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La ricezione di Foscolo in Europa
All’incrocio fra scrittura dell’Io e impegno civile

«Le langage d’un homme qui aurait désiré plus de liberté pour son pays»: Foscolo, Mustoxidi e gli esuli pargioti

« Le langage d’un homme qui aurait désiré plus de liberté pour son pays » : Foscolo, Mustoxidi et les exilés de Pargue
“Le langage d’un homme qui aurait désiré plus de liberté pour son pays”: Foscolo, Mustoxidi and the Exiles from Pargue
Angelo Colombo
p. 201-215

Résumés

Les spécialistes n’ont pas approfondi, jusqu’à présent, l’étude d’Andrea Mustoxidi, homme de lettres de Corfou, et de ses rapports avec Foscolo, à cause d’un obstacle qui ne cesse de s’opposer à une exploration de ces questions : la conservation tout à fait précaire des papiers de Mustoxidi dans les archives diocésaines de son île natale. Face à un événement international considérable tel que la crise ionienne, néanmoins, Mustoxidi ne joua pas seulement le rôle de spectateur et commentateur privilégié de par sa fonction diplomatique d’agent du ministère russe des Affaires étrangères, mais il se réjouit aussi d’exprimer son avis historico-politique à travers un ouvrage qui bénéficia d’une bonne résonance, ouvrage, d’ailleurs, dont l’ancien maître de Mustoxidi, Vincenzo Monti, se montra, lui aussi, lecteur intéressé. On sait très bien que la crise de Pargue provoqua également les réactions de Foscolo, réfugié en Grande-Bretagne, lequel décida à son tour de se mesurer avec la rédaction d’un ouvrage destiné à la publication mais abandonné par la suite à l’état d’inédit. Cet article propose un synopsis des opinions émises par ces deux témoins de la crise ionienne.

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Texte intégral

  • 1 B. Croce, Il libro inglese del Foscolo sulla cessione di Parga alla Turchia, «Quaderni della “Criti (...)
  • 2 EN XIII/1, pp. 65-102.
  • 3 Sul Mustoxidi (1785-1860) cfr. di recente la sintesi, peraltro lacunosa, di A. Rinaldin, Andrea Mus (...)

1Le posizioni fatte proprie e difese dal Foscolo dinanzi alla crisi ionica sono globalmente conosciute quanto basta perché riesca superfluo, in questa sede, tornare a un’analisi d’insieme dell’atteggiamento da lui assunto in merito al dilemma politico delle sorti di Parga e dei suoi abitanti, valutando di nuovo, del resto, pagine più volte lette con esiti fruttuosi almeno da Croce in avanti1. È tuttavia nostra opinione, in un simile quadro di ricerche, che l’interesse si sia concentrato in misura maggiore sulle cause che spinsero il Foscolo a interrompere il volume consacrato alla storia della città epirota e alle sue vicissitudini ultime, mentre un’inchiesta meno stringente ci sembra avere toccato l’articolo On Parga dell’«Edinburgh Review»2, che ha il vantaggio di essere stato ideato e scritto a caldo, nell’autunno del 1819, in coincidenza con altri interventi, fra i quali merita un ruolo certo non marginale il dibattuto Exposé des faits qui ont accompagné et suivi la cession de Parga redatto da un testimone prezioso, il corfiota Andrea Mustoxidi, e distribuito sotto il velo di un anonimato prudenziale (il pamphlet venne pubblicato e diffuso, come si sa, dal celebre quanto discusso «membre de l’Institut royal de France» Amaury Duval)3.

  • 4 Ep. IX, p. 360, no 2913.

2È forse inutile anche precisare in quale misura la questione ionica e pargiota stesse a cuore al Foscolo e come, discutendone con Giovanni Capodistria, segretario di Stato per gli Affari esteri dello zar di Russia, nei mesi della crisi egli fosse giunto a caldeggiare persino una soluzione politica all’apparenza deteriore pur di tutelare l’indipendenza dalla Porta dei territori contesi: ancora il 4 marzo del 1824 il Foscolo avrebbe rievocato a lord Aberdeen il suo vecchio e ormai inattuale suggerimento di «réduire les îles en colonie anglaise», mediante un assestamento giuridico che si sarebbe configurato attraverso una rigorosa sorveglianza del parlamento britannico sulla sorte dell’Eptaneso e delle sue dipendenze; il consiglio, tuttavia, nei momenti più convulsi della crisi ionica era rimasto inascoltato dal Capodistria, che pure condivideva l’atteggiamento del Foscolo verso quelle terre a lui non meno familiari (era originario di Corfù, come il Mustoxidi, dove era nato nel 1776) e che perciò aveva sempre tenuto con l’interlocutore il suo stesso linguaggio, «le langage d’un homme qui aurait désiré plus de liberté pour son pays»4.

3Ora, importa subito avvertire che in quel suo scritto giornalistico Foscolo è testimone europeo delle vicissitudini di Parga: malgrado l’attaccamento alla madrepatria greca, o alla malintesa madrepatria veneta ormai defunta da vent’anni, lo sguardo del poeta è mediato felicemente dalla sua temporanea funzione di «gazzettiere» e di recensore, il cui compito è anche — se proprio non solamente — quello di dare conto di tre novità librarie coassiali dedicate alla questione pargiota. Mentre la terza di esse è il resoconto del generale inglese di origine svizzera Charles-Philippe de Bosset, governatore di Cefalonia (Proceedings in Parga and the Ionian Islands, 1819), e la prima consiste in un libretto dato alle stampe a Venezia nel 1815 dal greco Cristoforo Perrevòs (The History of Suli and Parga), la seconda, come si vede, è il libro mancato del Foscolo stesso, il Narrative of Events Illustrating the Vicissitudes and the Cession of Parga, preannunciato anonimo sotto forma di una mera raccolta di documenti da sottoporre al parlamento britannico, messi insieme tuttavia dal poeta fin dall’estate del 1818 dietro sollecitazione di Gregorio Mauroyannis a nome dei suoi concittadini pargioti.

  • 5 «When Sir Charles Monck opened that furious battery in the House of Commons, which had been charged (...)

4Quei documenti erano giunti in parte fra le mani di Charles Monck che, sulla base di essi, il 26 maggio del 1819 alla Camera dei Comuni tenne un polemico intervento contro il ministro degli Esteri, Castlereagh, difeso in seguito dalla risposta della «Quarterly Review», che ribatteva con durezza all’articolo On Parga e insinuava la complicità del Foscolo, pur senza evocarne il nome, nella circolazione dei documenti in parola, facendo così balenare, tacitamente, l’applicazione dell’Alien Bill contro di lui5. Per motivi di convenienza e di brevità, veniamo subito al cuore dell’argomentare foscoliano in difesa dei diritti violati dei pargioti, limitandoci agli elementi che ci sembrano sollevare maggiore interesse.

  • 6 Per tutta la vicenda pargiota si rinvia a É. Driault e M. Lhéritier, Histoire diplomatique de la Gr (...)
  • 7 EN XIII/1, p. 96.

5Secondo il poeta, l’abbandono della città ai turchi era ingiusto, disonorevole e biasimevole, in grado di suscitare un’ondata d’indignazione antibritannica ben al di là dello Ionio, ma esso era inoltre contrario al tornaconto politico della corona nelle isole, poiché Parga restava quasi l’unica via di approvvigionamento dell’intero arcipelago. A giudizio del Foscolo, per di più, l’atto compiuto implicava la violazione di un accordo stipulato da ufficiali britannici e approvato dai commissari nelle Isole in nome del sovrano, relativo a un protettorato sulla città concesso — benché non formalmente — dopo lo sbarco di Charles Gordon il 22 marzo 1814 alla testa di un distaccamento di militari della corona. Il trattato del 21 marzo 1800 firmato a Costantinopoli e invocato dalla Porta quale garanzia giuridica del possesso che rivendicava su Parga6, del resto, per il Foscolo era stato superato dai fatti e contraddetto da negoziati diplomatici posteriori, dalla pace di Amiens agli accordi di Tilsit, ma in ogni caso la cessione di Parga ne costituiva una violazione, dal momento che il trattato di Costantinopoli aveva stabilito una larga autonomia per l’Eptaneso: ciò comportava anche il divieto agli islamici di risiedere a Parga e di erigere moschee in città o modificare leggi e amministrazione interne, mentre imponeva contestualmente la norma di un prelievo fiscale blando, pari a quello stabilito tempo addietro dalla Serenissima, e la nomina di un bey o di un commissario soggetti in via preliminare al consenso dei pargioti. Colpevolmente, simili tutele non erano state invece ribadite con chiarezza dalla diplomazia britannica durante la convenzione parigina del 5 novembre 1815, in assenza della Porta dai lavori. Accanto a ciò, pur formulando una serie di attenuanti o di giustificazioni empiriche al senso dell’agire da parte delle potenze, la censura restava decisa7.

  • 8 Ep. VIII, p. 78, no 2418 («Je me suis strictement, froidement, stoïquement contenu entre les limite (...)

6La requisitoria del Foscolo circa i destini dei pargioti si stempera in un’ostilità appassionata — al contrario di quanto egli aveva avvertito d’aver fatto, l’11 agosto 1819, dialogando con John Cam Hobhouse8 — che in modo solo all’apparenza incerto va a colpire la debolezza della politica britannica nelle vicende dello Ionio e le scelte conseguenti operate dall’Alto Commissario per le Isole, il whig Thomas Maitland. Ragioni di cautela indussero, nei fatti, la direzione dell’«Edinburgh Review» a produrre ritocchi o rifacimenti parziali del manoscritto foscoliano in vista della sua pubblicazione nel periodico; in questo caso, le correzioni coatte, accettate con probabile rassegnazione dall’autore, vanno tuttavia a costituire una massa i cui contorni si riconoscono agevolmente mediante la collazione con le bozze di stampa di una redazione anteriore dello stesso articolo, la quale documenta porzioni di testo di inequivoca durezza, dove la polemica ad alta frequenza di cui l’autore è capace si concentra sull’agire del Maitland e, tramite lui, del dicastero britannico degli Esteri.

7Dalla lettura sinottica delle due stesure si traggono le insufficienze su cui poggia la requisitoria foscoliana contro la posizione assunta dalla Gran Bretagna durante la crisi internazionale: il grave impaccio di una politica estera che finisce per circondare inopinatamente di sospetti l’operato del plenipotenziario Maitland agli occhi dei pargioti; la determinazione di Alì, pascià di Gianina, che facendo leva sulla diffidenza degli abitanti di Parga, dà corpo ingannevolmente ai sospetti che essi nutrono contro il commissario; infine, la notizia, non smentita dall’interessato, che grazie ai buoni rapporti con lo stesso Alì il Maitland era stato insignito dell’ordine della Mezzaluna:

  • 9 Livorno, Biblioteca Labronica, ms. Labr. XXXIII sez. F, VI, cc. 281v-282r; in apparato si registran (...)

[…] le parti qu’Ali tirait de nos ménagements en leur donnant l’éclat, que notre gouvernement désirait d’éviter, firent présumer aux Pargiotes que Sir Thomas Maitland s’entendait avec Ali pour les exposer à des calamités qu’il était en son pouvoir de leur épargner : et Ali employait tous les artifices pour les exaspérer contre nous. Il leur faisait dire que les généraux, et les négociateurs Anglais étaient vendus à lui. Ses agents firent imprimer dans les gazettes d’Allemagne et dans des papiers publiés en grec vulgaire, que Sir Thomas, pour prix de son amitié envers Ali, et de son dévouement à la Porte avait obtenu l’ordre du Croissant. Cette nouvelle fut réimprimée, et peut-être crue dans toutes les Capitales de l’Europe : mais quoique, soit par égard pour les Ministres dont la vue était de consumer cette affaire avec le moins bruit possible, soit par un juste mépris contre la calomnie, le général Maitland ne l’ait point démentie, peu de gens l’ont crue en Angleterre. Toute fois il est à craindre que l’assurance dans son caractèrea si avantageusement établi dans sa patrie, n’ait quelque fois exposé Sir Thomas Maitland à donner lieu à des apparences que tout homme d’honneur ab le droit de mépriser, mais que tout homme public a le devoir d’éviter9.

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acaractere bà

  • 10 EN XIII/1, p. 99. Circa questo articolo e alcune altre questioni testuali che esso solleva si rinvi (...)

This strange forbearance of the English—the resort of travellers of our nation to his court—the formal visits paid him by his majesty’s commissioners, and not returned, gave an unfortunate plausibility to the false reports which he industriously circulated as to the entire devotion of our government to his views, and the bribery by which he had secured the good offices of all our commanders on the spot. He had even the audacity to print in his gazettes, that Sir Thomas Maitland had been invested with the order of the Crescent, entirely through his influence, and on account of his attachment to him and to the interests of the Porte10.

8Le due prime riserve sull’agire del commissario sono mantenute, pur con varianti non secondarie, nell’articolo pubblicato dalla rivista. In esso è invece energicamente smussata l’ultima delle tre accuse che figurano nella redazione in bozze, la più corrosiva fra le ragioni del dissenso, perché è quella che va a colpire l’etica pubblica del Maitland: per il Foscolo, se il commissario aveva mostrato sicurezza di sé scegliendo di non dissipare le voci calunniose sparse sul suo conto, questo atteggiamento era stato tuttavia cagione di ambiguità che ogni uomo d’onore ha il diritto di sottovalutare, ma che ogni politico ha invece il dovere di respingere in pubblico con fermezza, perché esse sono di grave pregiudizio tanto al suo credito, quanto alla sua stessa onestà. L’attacco, come si vede, è condotto a un livello cui il Maitland non poteva essere meno sensibile del Foscolo: l’uno e l’altro, nei due diversi ruoli di esaminato e di esaminatore, alle prese con le divergenze che separano l’agire privato degli onesti dall’operare pubblico degli uomini politici. Il rilievo è di grande importanza: esiste un’etica pubblica che diverge dalla morale privata e che con essa può anche entrare in contraddizione; per meglio dire: quanto è bene in astratto, a misura d’individuo, può essere sbagliato politicamente, su scala universale.

9Se questi ci sembrano gli elementi forti della requisitoria foscoliana, è il caso di osservare invece quali siano le considerazioni che il Mustoxidi sviluppa nell’Exposé, redatto — lo ribadiamo — nello stesso autunno del 1819 in cui il Foscolo scriveva l’articolo On Parga. Nell’intento di conseguire un risultato di maggiore chiarezza, è tuttavia il caso di invertire l’ordine delle argomentazioni cominciando ora dalle ultime presenti nell’opuscolo, per risalire solo in seguito alle prime, che ci sembrano anche le più efficaci in ordine alla definizione di un parallelo fra le idee del Foscolo e quelle del Mustoxidi.

  • 11 Exposé des faits qui ont accompagné et suivi la cession de Parga, ouvrage écrit originairement en g (...)
  • 12 Viene ricordato un incontro del Mustoxidi con il Capodistria già nel 1814, a Zurigo: cfr. A. Romano (...)

10Da un punto di vista diplomatico, quest’ultimo smentisce la validità del trattato di Costantinopoli del 1800 per almeno tre ragioni, solo in parte simili a quelle del Foscolo: sia perché era stato invalidato dalla cessione del protettorato sulle Isole Ionie alla Francia imperiale da parte della Porta stessa e della Russia con gli accordi di Tilsit; sia, ancor più, perché la Gran Bretagna possedeva a sua volta, ora, le Isole Ionie in violazione di quel trattato; sia, infine, perché la rivendicazione ottomana di Parga, se esercitata sulla base degli accordi di Costantinopoli, implicava l’assenso, indispensabile giuridicamente, dell’altro contraente, la Russia, se non proprio di tutte le potenze vincitrici, che avrebbero dovuto disporre delle sorti dei territori, come le Isole Ionie e le dipendenze costiere, già annessi alla Francia napoleonica. A giudizio del Mustoxidi, invece, l’agire della corona britannica era stato dettato da ragioni strettamente mercantili, vale a dire la difesa e l’incremento degli interessi commerciali che stavano a cuore alla Compagnia del Levante11. Come si nota, in queste dichiarazioni lo sguardo del Mustoxidi rivela una sensibilità empirica per gli equilibri politici che abbracciano una parte dell’Europa, inclusavi la potenza russa della quale, due anni dopo, egli sarebbe diventato funzionario presso il consolato torinese, quando ormai si trovava da anni in relazioni molto strette con il suo concittadino più illustre in quei momenti, il segretario di Stato Capodistria12.

  • 13 Exposé, cit., pp. 31-33.

11Il Mustoxidi appare disposto, nondimeno, a formulare una diversa serie di obiezioni circa il possesso turco di Parga, ispirate, questa volta, da una prospettiva che all’apparenza tiene conto degli interessi nutriti dalla potenza britannica in quell’area geografica. Secondo il punto di vista dell’utilità, a cui egli dunque si richiama, la perdita del caposaldo pargiota si rivela, in tal senso, un danno grave, dal momento che la città costituiva per le Isole Ionie la naturale porta d’accesso all’Oriente; come pareva anche al Foscolo, esse correvano, in questo modo, il rischio dell’isolamento commerciale e del progressivo declino economico: rinunciare al controllo di Parga gli appariva perciò come il risultato di una politica dissennata e, in fondo, autolesionistica, che il governo britannico non aveva saputo scongiurare in nome di un successo immediato, ma, alla lunga, sterile. Da greco, tuttavia, Mustoxidi non manca di insistere su un altro elemento di rilievo, vale a dire la perdita di forza morale dell’Inghilterra agli occhi dell’intero popolo ellenico, quando, al contrario, la politica estera britannica nello Ionio o nell’Egeo si sarebbe potuta trovare, in futuro, ad avere bisogno di lui13; per Mustoxidi, la partita si gioca infatti in un’area geopolitica sulla quale si concentrano gli interessi della Porta ottomana, dell’impero russo e, ormai, della Gran Bretagna: in un simile quadro di riferimento, scompaginato dalla comparsa di un nuovo attore, la simpatia o l’avversione dei Greci nei confronti dei nuovi «protettori» delle Isole Ionie andava ad assumere un peso innegabile.

  • 14 Ivi, pp. 27-28.

12Se a queste precisazioni, sospese fra pragmatismo politico e diplomazia internazionale, il Mustoxidi giunge al culmine della propria riflessione, nell’esordio di essa, dopo un’ampia panoramica storico-geografica riguardante la città contesa, sono convocati i princìpi generali cui, a suo modo di vedere, deve conformarsi una corretta politica dei popoli e delle nazioni in ogni epoca. Stabilito che il rispetto di una misura generale di giustizia deve essere presente nell’operare di qualsiasi potenza internazionale, tre sono, allora, i difetti più gravi che pesano sulle decisioni assunte dalla Gran Bretagna in merito ai destini di Parga. In primo luogo, dopo avere evocato il «traité, signé le 18 mars 1817 à Jannina», che comportava la cessione di Parga «faite par la Grande-Bretagne à la Sublime Porte», il Mustoxidi dichiara che una potenza straniera come la prima non poteva disporre delle sorti di un territorio se non essendone proprietaria per diritti naturali o di conquista: ai pargioti e solo a loro, di conseguenza, toccava, da liberi, la scelta di disporre di sé rinunciando, per questo, anche al presidio della guarnigione britannica e scegliendo se respingere con le armi o assecondare con la diplomazia le ambizioni che spingevano Alì a impadronirsi del territorio in discussione14.

  • 15 Ivi, p. 28.
  • 16 Ibid.

13Inoltre, attorno all’occupazione di Parga da parte britannica e prima della cessione alla Porta non si era creato nessun consenso internazionale sancito da atti diplomatici riconosciuti dalle potenze, in base al quale stabilire in piena concordia il destino della città15. Infine, quale elemento di gran lunga più decisivo nell’argomentazione dell’Exposé in rapporto a ogni altra istanza, per il Mustoxidi i diritti dei pargioti andavano difesi a priori in nome di una giustizia universale che si ispiri allo ius gentium: «La nature donne à tout peuple le droit de son indépendance. Les accords politiques qui fixent le sort des États ou trop faibles, ou trop petits pour faire valoir ce droit inviolable et sacré, ne sont qu’une usurpation»16.

  • 17 EN XIII/1, p. 94: «the consequence of our tardy disavowal of it was, not to replace things in statu (...)

14Se la natura fornisce a ciascun popolo il diritto di esercitare la sovranità su se stesso e di mantenere la propria indipendenza, mentre ogni accordo politico che imponga una servitù ai liberi produce un’usurpazione che entra in conflitto con il diritto delle genti, le parole del Mustoxidi accorciano le distanze dalle convinzioni nutrite dal Foscolo, nella cornice più larga del dibattito sui fondamenti storico-giuridici delle libertà nazionali (siamo peraltro alla vigilia delle rivoluzioni liberali nella penisola, nei momenti che seguono gli incontri londinesi con Federico Confalonieri, dell’estate 1818, e, nello stesso 1819, con Gino Capponi). Redigendo l’articolo dell’«Edinburgh Review», il Foscolo aveva infatti osservato che gli accordi di protezione stipulati da ufficiali inglesi e dai commissari a nome del sovrano, i quali sulla carta agivano da garanzia per le sorti di Parga, erano stati rinnegati non con l’intento di ripristinare uno status quo ante in città, ma, al contrario, per smentirlo favorendo la cessione della sovranità esercitata da un popolo libero alle mani del suo nemico peggiore, proprio come se Parga fosse stata semplice proprietà o conquista britannica17. Anche agli occhi del Foscolo sembra perciò imporsi la centralità dello ius gentium, che torna del resto quale elemento di forza della requisitoria con la quale in seguito si apre e si chiude, per la parte residua che ne rimane, l’ultima sezione del progettato libro su Parga.

  • 18 B. Croce, Il libro inglese del Foscolo, cit., p. 30.

15Nel caso in cui un diritto delle genti esista, per quanto vago ne sia il perimetro normativo, e se con esso la politica è tenuta a misurarsi in ogni momento del suo sviluppo storico, come il Foscolo asserisce nell’articolo On Parga e replica nel Narrative, esso è tuttavia oggetto di alterazioni ricorrenti che ne manifestano la fragilità lungo l’intera parabola della vicenda umana. Non si tratta, naturalmente, di un diritto delle genti da intendersi come sostanza metafisica, frutto di un principio superiore o morale, respinto peraltro fin dagli anni pavesi e dall’orazione Sull’origine e i limiti della giustizia, né, come accade nel caso del Mustoxidi, di un’implicita apertura di credito nei confronti del vecchio giusnaturalismo, anch’esso confutato da tempo, ma — riprendendo le parole di Croce — di un diritto che si configura storicamente, nei termini rigorosi di un’utilità proporzionata «alle condizioni delle cose di un momento o periodo»18. In questa maniera, cioè come estraneo a imperativi d’ordine morale o naturale e compatibile, invece, con le convenienze disparate indotte, nel succedersi dei tempi e nel mutare degli spazi, dalla sola contingenza certa degli eventi, lo ius gentium si offriva, secondo il Foscolo, a ogni modalità d’uso da parte di una politica spregiudicata e opportunistica, poteva essere piegato agli scopi del momento per trarne un dettato di valore ancipite, o agire persino da strumento giuridico mediante il quale conferire credito pari a proclamazioni tra loro in conflitto aperto.

16Osservando più da vicino, il materiale che confluisce negli scritti su Parga scava tuttavia una linea di demarcazione fra ciò che il Foscolo aveva ritenuto legittimo asserire nel corso dell’orazione sulla giustizia del giugno 1809 e quanto egli era adesso disposto a credere, da spettatore della crisi ionica; il processo non entra forse nell’ordine di quei sovvertimenti concettuali che producano un’autentica contraddizione fra l’uno e l’altro di due enunciati, ma comporta una rotazione evidente del punto di vista attraverso il quale si valutano i fatti, in grado perciò di suggerire, a distanza, anche un diverso atteggiamento di pensiero da parte dello spettatore che si interrogava con riconoscibile apprensione sui destini di Parga. Nell’orazione pavese, il Foscolo aveva dichiarato con l’abituale perentorietà l’inconsistenza di un «gius delle genti» quale dispositivo sostanziale che disciplinasse con autorevolezza i rapporti fra le nazioni, denunciandone invece la natura di strumento ingannevole e di comoda apparenza; procedendo in questa maniera, egli tuttavia si era trovato a osservarlo dal punto di vista di chi in esso ne cercava gli effetti più redditizi per sé, vale a dire da una prospettiva secondo la quale a imporsi è l’interesse del soggetto che a quel diritto si rivolge o si appella in nome del proprio utile. Il passaggio è noto:

  • 19 U. Foscolo, Sull’origine e i limiti della giustizia, prefazione di C. Galli, introduzione di S. Gen (...)

Cercai […] il gius delle genti e lo trovai potentissimo nel timore di due nazioni che non ardivano d’affrontarsi o si collegavano contro un’altra più forte; ma cessata la causa, cessava il vigor del diritto. Non essendovi né profossi né carnefici tra due nazioni, né certezza di gius divino che conciliasse le loro liti, la forza intromettea solennemente la sua sentenza e la scrivea con la spada19.

  • 20 U. Foscolo, Sull’origine e i limiti della giustizia, cit., p. 66; la breve citazione precedente è d (...)

17Nell’articolazione dello ius gentium dentro l’operare delle potenze internazionali si avverte, in definitiva, la spinta di quella medesima legge che governa l’agire individuale dell’uomo, il suo stato «essenzialmente guerriero, e sociale», il legame inestricabile che rende la necessità e la forza le polarità profonde della sua natura di essere perpetuamente in moto. Nell’orazione Sull’origine e i limiti della giustizia, lo scandaglio di un’inchiesta ancora molto sbrigativa, dopo avere percorso latitudini e longitudini familiari o insolite del globo, giunge a dimostrare l’inutilità della ricerca di un diritto delle genti scritto «nelle leggi dell’universo»20; se esso nasce da una motivazione che è strumentale e transitoria — poiché nasce come modalità indiretta di esercizio nel ricorso abituale alla forza, secondo quanto abbiamo visto ritenere —, il diritto delle genti è mezzo utile al pari di altri in un processo di affermazione che ha le sue fondamenta in princìpi diversi da quelli di un diritto universale e astrattamente inteso: nell’orazione non detiene, di conseguenza, nessuno statuto ontologico certo, ma vale, press’a poco, quanto facies mendace di una ragione operativa che si mantiene nascosta. Ora, nelle pagine su Parga, allo ius gentium è conferita invece una specifica identità quale frutto di un’elaborazione del pensiero umano maturato nel tempo della storia: in altri termini, esso non è soltanto, a questo punto, l’involucro di comodo o lo spazio vuoto che si conformano a un diverso e meglio dissimulato agire della forza nel rapporto fra le potenze o i gruppi di individui, ma piuttosto un complesso sistema di conoscenze prodotto dall’accumularsi delle esperienze umane di socialità, un codice strutturato per successivi acquisti, da un’epoca all’altra, sul quale le potenze operano per forzature più o meno estese, per successive manomissioni e per abusi replicati. Il punto di vista che il Foscolo fa proprio appare, così, quello di una ritrovata oggettività, dove la dimensione della storia torna a giocare un ruolo nevralgico: dinanzi alle vicende incessanti della civiltà umana, il diritto delle genti non è solo il prodotto soggettivo di chi l’invoca, ma è anche l’oggetto reale e storico su cui si esercitano compressioni o svuotamenti perché ne derivi l’utile al più forte. Alla metafisica del negativo che qualifica il passo dell’orazione Sull’origine e i limiti della giustizia si avvicenda perciò la conquista di una più matura coscienza storica; la differenza, in termini di analisi, ci pare sensibile e giustifica la «narrazione» delle epoche valicate dallo ius gentium per giungere sino al presente: pagine con le quali si interrompe, per mutilazione volontaria o per abbandono, il terzo libro del Narrative.

  • 21 EN XIII/1, pp. 93-94.
  • 22 Ivi, pp. 290-291.

18Nell’articolo On Parga la prospettiva attraverso cui il Foscolo osserva il secondo dei motivi per i quali la cessione della città alla Porta valeva quanto «an arrangement […] ungenerous, cruel, and unjust», «dishonourable and injurious», è resa in modo esplicito: «it must appear that there never was a case in which this special pleading, or quibbling rather, on the law of nations, could be resorted to with so ill a grace or so little plausibility»21; le sofisticherie prive di scrupolo o i cavilli che le potenze hanno esercitato sul «law of nations» sono il vero bersaglio della polemica contro il quale si concentra l’esecrazione, anzi una persistente violenza del linguaggio di condanna, che si distingue in maniera significativa dalle considerazioni con le quali, meno da polemista che da filosofo morale, egli aveva confutato la fondatezza dello ius gentium nelle pagine dell’orazione pavese. Nell’epilogo del libro secondo del Narrative, del resto, subito a monte della storia del diritto delle genti che apre il terzo e ultimo libro dell’opera, i termini si rivelano ancora più espliciti di quanto non possano apparire nell’articolo dell’«Edinburgh Review», poiché sono ora in gioco proprio le «violations» del diritto delle genti che entrano in conflitto aperto con il «general welfare», in una cornice di «inevitable consequences of unjust dealing»22.

  • 23 Ivi, p. 294.
  • 24 Ivi, p. 65; U. Foscolo, Lettera apologetica, a cura di G. Nicoletti, Torino, Einaudi, 1978, pp. 122 (...)
  • 25 EN XIII/2, pp. 3 e 44-45 (corsivo nostro).

19L’esordio del libro terzo, da parte sua, e i capitoli che di esso rimangono tracciano una storia del diritto che punta a illustrare il deposito, nel tempo, di una legislazione radicata nell’«innate sense of right», necessaria a disciplinare l’uomo, «covetous, usurping and fighting animal», allo scopo che non ne venga messa a repentaglio la sopravvivenza23. L’idea persistente di una violazione ripetuta del «law of nations» affiora tuttavia con chiarezza anche al di là delle ultime battute del Narrative, in una pagina esemplare della Lettera apologetica, dove il Foscolo torna sui propri passi nell’intento di spiegare al suo lettore l’abbandono del libro consacrato alle vicende drammatiche di Parga. Come aveva censurato i «new principles of international law» nell’articolo dell’«Edinburgh Review», così nell’Apologetica la polemica colpisce quel «nuovo diritto delle genti che caccia i popoli dalla terra de’ loro antenati», quali i pargioti, vittime non tanto del diritto delle genti, ma di una sua contraffazione tutta odierna, mentre, allargando l’orizzonte, l’oggetto del terzo libro del fallito Narrative viene ora ricapitolato mediante una dichiarazione che suona di grande chiarezza: «mi sono […] studiato di derivare dalla storia del mondo le prime origini e le vicissitudini varie del diritto delle genti, e come in altri secoli soleva operare, e come funestamente così rimutato doveva operare di necessità a’ dì nostri, e per l’avvenire»24. Tramite queste ultime asserzioni, ci sembra che si misuri davvero in tutta la sua vastità la superficie di attrito fra quel diritto solito a operare un tempo, in altre età, magari nel quadro del «general welfare», e questo diritto, ricostruito in maniera abusiva e perversa, che conduce d’obbligo, oggi, a effetti di natura perniciosa e al dilagare incontrollato delle iniquità. L’idea era in parte formulata, dall’angolazione — oggettiva, di nuovo — del «diritto internazionale» odierno, nell’articolo del «New Monthly Magazine», An Account of the Revolution of Naples During the Years 1798, 1799 (1821); anche in quella sede, nell’applicazione allo studio di un caso circoscritto come era stato in precedenza quello dei pargioti, bersaglio della polemica si conferma un «present international law» che, dopo la fine dell’impero napoleonico, si è strutturato proprio attorno a quel principio infausto di ingerenza e di vanificazione degli equilibri, producendo l’effetto delle rivoluzioni dei popoli25.

20Come sono distinte la morale privata dall’etica pubblica, poiché — secondo quanto abbiamo constatato in precedenza circa un passaggio infine espunto dall’articolo On Parga — la seconda si flette alle convenienze del momento in relazione al grado d’importanza che esprimono i suoi fini generali, allo stesso modo nella storia dello ius gentium interferiscono a profondità diverse le politiche degli stati e la pressione che essi esercitano nel quadro dei rapporti fra le nazioni. In questa simmetria dell’agire fra il piccolo e il grande, fra l’individuo e le collettività organizzate, risiede una convinzione decisiva del pensiero foscoliano.

  • 26 EN XIII/1, p. 176.

21La debolezza del diritto delle genti quale insieme di princìpi elaborati e riconosciuti su scala internazionale dalle potenze continentali come il solo argine contro l’abuso della forza («the only barrier against the abuse of strength», si legge esattamente nel Narrative)26 non aveva dunque saputo offrire nessuna tutela invalicabile alla salvezza di Parga e dei suoi cittadini dinanzi alle sopraffazioni e alle astuzie della politica moderna. La requisitoria del Foscolo, complice l’approfondimento del problema circa l’identità e la funzione del diritto delle genti nella storia dell’umanità, prende una strada nuova e diversa da quella di una generica condanna delle ingiustizie operate con la forza e perpetrate con accortezza o cinismo. Tra Foscolo e Mustoxidi, se la riflessione attorno alla violazione dei diritti dei popoli stabilisce una non così ovvia contiguità di argomentazioni, benché — come abbiamo constatato — su piani differenti di responsabilità concettuale, ancorandosi al caso concreto della sorte di Parga e, nel secondo, più ampiamente, della Grecia, ci pare che la densità della riflessione storica condotta dal Foscolo distingua la sua meditazione da quella del più giovane osservatore della crisi ionica. Sarebbe troppo facile, ma generico e improduttivo, accreditare la riflessione attorno ai destini politici delle genti alle pagine lontane dell’Ortis e alle considerazioni svolte dopo l’esperienza di Campoformio, benché proprio l’edizione londinese del romanzo, non molti mesi prima della crisi di Parga, avesse reso di nuovo attuale quel libro, che piangeva le sciagure di una «terra prostituita», esecrava l’operato dei «devastatori de’ popoli» e proponeva di nuovo una lettura amara della condizione universale dell’uomo, «sempre implacabile nemico della umanità», mediante la ben nota lettera dell’11 maggio. Sembra invece più corretto misurare il peso di simili considerazioni partendo da un’esperienza recente, che aveva imposto all’«esule» un altro fra i tanti confronti immediati con la cultura del paese ospite.

  • 27 P. Borsa, Guicciardini, Bolingbroke, Foscolo, in C. Berra e A. M. Cabrini (a cura di), La «Storia d (...)
  • 28 EN XI/1, pp. 241-242.
  • 29 Lettere di lord Bolingbroke su la storia, t. I, Milano, Tipografia Milanese, anno IX, p. 40.
  • 30 Ivi, p. 59.

22Per quanto egli avesse potuto avvertire genericamente la contraddizione apertasi fra i diritti dei popoli e il dispiegarsi di una politica animata da utilità negli anni lontani del governo democratico veneto, dovevano acquistare ora nuovo rilievo, dinanzi al dramma dei pargioti, i capitoli della Storia d’Italia guicciardiniana percorsi attraverso la mediazione interpretativa delle Letters on the Study and Use of History di Bolingbroke (1752), avvicinate nel quadro di un interesse in espansione per il pensiero di Machiavelli, Hobbes, Locke e già tradotte, d’altra parte, in anni di fervidi dibattiti politici e di impegno civile, nella Milano cisalpina del Foscolo e del Mustoxidi, a opera dell’esule calabrese Gaetano Rodinò27. Secondo la testimonianza supplementare fornita dall’Epoca sesta, Guicciardini contribuiva a riproporre agli occhi del Foscolo, da un punto di vista più generale, l’importanza di uno studio dello ius gentium in prospettiva storica, lungo i secoli che erano succeduti al Medioevo dell’impero e dei comuni, esattamente come appare nel terzo libro del Narrative, dove di quel diritto è tracciata la storia dalle sue origini28: così procedendo — scortato, nondimeno, dal principio in base al quale, per Bolingbroke, «la storia è una filosofia, che istruisce per via di esempi»29 —, il lettore era guidato verso la percezione di una storia moderna dall’ampiezza ormai risolutamente continentale («la storia serve a purgare lo spirito di quelle parzialità nazionali, e di que’ pregiudizi, che siam soggetti a contrarre nella nostra educazione»)30, attraverso cui ogni caso di dimensioni limitate, non importa se italiano o greco, che fosse o non fosse nella contingenza dei fatti presenti, doveva assumere la sua giusta fisionomia.

  • 31 Ivi, pp. 224-226.

23In quelle pagine si poteva leggere anche un’ammonizione circa le storture nel ricorso al diritto lungo la parabola delle epoche storiche, perché se la «giurisprudenza» era certo la scienza «più nobile, e la più vantaggiosa al genere umano in quanto alla sua origine», essa rischiava di operare ora come «la più sordida, e la più perniciosa in quanto al suo abuso ed al suo avvilimento». La divaricazione morale fra il passato e il presente nell’uso del diritto lascia allo scoperto, per ricorrere a termini foscoliani, le sofisticherie senza scrupoli e i cavilli alimentati da una furbizia che nega la sostanza della dottrina giuridica, quando nel passato, secondo Bolingbroke, «vi sono stati de’ giureconsulti ch’erano oratori, filosofi, istorici»: sicché soltanto il ritorno ai pregi di quelle epoche avrebbe permesso che di nuovo la scienza del diritto s’intrecciasse provvidenzialmente con lo studio della metafisica e con quello della storia, in maniera da «familiarizzare con tutto il mondo morale», per «discoprire la ragione astratta di tutte le leggi particolari degli stati» (indagando, dello stato «cui appartiene», «dalle prime cause ed occasioni, che l’hanno prodotto fino a tutti gli effetti buoni o cattivi che ne son derivati»)31.

  • 32 Ivi, pp. 269-270.

24Insieme a ciò, le Lettere su la storia rafforzavano la nozione di balance of power quale principio internazionale nel ricorso al diritto in qualsiasi contenzioso: una «bilancia di potere — come traduce Gaetano Rodinò — dal cui equilibrio dovea dipendere la sicurezza e la comune tranquillità» del continente; il sistema del bilanciamento ha tuttavia dei nemici — aveva avvertito per tempo Bolingbroke — il cui obiettivo è «distruggere l’eguaglianza» conquistata grazie a un simile sistema di contrappesi escogitato dalle due potenze dominanti, la «Casa d’Austria» e la Francia, dopo le paci di Vestfalia e dei Pirenei32. Nel tardo saggio Antiquarj e Critici, infine, l’attenzione del Foscolo è puntata ancora su Guicciardini, il cui nome è congiunto, in forma questa volta esplicita, a quello dell’autore delle Lettere su la storia, entrambi riuniti sotto il segno della teoria politica dell’equilibrio internazionale delle forze:

Guicciardini […] narrò gli avvenimenti di quell’epoca in guisa che comprendessero le alterazioni politiche, e gl’interessi di tutti i regni d’Europa<; e> questo storico nell’opinione di Lord Bollingbroke fu il primo suggeritore e fondatore del sistema dell’equilibrio politico che poco dopo fu messo in esecuzione dagli uomini di stato de’ regni <contemporanei> di Elisabetta, di Enrico IV, e di Papa Sisto V.

  • 33 U. Foscolo, Antiquarj e Critici. On the Antiquarians and Critics, edizione critica bilingue a cura (...)

Guicciardini […] related the events of the same period in such a manner as to embrace the political changes and interests of every country in Europe. This historian, in the opinion of Lord Bolingbroke, was the first who suggested the balance of power, afterwards acted upon by the statesmen of the contemporaneous reigns of Elizabeth, Henry IV and Sixtus V33.

25Ci sarebbero buoni motivi per domandarsi, a questo punto, se proprio una nuova meditazione attorno alla teoria dell’equilibrio di potere nei rapporti internazionali, appresa dalle pagine che il Foscolo leggeva — o più probabilmente rileggeva — nei mesi del suo soggiorno londinese e della crisi ionica, non sia stato il motivo traente tanto degli scritti su Parga, quanto del fallimento del libro progettato come riflessione politica complessiva attorno a quelle vicende. Se l’equilibrio internazionale si era costruito con fatica, nel tempo della storia, e dentro di esso aveva trovato una sua collocazione negoziale quel diritto delle genti che un tempo «soleva operare» con frutto (per ricorrere ai termini eloquenti dell’Apologetica), la tragedia umana e materiale di un popolo venduto al suo nemico era stata l’effetto pernicioso della vanificazione di quella «bilancia di potere» a opera della spregiudicata politica britannica nell’alto Ionio, che aveva contraddetto i trattati internazionali confutandone la validità sia nell’agire contro di essi, sia nel dichiararne ingannevolmente il rispetto. Era una re-sponsabilità storica drammatica, che si scontrava con una politica secolare di tutela della «tranquillità» europea e con il «general welfare»; era una colpa che il Mustoxidi, da parte sua, avrebbe denunciato nell’opuscolo concluso qualche momento dopo, dove l’argomentazione sfociava in presagi minacciosi:

  • 34 Exposé, cit., pp. 72-73.

Un nouveau successeur fait oublier les crimes des rois : les crimes des nations ne s’effacent jamais du souvenir des peuples trahis et outragés. […] Ils [les parganiotes] n’ont plus d’autre richesse que la gloire de leurs actions, la commisération de leurs impuissans compatriotes. Puissent-ils, en regardant les os sacrés qu’ils emportent avec eux, entendre une voix secrète qui leur crie au nom de leurs pères : Exoriare aliquis nostris ex ossibus ultor34.

  • 35 B. Croce, Il libro inglese del Foscolo, cit., p. 31.

26Non solo l’articolo On Parga doveva essere sottoposto, perciò, agli adattamenti del caso, come del resto avvenne nel passaggio dalle bozze alla composizione tipografica definitiva, ma il libro che a quel nodo delicatissimo era consacrato per intero non poteva certo vedere pacificamente la luce proprio nel paese in cui l’esegesi storica di un’opera capitale del Cinquecento italiano aveva spianato la strada a una riflessione attenta, resasi urgente dopo la fine del regime napoleonico, sulla politica delle nazioni e sul sistema del bilanciamento continentale delle potenze in competizione. Accanto ai timori fondati di una ritorsione politica che l’avrebbe minacciato di espulsione dal regno, alle inquietudini per il soffocamento delle rivoluzioni europee promosso dalla Santa Alleanza nella penisola italiana o — come ha avvertito per tempo il Croce35 — all’impossibilità di fare presagire, mediante le pagine problematiche del Narrative, un messaggio politico efficace per la causa dei pargioti, altro ancora poteva gravare sui destini editoriali del libro.

27Ostava non soltanto la difesa nazionalistica di una politica whig accusata di avere concorso a produrre, consapevolmente o suo malgrado, la schiavitù dei pargioti e l’isolamento dell’Inghilterra paventato dal Mustoxidi alla vigilia della rivoluzione ellenica del 1821, ma, a ben altro livello, l’accusa che il Foscolo si trovava a muovere, la quale investiva i piani alti di un edificio speculativo attorno a cui, dal suo punto di vista, erano cresciute e sarebbero potute di nuovo fondarsi, dopo la lunga supremazia napoleonica dilagata nel perimetro del continente, la politica degli stati e le relazioni internazionali, tra balance of power e diritti delle genti «funestamente così rimutati», invece, dalla politica aggressiva della corona britannica e dal sostanziale disprezzo riservato alle sorti dei pargioti inermi. Mentre al Mustoxidi, che valutò in modo negativo la condotta foscoliana sulla questione di Parga, premeva la sorte della sua Grecia, quella di Erodoto magistralmente da lui studiata e quella dei canti popolari moderni che egli progettava di raccogliere, Foscolo, da osservatore europeo, non poteva che guardare più lontano, cercando nel disegno della storia continentale gli insegnamenti conformi all’esercizio di una riflessione politica matura, meno per fornire risposta alle crisi del momento che per interrogarsi, dinanzi al succedersi effimero dei regimi, sulle violenze replicate di cui ancora cadevano vittime i popoli.

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Notes

1 B. Croce, Il libro inglese del Foscolo sulla cessione di Parga alla Turchia, «Quaderni della “Critica”», fasc. 13, 1949, pp. 20-32; cfr. inoltre E. R. Vincent, Ugo Foscolo esule fra gli Inglesi, Firenze, Le Monnier, 1954, pp. 98-108, ma un riepilogo efficace del dibattito intorno agli scritti su Parga si legge in M. Scotti, Foscoliana, Modena, Mucchi, 1997, pp. 279-282.

2 EN XIII/1, pp. 65-102.

3 Sul Mustoxidi (1785-1860) cfr. di recente la sintesi, peraltro lacunosa, di A. Rinaldin, Andrea Mustoxidi, in Dizionario biografico degli Italiani, vol. LXXVII, Roma, Istituto della Enciclopedia italiana, 2012, p. 575 [con rinvio a www.treccani.it, ad vocem]. Si leggano, in caso, almeno i seguenti contributi della medesima studiosa, tra i molti di qualità varia da lei consacrati al Mustoxidi: K. Zanou, Andrea Mustoxidi: nostalgie, poésie populaire et philhellénisme, «Revue germanique internationale», I, 2005, pp. 143-154; Ead., Storia di un archivio: le Carte Mustoxidi a Corfù (con due lettere inedite di Manzoni e Foscolo), «Giornale storico della letteratura italiana», CLXXXIII, 2006, pp. 556-576; Ead., Expatriate Intellectuals and National Identity. Andrea Mustoxidi in Italy, France and Switzerland (1802–1829), tesi di dottorato di ricerca, ciclo XVIII, Pisa, Università degli Studi, 2007; cfr. soprattutto, invece, A. Romano, Vincenzo Monti e Andrea Mustoxidi (con tre lettere inedite di Monti e una di Costanza Monti Perticari a Mustoxidi), in C. Griggio e R. Rabboni (a cura di), Lo studio, i libri e le dolcezze domestiche. In memoria di Clemente Mazzotta, Verona, Fiorini, 2010, pp. 359-397 (con ampia ed esauriente bibliografia). Circa l’opuscolo si rinvia a F. Venturi, Due francesi in Italia fra Sette e Ottocento, in Tra latino e volgare. Per Carlo Dionisotti, vol. II, Padova, Antenore, 1974, p. 732 specialmente, e alla scheda di F. Guida in C. Spetsieri Beschi ed E. Lucarelli (a cura di), Risorgimento greco e filellenismo italiano. Lotte, cultura, arte, Roma, Edizioni del Sole, 1986, p. 221.

4 Ep. IX, p. 360, no 2913.

5 «When Sir Charles Monck opened that furious battery in the House of Commons, which had been charged and pointed for him by a foreigner resident in London, or, as it is more delicately expressed below, by “a person who was not a British subject”, the name of Parga vibrated for the first time perhaps on the ears of the greater part of the members of that august assembly» («The Quarterly Review», XXIII, maggio-luglio 1820, p. 112).

6 Per tutta la vicenda pargiota si rinvia a É. Driault e M. Lhéritier, Histoire diplomatique de la Grèce de 1821 à nos jours, t. I, Paris, PUF, 1925, pp. 59-79 in specie. Un quadro generale è in A. Vacalopulos, Histoire de la Grèce moderne, Roanne, Horvath, 1975, pp. 98-119.

7 EN XIII/1, p. 96.

8 Ep. VIII, p. 78, no 2418 («Je me suis strictement, froidement, stoïquement contenu entre les limites de la narration»).

9 Livorno, Biblioteca Labronica, ms. Labr. XXXIII sez. F, VI, cc. 281v-282r; in apparato si registrano due irregolarità grafico-linguistiche presenti nel testimone.

10 EN XIII/1, p. 99. Circa questo articolo e alcune altre questioni testuali che esso solleva si rinvia a P. Borsa, Per l’edizione del Foscolo «inglese», in A. Cadioli e P. Chiesa (a cura di), Prassi ecdotiche. Esperienze editoriali su testi manoscritti e testi a stampa, Milano, Cisalpino, 2008, pp. 328-332 in particolare.

11 Exposé des faits qui ont accompagné et suivi la cession de Parga, ouvrage écrit originairement en grec par un parganiote et traduit en français par un de ses compatriotes, Paris, Brissot-Thivars et Corréard, 1820, pp. 27-31.

12 Viene ricordato un incontro del Mustoxidi con il Capodistria già nel 1814, a Zurigo: cfr. A. Romano, Vincenzo Monti e Andrea Mustoxidi, cit., p. 363, n. 11.

13 Exposé, cit., pp. 31-33.

14 Ivi, pp. 27-28.

15 Ivi, p. 28.

16 Ibid.

17 EN XIII/1, p. 94: «the consequence of our tardy disavowal of it was, not to replace things in statu quo, as ought to have been done upon the most rigorous application of the rules of diplomacy—but to make over to their bitterest enemy, as a property or conquest».

18 B. Croce, Il libro inglese del Foscolo, cit., p. 30.

19 U. Foscolo, Sull’origine e i limiti della giustizia, prefazione di C. Galli, introduzione di S. Gentili e C. Piola Caselli, Roma, Edizioni di Storia e Letteratura, 2012, pp. 65-66. Sulla problematica che implicano queste parole del Foscolo si veda C. Del Vento, Il democratismo di Ugo Foscolo: alcune considerazioni intorno a un consolidato giudizio critico e storiografico, in M. Santagata e A. Stussi (a cura di), Studi per Umberto Carpi. Un saluto da allievi e colleghi pisani, Pisa, ETS, 2000, pp. 369-374 soprattutto; E. Neppi, Foscolo e la Rivoluzione francese. Momenti e figure del pensiero politico foscoliano, in C. Del Vento e X. Tabet (a cura di), Les écrivains italiens des Lumières et la Révolution française, «Laboratoire italien», IX, 2009, pp. 182-189 in specie, mentre per il testo critico dell’operetta si rimanda a D. Tongiorgi, «Nelle grinfie della storia». Letteratura e letterati fra Sette e Ottocento, Pisa, ETS, 2003, pp. 137-145. Altre valutazioni sono in R. Giulio, Sotto il segno di Athena. L’Ellade eroica tra mito e storia nella letteratura italiana, Salerno, Edisud, 2008, pp. 197-270, dove ci pare tuttavia che, equivocando (in specie se valutata a dovere l’orazione Sull’origine e i limiti della giustizia), il diritto delle genti nel pensiero foscoliano venga inteso, prima di qualunque sua trasformazione in diritto internazionale da parte delle potenze, come una somma di garanzie «naturali», astratte e immutabili, di cui i popoli possano giovarsi sempre e dovunque.

20 U. Foscolo, Sull’origine e i limiti della giustizia, cit., p. 66; la breve citazione precedente è da p. 58.

21 EN XIII/1, pp. 93-94.

22 Ivi, pp. 290-291.

23 Ivi, p. 294.

24 Ivi, p. 65; U. Foscolo, Lettera apologetica, a cura di G. Nicoletti, Torino, Einaudi, 1978, pp. 122-123 (corsivi nostri).

25 EN XIII/2, pp. 3 e 44-45 (corsivo nostro).

26 EN XIII/1, p. 176.

27 P. Borsa, Guicciardini, Bolingbroke, Foscolo, in C. Berra e A. M. Cabrini (a cura di), La «Storia d’Italia» di Guicciardini e la sua fortuna, Milano, Cisalpino, 2012, pp. 481-511.

28 EN XI/1, pp. 241-242.

29 Lettere di lord Bolingbroke su la storia, t. I, Milano, Tipografia Milanese, anno IX, p. 40.

30 Ivi, p. 59.

31 Ivi, pp. 224-226.

32 Ivi, pp. 269-270.

33 U. Foscolo, Antiquarj e Critici. On the Antiquarians and Critics, edizione critica bilingue a cura di P. Borsa, Milano, Ledizioni, 2012, p. 36.

34 Exposé, cit., pp. 72-73.

35 B. Croce, Il libro inglese del Foscolo, cit., p. 31.

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Pour citer cet article

Référence papier

Angelo Colombo, « «Le langage d’un homme qui aurait désiré plus de liberté pour son pays»: Foscolo, Mustoxidi e gli esuli pargioti »Cahiers d’études italiennes, 20 | 2015, 201-215.

Référence électronique

Angelo Colombo, « «Le langage d’un homme qui aurait désiré plus de liberté pour son pays»: Foscolo, Mustoxidi e gli esuli pargioti »Cahiers d’études italiennes [En ligne], 20 | 2015, mis en ligne le 01 janvier 2017, consulté le 16 janvier 2025. URL : http://0-journals-openedition-org.catalogue.libraries.london.ac.uk/cei/2532 ; DOI : https://0-doi-org.catalogue.libraries.london.ac.uk/10.4000/cei.2532

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Angelo Colombo

Université de Franche-Comté

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