gli oggetti ed il paesaggio a cui appartengono, tra il testo ed il contesto, tra le parole e le azioni. La riconquista di un mondo incontaminato e inviolato è però solo apparente perché il riscatto del figlio dalla sua croce richiede come vittima la madre. Riprendendo l’affermazione della scrittrice sulla sua pagina web potremmo concludere che la speranza è insita nel negativo. Tale conclusione collega il finale di Come prima delle madri a quello di Il sentiero dei nidi di ragno dove il ragazzo Pin e l’amico Cugino camminano verso il futuro luminoso facendo però il seguente discorso sulle lucciole che li circondano:
27Ci si può chiedere inoltre fino a che punto Pietro sia artefice del proprio destino e quindi in grado di liberarsi dal passato dei padri e delle madri. Che il ragazzo si salvi diventando matricida viene in qualche modo preannunciato da una notizia di cronaca nera letta da Leòn a una Tea ancora innocente:
- 23 Come prima delle madri, op. cit., p. 180.
— Tu non leggi il giornale?
— Io no signore. Leggo le novelle.
— Fai male, senti qua che roba, altro che novelle: il colpo di rivoltella è stato sparato dal matricida, ma l’orrendo scempio del cadavere è opera di due amanti della vittima? 23
- 24 Massimo Arcangeli, Storie geneticamente modificate, «L’Indice», XX, 4, 2003, p. 6.
- 25 Marco Belpoliti, Cool Writing, riportato su <http://www.clarence.com/contents/cultura-spettacolo/s (...)
28Possiamo quindi chiederci fino a che punto la storia raccontata e l’infanzia compiuta raggiungono la comprensione critica di un passato traumatico, comprensione necessaria per superarlo. Dobbiamo a questo punto anche chiederci se la scrittura non abbia ucciso l’esperienza prima che essa abbia dato il suo frutto, come temeva Calvino nella prefazione alla sua opera prima. Siamo propensi a condividere questa conclusione. Il primo romanzo a sfondo storico di Vinci non ha convinto tutti i critici. Massimo Arcangeli sull’«Indice» intitola la sua recensione Storie geneticamente modificate e rimprovera all’autrice l’inerzia della materia, come conseguenza della separazione delle tre sequenze narrative: «Quasi per vendicare le anime e i corpi notomizzati, la materia, inerte, non risponde più, non ha più vita 24». Marco Belpoliti su Kata Web inizia la sua critica intestandola Cool writing e giunge alla conclusione che Come prima delle madri «non convince. L’economia dei mezzi utilizzati, l’astuzia costruttiva, la capacità di raccontare bene solo il patologico e il perverso, fanno pensare che i mezzi a disposizione della scrittrice siano limitati»25. Anche noi, purtroppo, dopo aver fatto il tentativo di compiere un’analisi dettagliata di questo romanzo ambizioso nei contenuti e nella forma, dobbiamo concordare sul suo parziale fallimento.
- 26 Come prima delle madri, op. cit., p. 214.
29Forse proprio per creare quell’unità tra le storie, che secondo Arcangeli manca, il libro abbonda di analogie e metafore che invece di ispessire la trama diventano ripetitive e rischiano di distrarre il lettore. Gli occhi, per esempio, che mettono a fuoco la predominanza dell’osservazione compiuta dai personaggi, sono o fessure, o occhi chiari e freddi che fissano. Soprattutto nel racconto di Tea, che più che osservare si sente continuamente osservata, gli occhi spuntano dappertutto. Poi ci sono le metafore animalesche che vogliono sottolineare l’analogia tra uomini e bestie. Quasi sempre di cani e di gatti si tratta, gatti che si ragomitolano, che soffiano e che sgattaiolano via, cani con gli occhi bagnati. Il libro è anche affollato di animali, come testimoni di una vita parallela trascurata dagli uomini o con i quali i personaggi cercano di instaurare un contatto. Anche qui c’è qualche ripetizione di troppo. La civetta che urla quando Nina viene violentata grida di nuovo quando Leòn sprofonda per la prima volta dentro Tea: «una civetta levò il suo urlo sinistro contro il cielo»26. Un universo in cui tutto si relaziona a tutto, in cui i personaggi sono quasi tutti parenti o conoscenti, le tragedie vengono quasi sempre preannunciate da cambiamenti atmosferici o da animali morti, e dove la neve e la nebbia coprono tutto di bianco o di grigio sporco, alla fine diventa un universo troppo asfissiante e claustrofobico perché il respiro della narrazione si dispieghi liberamente facendo senso e dando senso alle storie e alla Storia.
Notes
1 Alberto Casadei, La guerra, Roma-Bari, Laterza, 1999, p. 66.
2 Simona Vinci, Come prima delle madri, Torino, Einaudi, 2003, pp. 4-5.
3 Cfr. <http://www.simonavinci.it/par_speranza01.html> (20-11-2003).
4 Torino, Einaudi, 1997.
5 «Prefazione 1964 al Sentiero dei nidi di ragno», in Romanzi e racconti, vol. 1, Milano, Mondadori, p. 1191.
6 Alessandro Bottelli, «La linea d’ombra del giovane Pietro», La nostra Domenica, 30, 31 agosto 2003, <http://www.lanostradomenica.it/CityWebOggetti/intervista(15).doc> (20-11-2003).
7 Giuliana Minghelli, «What’s In A Word? Rosetta Loy’s Search for History in Childhood», MLN, 116, 2001, pp. 162-176.
8 «Prefazione 1964», art. cit., p. 1203.
9 Come prima delle madri, op. cit., p. 239
10 «Prefazione 1964», art. cit., p. 1186.
11 «La linea d’ombra del giovane Pietro», art. cit..
12 «Prefazione 1964», art. cit., p. 1194.
13 «La linea d’ombra del giovane Pietro», art. cit.
14 Torino, Einaudi, 1999.
15 Come prima delle madri, op. cit., p. 72.
16 «La linea d’ombra del giovane Pietro», art. cit.
17 Come prima delle madri, op. cit., p. 189.
18 Il mondo salvato dai ragazzini, Torino, Einaudi, 1968, p. 107.
19 Come prima delle madri, op. cit., pp. 43-44.
20 È possibile vedere un riferimento intertestuale anche a livello del nome proprio, visto che il film di Lang è basato sul romanzo scritto dalla moglie Thea von Harbou.
21 Come prima delle madri, op. cit., p. 56.
22 Italo Calvino, Il sentiero dei nidi di ragno, in: Romanzi e racconti, vol. 1, Milano, Mondadori, p. 147.
23 Come prima delle madri, op. cit., p. 180.
24 Massimo Arcangeli, Storie geneticamente modificate, «L’Indice», XX, 4, 2003, p. 6.
25 Marco Belpoliti, Cool Writing, riportato su <http://www.clarence.com/contents/cultura-spettacolo/societamenti/archives/000862.html> (20-11-2003).
26 Come prima delle madri, op. cit., p. 214.
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Référence papier
Monica Jansen, « Il mondo salvato dai ragazzini: un’ottica infantile sulla guerra e sulla violenza in Come prima delle madri di Simona Vinci », Cahiers d’études italiennes, 3 | 2005, 9-21.
Référence électronique
Monica Jansen, « Il mondo salvato dai ragazzini: un’ottica infantile sulla guerra e sulla violenza in Come prima delle madri di Simona Vinci », Cahiers d’études italiennes [En ligne], 3 | 2005, mis en ligne le 15 décembre 2006, consulté le 09 décembre 2024. URL : http://0-journals-openedition-org.catalogue.libraries.london.ac.uk/cei/268 ; DOI : https://0-doi-org.catalogue.libraries.london.ac.uk/10.4000/cei.268
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