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Foscolo e Sterne

Da Sterne alla critica dei romanzi inglesi nell’Epistolario di Foscolo1

From Sterne to the Critique of English Novels in Foscolo’s Epistolario
De Sterne à la critique des romans anglais dans l’Epistolario de Foscolo
Sandra Parmegiani
p. 119-133

Résumés

La première partie de l’article porte sur la relation entre Foscolo et Sterne et se concentre sur les premières traces de la prose de Sterne dans l’Epistolario et leur disparition dans les ouvrages qui précèdent et dans ceux qui suivent sa fuite de l’Italie. Dans la deuxième partie est analysée une série de lettres écrites pendant le séjour en Angleterre, dans lesquelles Foscolo donne une évaluation très critique du roman anglais contemporain et de ses écrivains les plus célèbres. Foscolo semble s’apercevoir de l’écart grandissant entre ses propres principes esthétiques et les nouveaux goûts du public et s’interroge sur les chances de survie de son œuvre.

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Texte intégral

  • 1 Il presente saggio rappresenta una sintesi, con variazioni e aggiunte, dell’analisi del rapporto tr (...)
  • 2 M. Fubini, Ortis e Didimo, Milano, Feltrinelli, 1963, p. 182.
  • 3 Il rapporto Foscolo-Sterne è stato ampio oggetto di studio sin dai primi decenni del Novecento. Tra (...)

1È ormai un fatto appurato che la prosa sterniana e, figlia sua, quella didimea, percorrono innumerevoli pagine degli scritti di Foscolo — e non solo del Foscolo prosatore — tendendo ad «accogliere e contemperare in sé i vari e opposti motivi del suo sentire»2. Siamo di fronte a uno scrittore in cui il confine tra la prosa epistolare e la prosa d’arte è notoriamente labile e per tale motivo uno studio dei modi e dei tempi del privatissimo colloquio con Sterne mostra come la prosa sterniana costituisca un terreno sul quale Foscolo attua il principio di una feconda appropriazione di atmosfere narrative, di motivi e temi letterari. Ciò è confermato dal fatto che nell’Epistolario ci si imbatte spesso in ‘innesti stilistici’ e tematici, e in un vero e proprio dialogo privato che svela, in differenti fasi e con modalità specifiche, la gravitazione dello scrittore nell’universo letterario sterniano3.

  • 4 Cfr. O. Santovetti, The Sentimental, cit., p. 196; L. Sterne, Nouveau voyage de Sterne en France su (...)
  • 5 A. Fortis, Lettres, ec. Lettere di Elisa a Yorick e di Yorick a Elisa, tradotte dall’Inglese. Edizi (...)
  • 6 Ep. I, p. 32. Lettera 17, ad Angelo Gaetano Vianelli, Padova, 31 luglio 1796. Per la traduzione del (...)

2L’incontro del Foscolo con Sterne risale con tutta probabilità agli anni veneziani. Non abbiamo testimonianze dirette delle letture sterniane durante il soggiorno veneziano, ma la frequentazione del salotto di Giustina Renier Michiel in cui si coltivavano le letture inglesi, l’educazione impartita al giovane Ugo dal Dalmistro (traduttore dall’inglese) e la stampa di traduzioni francesi dello Sterne in città rendevano questo autore accessibile al giovane Foscolo. Un Nouveau voyage de Sterne en France suivi de l’Histoire de Le Fever, che riproduceva estratti dei libri VII e IX del Tristram Shandy era stato infatti stampato a Venezia da Antonio Curti nel 1788 (e contiene proprio i primi episodi di narrativa sterniana con cui si cimenta Foscolo traduttore), mentre una traduzione del Voyage sentimental ad opera del Frénais era uscita sempre a Venezia un anno prima dalla stamperia Formaleoni4. A Venezia inoltre compare nel 1787 sul «Nuovo giornale enciclopedico» a firma di Alberto Fortis la recensione alle Lettere d’Eliza a Yorick e di Yorick a Eliza (edite a Lausanne nel 1784 e in una nuova edizione nel 1786), una delle più articolate e definitive difese del genere sentimentale stampate su un periodico del Settecento5. L’Epistolario registra, nel luglio del 1796, anche una lettera del Foscolo ad Angelo Gaetano Vianelli, che nel 1792 aveva tradotto (probabilmente dal francese) le Lettere di Yorick a Elisa e di Elisa a Yorick. Il tono è amichevole, e denota una conoscenza più che superficiale; non è da escludere che Foscolo avesse letto la traduzione del Vianelli, anche se non ci rimane alcuna testimonianza in merito6.

  • 7 M. Fubini, Ortis e Didimo, cit., p. 166.

3I primi echi e influssi della prosa sterniana nell’Epistolario precedono di qualche anno la prima traduzione del Viaggio sentimentale del 1805-1807 e risalgono agli anni in cui Foscolo è alle prese con la stesura dell’Ortis nella versione riveduta e corretta del 1802, si cimenta con il romanzo autobiografico del Sesto tomo dell’Io ed è travolto dalla passione per Antonietta Fagnani Arese. A quell’epoca Didimo non ha ancora preso forma compiuta nel suo orizzonte narrativo, ma la voce sterniana-didimea già fa capolino tra le pieghe della dimensione privata della scrittura foscoliana. Se Didimo è, come aveva notato Fubini, «l’anti-Ortis, o per meglio dire l’Ortis sopravvissuto»7, quest’Ortis sopravvissuto aveva bisogno, sin dal suo nascere, proprio della visione sterniana per accogliere la realtà senza venirne travolto, giungendo a un più maturo e distaccato compromesso con essa. Il fatto che già a quest’epoca Foscolo assuma anche nell’Epistolario, se pur saltuariamente, quello sguardo distaccato e talora auto-ironico che sarà caratteristico dell’influsso sterniano, è dato da tenere a mente e su cui riflettere, per considerare come Didimo sia fratello di Ortis ben prima dell’assunzione di una voce autonoma complementare — laddove non in aperta opposizione — a quella dell’intransigente e votato alla morte Jacopo Ortis. Che quella voce didimea non riesca a concretizzarsi a quest’epoca se non in forma frammentaria nell’ufficialità del romanzo autobiografico, ma che invece informi di sé la prosa epistolare, dimostra una volta di più come questa fornisse a Foscolo quella quasi assoluta libertà di sperimentazione che ne farà veicolo di espressione essenziale e privilegiato durante tutto il corso della sua vita.

4La prima lettera di gusto tipicamente sterniano s’incontra nell’estate del 1801. Foscolo la scrive da Milano a una donna che rimane a tutt’oggi senza nome e il Carli, editore del primo volume dell’Epistolario, parla per questo scritto di un «umorismo fra amaro e sorridente»:

  • 8 Ep. I, pp. 105-106. Lett. 69, A *** [Milano estate 1801?]. Il commento di Plinio Carli si trova in (...)

Io voglio scommettere cento contr’uno che voi vi siete dimenticata della magra e malinconica persona del povero Foscolo; e che saran almen venti giorni che non vi è venuto su que’ be’ labbruzzi il mio nome. Dite davvero: voi non sapete se io sia vivo o morto: eppure quel che non ha potuto farmi un anno addietro la fame di Genova, me lo ha quasi fatto questo paese di letame dove o conviene morire o al più vegetare. Insomma sono stato malato, e malato gravemente; e non credo di essere guarito se non per bevere ancora più amaramente nel calice della vita, di cui veramente sono stanco; — ma da parte la malinconia: che fate voi?8

  • 9 Ibid.
  • 10 «In somma buona notte. Io vi mando un bacio, un solo bacio; e voi permettetemi di andarmene a letto (...)

5Il vizio di «non obbedire che al cuore»9, un bacio della buona notte rigorosamente solo immaginato ma non poi così casto e il pascersi «delle care illusioni», sono ulteriori elementi che mantengono la narrazione in un sapiente equilibrio tra disillusione e lievità, tra amara riflessione e autoironico compiacimento10.

  • 11 L. Alcini, Il tradurre, cit., p. 28.

6In realtà quella «magra e malinconica persona del povero Foscolo» che saluta il lettore ad apertura di pagina è espressione donchisciottesca e sterniana allo stesso tempo, e ricorrerà con grande frequenza nell’Epistolario. È estremamente significativo che questa doppia influenza si riveli così presto nella prosa epistolare, poiché è sul duplice binario dell’umorismo sterniano e cervantiano che si gioca l’autorappresentazione foscoliana nell’episto-lario fino alla fine degli anni inglesi. La critica ha sottolineato come il riso foscoliano nasca dalla malinconia, è un riso che ha una piega amara e che non scalda il cuore, anzi, rivela a esso le voragini su cui la vita si apre. Come tale, è anche un’imperiosa invocazione al conforto delle illusioni e in questo senso ha visto bene Laura Alcini, che nel suo studio su Il tradurre e i traduttori parla dell’«incapacità tutta romantica di Foscolo di sentire a pieno la leggerezza dell’ironia sterniana e ciò che ad essa conseguiva», e individua una vera e propria «scissione tra l’aspirazione a sorridere e l’incapacità di farlo»11.

  • 12 Ep. I, p. 220 (lett. 158).
  • 13 Ep. I, p. 295 (lett. 210).

7Ciò emerge chiaramente anche in una lettera inviata ad Antonietta Fagnani Arese nei primissimi anni dell’Ottocento. Qui Foscolo ritrae se stesso in viaggio verso Bergamo. «La mia vita è un continuo romanzo», afferma ad apertura di lettera, in risposta allo scherzoso epiteto di «romanzetto ambulante»12 che Antonietta gli aveva affibbiato. Ma Foscolo le fa subito capire di quale romanzo stia parlando: «Ho fatto appena trenta miglia, e […] ho veduto cose da piangere come un fanciullo»13. La figura dell’amata si dissolve sino a farsi mero pretesto narrativo per un quadretto di tipo sentimentale, che vede Foscolo assumere per un breve tratto i panni di un novello Yorick alle prese con un’avventura dello spirito:

  • 14 Ivi, pp. 296-297.

Da un libraio ho veduto un vecchio venerabile di ottanta anni, e più… Egli è Greco del paese di mia Madre. Visse gran tempo viaggiando, si stancò del mondo, e si fece monaco a Vallombrosa in Toscana. Studiò cinquant’anni il greco e l’ebreo… Egli è dottissimo: sa tutte le lingue moderne; ed è autore di un libro ch’io da gran tempo conosceva: affaticò trent’anni per compirlo… Ma questo libro fu appunto la sua rovina. Aveva in una annotazione lodato il Sinodo di Pistoia e le riforme di Leopoldo. Al tempo de’ Tedeschi e degli insorgenti in Toscana fu per queste poche righe imprigionato. Così vecchio fu strascinato in abito monacale di prigione in prigione per tutta Toscana e Lombardia. Dopo la battaglia di Marengo si trovò nelle carceri di Bergamo. Uscì nudo, infermo, affamato. Da qualche tempo egli è qui, vivendo… sa il Cielo! a spese dell’aria, e agonizzando in una lunga morte. Conosco il nome della sua famiglia, e molto più il merito del suo libro. Nelle sue sventure l’ho trovato fermo ed intrepido.… Studiate, — mi disse, — io ho sofferto assai sventure e terribili passioni nella vita, e non ho a lodarmi né del Cielo né degli uomini. Ma pure talvolta vorrei rinascere per poter studiare… E lo studio solo mi consola in questo stato… Egli tacque per non dovere arrossire della sua indigenza. Eterno Iddio!14

  • 15 L. Sterne, A Sentimental Journey through France and Italy and Continuation of the Bramine’s Journal (...)

8La dignità e la compostezza del protagonista di fronte alle avversità della vita fanno riandare con la mente alla figura del Pâtissier del Sentimental Journey. Questo personaggio sterniano è un ufficiale dell’esercito francese insignito della croce di San Luigi al valor militare, che gli brilla sul petto, ma ridotto dall’indigenza a vendere pasticcini fuori dai cancelli del palazzo reale. «Such a reverse in man’s life awakens a better principle than curiosity» — osserva Yorick — che chiede al militare di raccontargli la storia di tanta sventura. Veniamo così a sapere che, riformato il suo reggimento e privato, come molti altri soldati, di ogni mezzo di sussistenza, l’ufficiale si era ritrovato: «[…] in a wide world without friends, without a livre—and indeed, said he, without any thing but this (pointing, as he said it, to his croix)—». E Yorick commenta: «The poor chevalier won my pity, and he finish’d the scene, with winning my esteem too»15.

9Sterne è sempre in grado di chiudere i suoi episodi sentimentali con una lievità ineffabile che legittima e informa il suo umorismo. E infatti al Pâtissier nove mesi dopo l’incontro con Yorick viene assegnato dal re un vitalizio che lo solleva dall’indigenza. Foscolo invece lascia aperta la narrazione su una nota dolorosa irrisolta e — sembra — irrisolvibile.

  • 16 C. Varese, Foscolo: sternismo, cit., p. 45.
  • 17 Ep. IV, p. 389 (lett. 1385, a Sigismondo Trechi, 11 ottobre 1813).
  • 18 Ivi, p. 437 (lett. 1412, a Giambattista Giovio, [Milano], 2 dicembre 1813).
  • 19 Ep. VI, p. 187 (lett. 1799, a Quirina Mocenni Magiotti, [Hottingen], 30 dicembre 1815).

10Questo breve quadretto di genere sentimentale è un segno di come la lezione sterniana inizi a venire interiorizzata da Foscolo già negli anni a ridosso dell’Ortis. Ed è da questo progressivo stemperamento della nota tragica nel sentimentale, che media l’impatto del reale sull’individuo, che prende corpo lo sguardo didimeo sul mondo. In questa operazione Foscolo non si pone però tanto come interprete del sentimentale sterniano bensì come personaggio di quell’orizzonte. Si tratta di un fattore importantissimo perché solo finché gli sarà possibile interiorizzare la lezione sterniana in questo senso, essa rimarrà — come ha indicato Claudio Varese — «un lievito e uno stimolo, una continua apertura psicologica»16. Sono numerose le lettere che testimoniano questi prolifici innesti del sentimentale sulla prosa epistolare del Foscolo e se, finora, la critica foscoliana si è occupata con assiduità delle presenze sterniane nell’Epistolario, credo sia altrettanto importante, proprio per la valenza epistemologica dell’assunto sterniano, interpretarne anche l’assenza. Tale assenza si percepisce con chiarezza una prima volta tra la fine del 1813 e il 1815, durante un periodo tumultuoso segnato dalla sconfitta di Napoleone a Lipsia, il rientro di Foscolo dalla Toscana a Milano, i drammatici eventi che portano all’annessione della Lombardia all’Austria nel giugno del 1814 e in cui si determina il suo futuro destino di esule. La ragione di tale assenza è dettata da un impatto con la realtà storica che costituisce una radicale frattura con il passato e in cui si registra la sempre più accentuata difficoltà da parte di Foscolo ad alimentare l’illusione di un futuro politico e culturale in cui collocare le sue aspirazioni. È in questa fase che, in una ri-gerarchizzazione dei referenti identitari foscoliani, emerge con forza l’alter ego donchisciottesco. Al sentore di una sua incerta collocazione nell’orizzonte politico italiano fa eco l’inquietante perplessità della sua collocazione letteraria: «[…] non sono più omai nè Ugo, nè Ortis, nè Didimo chierico: la parte spirituale di queste tre buone persone è svaporata, ed è solamente rimasto il caput mortuum (come dicono gli alchimisti) che ora costituisce il mio indifferentissimo Io»17. Il donchisciottesco amor di patria si esprime allora proprio in questa consapevolezza di una progressiva divaricazione tra realtà ideale e realtà effettuale, tra legittime aspirazioni e ostinata utopia, e non è un caso che rientrato a Milano e ripreso l’abito militare Foscolo confidi al conte Giovio che «l’Italia e l’onore m’hanno Don-Chisciottescamente fatto accettare il servizio militare offertomi il dì stesso ch’io tornai di Toscana»18. Con il rientro a Milano si apre un periodo tumultuoso, politicamente difficilissimo: sono gli anni del crollo delle speranze politiche, della scelta dell’esilio e delle peregrinazioni svizzere in cui il rapido succedersi degli eventi e lo strappo travagliato e drammatico dell’abbandono definitivo dell’Italia non concedono a Foscolo lunghe soste né tranquillità di mente e di cuore. Dalla fine di ottobre del 1815 Foscolo conduce vita ritirata a Hottingen, da dove lavora ai Vestigi della storia del sonetto italiano, ripensa l’Ortis, inizia a inviare i suoi libri a Londra («se mai dovessi andare in quel paese»)19 e progetta di recarsi, alla fine dell’inverno, a Zante. È proprio nel dicembre di quell’anno che si apre un’ultima fase sterniana nell’Epistolario, come testimoniano le lettere ai suoi corrispondenti, tra cui spicca Quirina Mocenni Magiotti, interlocutrice privilegiata — a tratti quasi esclusiva — nella corrispondenza di questo periodo.

  • 20 M. Fubini, Ortis e Didimo, cit., pp. 238-239.

11Se le aggiunte all’Ortis zurighese indicano la presenza di Didimo, con cui questo «Ortis rinnovato scambia per poco la maschera […] assumendone il carattere e lo stile»20, va sottolineato che nell’Epistolario di questo periodo ci si imbatte non solo in un alter ego didimeo, ma sono frequenti anche i richiami agli altri due referenti letterari — Yorick e Don Chisciotte — che quella maschera didimea da lungo tempo avevano contribuito a forgiare, a riprova del profondo e radicale processo di rielaborazione della propria collocazione artistica e individuale innescato all’alba della nuova Restaurazione Europea.

12Un’indicazione di estremo rilievo in questo senso viene da una lettera a Quirina Mocenni Magiotti del 20 gennaio 1816, in cui Foscolo promette all’amica di narrarle nella corrispondenza futura la storia della sua vita:

  • 21 Ep. VI, p. 224 (lett. 1823, a Quirina Mocenni Magiotti, Hottingen 20 genn[aio] 1816).

Della mia odissea ti narrerò ogni cosa per lettere, e mi conoscerai sino nell’utero materno; ma non per filo e per segno; bensì or una parte or un’altra della mia vita; notando esatto l’epoche, ma non seguendole ordinatamente; sì perché scrivo non quando me lo propongo, bensì quando e come posso, e pigliandomi di grazia ciò che la mia memoria mi manda alla penna21.

  • 22 Ivi, p. 254. Il capitolo del Viaggio sentimentale cui Foscolo si riferisce è il LVIII, intitolato F (...)
  • 23 Per quanto riguarda il discorso sull’auto-rappresentazione e confessione foscoliana, e sulla necess (...)

13Quale altra storia di una vita è raccontata sin dal momento del concepimento nell’utero materno? Nel panorama narrativo settecentesco il referente imprescindibile è The Life and Opinions of Tristram Shandy, Gentleman, personaggio di cui Sterne traccia l’origine «ab ovo». Va detto che non c’è alcun intento umoristico o auto-ironico nelle parole del Foscolo, laddove l’episodio del concepimento di Tristram con cui si apre il romanzo di Sterne è una delle pagine più esilaranti della narrativa settecentesca. L’andamento della narrazione prefigurata da Foscolo suggerisce invece un ritmo ‘shandeanamente’ sinuoso, improntato a quell’associazionismo delle idee così caro a Sterne — che lo deriva da Locke — e di cui pure Foscolo fa largo uso nella corrispondenza privata. Purtroppo l’esposizione della sua vita a Quirina Mocenni Magiotti non vedrà mai la luce, nonostante le insistenze dell’amica e le scuse di Foscolo, che paragona alquanto appropriatamente la sua corrispondenza di quei mesi al «doloroso preambolo del vecchio gentiluomo di Didimo: sai che e’ stava per narrare appuntino la storia della sua lunga vita, e il notaro aveva già tinta e ritinta la penna; poi non se ne seppe più nulla»22. L’osservazione sembra suggerire la volontà di non dar seguito a quella promessa, forse per un pentimento repentino o per l’insormontabile difficoltà di portare a termine un progetto così scopertamente autobiografico. Foscolo infatti rivela molto di sé nella corrispondenza privata, ma nella sua narrazione autodiegetica è anche altrettanto attento a celare e a celarsi, e infatti ciò che l’Epistolario non fornisce mai è proprio un racconto autobiografico. Qui passioni e ideali sono descritti fin nei minimi dettagli, i sentimenti studiati e analizzati e i doppi letterari gli vengono in aiuto nella difficile operazione di svelare i moti e le contraddizioni del suo animo, ma non ci si imbatte mai in un racconto sistematico anche solo di una fase della sua vita. I pochi sunti che Foscolo presenta dei suoi casi recenti o passati sono quasi sempre legati a un’apologia del suo operato e delle sue idee, un atteggiamento che troverà la sua materializzazione più alta e «ufficiale» nella Lettera apologetica. Quello presentato a Quirina era quindi un progetto troppo lontano dalla sua naturale predisposizione al racconto allusivo e filosofico-moraleggiante nella prosa epistolare e, dopo il primo disegno, Foscolo non riuscirà a portarlo neppure a un parziale compimento23.

  • 24 In questi primissimi anni inglesi la meditazione sulla pazzia, sul sottile limite che la divide da (...)
  • 25 Ep. VII, p. 53 (lett. 2057, a Giuseppe Binda, Londra, 28 ottobre 1816).

14Dopo questo breve ma intenso riaffiorare dello sternismo nella prosa epistolare si assiste invece a una sua quasi totale scomparsa nell’Epistolario degli anni inglesi. Se dopo aver lasciato Firenze Foscolo poteva ironizzare, seppur con amarezza, sul suo donchisciottesco amore di patria, sull’Italia quale immagine di un’ideale e irraggiungibile Dulcinea, e sul suo andare ramingo in cerca di patriottiche avventure, ora a Londra è costretto a guardarsi quale personaggio donchisciottesco che da quelle avventurose premesse ha tratto le più rigorose conseguenze24. L’Italia è ormai un miraggio lontano, sulla cui riconquista Foscolo, come scrive a Giuseppe Binda, non nutre illusioni25. Tale riconquista significherebbe, in termini pratici, un contributo fattivo alla libertà italiana, ma anche un acquisto di gloria e onori quali riconoscimenti del suo ruolo di scrittore e di patriota, che appagherebbero il suo spirito profetico, lo aiuterebbero a ricomporre la propria l’immagine interiore e infonderebbero legittimità e sostegno alla sua parola poetica. Foscolo sa invece che dalla sua scelta di esilio non c’è ritorno. È una realtà che capisce ben presto, e che forse conosceva già prima di mettere piede in Inghilterra. I molti progetti di rientro in Italia, come le speranze più volte nutrite di recarsi in Grecia, dileguano sotto il peso di difficoltà di ordine pratico, ma soprattutto per l’indecisione personale e per una volontà di rimanere fedele al suo ruolo di fuoriuscito che, se non lo appaga, almeno lo definisce in quel momento come uomo e come artista. Ci sono innumerevoli testimonianze di ciò nell’Epistolario degli anni inglesi, ma quello che interessa in questa sede è vedere come la riflessione foscoliana su se stesso si pieghi ora — per necessità più che per elezione — a un doloroso pragmatismo in lotta contro l’inutilità e la fatale assurdità del vivere. La voce di Didimo è quasi spenta e non rimane che una pallida traccia della fede del buon parroco irlandese in un’indulgenza che è soprattutto auto-indulgenza e nella ricomposizione di ogni scontro tra la nobiltà delle illusioni e il nobile limite del vivere individuale.

  • 26 La sola lettera a noi pervenuta in cui Foscolo accenna alla nuova traduzione del Sentimental Journe (...)

15Alla disillusione politica, che nella prosa delle lettere porta alla progressiva costruzione dell’alter ego donchisciottesco, si aggiunge durante il periodo inglese anche una dimensione socio-culturale che ha profondi riflessi psicologici. Il delicato equilibrio costituito dall’assunzione di un orizzonte di senso altrui — quello sterniano — divenuto a tratti per Foscolo quasi una seconda natura nutrita d’immagini, di atmosfere, di un incedere del sentimento e di corrispondenze istituite per elezione e per intime necessità, non può che infrangersi sugli scogli della conoscenza ravvicinata di quel mondo, un tempo contemplato a distanza e da quella distanza alimentato. Con il trasferimento in Inghilterra gli echi e le riprese sterniane da parte di Foscolo non scompaiono del tutto, ma mutano natura, acquistando ufficialità in un atto di scoperto omaggio, di cui sono testimonianza le Lettere dall’Inghilterra e l’edizione 1817 dell’Ortis. Il rapporto con Sterne viene, per così dire, confinato a un discorso creativo «di mestiere» e non è più l’oggetto di una fascinazione personale che alimenta l’immaginario privato dello scrittore. Il confronto diretto con la realtà inglese ricolloca di necessità Sterne in un ben preciso orizzonte sociale, etico e letterario e della triade di alter ego foscoliani costituita da Ortis, Didimo / Sterne e Don Chisciotte, alla fine solo quest’ultimo rispecchia con persuasione l’io foscoliano nella dimensione privata delle lettere. Ne è sintomo, anche se non prova irrefutabile, una lettera che nel marzo del 1821 l’amica Jane Harley scrive — tra sorpresa e allarmata — da Milano al Foscolo: «Mi dice la mia zia, quella “Dandi-dama,” che avete preso in avversione i romanzi sentimentali. Per carità ditemi donde nasce questa novità». Non si sa in quali circostanze Foscolo avesse manifestato tale avversione e purtroppo non ci è pervenuta (se mai ci fu) la risposta dello scrittore alla domanda di Miss Harley. Sembra però lecito affermare che dietro allo stupore delle due nobildonne inglesi ci fosse un definitivo cambiamento di rotta da parte di Foscolo rispetto al genere sentimentale e al più frequentato tra i modelli da imitare nella vita e nell’arte, verso il quale, con la recentemente progettata (e mai portata a compimento) riedizione del Sentimental Journey lo scrittore aveva proprio allora cercato di riscattare un ventennale debito di amicizia26.

  • 27 Scritto nel 1796 da un Foscolo appena diciottenne, il Piano di Studj sembra accompagnasse una lette (...)
  • 28 Ep. I, p. 23 (lett. 11, di Giuseppe Greatti, Padova, 13 febbraio 1796). Greatti, uno dei discepoli (...)

16In Inghilterra si apre per Foscolo la grande stagione della produzione giornalistica e critica che lo porta anche a una nuova intensa frequentazione della letteratura inglese. Va comunque ricordato che questa occupa uno spazio decisamente secondario rispetto alla mole della riflessione critica sugli autori italiani, e che non viene mai elaborata in forme organicamente strutturate, come Foscolo stesso aveva più volte auspicato. L’Epistolario anche in questo caso si rivela un terreno ricco d’informazioni e al di là del rapporto formativo e privilegiato con Sterne esso testimonia sin dagli anni giovanili l’interesse precoce e costante del Foscolo per gli autori inglesi. Già nel Piano di Studj27 questi rappresentano circa il 20% degli autori elencati sotto la voce ‘poesia’ (la quale racchiude in due sotto-categorie anche i romanzieri); si tratta di una percentuale molto alta, se consideriamo il fatto che per la redazione del Piano Foscolo attinge liberamente anche agli amatissimi classici e a poeti e narratori della tradizione italiana e straniera. Vi troviamo citati Milton, Gray, Akenside, Thomson, Waller, Pope, Shakespeare, Swift, Young, Richardson. Non stupisce quindi che proprio in quello stesso anno l’abate Giuseppe Greatti scrivesse al Foscolo rimproverandogli l’eccessivo amore per «cotesti vostri inglesi»28.

  • 29 Ivi, p. 367 (lett. 250 [ad Antonietta Fagnani Arese], s. d.; il corsivo, qui e in seguito, si trova (...)

17Alcune indicazioni della lettura di Richardson si ricavano dalle lettere del 1801-1803, gli anni della tempestosa relazione con Antonietta Fagnani Arese. Verso la fine della «lunga storia dei nostri brevi amori» — come la chiama Foscolo — dice di aver letto nella Clarissa, «che soffre solo chi sa soffrire», ma — osserva — «questo mestiere di soffrire, massime nell’avvilimento, non l’ho mai imparato»29. Un altro accenno alla Clarissa si trova di lì a poco, quando ormai tra il giovane Ugo e Antonietta tutto è finito. Foscolo le indirizza una vera e propria minaccia, progettando di andare ben al di là di un riutilizzo della loro corrispondenza amorosa come motivo di ispirazione romanzesca. Con un ribaltamento di prospettiva rispetto all’opera di Richardson, Foscolo identifica in Antonietta l’amante crudele e spietata e in se stesso la controparte dell’uomo sedotto, tradito e abbandonato:

  • 30 Ivi, pp. 411-412 (lett. 284 [ad Antonietta Fagnani Arese], s. d.).

[…] io farò uso delle vostre lettere con più profitto o con più vostro onore. Conoscete voi il Lovelace della Clarissa? Sappiate che voi sarete il Lovelace femminile, e le vostre lettere e le avventure de’ vostri amanti me ne danno argomenti, e mi risparmieranno fatica30.

  • 31 Ep. IX, p. 316 (lett. 2867, a Lady Dacre, London, 9 dicembre 1823).

18Contrariamente a quest’uso stilizzato e spesso pretestuoso di autori inglesi, che è frequente nell’Epistolario, le lettere dei primi anni Venti ci mostrano invece un Foscolo in veste di critico di letteratura inglese contemporanea. Per quanto riguarda la ricezione di Richardson, Fielding e Sterne, il giovane Ugo era stato lettore di sensibilità moderna, che di quella stagione del romanzo inglese aveva apprezzato la portata innovativa anche se non sempre aveva potuto accettarne il realismo talora eccessivo, che cozzava con il principio neoclassico di un’espressione comunque sempre alta e nobile delle emozioni e delle azioni sulla scena romanzesca. Fedele ai suoi principi estetici, in base ai quali aveva criticato il teatro di Shakespeare, già negli appunti per le Lettere scritte dall’Inghilterra Foscolo aveva abbracciato il giudizio di Richardson sull’eccessivo realismo narrativo di Fielding, che rischiava di farlo «scrittore da taverna». Ancora nel 1823, in una lettera a Lady Dacre, esprime le sue riserve verso l’eccessiva crudezza realistica del romanzo di Fielding: «without Fielding’s genious I have more taste, and the despicable wretchedness of the human heart ought to be left in its dark recesses»31.

  • 32 Ep. V, p. 228 (lett. 1563, alla contessa d’Albany, 31 agosto 1814).

19Ora, nell’Inghilterra degli anni Venti Foscolo si trova a fare i conti però con una narrativa che confessa di non comprendere appieno e della quale non riesce a condividere i parametri estetici. Il romanzo storico gli risulta altrettanto estraneo quanto l’idealismo «de’ buoni filosofanti tedeschi»32 e una serie di lettere di questi anni chiariscono le ragioni di una tale impossibile condivisione.

20Nel diario di Walter Scott, sotto la data 24 novembre 1825 si trova uno spietato giudizio sul Foscolo:

  • 33 W. Scott, The Journal of Sir Walter Scott, Edinburgh, Oliver and Boyd, 1950, p. 12.

Talking of strangers, London held, some four or five years since, one of those animals who are lions at first, but by transmutation of two seasons become in regular course Boars—Ugo Foscolo by name, a haunter of Murray’s shop and of literary parties. Ugly as a baboon, and intolerably conceited, he spluttered, blustered, and disputed, without even knowing the principles upon which men of sense render a reason, and screamed all the while like a pig when they cut his throat33.

  • 34 Ep. VIII, p. 209 (lett. 2500, a John Murray, s. d. [1820, settembre]). Scott era diventato baronett (...)
  • 35 EN V, p. 373.
  • 36 Il romanzo non riscosse un buon successo di pubblico e non conobbe ristampe fino agli anni ’90 del (...)
  • 37 Sul Marin Faliero Foscolo invia a Murray un dettagliato giudizio nel settembre del 1820, nella stes (...)
  • 38 Ep. IX, p. 83 (lett. 2688, a John Murray, 11 agosto 1822).
  • 39 Ivi, p. 82.

21Non è noto se e fino a che punto l’antipatia fosse reciproca, ma è certo che non c’era alcun interesse da parte di entrambi per la rispettiva produzione letteraria. Si osservi infatti l’ironia nelle parole con cui Foscolo ringrazia l’editore John Murray per avergli prestato un romanzo di Walter Scott, il primo che — per sua ammissione — si accingesse a leggere: «Accept my thanks for the loan of M.r—I beg your pardon—of Sir Walter’s novel; and I will read it, being the first of his novels which I open: I am ashamed of it; but I never did read one»34. Nel Gazzettino del bel mondo Foscolo aveva criticato quella scrittura metafisica moderna che «ha tanta fiducia in sé e nella credulità del genere umano d’oggi che sforza noi tutti a leggere come accaduti a’ dì nostri dinanzi a noi certi avvenimenti storici de’ quali nessun de’ viventi avrebbe potuto mai essere testimonio»35, e in una lettera a John Murray spiega in maniera più dettagliata e personale le ragioni di questa avversione. Nell’agosto del 1822 Murray aveva inviato a Foscolo in lettura il manoscritto del romanzo di Mary Shelley Wollstonecraft Valperga: or, the Life and Adventures of Castruccio, Prince of Lucca che l’editore inglese avrebbe pubblicato l’anno successivo36. Sembra che Murray ricercasse spesso il giudizio del Foscolo quando progettava la pubblicazione di opere attinenti alla cultura o alla storia italiane. In questo caso, come in quello della tragedia Marino Faliero di Byron37, il giudizio di Foscolo è dettagliato e ricco di informazioni sulle sue inclinazioni letterarie, che contribuiscono a spiegare e giustificare le posizioni del critico. Murray non rivela a Foscolo chi sia l’autore di quelle pagine, ma nella sua risposta al Murray dell’11 agosto 1822, Foscolo afferma che a suo parere si tratta di un autore «far from being either a common or an extraordinary one; and were I to guess and wage I would say that the Author is a she-Author»38. Foscolo ha letto il primo dei tre volumi del Castruccio e sostiene che l’estrema complessità dell’intreccio e la rielaborazione di fatti storici sono dettami stilistici che non gli sono congeniali e che non ha mai potuto apprezzare fino in fondo. Per quanto riguarda il primo aspetto, distingue tra un romanzo basato su una serie di accidenti e uno basato sull’analisi del cuore umano, e constatando la varietà del pubblico del romanzo contemporaneo sostiene che esistono sicuramente lettori dai gusti molto diversi dai suoi, in grado di apprezzare un simile tipo di trama narrativa: «whilst I cannot go with patience through a long series of events, others cannot like me wander with attention in the labyrinths of the human heart»39. Quanto all’aspetto storico del romanzo il suo giudizio si fonda su una personale insofferenza per un genere che egli considera un ibrido tra storia e narrativa e che o non risponde al principio di verosimiglianza, o si propone come un inganno al lettore:

  • 40 Ivi, pp. 81-82.

Perhaps too even on this account I am an hypercritic as I have a strong avversion [sic] to novels founded on characters and facts which having become the property of history are already to be known as not to admit any fiction. Either the reader of the novel is acquainted or unacquainted with the real history; if acquainted, the inventions of the novellist [sic] do not carry any illusions with them;—and if unacquainted, the unlearned reader is deceived by fictions on a subject with which he could be more usefully amused with historical truth. But what is a fault in my eyes, has been lately made by the Author of Kenilworth, a very popular merit; and in this respect also my criticism should not be depended upon40.

  • 41 Ivi, pp. 81.
  • 42 Ibid.
  • 43 J. C. L. S. de Sismondi, Histoire des républiques italiennes du Moyen Âge, 16 voll., Paris, chez Tr (...)

22La lunga lettera al Murray si rivela un vero e proprio mini-trattato sul romanzo storico su cui vale la pena soffermarsi, poiché raramente prima d’ora nella corrispondenza privata Foscolo era entrato così a fondo nella valutazione critica ed estetica della narrativa inglese contemporanea. In linea con il rifiuto della finzione storica, che trova il suo corrispettivo poetico nelle illustrazioni alla tragedia contemporanea condannate in Della nuova scuola drammatica italiana, Foscolo lamenta la mancanza di una precisa caratterizzazione dell’epoca storica in cui il romanzo della Shelley si svolge, anche se dà atto all’autrice che «the general outline of the history of the fourteenth century appears to be correctly drawn»41. Con accenti molto simili a quelli usati nel Gazzettino del bel mondo, Foscolo esprime la sua obiezione principale al romanzo, ossia che i personaggi «act in the scenes that really passed, or in all probability might had [sic] passed at that period; but they think and express themselves as our contemporaries»42. Ciò è dovuto al fatto che l’autrice si è servita del supporto di testi moderni per tracciare le circostanze storiche in cui è ambientato il romanzo (nella premessa infatti Mary Shelley dichiara di aver attinto ampiamente alla Histoire des républiques italiennes du Moyen Âge del Sismondi), facendo così ricorso a quel «telescopio metafisico» tanto aborrito dal Foscolo che, come afferma nelle Lettere scritte dall’Inghilterra, confonde l’evidenza delle idee43. Sembra di cogliere in questa lettera una certa ritrosia dello scrittore a pronunciarsi in maniera definitiva su esponenti della nuova letteratura romantica che proprio allora andava rapidamente guadagnando terreno di critica e di pubblico. Foscolo trova i suoi giudizi sempre più in disaccordo con l’opinione comune: è così per la Corinna di Madame de Staël (di cui nelle Lettere scritte dall’Inghilterra rileverà i numerosi errori fattuali e il ben più grave vizio metafisico), per i romanzi di Walter Scott e anche per questo romanzo di Mary Shelley, su cui nel manoscritto che gli era stato sottoposto aveva già trovata espressa un’opinione critica estremamente positiva, che l’editore non si era curato di rimuovere. Per spiegare questa sua discrepanza dal gusto corrente, Foscolo ricorre — come aveva fatto in precedenza — alla giustificazione dell’ostacolo linguistico, che lo porta ad essere un «incompetent judge» di romanzi inglesi, ma pare una labile scusa per mascherare l’ombra di un dubbio sul limite oggettivo del suo giudizio:

  • 44 Ep. IX, p. 82. Henry Hallam (1777-1859), storico e critico letterario inglese. Per un’analisi delle (...)

[…] I am writing every word of this letter under the double anxiety of endangering the interest either of the publisher or of the Author; and I am the more perplex [sic] in my judgement in as much as many novels of which I could not get through half a volume—as for instance the Corinne of Madame de Stael [sic]—have been read—throughout even by M.r Hallam!44

  • 45 EN V, p. 364.
  • 46 La sua estetica anti-metafisica e anti-idealistica lo separa infatti dalla prima e seconda generazi (...)

23Siamo certamente di fronte a un giudizio condizionato dalla funzione di critico richiestagli dal Murray, con il quale Foscolo intratteneva rapporti professionali oltre che personali in un’Inghilterra in cui, come aveva rilevato nelle Lettere scritte dall’Inghilterra, «più che altrove, ogni specie di moda scorre come elettricità dai palazzi ai tuguri e dai romanzi alle Università»45. In quell’osservazione sulla sua incapacità di leggere ciò che un po’ tutti sembrano in grado di apprezzare si avverte però un certo sconforto e il dubbio che il divario tra la propria estetica e sensibilità, e il nuovo gusto imperante (che si esplicita non solo nell’ambito del romanzo storico, ma anche in quello della poesia romantica)46 possa finire per collocarlo in una pericolosa e irrimediabile marginalità.

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Notes

1 Il presente saggio rappresenta una sintesi, con variazioni e aggiunte, dell’analisi del rapporto tra Foscolo e il romanzo inglese comparsa nel volume di S. Parmegiani, Ugo Foscolo and English Culture, London, Legenda, 2011.

2 M. Fubini, Ortis e Didimo, Milano, Feltrinelli, 1963, p. 182.

3 Il rapporto Foscolo-Sterne è stato ampio oggetto di studio sin dai primi decenni del Novecento. Tra i principali contributi si vedano: G. Rabizzani, Sterne in Italia. Riflessi nostrani dell’umorismo sentimentale, Roma, Formiggini, 1920; P. Fasano, Stratigrafie foscoliane, Roma, Bulzoni, 1974; C. Varese, Foscolo: sternismo, tempo e persona, Ravenna, Longo, 1982; Id., Ugo Foscolo: Autobiografia dalle lettere, Roma, Salerno, 1979; Id., Introduzione, in Vita interiore di Ugo Foscolo, Bologna, Cappelli, 1966, pp. 1-33; M. Fubini, Ortis e Didimo, cit. Non si può prescindere infine dall’introduzione di M. Fubini al volume V dell’EN e dalle introduzioni ai volumi dell’Epistolario foscoliano, a cura rispettivamente di P. Carli (Ep. I-V), G. Gambarin e F. Tropeano (Ep. VI), e M. Scotti (Ep. VII-IX). Tra gli studi più recenti, vanno ricordati quelli di G. Barbarisi, Le ragioni della traduzione del «Viaggio sentimentale», in Atti dei Convegni foscoliani, vol. III (Firenze, aprile 1979), Roma, Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato-Libreria dello Stato, 1988, pp. 113-127; P. Ambrosino, La prosa epistolare del Foscolo, Firenze, La Nuova Italia, 1989; L. Toschi, Foscolo e altri «Sentimental Travellers» di primo Ottocento, in G. Mazzacurati (a cura di), Effetto Sterne. La narrazione umoristica in Italia da Foscolo a Pirandello, Pisa, Nistri-Lischi, 1990, pp. 90-120; L. Alcini, Il tradurre e i traduttori, Ugo Foscolo, Perugia, Guerra, 1993; O. Santovetti, The Sentimental, the «Inconclusive», the Digressive: Sterne in Italy, in P. de Voogd e J. Neubauer (a cura di), The Reception of Laurence Sterne in Europe, New York, Continuum, 2004, pp. 193-220; Id., The Adventurous Journey of Lorenzo Sterne in Italy, «The Shandean», vol. VIII, 1996, pp. 78-97.

4 Cfr. O. Santovetti, The Sentimental, cit., p. 196; L. Sterne, Nouveau voyage de Sterne en France suivi de l’Histoire de Le Fever, trad. A. G. Griffet de La Baume, Venezia, Giovanni Antonio Curti, 1788; Id., Voyage sentimental par M. Sterne, trad. J.-P. Frenais, 2 voll., Paris [Venezia], Stamperia Formaleoni, 1787. Si veda anche C. Bertoni, Il filtro francese: Frenais e C.nie nella diffusione europea di Sterne, in G. Mazzacurati (a cura di), Effetto Sterne, cit., pp. 19-59.

5 A. Fortis, Lettres, ec. Lettere di Elisa a Yorick e di Yorick a Elisa, tradotte dall’Inglese. Edizione seconda, accresciuta dell’Elogio d’Elisa scritto dall’Ab. Raynal, Lausanne, Mourer, 1786, in-12o, «Nuovo giornale enciclopedico», febbraio 1787, pp. 17-31.

6 Ep. I, p. 32. Lettera 17, ad Angelo Gaetano Vianelli, Padova, 31 luglio 1796. Per la traduzione del Vianelli cfr. L. Sterne, Lettere di Yorick a Elisa e di Elisa a Yorick con aggiunte e note del traduttore italiano, Venezia, Gio. Andrea Foglierini, 1792.

7 M. Fubini, Ortis e Didimo, cit., p. 166.

8 Ep. I, pp. 105-106. Lett. 69, A *** [Milano estate 1801?]. Il commento di Plinio Carli si trova in nota alla lettera (p. 106).

9 Ibid.

10 «In somma buona notte. Io vi mando un bacio, un solo bacio; e voi permettetemi di andarmene a letto, almeno per questa sera, con voi; e di pascermi delle care illusioni che consolano i sogni di un gramo convalescente. E non è tutto illusione? Il vostro ecc.» (ivi, pp. 106-107).

11 L. Alcini, Il tradurre, cit., p. 28.

12 Ep. I, p. 220 (lett. 158).

13 Ep. I, p. 295 (lett. 210).

14 Ivi, pp. 296-297.

15 L. Sterne, A Sentimental Journey through France and Italy and Continuation of the Bramine’s Journal: The Text and Notes, a cura di M. New e W. G. Day, Gainesville, University Press of Florida, 2002, p. 105. L’episodio del Pâtissier compare in U. Foscolo, Viaggio sentimentale di Yorick lungo la Francia e l’Italia. Traduzione di Didimo Chierico (EN V, pp. 119-120).

16 C. Varese, Foscolo: sternismo, cit., p. 45.

17 Ep. IV, p. 389 (lett. 1385, a Sigismondo Trechi, 11 ottobre 1813).

18 Ivi, p. 437 (lett. 1412, a Giambattista Giovio, [Milano], 2 dicembre 1813).

19 Ep. VI, p. 187 (lett. 1799, a Quirina Mocenni Magiotti, [Hottingen], 30 dicembre 1815).

20 M. Fubini, Ortis e Didimo, cit., pp. 238-239.

21 Ep. VI, p. 224 (lett. 1823, a Quirina Mocenni Magiotti, Hottingen 20 genn[aio] 1816).

22 Ivi, p. 254. Il capitolo del Viaggio sentimentale cui Foscolo si riferisce è il LVIII, intitolato Frammento (EN V, pp. 145-149).

23 Per quanto riguarda il discorso sull’auto-rappresentazione e confessione foscoliana, e sulla necessità di tenere anche la maschera di Didimo a debita distanza da una piena rivelazione del proprio io, si vedano le illuminanti riflessioni di M. Fubini, Ortis e Didimo, cit., p. 167.

24 In questi primissimi anni inglesi la meditazione sulla pazzia, sul sottile limite che la divide da ciò che gli uomini chiamano salute e il timore di smarrirsi egli stesso in quella estrema forma di malinconia, sono temi ricorrenti nell’Epistolario.

25 Ep. VII, p. 53 (lett. 2057, a Giuseppe Binda, Londra, 28 ottobre 1816).

26 La sola lettera a noi pervenuta in cui Foscolo accenna alla nuova traduzione del Sentimental Journey si trova in Ep. VIII, pp. 137-138 (lett. 2461, a Giuseppe Molini, Londra, 2 febbraio 1820).

27 Scritto nel 1796 da un Foscolo appena diciottenne, il Piano di Studj sembra accompagnasse una lettera all’amico Tommaso Olivi. Vi sono elencate, divise per soggetto, le opere che dovevano costituire l’ossatura della sua formazione intellettuale e le composizioni originali del giovane Foscolo progettate o già portate a compimento.

28 Ep. I, p. 23 (lett. 11, di Giuseppe Greatti, Padova, 13 febbraio 1796). Greatti, uno dei discepoli più amati dal Cesarotti, fu egli stesso traduttore di poesia francese e inglese. Pubblicò una lettera sui Sepolcri e rimase per tutta la vita grande ammiratore del Foscolo. Si veda quanto scrive Carli sul Greatti in nota alla stessa lettera (ivi, pp. 20-21).

29 Ivi, p. 367 (lett. 250 [ad Antonietta Fagnani Arese], s. d.; il corsivo, qui e in seguito, si trova nell’originale). La traduzione francese della Clarissa ad opera dell’abate Prévost era uscita nel 1751. A Venezia l’opera era disponibile anche in traduzione italiana: nel 1784 lo stampatore veneziano Valvasense stampa infatti una Collezione delle Opere di Richardson, cominciando proprio dalla Clarissa; e la «Gazzetta letteraria di Firenze» del 5 aprile 1775 osserva che in quella collezione il romanzo per la prima volta si offre al pubblico «decentemente vestito all’Italiana». Valvasense premette alla traduzione della Clarissa, e stampa anche separatamente in volume, l’Elogio di Richardson scritto da Diderot nel 1761 e pubblicato sul «Journal étranger» nell’anno seguente, che costituisce una delle più ricche ed appassionate analisi dell’opera di Richardson, composta a poca distanza dalla morte del romanziere. Nell’aprile del 1787 il «Nuovo giornale enciclopedico» di Vicenza, fondato da Elisabetta Caminer e Alberto Fortis, pubblicizza una traduzione francese del romanzo ad opera di Le Tourneur «fatta sull’edizione originale, riveduta da Richardson».

30 Ivi, pp. 411-412 (lett. 284 [ad Antonietta Fagnani Arese], s. d.).

31 Ep. IX, p. 316 (lett. 2867, a Lady Dacre, London, 9 dicembre 1823).

32 Ep. V, p. 228 (lett. 1563, alla contessa d’Albany, 31 agosto 1814).

33 W. Scott, The Journal of Sir Walter Scott, Edinburgh, Oliver and Boyd, 1950, p. 12.

34 Ep. VIII, p. 209 (lett. 2500, a John Murray, s. d. [1820, settembre]). Scott era diventato baronetto nel marzo di quell’anno e ciò spiega l’autocorrezione foscoliana. Sulle posizioni foscoliane nei confronti del romanzo storico e il rapporto con Manzoni e i romantici italiani si veda in particolare J. Lindon, Foscolo as a Literary Critic, in P. Shaw e J. Took (a cura di), Reflexivity: Critical Themes in the Italian Cultural Tradition, Ravenna, Longo, 2000, pp. 145-159. Ripendendo René Wellek, Lindon delinea con precisione ed efficacia le divergenti premesse critiche e le convergenti traiettorie che suo malgrado fanno di Foscolo (assieme a Leopardi) un rappresentante dell’adesione italiana «toward doctrines which were the basis of European romanticism» (ivi, p. 159).

35 EN V, p. 373.

36 Il romanzo non riscosse un buon successo di pubblico e non conobbe ristampe fino agli anni ’90 del ventesimo secolo (in occasione del bicentenario della nascita dell’autrice). Si tratta di una narrazione ibrida, che racchiude elementi del romanzo storico, di letteratura sentimentale e un proto-femminismo non rintracciabile in Frankenstein, il suo romanzo più noto e di ben maggior successo.

37 Sul Marin Faliero Foscolo invia a Murray un dettagliato giudizio nel settembre del 1820, nella stessa lettera in cui accenna ai romanzi di Scott. I possibili difetti che Foscolo individua nella tragedia sono l’eccessiva lunghezza, la prolissità e ripetitività dei discorsi — in particolare quelli del doge Faliero — a discapito di una maggiore azione, e un realismo eccessivamente crudo nella rappresentazione di certe passioni violente. Detto questo, Foscolo trova per ognuna delle sopra elencate caratteristiche una ragione d’essere all’interno dell’economia della tragedia, in grado di calibrare tutti gli elementi in una resa di estrema eloquenza e naturalezza, che — dice — ha tenuto desto il suo interesse fino all’ultima riga. I personaggi sono ben delineati e — in una stoccata polemica contro Madame de Staël — Foscolo dice di trovare in quello di Angiolina un modello di perfezione femminile lontano da quell’idéalisme caratteristico di scrittori «who by their little knowledge of nature endevour to copy the visionary one which, I believe, was first born in Germany» (Ep. VIII, p. 209).

38 Ep. IX, p. 83 (lett. 2688, a John Murray, 11 agosto 1822).

39 Ivi, p. 82.

40 Ivi, pp. 81-82.

41 Ivi, pp. 81.

42 Ibid.

43 J. C. L. S. de Sismondi, Histoire des républiques italiennes du Moyen Âge, 16 voll., Paris, chez Treuttel et Würtz; Strasbourg, même Maison de commerce, 1809-1818. Nell’avviso Al lettore posto ad apertura delle Lettere scritte dall’Inghilterra, Foscolo critica la corruzione e l’asservimento della lingua a mode che l’avviliscono e la snaturano «con vocaboli metafisici che inorgogliscono l’intelletto e confondono l’evidenza delle idee; stile de’ romanzieri, de’ poeti e degli storici d’oggi, avvampante d’entusiasmo e di passioni artefatte» (EN V, p. 245).

44 Ep. IX, p. 82. Henry Hallam (1777-1859), storico e critico letterario inglese. Per un’analisi delle critiche al romanzo di Madame de Staël contenute nelle Lettere scritte dall’Inghilterra si veda J. Luzzi, Italy without Italians: Literary Origins of a Romantic Myth, «Modern Language Notes», CXVII, 2002, no 1, pp. 48-83.

45 EN V, p. 364.

46 La sua estetica anti-metafisica e anti-idealistica lo separa infatti dalla prima e seconda generazione dei romantici inglesi (in particolare da Southley, Wordsworth e Coleridge) e lo avvicina ai poeti del Pre-Romanticismo inglese — filosoficamente vicini al razionalismo filosofico e a un pragmatico classicismo — e a Byron e Shelley.

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Pour citer cet article

Référence papier

Sandra Parmegiani, « Da Sterne alla critica dei romanzi inglesi nell’Epistolario di Foscolo »Cahiers d’études italiennes, 20 | 2015, 119-133.

Référence électronique

Sandra Parmegiani, « Da Sterne alla critica dei romanzi inglesi nell’Epistolario di Foscolo »Cahiers d’études italiennes [En ligne], 20 | 2015, mis en ligne le 01 janvier 2017, consulté le 19 janvier 2025. URL : http://0-journals-openedition-org.catalogue.libraries.london.ac.uk/cei/2406 ; DOI : https://0-doi-org.catalogue.libraries.london.ac.uk/10.4000/cei.2406

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Auteur

Sandra Parmegiani

University of Guelph

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