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Qu’est-ce que l’Orient ? De l’altérité au fantasme

La Terrasanta fra alterità e prossimità nel Trecentonovelle di Franco Sacchetti

La Terre sainte entre altérité et proximité dans le Trecentonovelle de Franco Sacchetti
Irena Prosenc
p. 41-54

Résumés

Les histoires racontées dans le Trecentonovelle sont caractérisées par la proximité temporelle et spatiale à l’égard du public idéal du recueil, c’est-à-dire le public florentin. Les trames sont liées à la vie quotidienne de l’époque qui est facilement reconnaissable aux yeux des lecteurs contemporains. De nombreuses histoires sont situées à Florence ou en Toscane, et de nombreux protagonistes sont florentins. Vu la nature « florentine » des nouvelles de Sacchetti, une situation en Terre sainte est exceptionnelle et, en effet, parmi les histoires recueillies dans le Trecentonovelle deux seulement y sont situées (X, XXIV). Toutes les deux ont pour protagoniste Dolcibene, un bouffon florentin réellement existé dont le pèlerinage au Saint-Sépulcre est l’arrière-plan des beffe et, dans la nouvelle XXIV, d’un épisode de dérision antisémite, présentée comme une juste punition de ceux qui sont étrangers à « notre foi ». Néanmoins, le protagoniste florentin, l’esprit de la beffa et du mot d’esprit rapprochent les lieux lointains de la nature florentine qui imprègne le recueil de nouvelles de Sacchetti.

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Texte intégral

  • 1 F. Sacchetti, Proemio, in Il Trecentonovelle, a cura di D. Puccini, Torino, UTET, 2004, p. 63. Tutt (...)
  • 2 Cfr. «ora voglio dire una novelletta che potrà essere esemplo a molti» (CCXXVIII). F. Sacchetti, Il (...)

1Nel Proemio della sua raccolta Sacchetti definisce lo scopo che si prefigge nella stesura delle novelle. Dopo aver accennato alle disgrazie che affliggono i suoi contemporanei, egli osserva che «la gente è vaga di udire cose nuove, e spezialmente di quelle letture che sono agevoli a intendere, e massimamente quando dànno conforto, per lo quale tra molti dolori si mescolino alcune risa»1. Nella poetica sacchettiana il narrabile si incentra, dunque, sulla «novità» come fonte di divertimento. Un altro obiettivo sul quale lo scrittore si soffermerà negli incipit di alcune novelle è quello di offrire esempi di comportamento moralmente corretto e criticare atteggiamenti biasimevoli2.

  • 3 M. Picone, La cornice degli epigoni (Ser Giovanni, Sercambi, Sacchetti), in D. J. Dutschke, P. M. F (...)
  • 4 H. J. Neuschäfer, Boccace et l’origine de la nouvelle. Le problème de la codification d’un genre mé (...)
  • 5 C. Segre, La beffa e il comico nella novellistica del Due e Trecento, in Passare il tempo: la lette (...)

2Gli scopi esplicitati nel Trecentonovelle sono, in parte, interpretabili alla luce della «regressione letteraria»3 che M. Picone riconosce nelle raccolte di novelle posteriori al Decameron. Secondo H.-J. Neuschäfer, le opere dei successori immediati di Boccaccio delineano «une évolution littéraire discontinue» dal momento che esse non sfruttano le innovazioni di Boccaccio bensì rappresentano «un certain retour aux formes narratives de l’exemplum et de la farce»4. Nelle novelle di Sacchetti tracce dell’exemplum traspaiono soprattutto dagli insegnamenti morali che chiudono le singole novelle, mentre lo spirito farsesco è riconoscibile nella posizione centrale della beffa, aspetto per cui il Trecentonovelle può essere descritto come «prevalentemente comico»5.

  • 6 A. Jolles, Formes simples, trad. di A. M. Buguet, Paris, Seuil, 1972 (Einfache Formen: Legende, Sag (...)
  • 7 Ivi, p. 180.
  • 8 F. Sacchetti, Proemio, cit., p. 64.
  • 9 Ibid.

3Per quanto riguarda, invece, la «novità» delle tematiche sottolineata nel Proemio, essa non è riducibile alle forme anteriori al Decameron bensì è da considerare una delle caratteristiche essenziali del genere novella. Secondo A. Jolles la novella può avere per soggetto «tout incident, rapporté, réel ou inventé, pourvu qu’il ait pour caractéristique spécifique d’être frappant»6; e narra «d’une manière telle qu’on ait l’impression d’un événement effectif»7. Pertanto, la «novità» del narrabile è associata ad una sua presunta veridicità. È esattamente su quest’ultima che Sacchetti insiste nel sostenere che le novelle sono state scritte «nella verità»8 ossia in maniera rispondente al vero, e che eventuali modifiche a livello di dettagli non comportano che una storia «non fosse stata»9. Per garantire l’autenticità dei fatti raccontati vengono indicate, sin dal Proemio, alcune strategie narrative incentrate sulla presenza dell’autore che si presenta come protagonista e testimone degli avvenimenti narrati:

  • 10 Ibid.

[…] io Franco Sacchetti fiorentino […] mi proposi di scrivere la presente opera e raccogliere tutte quelle novelle le quali, e antiche e moderne, di diverse maniere sono state per li tempi e alcune ancora che io vidi e fui presente e certe di quelle che a me medesimo sono intervenute10.

  • 11 Ibid.
  • 12 Le strategie narrative nel Trecentonovelle sono analizzate in modo più approfondito in I. Prosenc, (...)
  • 13 S. Battaglia, L’infinito quotidiano (e la vita senza qualità), in Id., Mitografia del personaggio, (...)
  • 14 A. Corsaro, Cultura e meccanismi narrativi del Trecentonovelle di Franco Sacchetti, «Filologia e cr (...)
  • 15 XXII (p. 112), LXIV (p. 199), CII (p. 291), CXLV (p. 389), CLIV (p. 422), CLIX (p. 442), CLXVII (p. (...)
  • 16 LXXXIX (p. 266), CXVIII (p. 324), CXLIII (p. 381), CCXXI (p. 641).
  • 17 Cfr. «non è molto» (CI, p. 286), «fu, e ancora è» (CXLVIII, p. 402), «non è molti anni» (CLX, p. 44 (...)
  • 18 XCI (p. 270), CLXXVIII (p. 506), CCXXI (p. 641).
  • 19 XXVIII (p. 122).

4Alla garanzia personale l’autore aggiunge: «non è da maravigliare se la maggior parte delle dette novelle sono fiorentine, ‹però› che a quelle sono stato prossima‹no›»11. Le sue strategie narrative si basano sul concetto della prossimità che riguarda, nello specifico, le tematiche, il tempo, i luoghi e i personaggi12. A livello tematico primeggia la vita quotidiana, riconoscibile agli occhi dei lettori contemporanei e inserita in una realtà «antieroica, socialmente indistinta e per la massima parte irrilevante, con un repertorio di minuscoli eventi, di gesti ingloriosi, di affetti mediocri e sbrigativi»13. La maggior parte delle storie si svolge nell’attualità, in un «humus letterario contemporaneo, accessibile e digeribile per quel ceto di media cultura mercantile cui [l’autore] intende rivolgersi»14. La prossimità cronologica viene indicata da formule come «non è gran tempo»15, «poco tempo fa»16 e simili17; in più, numerose storie narrate si svolgono durante la vita dell’autore e vengono introdotte da formule come «ne’ miei dì»18 o «nel mio tempo»19.

  • 20 G. Romagnoli Robuschi, Sacchetti, Franco, in Dizionario critico della letteratura italiana, IV, Tor (...)
  • 21 XVII (p. 102), LIV (p. 187), LXXVIII (p. 230), LXXX (p. 235), LXXXV (p. 252), CVI (p. 298), CXXVII (...)
  • 22 LXX (p. 213), LXXIII (p. 221), CXXXVII (p. 365), CLXXV (p. 494), CCLV (p. 668). Alcune altre formul (...)
  • 23 D. Puccini, Introduzione, in F. Sacchetti, Il Trecentonovelle, cit., p. 14.
  • 24 M. Miglio, «La novella come fonte storica. Cronaca e novella dal Compagni al Pecorone», in La novel (...)

5Per quanto riguarda la prossimità geografica, le storie narrate sono ambientate prevalentemente in Toscana. Nelle novelle le cui trame si svolgono in altre città, si tratta per lo più di «luoghi d’Italia che il Sacchetti vide e conobbe da vicino»20, ad esempio Genova, Ferrara o Bologna. La maggior parte delle novelle è ambientata a Firenze («nella città di Firenze»21, «nella nostra città»22) ed è, pertanto, «ben radicata nella realtà fiorentina»23. La città di Firenze viene descritta con precisi dettagli topografici che riguardano i suoi «luoghi significativi»24: strade, piazze, mercati e palazzi pubblici. Il concetto della prossimità si estende ai personaggi, spesso fiorentini che vivono a Firenze o in altre città italiane. Dal momento che il pubblico ideale del Trecentonovelle è quello fiorentino, è ipotizzabile che la prossimità delle storie narrate faciliti la ricezione della loro presunta autenticità.

  • 25 Si lasciano da parte due brevi menzioni del Santo Sepolcro nelle novelle CLII e CCVII, senza import (...)

6Tenendo conto della fondamentale prossimità geografica e, più precisamente, della «fiorentinità» che permea la raccolta sacchettiana, un’ambientazione in Terrasanta pare eccezionale ed è, infatti, presente soltanto in due novelle (X e XXIV)25. A differenza, però, di quanto avviene per le storie fiorentine abbondanti di dettagli topografici, le novelle ambientate in Terrasanta sono prive di qualsiasi descrizione geografica. Nella novella X il narratore si limita così ad una semplice menzione dei luoghi (il Santo Sepolcro e la valle di Giosafat) per passare immediatamente al dialogo nel quale verrà, in seguito, introdotto il motto centrale:

  • 26 X (p. 86).

Andando adunque messer Galeotto e messer Malatesta […] e messer Dolcibene con loro al Santo Sepolcro, giugnendo là costoro e passando dalla valle di Iosafat, disse messer Galeotto […]26.

  • 27 L. Cellerino, Dolcibene de’ Tori, in Dizionario Biografico degli Italiani Treccani, vol. 40, Roma, (...)
  • 28 F. Sacchetti, Il Trecentonovelle, cit., p. 85, n. 1.
  • 29 CLIII (p. 419). Cfr. anche CLVI (p. 431).

7Dal punto di vista delle strategie narrative sulle quali si incentra la raccolta, l’assoluta assenza di dettagli descrittivi è riconducibile al fatto che la Terrasanta, in quanto luogo della storia, sia lontana dagli ambienti familiari al pubblico ideale del Trecentonovelle e che, pertanto, non contribuisca alla presunta autenticità delle storie narrate. La Terrasanta sacchettiana è un luogo privo di ogni spessore geografico che, agli occhi del narratore fiorentino, non suscita nessun interesse in quanto luogo esotico che possa essere preso in considerazione come lontano, diverso, «altro». Le due novelle si innestano, infatti, perfettamente nello spirito fiorentino della raccolta tramite il loro protagonista comune, il buffone Dolcibene. L’ambientazione delle storie in Terrasanta funge meramente da sfondo sul quale far risaltare le beffe operate dal protagonista fiorentino, beffe che potrebbero benissimo svolgersi anche a Firenze e che, infatti, sono dirette al pubblico fiorentino. Si tratta di un personaggio storicamente esistito di nome Dolcibene de’ Tori che, secondo il Dizionario Biografico degli Italiani27, nacque a Firenze nella prima metà del Trecento e risultava ancora vivente nel 1371. Fu un celebre buffone, musicista, poeta28 e conoscente di Franco Sacchetti. Nel 1355 venne incoronato re dei buffoni e degli istrioni d’Italia dall’imperatore Carlo IV di Boemia, un fatto ricordato dall’autore in due delle sue novelle («messer Dolcibene […] fu il da più uomo di corte che fosse già è gran tempo, e non sine quare Carlo di Buem Imperadore il fece re dei buffoni e delli istrioni d’Italia»29). Fu attivo soprattutto nelle corti dell’Italia settentrionale dove lavorò, fra l’altro, per Galeotto Malatesta e suo nipote Malatesta Unghero signori di Rimini, che appaiono nella novella X.

  • 30 L. Cellerino, cit.
  • 31 M. Zaccarello, Storicità, correlazione, espressionismo nell’onomastica sacchettiana, «Il Nome nel t (...)
  • 32 CLVI (p. 431).
  • 33 XXIV (p. 116).
  • 34 XI (p. 87).
  • 35 CLXXXVII (p. 528).
  • 36 X (pp. 85-86).
  • 37 L. Cellerino, cit.
  • 38 Ibid.

8Dolcibene è protagonista di ben nove novelle sacchettiane: a parte le due già menzionate, figura nelle novelle XXV, XXXIII, CXVII, CXLV, CLIII, CLVI e CLXXXVII che celebrano le sue trovate nel «clima di orgoglio municipale, tipico del tardo Trecento»30. Sul suo nome, «diffuso — anche nella variante Dolcebuonus — in antichi documenti fiorentini»31, si sofferma pure Sacchetti che osserva: «[n]essuna cosa è tanto dolce quanto è il bene, chi volesse ben contemplare; e però essendo vago e de l’uno e de l’altro, ritornerò pur a quel nome, dove ciascuno di questi due s’inchiude, cioè a messer Dolcibene»32. Il narratore del Trecentonovelle descrive il giullare come «di nuova condizione e vago di cose nuove»33, «malizioso»34 e «vendicativo»35, osservando, inoltre, che «fu, secondo cavaliere di corte, d’assai, quanto alcun altro suo pari»36. Mentre il «valore storico dei singoli particolari, come sempre per le fonti novellistiche, è relativo»37, pare accertabile un viaggio in Terrasanta compiuto da Dolcibene intorno al 1349 in compagnia di Galeotto Malatesta e Malatesta Unghero38, narrato nelle novelle X e XXIV.

  • 39 C. Segre, cit., p. 26.
  • 40 CCXX (p. 639).
  • 41 XXVII (p. 121). Cfr. anche le novelle CLXXII (frammento), CLXXIII, CLXXIV, CCXI, CCXII e CCXX. Into (...)
  • 42 CCXI (p. 612).
  • 43 XLIX (p. 170).
  • 44 L (p. 176). Ribi appare anche in Decameron VIII, V.
  • 45 IX (p. 84).
  • 46 CXLII (p. 379). Cfr. anche: «piacevole buffone» (CCXXV, p. 651).
  • 47 CXLIV (p. 383). I due buffoni appaiono anche in Decameron II, 1.
  • 48 CLXII (p. 460).
  • 49 III (p. 67).
  • 50 CXXII (p. 333).
  • 51 CLXXIV.
  • 52 CLXXXVII (p. 528).
  • 53 X (p. 87).
  • 54 M. Marietti ne individua ben venticinque (M. Marietti, La crise de la société communale dans la « b (...)
  • 55 Cfr.: «toute beffa comporte toujours une sanction» (Ivi, p. 26).
  • 56 L. Cellerino, cit.
  • 57 H. R. Jauss, I generi minori del discorso esemplare come sistema di comunicazione letteraria, in M. (...)
  • 58 C. Segre, cit., p. 24.
  • 59 X (pp. 85-86).
  • 60 La rubrica della novella CCXI (p. 612).
  • 61 La rubrica della novella CXLIV (p. 383).
  • 62 La rubrica della novella XXV (p. 118).
  • 63 La rubrica della novella CXLV (p. 389).
  • 64 CLVI (p. 434).
  • 65 CLXXXVII (p. 528).

9Nel Trecentonovelle Dolcibene fa parte di una nutrita schiera di buffoni professionali che «vivono della comicità che producono, e girano il mondo a propinarla come un prodotto commerciale»39. Nel loro novero compaiono il «maestro de’ maestri»40 Gonnella, «piacevole buffone, o uomo di corte»41 che di «fare cose nuove non ebbe pari»42, il «piacevolissimo e fiorentino»43 Ribi, «savio e aveduto quanto altro buffone»44, Piero Guercio da Imola, «piacevole buffone e sonatore di stormenti»45, Agnolo Moronti, «uno piacevole uomo di corte»46, Stecchi e Martellino, «tanto piacevoli buffoni quanto la natura potesse fare»47, Popolo o Populo d’Ancona, «uomo piacevole e ingordo»48, Parcittadino da Linari già vagliatore a cui viene «volontà di lasciare in tutto il vagliare ed esser uomo di corte»49, Giovanni da Negroponte, «grandissimo e valente uomo di corte»50, Mocceca51, e Bonfi che «non era se non da dare zaffate»52 ovvero schizzi di orina. Questi personaggi che «[p]er altro non sono detti buffoni, se non che sempre dicono buffe; e detti giucolari, ché continuo giuocono con nuovi giuochi»53 appaiono come protagonisti di numerose novelle della raccolta sacchettiana54. Queste sono, per lo più, incentrate su beffe dirette a ridicolizzare personaggi che, agli occhi del narratore, meritano di essere scherniti, e svolgono, dunque, la funzione di sanzione55. Si crea in tal modo una «sottocultura delle buffonerie» descritta da L. Cellerino come «scurrile, oscena, irriverente»56, che esprime una più generale «licenza di descrivere anche lo ‘sconveniente’»57, annoverata da H. R. Jauss fra le caratteristiche essenziali del genere novella. A questo proposito, C. Segre osserva che nel Trecentonovelle «la percentuale dell’elemento scatologico, bassa nel Novellino e quasi assente nel Decameron, diventa molto elevata: almeno 20 novelle traggono la loro comicità dal riferimento e dall’uso di escrementi, orine, esibizione di pudende, ecc.»58. Sacchetti sottolinea questo fatto osservando che su Dolcibene si possono scrivere «molte novelle assai vaghe e di brutta materia»59. Appartengono allo stesso ambito tematico le beffe operate da buffoni come Gonnella, che «vende alle fiera di Salerno stronzi di cane per galle di grandissima virtù e spezialmente da indovinare; e […], ricevuto di ciò gran prezzo, se ne va libero»60, Stecchi e Martellino, che «con un nuovo giuoco e con un lordo, in presenza di messer Mastino, con la parte di sotto gittando molto fastidio o feccia stemperata, infardano due Genovesi con li loro ricchi vestimenti da capo a piede»61, oppure lo stesso Dolcibene che «castra con nuovo ordine uno prete, e poi vende li testicoli lire ventiquattro di bolognini»62, vince una causa giudiziaria «con nuova astuzia e con le peta»63, aggiusta il braccio storto di una fanciulla dandovi «tal su del culo che averebbe dirizzato un palo di ferro che fosse stato torto»64 e si vendica sul buffone Bonfi che l’aveva schizzato di orina percuotendolo al viso con una trippa piena del suo contenuto, il che viene così commentato dal narratore: «[c]olui l’offese con l’orina, ed elli si vendicò con lo sterco»65.

  • 66 X (p. 86).

10La tendenza a raccontare lo «sconveniente» è presente anche nelle due novelle ambientate in Terrasanta, nelle quali il pellegrinaggio di Dolcibene al Santo Sepolcro diventa un’occasione per trovate ingegnose, beffe irriguardose della solennità dei luoghi nonché derisione antisemita. Nella novella X Galeotto Malatesta fa notare al buffone il significato religioso della valle di Giosafat, al che Dolcibene reagisce prontamente con una trovata scurrile, inventando così un «nuovo stile per dare diletto a questi due signori»66:

[…] disse messer Galeotto: — O Dolcibene, in questa valle dobbiamo tutti venire al di<o>iudicio a ricevere l’ultima sentenza —.

Disse messer Dolcibene: — O come potrà tutta l’umana generazione stare in sì piccola valle? —

Disse messer Galeotto: — Serà per potenza divina —.

  • 67 Ibid.

Allora messer Dolcibene scese da cavallo e corre nel mezzo d’un campo della detta valle e, calati giuso i panni di gamba, lasciò andare il mestiere del corpo dicendo: — Io voglio pigliare il luogo, acciò che quando serà quel tempo, io truovi e ‘l segno e non affoghi nella calca —67.

  • 68 M. Marietti, cit., p. 9.
  • 69 Oltre che nel Proemio, il programma viene ribadito in numerosi commenti, ad esempio: «li popoli son (...)
  • 70 CLVII (p. 437).
  • 71 VI (p. 79).

11Dal brano citato traspare la centralità del motto, definito da M. Marietti «la manifestation privilégiée de l’astuce»68, che è una delle caratteristiche principali delle novelle sacchettiane in cui la parte essenziale della trama è spesso circoscritta al dialogo. Nella novella X il motto scaturisce da un’azione che si inserisce perfettamente nella «sottocultura delle buffonerie» nonché nel programma tematico sacchettiano che sottolinea fatti degni di essere raccontati per la loro «novità»69. Secondo Sacchetti, i signori sono particolarmente desiderosi di assistere a beffe e motti: «li signori e l’altri viventi sono sì vaghi di cose nuove che, se elli potessono, muteriano la signoria del cielo, come spesso mutano quella delle terre»70; «[c]hi sapesse la disposizione de’ signori, quando fossono in buona tempera, ognora penserebbe di cose nuove»71.

  • 72 XXIV (p. 116).
  • 73 M. Marietti , cit., p. 45.
  • 74 A. Foa, Antisemitismo e antigiudaismo, in Enciclopedia Italiana – VII Appendice, Roma, Istituto del (...)

12Nella novella XXIV l’ambientazione in Terrasanta fa da sfondo ad una beffa diretta a mettere in ridicolo gli ebrei che, nella raccolta sacchettiana, sono presentati come contrari alla «nostra fede»72 e, pertanto, meritevoli di essere scherniti. La novella XXIV fa parte di un gruppo di novelle antisemite che narrano beffe a spese degli ebrei (CXC) o inganni operati da ebrei a scopo di lucro (CCXVIII, CCXIX). I testi esprimono un atteggiamento decisamente negativo verso la presenza di ebrei nella società comunale e indicano, secondo M. Marietti, «une mentalité très étroite dans le domaine des rapports entre chrétiens et juifs»73. Ne traspare la stretta adesione di Sacchetti all’immagine stereotipata dell’ebreo vivente non in un luogo lontano ed esotico bensì in seno alla cristianità occidentale, un’immagine centrata «non soltanto sul […] rifiuto [da parte di quest’ultimo] del cristianesimo o sull’uccisione di Cristo, ma sulla sua immoralità e carnalità e sulla natura diabolica e idolatra della sua religione»74. Il giudizio espresso nelle novelle sacchettiane riproduce il topos dell’ebreo come «inferiore a ciò che è umano» formatosi nel Medioevo cristiano:

  • 75 M. Frassetto, Introduction: Christians and Jews in the Middle Ages, in M. Frassetto (a cura di), Ch (...)

From a state of acceptance and integration during the early Middle Ages, the Jews were ultimately forced onto the margins of society, where they were often harassed and intimidated by the Christian rulers of church and state. The progressive disenfranchisement of the Jews and the diminution of their social status was accompanied by the changing theological and anthropological understanding of the Jews. This process yielded the topos of the Jew as something less than human, marked by distinct physical characteristics, and, at its worst, as the minion of the devil. By the end of the Middle Ages, many of the stereotypes of the Jews that would become the commonplaces of modern anti-Semitism were already in place, as was the tradition of segregating Jews from Christian society75.

  • 76 «The denunciation of Jews by rigorous Franciscan preachers during the latter decades of the fourtee (...)
  • 77 R. G. Salvadori, Gli ebrei di Firenze: dalle origini ai giorni nostri, Firenze, La Giuntina, 2000, (...)
  • 78 Ibid., p. 10.

13All’antisemitismo propagatosi nel Medioevo contribuì notevolmente la predicazione degli ordini mendicanti che diventò particolarmente fervente negli ultimi decenni del Trecento76. Anche nella ricca Firenze dove esistette, «in ordine di tempo, il terzo o il quarto insediamento ebraico in Toscana»77, erano attivi predicatori francescani e domenicani «tutti tesi a restituire purezza di costumi alla cristianità», che esprimevano una «dura condanna nei confronti del commercio del denaro e di chi lo praticava»78. Si creò, in tal modo, lo stereotipo dell’ebreo come figura profondamente estranea ai valori della comunità cristiana e, pertanto, come un elemento di disturbo nella civiltà comunale.

  • 79 La rubrica della novella CCXVIII (p. 632).
  • 80 La rubrica della novella CCXIX (p. 635).

14Nelle due novelle sacchettiane che narrano inganni operati da ebrei a spese di cristiani (CCXVIII e CCXIX) si sottolinea, da una parte, l’ingenuità dei cristiani (in entrambi i casi si tratta di donne) e, dall’altra, l’avidità degli ebrei. Nel primo dei due testi un ebreo vende ad una cristiana una formula magica che dovrebbe aiutare suo figlio a crescere, ed «essendo da lei ben pagato, se ne va; poi a certi dì s’apre il brieve, e truovasi scritto in forma di gran beffe e scorno»79; nel secondo, due cristiane «avendo gran voglia di far figliuoli, pigliano beveraggio da uno iudeo e paganlo bene; poi ad alcuno mese si truova che ha dato loro uova di serpi»80. Nella morale conclusiva della novella CCXVIII il narratore critica la credulità dei cristiani; ma sebbene questi vengano giudicati duramente, l’ebreo continua ad essere percepito come un essere inferiore, come si è menzionato sopra:

  • 81 CCXVIII (p. 635).

Quanto è nuova cosa questo aventarsi ne l’opere de’ iudei! Che molte volte interviene che si crederrà più tosto a uno iudeo che a mille cristiani: benché i cristiani sono oggi sì tristi e con sì poca fede che abbiansene il danno. E anco non so dove manchi più la fede, o ne l’uno o ne l’altro81.

  • 82 CCXIX (p. 635).

15Anche la novella CCXIX è introdotta da una critica dell’ingenuità cristiana (le due protagoniste sono giudicate «molto stolte in quello che credettono a uno […] iudeo»82) e, soprattutto, della malizia degli ebrei:

  • 83 Ibid.

Il mondo è pieno d’arcadori, li quali con diversi lacciuoli s’ingegnano d’uccellare o di pescare a’ ranocchi, non pensando mai se non come possano trovare modi che tirino li denari a loro; e se di questi sono de’ maliziosi e falsi, sono tra’ iudei, e tanto hanno bene quanto ingannano con falsità li cristiani83.

16La morale della novella esprime proposti simili a quelli della novella CCXVIII citati sopra; nonostante l’aspro giudizio rivolto contro l’ingenuità cristiana, l’ebreo viene visto come assolutamente indegno di fiducia:

  • 84 CCXIX (pp. 638-639).

Gran cosa è che li cristiani uomeni e femine daranno maggiore fede a uno iudeo che a cento cristiani; ed eglino niuna fede darebbono a uno cristiano! Ma noi siamo vaghi di cose strane84.

  • 85 CXC (p. 539).
  • 86 Ibid.
  • 87 CXC (p. 540).

17In ben due novelle (XXIV e CXC) la beffa antisemita è legata ad escrementi. Nel secondo dei due testi si narra come il protagonista cristiano, Gian Sega, chiuda un gruppo di ebrei in una latrina. Dopo averci trascorso la notte, gli ebrei escono dalla «fecciosa tomba»85 imbrattati di escrementi ovvero «così infardati come si dèe credere»86. Il narratore commenta che essi, messi «in una puzzolente conserva di cristiani […] molto averebbono aùto meno a male d’essere affogati in isterco di iudei»87, e conclude la morale con un giudizio estremamente duro che si accorda con la diffusa percezione della falsità della religione ebraica a confronto di quella cristiana:

  • 88 Ibid.

Così avenisse a tutti gli altri che stanno pur pertinaci contro alla fede di Cristo, ché, poiché non si vogliono rivolgere da loro incredulità, fossono fatti rivolgere in quel vituperoso fastidio che Gian Sega gli fece attuffare con obbrobio e con vergogna di loro88.

  • 89 XXIV (p. 116).
  • 90 Ibid.

18La novella XXIV, che ha per protagonista Dolcibene, si incentra su una simile beffa antisemita. Vi si narra come, durante la sua visita al Santo Sepolcro, il buffone litigasse con un ebreo «perché dicea contro a Cristo, schernendo la nostra fede»89. Dalle parole, i due vennero alle mani, e Dolcibene finì per essere sopraffatto e rinchiuso in un «tempio de’ Iudei»90 per la notte. Ma qui,

  • 91 Ibid.

[v]enendo in su la mezza notte, essendo tristo e solo così incarcerato, gli venne volontà d’andare per lo bisogno del corpo, e non potendo altro luogo più commodo avere, nel mezzo del tempio scaricò la soma91.

19Quando, la mattina dopo, gli ebrei entrarono nel tempio e videro la «soma» lasciata per terra, vollero uccidere il buffone, il quale si difese così:

— Io non fui io; ascoltatemi, se vi piace: stanotte in su la mezza notte io senti’ gran romore in questo luogo; e guardando che fosse, e io vidi lo Dio vostro e lo Dio nostro che s’aveano preso insieme e dàvansi quanto più poteano. Nella fine lo Dio nostro cacciò sotto il vostro, e tanto gli diede che su questo smalto fece quello che voi vedete —.

Udendo li Iudei dire questo a messer Dolcibene, dando alle parole quella tanta fede che aveano, tutti a una corsono a quella feccia, e con le mani pigliandola, tutti i loro visi s’impiastrarono, dicendo: — Ecco le reliquie del Dio nostro! —

  • 92 XXIV (p. 117).

E chi più si studiava di mettersene sul viso, a quello parea essere più beato; e lasciando messer Dolcibene, n’andorono molti contenti, con li visi così lordi: e ancora procurando per lui, però che la tal cosa con gran verità avea loro revelata, il feciono lasciare92.

20Il narratore interviene con un commento nella morale conclusiva nella quale giustifica la beffa antisemita e loda il comportamento di Dolcibene sia dal punto di vista morale che da quello economico, sottolineato e applaudito anche in altre novelle che hanno per protagonista un buffone:

  • 93 Ibid.

Molto fu più contento messer Dolcibene ch’e’ Iudei; però che fu molto novella da essaltare un suo pari e da guadagnare di molti doni, raccontandola a’ signori e ad altri. E io credo che la fosse molto accetta a Dio, e che in quello viaggio non facesse cosa tanto meritoria che quelli increduli dolorosi s’imbruttassino in quelle reliquie che allora meritavono93.

  • 94 F. Sacchetti, Proemio, cit., p. 64.

21Dal punto di vista delle strategie narrative sulle quali si incentra la raccolta sacchettiana, la scelta di ambientare le novelle X e XXIV in Terrasanta, luogo lontano dalla realtà familiare a Sacchetti e al suo pubblico ideale, non pare immediatamente conforme al progetto, esposto nel Proemio, di raccontare fatti a cui l’autore è «stato prossima‹no›»94. Dal momento, però, che le sue caratteristiche geografiche e topografiche non vengono minimamente prese in considerazione, la Terrasanta come luogo letterario si riduce ad un semplice sfondo per le beffe operate dal protagonista fiorentino, il che si inserisce perfettamente nelle strategie della prossimità. A questo si aggiungono la centralità del motto e della beffa nonché un senso pratico caratteristici dello spirito fiorentino che permea il Trecentonovelle. L’approccio disinibito alle beffe «sconvenienti» effettuate da Dolcibene è coerente con il modo in cui nel Trecentonovelle viene narrata l’attività dei buffoni, e corrisponde alle aspettative del pubblico contemporaneo riguardo a questo filone tematico. Nonostante l’ambientazione delle due novelle in un luogo che potrebbe essere percepito come «altro» (un aspetto che, però, rimane totalmente assente), l’attenzione del narratore è interamente rivolta al mondo comunale. I personaggi ebrei che appaiono nella seconda delle due novelle non hanno nulla di «orientale»; tutt’al contrario, sembra che il narratore fiorentino, con uno sguardo che rimane orientato fissamente verso la sua città, riproduca i giudizi antisemiti di cui erano vittime gli ebrei viventi a Firenze e, più generalmente, nell’Europa cristiana. Piuttosto che di uno spostamento verso un luogo letterario esotico sia dal punto di vista geografico che da quello umano, le due novelle esprimono, pertanto, un mancato incontro con l’Oriente. L’«alterità» viene espressa, invece, attraverso i personaggi ebrei antagonisti del brillante buffone fiorentino, presentati in modo decisamente negativo e perfino scurrile. Similmente a quanto accade per il luogo della storia, il narratore non nutre nessun interesse per le loro caratteristiche e li percepisce, invece, attraverso gli stereotipi formatisi nella società medievale cristiana, riferendosi alla presenza di ebrei non in un luogo lontano bensì in seno alla comunità fiorentina.

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Bibliographie

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Notes

1 F. Sacchetti, Proemio, in Il Trecentonovelle, a cura di D. Puccini, Torino, UTET, 2004, p. 63. Tutte le citazioni dal Trecentonovelle si riferiscono a questa edizione.

2 Cfr. «ora voglio dire una novelletta che potrà essere esemplo a molti» (CCXXVIII). F. Sacchetti, Il Trecentonovelle, cit., p. 657.

3 M. Picone, La cornice degli epigoni (Ser Giovanni, Sercambi, Sacchetti), in D. J. Dutschke, P. M. Forni, F. Grazzini, B. R. Lawton e L. Sanguineti White (a cura di), Forma e parola. Studi in memoria di Fredi Chiappelli, Roma, Bulzoni, 1992, p. 178.

4 H. J. Neuschäfer, Boccace et l’origine de la nouvelle. Le problème de la codification d’un genre médiéval, in M. Picone, G. Di Stefano e P. D. Stewart (a cura di), La nouvelle : Formation, codification et rayonnement d’un genre médiéval. Actes du colloque international de Montréal (McGill University, 14-16 octobre 1982), Montréal, Plato Academic Press, 1983, p. 103.

5 C. Segre, La beffa e il comico nella novellistica del Due e Trecento, in Passare il tempo: la letteratura del gioco e dell’intrattenimento dal XII al XVI secolo (Atti del Convegno di Pienza, 10-14 settembre 1991), tt. 1 e 2, Roma, Salerno, 1993, p. 24.

6 A. Jolles, Formes simples, trad. di A. M. Buguet, Paris, Seuil, 1972 (Einfache Formen: Legende, Sage, Mythe, Rätsel, Spruch, Kasus, Memorabile, Märchen, Witz, Tübingen, Niemeyer Verlag, 1930), p. 185.

7 Ivi, p. 180.

8 F. Sacchetti, Proemio, cit., p. 64.

9 Ibid.

10 Ibid.

11 Ibid.

12 Le strategie narrative nel Trecentonovelle sono analizzate in modo più approfondito in I. Prosenc, ‘E io scrittore’ : stratégies narratives et vérité historique dans le Trecentonovelle de Franco Sacchetti, «Cahiers d’études italiennes», no 6, Grenoble, ELLUG, 2006, pp. 47-57.

13 S. Battaglia, L’infinito quotidiano (e la vita senza qualità), in Id., Mitografia del personaggio, Milano, Rizzoli, 1968, p. 281.

14 A. Corsaro, Cultura e meccanismi narrativi del Trecentonovelle di Franco Sacchetti, «Filologia e critica», vol. VI, Roma, Salerno, 1981, p. 31.

15 XXII (p. 112), LXIV (p. 199), CII (p. 291), CXLV (p. 389), CLIV (p. 422), CLIX (p. 442), CLXVII (p. 474), CLXXIX (p. 508), CCXIV (p. 622).

16 LXXXIX (p. 266), CXVIII (p. 324), CXLIII (p. 381), CCXXI (p. 641).

17 Cfr. «non è molto» (CI, p. 286), «fu, e ancora è» (CXLVIII, p. 402), «non è molti anni» (CLX, p. 448), «non sono molti anni passati» (CCIII, p. 585).

18 XCI (p. 270), CLXXVIII (p. 506), CCXXI (p. 641).

19 XXVIII (p. 122).

20 G. Romagnoli Robuschi, Sacchetti, Franco, in Dizionario critico della letteratura italiana, IV, Torino, UTET, 1986, p. 63.

21 XVII (p. 102), LIV (p. 187), LXXVIII (p. 230), LXXX (p. 235), LXXXV (p. 252), CVI (p. 298), CXXVII (p. 343), CXXXVI (p. 362), CXL (p. 371), CLIX (p. 442), CLXIV (p. 465), CLXVI (p. 472), CLXXVII (p. 499), CCXIX (p. 635), CCXXVII (p. 656).

22 LXX (p. 213), LXXIII (p. 221), CXXXVII (p. 365), CLXXV (p. 494), CCLV (p. 668). Alcune altre formule tipiche sono: «per la nostra terra» (XCIII, p. 275), «la nostra città» (CXXXIII, p. 355), «in questa città» (CXCIII, p. 551).

23 D. Puccini, Introduzione, in F. Sacchetti, Il Trecentonovelle, cit., p. 14.

24 M. Miglio, «La novella come fonte storica. Cronaca e novella dal Compagni al Pecorone», in La novella italiana (Atti del Convegno di Caprarola, 19-24 settembre 1988), 1, Roma, Salerno, 1989, pp. 175-176.

25 Si lasciano da parte due brevi menzioni del Santo Sepolcro nelle novelle CLII e CCVII, senza importanza per l’ambientazione delle rispettive trame.

26 X (p. 86).

27 L. Cellerino, Dolcibene de’ Tori, in Dizionario Biografico degli Italiani Treccani, vol. 40, Roma, Istituto dell’Enciclopedia Italiana, 1991, <www.treccani.it/enciclopedia/dolcibene-de-tori_(Dizionario-Biografico)/> (pagina consultata il 19.03.2014).

28 F. Sacchetti, Il Trecentonovelle, cit., p. 85, n. 1.

29 CLIII (p. 419). Cfr. anche CLVI (p. 431).

30 L. Cellerino, cit.

31 M. Zaccarello, Storicità, correlazione, espressionismo nell’onomastica sacchettiana, «Il Nome nel testo. Rivista internazionale di onomastica letteraria», VII, Pisa, Edizioni ETS, 2005, p. 178.

32 CLVI (p. 431).

33 XXIV (p. 116).

34 XI (p. 87).

35 CLXXXVII (p. 528).

36 X (pp. 85-86).

37 L. Cellerino, cit.

38 Ibid.

39 C. Segre, cit., p. 26.

40 CCXX (p. 639).

41 XXVII (p. 121). Cfr. anche le novelle CLXXII (frammento), CLXXIII, CLXXIV, CCXI, CCXII e CCXX. Intorno a Pietro Gonnella, uomo di corte del marchese Obizzo III d’Este vissuto nella prima metà del Trecento, fiorì «una vasta leggenda»; anche Sacchetti lo dipinse come «uomo di corte astutissimo […], capace di beffarsi senza pietà del prossimo, a scopo di lucro, sempre faceto, sempre burlevole, sempre scroccone». L. Di Francia, Gonnella, in Enciclopedia italiana Treccani, Roma, Istituto dell’Enciclopedia Italiana, 1933, <www.treccani.it/enciclopedia/gonnella_(Enciclopedia_Italiana)/> (pagina consultata il 27.05.2015).

42 CCXI (p. 612).

43 XLIX (p. 170).

44 L (p. 176). Ribi appare anche in Decameron VIII, V.

45 IX (p. 84).

46 CXLII (p. 379). Cfr. anche: «piacevole buffone» (CCXXV, p. 651).

47 CXLIV (p. 383). I due buffoni appaiono anche in Decameron II, 1.

48 CLXII (p. 460).

49 III (p. 67).

50 CXXII (p. 333).

51 CLXXIV.

52 CLXXXVII (p. 528).

53 X (p. 87).

54 M. Marietti ne individua ben venticinque (M. Marietti, La crise de la société communale dans la « beffa » du Trecentonovelle, in A. Rochon (a cura di), Formes et significations de la « beffa » dans la littérature italienne de la Renaissance, 2, Paris, Université de la Sorbonne Nouvelle, 1975, p. 17, n. 27).

55 Cfr.: «toute beffa comporte toujours une sanction» (Ivi, p. 26).

56 L. Cellerino, cit.

57 H. R. Jauss, I generi minori del discorso esemplare come sistema di comunicazione letteraria, in M. Picone (a cura di), Il racconto, Bologna, Il Mulino, 1985, p. 65.

58 C. Segre, cit., p. 24.

59 X (pp. 85-86).

60 La rubrica della novella CCXI (p. 612).

61 La rubrica della novella CXLIV (p. 383).

62 La rubrica della novella XXV (p. 118).

63 La rubrica della novella CXLV (p. 389).

64 CLVI (p. 434).

65 CLXXXVII (p. 528).

66 X (p. 86).

67 Ibid.

68 M. Marietti, cit., p. 9.

69 Oltre che nel Proemio, il programma viene ribadito in numerosi commenti, ad esempio: «li popoli son sempre vaghi di cose nuove» (XXXII, p. 134), «il mondo è pieno di novità, e ciascuno ha vaghezza delle cose nuove» (CLVII, p. 437), «[e’] si conviene molte volte […] mostrare di nuove novelle, nate da nuovi uomeni» (CIV, p. 296).

70 CLVII (p. 437).

71 VI (p. 79).

72 XXIV (p. 116).

73 M. Marietti , cit., p. 45.

74 A. Foa, Antisemitismo e antigiudaismo, in Enciclopedia Italiana – VII Appendice, Roma, Istituto dell’Enciclopedia Italiana, 2006, <www.treccani.it/enciclopedia/antisemitismo-e-antigiudaismo_%28Enciclopedia-Italiana%29/> (pagina consultata il 01.09.2015).

75 M. Frassetto, Introduction: Christians and Jews in the Middle Ages, in M. Frassetto (a cura di), Christian Attitudes Toward the Jews in the Middle Ages: A Casebook, New York-London, Routledge, 2007, p. xiii. Cfr. anche: «Christian attitudes toward the Jews […] underwent a profound and dramatic change during the eleventh, twelfth, and thirteenth centuries, even though the exact moment of the so-called origins of medieval antisemitism remains obscure» (Ivi, p. xv).

76 «The denunciation of Jews by rigorous Franciscan preachers during the latter decades of the fourteenth century reached a fevered pitch» (R. Chazan, The Jews of Medieval Western Christendom: 1000–1500, Cambridge, Cambridge University Press, 2006, p. 126).

77 R. G. Salvadori, Gli ebrei di Firenze: dalle origini ai giorni nostri, Firenze, La Giuntina, 2000, p. 10.

78 Ibid., p. 10.

79 La rubrica della novella CCXVIII (p. 632).

80 La rubrica della novella CCXIX (p. 635).

81 CCXVIII (p. 635).

82 CCXIX (p. 635).

83 Ibid.

84 CCXIX (pp. 638-639).

85 CXC (p. 539).

86 Ibid.

87 CXC (p. 540).

88 Ibid.

89 XXIV (p. 116).

90 Ibid.

91 Ibid.

92 XXIV (p. 117).

93 Ibid.

94 F. Sacchetti, Proemio, cit., p. 64.

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Pour citer cet article

Référence papier

Irena Prosenc, « La Terrasanta fra alterità e prossimità nel Trecentonovelle di Franco Sacchetti »Cahiers d’études italiennes, 21 | 2015, 41-54.

Référence électronique

Irena Prosenc, « La Terrasanta fra alterità e prossimità nel Trecentonovelle di Franco Sacchetti »Cahiers d’études italiennes [En ligne], 21 | 2015, mis en ligne le 01 janvier 2017, consulté le 26 janvier 2025. URL : http://0-journals-openedition-org.catalogue.libraries.london.ac.uk/cei/2630 ; DOI : https://0-doi-org.catalogue.libraries.london.ac.uk/10.4000/cei.2630

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Irena Prosenc

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