Sollecitazioni buddhiste nell’opera di Calvino
Texte intégral
1Fra le particolarità di Calvino come scrittore italiano quella che forse ha suscitato meno interesse è la provenienza laica della sua tradizione familiare. Forse perché per contrasto all’attività scientifica dei genitori, maggiormente teorica quella materna e più applicata quella del padre, l’identità non cattolica e anzi la sostanziale non appartenenza ad alcun credo religioso non ha lasciato che tracce pressoché intangibili, documentate al massimo da qualche ricordo dell’autore. Il quadro più particolareggiato affiora nell’intervista del 1960 intitolata Autobiografia politica giovanile quando Calvino spiega che:
- 1 I. Calvino, Saggi 1945-1985, a cura di M. Barenghi, Milano, Mondadori, 1995, pp. 2736-2737.
I ragazzi sono istintivamente conformisti, perciò l’accorgersi d’appartenere a una famiglia che poteva sembrare fuori del comune creava uno stato di tensione psicologica con l’ambiente. La cosa che più contrassegnava l’anticonformismo dei miei genitori era l’intransigenza in materia di religione. A scuola essi chiedevano che fossi esonerato dall’insegnamento religioso e che non partecipassi mai a messe o altri servizi di culto. Fin tanto che frequentai una scuola elementare valdese o fui allievo esterno d’un collegio inglese, questo fatto non mi causò alcun problema: gli ebrei protestanti, cattolici, e russi ortodossi erano mescolati in varia misura. San Remo era allora una città con templi e sacerdoti d’ogni confessione, e strane sette allora in voga come gli antroposofi di Rudolf Steiner, e io consideravo quella della mia famiglia una delle tante possibili gradazioni d’opinione che vedevo rappresentate intorno a me. Ma quando andai al ginnasio statale, l’assentarmi dalle lezioni di religione, in un clima di grande conformismo (già il fascismo era al secondo decennio del suo potere) mi esponeva a una situazione di isolamento e mi obbligava talora a chiudermi in una sorta di silenziosa resistenza passiva di fronte a compagni e professori. Alle volte l’ora di religione era tra due altre lezioni e io aspettavo in corridoio; nascevano equivoci coi professori e i bidelli che passavano e mi credevano in punizione. Coi compagni nuovi succedeva sempre che, per via del mio cognome, mi credevano protestante; io lo smentivo ma non sapevo come rispondere alla domanda: “E allora cosa sei?” Detta da un ragazzo, l’espressione “libero pensatore” fa ridere; “ateo” era una parola troppo forte per quei tempi; così mi rifiutavo di rispondere1.
2Nonostante questi apparenti svantaggi, la valutazione che dà della propria esperienza è positiva:
Insomma, mi trovavo spesso in situazioni diverse dagli altri, guardato come una bestia rara. Non credo che questo mi abbia nuociuto: ci si abitua ad avere ostinazione nelle proprie abitudini, a trovarsi isolati per motivi giusti, a sopportare il disagio che ne deriva, a trovare la linea giusta per mantenere posizioni che non sono condivise dai più. Ma soprattutto sono cresciuto tollerante verso le opinioni altrui, particolarmente nel campo religioso, ricordandomi come era fastidioso sentirsi preso in giro perché non seguivo le credenze della maggioranza. E nello stesso tempo sono rimasto completamente privo di quel gusto dell’anticlericalismo così frequente in chi è cresciuto in mezzo ai preti. (Ibidem, pp. 2737-2738)
- 2 A sostegno della mia lettura, in particolare è utile ricordare la pubblicazione da parte di Einaudi (...)
3All’apertura di vedute che caratterizza Sanremo segue il clima altrettanto aperto e laico della casa editrice Einaudi i cui collaboratori appartengono a tradizioni religiose differenti, prevalentemente quella cattolica ed ebraica, e tuttavia sono intenti a contribuire a una trasformazione culturale ed etica civile anche attraverso la pubblicazione di studi di religione, mitologia e teologia2.
4Forse non vale neppure la pena di sottolineare come nelle opere narrative le distanze dal mondo cattolico siano rese evidenti fin dall’inizio, ma appena segnalate. “Un’aria falsa che sembra allevato dai preti”, si dice di Pin ne Il Sentiero, battuta genericamente anticlericale di sapore fra il risorgimentale e il progressista. Infantilmente bonario nonché retorico è il prete don Grillo di Desiderio in novembre del 1949, in cui è messo in scena il confronto fra la generosità istituzionalizzata parareligiosa e la spontanea generosità laica. Il racconto Un pomeriggio, Adamo del 1949 è centrato sul contrasto fra l’identità cattolica tradizionale e meridionale di Maria Annunziata costruita sulla devozione tutta esteriore dei riti paesani e il laicismo progressista di Libereso le cui abitudini personali e familiari sono basate sull’accettazione della natura, il vegetarianesimo e la non violenza.
5Tuttavia mi pare davvero che nei confronti delle religioni in genere domini una fondamentale tollerante e rispettosa distanza come nell’affermazione autoriale citata sopra. In Lettere ad Amelia sui dischi volanti (1950, ora in Racconti esclusi da I Racconti) il punto di vista ironico della voce narrante si trova a parlare in difesa di tibetani e pigmei come esempi di minoranze, consapevole che, come quello religioso, ogni tratto dell’identità è passibile di esclusione e persecuzione. In particolare il narratore non si capacita che i tibetani siano stati scelti per le esplorazioni su Marte:
- 3 I. Calvino, Romanzi e racconti, III, a cura di M. Barenghi e B. Falcetto, Milano, Mondadori, 1994, (...)
Forse perché sono già lassù in quel loro Tibet, più vicini di noi a Marte e hanno da fare meno strada. O forse si prevede che in quei loro squallidi visi tibetani, in quei loro mantelli neri i marziani riescano a riconoscere una parentela, un’affinità umana, una simpatia, mentre sarebbe lor più difficile trovarsi con tipi come noi, troppo impazienti e ironici3.
E il bozzetto prosegue:
- 4 Ibidem, p. 880. Si noti la somiglianza con le argomentazioni di Lettera a una professoressa della s (...)
Se ne stanno da migliaia d’anni in cima al Tibet, come uccelli appollaiati sulle travi d’un tetto, tutt’intorno a quel loro Dalai Lama. Ed ecco che arriva uno a dire: “Finalmente abbiamo trovato come utilizzarvi; andrete a Marte.” E uno per uno vengono scagliati nello spazio, da cui nessuno forse tornerà mai vivo. […] Così il progresso si ricorda per la prima volta di costoro4.
- 5 G. Fink, “Ti con zero”, Paragone, a. XIX, 216 (n. 36), febbraio 1968, pp. 149-153.
- 6 Il Dio che è fallito. Sei testimonianze sul comunismo, a cura di R. H. S. Crossman, Ivrea, Ed. di C (...)
6Questa citazione ci dà un’idea delle limitate conoscenze che il Calvino degli anni ‘50 quantomeno attribuisce a una voce narrante media circa la civiltà tibetana, ma anche per ricordarci come sia ancora “ruvido” e caricaturale – Guido Fink dirà alla Renato Rascel5 – l’umorismo del primo dopoguerra anche a dispetto dell’umanità degli obiettivi che si pone come propri. Il 1950 è anche l’anno in cui Calvino scrive a Mario Motta su Cultura e realtà “Una lettera sul ‘paradiso’” in risposta a un commento sulla possibilità di paradisi immanenti nato dal dibattito seguito alla pubblicazione di Il Dio che è fallito. Sei testimonianze sul comunismo6. Dichiarando subito che si trattava di un libro che non aveva intenzione di leggere, Calvino spiega come il tema l’ha fatto riflettere:
- 7 Ibidem, p. 280. Benché Calvino sia quasi certamente inconsapevole della vicinanza alla dottrina del (...)
Come “vedo” la rivoluzione, il socialismo, la società che auspico e per attuare la quale, “nel mio piccolo”, lavoro. Mi venivano alla mente immagini dettate da quel poco d’esperienza che ho di momenti di risveglio democratico e d’attività organizzata ed efficiente: momenti in cui in ognuno si moltiplicano gli interessi per ogni aspetto della vita, ma con effetti tutt’altro che “paradisiaci”: un subisso di cose da fare di responsabilità di “grane”; tu che mi credi pigro riderai. Ciò che mi spinge in questa direzione non è un “paradiso” da raggiungere – mi sembra – è la soddisfazione a vedere le cose che a poco a poco si mettono ad andare nel loro verso, il sentirsi in una posizione più adatta per risolvere i problemi man mano che si presentano, per “lavorare meglio”, l’aver più chiarezza in testa e il senso di essere sempre più al proprio posto tra gli uomini, tra le cose, nella storia7.
- 8 Come specificherà nel 1973 in chiusura a Le città invisibili, “attenzione e apprendimento continui” (...)
7Se “la rivoluzione, il socialismo, la società che auspico” sono paragonati al “paradiso” è da sottolineare che la loro realizzazione non è questione di “fede”, bensì di faticosa virtù8.
- 9 I. Calvino, Lettere, p. 281.
Il “paradiso” da raggiungere (con gli angioletti oppure l’albero delle salsicce: fa lo stesso) è il modo sbagliato di porre il problema dell’uomo che non si sente in mano le chiavi del proprio inserimento nel mondo: invece di cercare queste chiavi, di imparare a usarle, si vagheggia (o ci si pone come “mito” d’azione, sprecando anni e fatica) un mondo senza serrature, un non-mondo, una non-storia, uno “stato umano assoluto”. Laddove il problema è proprio quello di prendere coscienza del proprio esser relativo, e imparare a esserne padrone, a – con questo relativo – saperci fare9.
8Non siamo lontani dalle considerazioni dell’anonimo protagonista di La nuvola di smog (1958) in conversazione con Omar Basaluzzi, operaio licenziato e futuro sindacalista:
- 10 I. Calvino, Romanzi e racconti, I, a cura di M. Barenghi e B. Falcetto, Milano, Mondadori, 1991, p. (...)
Mi rendevo conto che a lui, venisse o non venisse quel giorno, gli importava meno di quel che si potesse credere, perché quel che contava era la condotta della sua vita, che non doveva cambiare.
“Grane ce ne saranno sempre, si capisce… Non sarà il paradiso… Come noialtri non siamo mica santi…”
Cambierebbero vita i santi se sapessero che il paradiso non c’è?10
9Fra i “paradisi” della lettera del ‘50, Calvino mette la psicoanalisi, la memoria, il surrealismo, l’ermetismo, ossia tutto quello che consideri l’interiorità come una dimensione separata e separabile dall’azione, dal contatto con l’esterno. Non giudica invece l’aspetto consolatorio di questa dimensione dato che anzi le annette anche tutti gli inferni, altrettanto assoluti.
10Ma se inferni o paradisi sono una finzione, quest’ultima è tutt’altro che insensata: è nella bellissima introduzione a Le fiabe italiane del 1956 che Calvino spiega qual è la motivazione etica del suo lavoro di scrittore, o anzi, in questo caso, di trascrittore, nell’atto di fede esplicito che:
- 11 Corsivo nostro.
- 12 I. Calvino, Fiabe Italiane, Torino, Einaudi, 1956, p. xviii. La sottolineatura è mia.
[…] le fiabe sono vere.
Sono, prese tutte insieme, nella loro sempre ripetuta e sempre varia casistica di vicende umane, una spiegazione generale della vita, nata in tempi remoti e serbata nel lento ruminìo delle coscienze contadine fino a noi; sono il catalogo dei destini che possono darsi a un uomo e a una donna, soprattutto per la parte di vita che appunto è il farsi d’un destino: la giovinezza, dalla nascita che sovente porta in sé un auspicio o una condanna, al distacco dalla casa, alle prove per diventare adulto e poi maturo, per confermarsi come essere umano. E in questo sommario disegno, tutto: la drastica divisione dei viventi in re e poveri, ma la loro parità sostanziale; la persecuzione dell’innocente e il suo riscatto come termini d’una dialettica interna ad ogni vita; l’amore incontrato prima di conoscerlo e poi subito sofferto come bene perduto; la comune sorte di soggiacere a incantesimi, cioè d’essere determinato da forze complesse e sconosciute, e lo sforzo per liberarsi e autodeterminarsi inteso come un dovere elementare, insieme a quello di liberare gli altri, anzi il non potersi liberare da soli, il liberarsi liberando11; la fedeltà a un impegno e la purezza di cuore come virtù basilari che portano alla salvezza e al trionfo; la bellezza come segno di grazia, ma che deve essere nascosta sotto spoglie di umile bruttezza come un corpo di rana; e soprattutto la sostanza unitaria del tutto, uomini bestie piante cose, l’infinita possibilità di metamorfosi di ciò che esiste12.
- 13 Secondo Enrico De Vivo la verità delle favole ha antecedenti nella Scienza nuova di Giambattista Vi (...)
11Appena velata dall’apparente paradosso della verità delle fiabe questa è una formulazione del proprio credo in un altruismo attivo, che non intende e non può prescindere dall’azione13.
- 14 I. Calvino, Romanzi e racconti, I, p. 1009.
12È questo l’atteggiamento antimistico con cui quattro anni dopo, in Il cavaliere inesistente, descriverà i cavalieri del Gral nelle tinte più fosche. In contrapposizione alla stesura del racconto, opera della laboriosità tutta concreta di suor Teodora che scrive “per penitenza” come “modo di guadagnarsi la salvezza eterna”, e senza la convinzione che l’atto in sé le salvi l’anima14, i cavalieri, seppure assolti dal reato di seduzione di minorenne con cui erano stati introdotti nel testo, si rivelano “permalosi, gelosi, suscettibili” (ibidem, p. 1050) nonché ipocriti all’interno del gruppo e vessatori odiosi e crudeli dei contadini Curvaldi all’esterno. L’intero capitolo x è dedicato allo smantellamento delle illusioni di Torrismondo nei confronti del colpevole e inutile misticismo dei Cavalieri fino al suo schierarsi contro di loro dalla parte dei Curvaldi oppressi.
- 15 Nota 1960 a I nostri antenati, in Romanzi e racconti, I, p. 1217. Si veda anche la lettera a Mondo (...)
13Per quanto riguarda invece la rappresentazione delle pratiche spirituali a cui Torrismondo si sottopone nel suo breve apprendistato, la meditazione sulla goccia di rugiada è tratta dagli esercizi suggeriti da Rudolf Steiner come introduzione all’antroposofia, mentre il ruotare di spade dei Cavalieri più avanzati s’ispira agli apologhi Zen, ed è la stessa postfazione alla raccolta de I nostri antenati a spiegare che i Cavalieri del Gral rappresentano “l’esistere come esperienza mistica, d’annullamento nel tutto, Wagner, il buddismo dei samurai15”.
14Il diario di viaggio negli Stati Uniti, successivo alla scrittura de Il cavaliere e anteriore alla postfazione, testimonia come Calvino osservi con disincantato interesse sociologico e preoccupazione adulta la presunta rivoluzione giovanile dei beatniks. Con parole quasi identiche a quelle del diario, in I Beatniks e il sistema, una conferenza del 1962, spiega come dietro all’efficienza tecnologica della provincia statunitense sia “l’angoscia, la vertigine”:
- 16 I. Calvino, Saggi, p. 2940. Si confronti “L’istituzione dei ‘Beatniks’” parte di “Cartoline dall’Am (...)
[Era] come se dietro a tutto questo fosse il vuoto, il nulla, e tutt’a un tratto, ecco: avevo capito la beat generation, il no assoluto, il rifiuto di tutto questo, avevo capito la portata – anche quantitativa – come fatto sociale di questo sciamare verso le metropoli di giovani che invece d’affrettarsi a trovare il loro posto nel meccanismo della prosperity e delle carriere prestabilite, s’insabbiano in sudici quartieri, si rifiutano di lavorare, abborracciano in modo dilettantesco un’attività letteraria o artistica, e cercano non il successo o il potere ma un al di là, un nirvana, cercano con i mezzi che il terreno gli offre – teorie sessuali e pratiche mistiche, jazz freddo, buddismo zen, testi religiosi medioevali, sigarette alla marijuana, esercizi yoga – qualcosa che non è una trasformazione del mondo, ma una trasformazione del modo di stare al mondo16.
15La comprensione del fenomeno è lontana dall’essere un’approvazione: l’autore conclude la conferenza augurandosi che l’Italia riesca a evitare una beat generation, ma taglia la pagina appena citata, e l’implacabile stroncatura di Ginsberg e Kerouac (ibidem, p. 2938) che le segue, dalla successiva pubblicazione in Una pietra sopra (1980). Inoltre, fra le carte del fascicolo intitolato a Calvino nell’archivio Einaudi è conservata una recensione di John Clellon Holmes, Non sono dei nichilisti, pubblicata in italiano all’epoca dell’uscita di Beats, un’antologia di testi poetici curata da Seymour Krim, nella quale è sottolineato in rosso:
I beatniks s’immergono nel sottosuolo più ricco e genuino dell’americanismo, e soffrono di restare individui, aspirando alla pace con il cosmo e all’armonia, in umiltà, con il mondo a cui appartengono: tale è il carattere della beat generation la quale è stata il fenomeno più interessante apparso nella civiltà americana del dopoguerra.
- 17 L’articolo pubblicato sulle pagine centrali di una rivista non datata e intitolata, forse, Il Punto(...)
16Per quanto non sia detto esplicitamente, la scelta di traduzioni riportate dei cori 113 e 182 da I Blues di città del Messico enfatizza in particolare il legame tra la poesia di Kerouac e il Veicolo del Diamante della tradizione Mahayana, mentre Kaddish di Ginsberg, al di là del titolo ispirato da un rito ebraico, come compianto della morte di tutte le madri attraverso quella della propria, è una delle meditazioni classiche del buddhismo tibetano17. Non è chiaro perché Calvino abbia conservato queste pagine di giornale che tematicamente si possono ricollegare solo a scritti non rivisitati, ma si può ipotizzare che intendesse correggere la mira di quanto aveva affermato sulla San Francisco Renaissance al ritorno dagli Stati Uniti in uno scritto dal tono marcatamente più sociologico che letterario.
- 18 I. Calvino, Romanzi e racconti, II, a cura di M. Barenghi e B. Falcetto, Milano, Mondadori, 1992, p (...)
17Nel 1963 Calvino aveva pubblicato La giornata di uno scrutatore, un testo in cui è centrale la riflessione sull’umanità e la storia. A partire dalla perversione contingente che origina lo scritto, ossia l’immoralità politica che approfitta del voto dei malati mentali del Cottolengo, gli interrogativi che pone al lettore sono di natura etica sul concetto di responsabilità storica. Tanto il punto di vista laico quanto quello religioso vengono chiamati in causa nelle riflessioni di Amerigo sul legame fra la sofferenza e la storia, o addirittura sulla sofferenza come motore della storia, in particolare attraverso la citazione di un passo dai Manoscritti giovanili di Marx, forse più influenzati dallo studio di Epicuro e Democrito, in cui si sottolinea l’interdipendenza fra uomo e natura, vedendo “la natura come corpo inorganico dell’uomo18” per concludere che “l’umano arriva dove arriva l’amore, non ha confini se non quelli che gli diamo” (ibidem, p. 69).
18L’atteggiamento laico di cui si fa portavoce è rispettoso delle attività caritatevoli ispirate da principi religiosi, ma non riconosce alle organizzazioni religiose il monopolio sulla compassione. Nei confronti dell’atteggiamento compassionevole, retto, delle suore, nutre ammirazione che non riesce a esprimere riconoscendosi in polemica con la necessità assoluta della loro scelta.
Anche Amerigo avrebbe voluto dirle parole di ammirazione e simpatia, ma quel che gli veniva da dire era un discorso sulla società come avrebbe dovuto essere secondo lui, una società in cui una donna come lei non sarebbe stata considerata più una santa perché le persone come lei si sarebbero moltiplicate, anziché star relegate in margine, allontanate nel loro alone di santità, e vivere come lei per uno scopo universale, sarebbe stato più naturale che vivere per qualsiasi scopo particolare, e sarebbe stato possibile a ognuno esprimere se stesso, la propria carica sepolta, segreta, individuale, nelle proprie funzioni sociali, nel proprio rapporto con il bene comune… (Ibidem, p. 68)
19La polemica è nei confronti di una rinuncia all’individualità, forse, paradossalmente, nei confronti di una rinuncia alle sofferenze dell’individualità introdotta dal confronto dell’espressione prevalentemente beatifica delle fototessere sui documenti delle suore e degli idioti completi, rispetto a quella stralunata e poco rappresentativa dei “sani” e dei malati meno gravi. Guardando la riuscita di queste foto Amerigo riflette:
- 19 Ibidem, p. 34. Per una lettura della dimensione religiosa di questo testo, si veda J. Usher, “The G (...)
Le monache […] posavano di fronte all’obiettivo come se il volto non appartenesse più a loro: e a quel modo riuscivano perfette. Non tutte, si capisce, […] bisognava avessero passato come una soglia, dimenticandosi di sé, e allora la fotografia registrava quest’immediatezza e pace interiore e beatitudine. È segno che una beatitudine esiste? Si domandava Amerigo (questi problemi per lui poco consueti, era portato a connetterli con il buddismo, il Tibet), e, se esiste, allora va perseguita? Va perseguita a scapito d’altre cose, d’altri valori, per essere come loro, le monache?19
20L’accenno al buddhismo è brevissimo, ma l’atteggiamento è riconoscibilmente cambiato; per quanto distante il tema è inquadrato da un sostanziale rispetto.
- 20 Si noti che il testo, consultabile anche online <http://www.context.org/ICLIB/IC34/Macy.htm, cambia (...)
- 21 I. Calvino, Romanzi e racconti, II, p. 221.
- 22 Vedi anche Se una notte in ibidem, p. 626, su Zenone d’Elea. E ancora sulla reversibilità del tempo (...)
21Chiave di volta nell’arco della produzione calviniana, La giornata è seguita da opere in cui il sé del narratore e dei protagonisti sono progressivamente più sottili e le sollecitazioni buddhiste diventano sempre più strutturali. In Le cosmicomiche (1965) le metamorfosi, o reincarnazioni del narratore Qfwfq raccontano un universo che si trasforma secondo il pensiero e il desiderio dei soggetti che lo compongono in una continuità organica tra uomo, animali, materia. Si pensi in particolare al brano centrale di Tutto in un punto, in cui la creazione dello spazio è la risposta al desiderio della signora Ph(i)Nkº di fare agli altri le tagliatelle, che viene addirittura citato come meditazione sulla interdipendenza fra umanità e natura in World as Lover, World as Self, un testo del 1995 di Joanna Macy, studiosa buddhista20. Oppure alla conclusione di La spirale, in cui l’io del narratore, trasformato in immagine, si riflette, moltiplica e dissolve “nell’ultramondo che s’apre attraverso la sfera semiliquida delle iridi, il buio delle pupille, il palazzo di specchi delle rètine, nel nostro vero elemento che si estende senza rive né confini21”. O ancora alla meditazione sul tempo centrale a Ti con zero (1965) in cui il paradosso di Zenone di Elea sull’infinita divisibilità dello spazio applicata al continuo temporale permette di giungere a una visione delle cose staccata dal sé22.
- 23 I. Calvino, Saggi, p. 638.
22Se si può obiettare che l’origine di questi scritti è filosofico-letteraria, va ricordato che in Leggerezza23 è lo stesso Calvino a paragonare il Pitagora di Ovidio a Buddha e a spiegare:
Anche per Ovidio tutto può trasformarsi in nuove forme; anche per Ovidio la conoscenza del mondo è la dissoluzione della compattezza del mondo; anche per Ovidio c’è una parità essenziale in tutto ciò che esiste, contro ogni gerarchia di poteri e di valori. (Ibidem, p. 637)
- 24 Id., Romanzi e racconti, II, p. 769.
23Se pensiamo ai testi di Calvino dalla metà degli anni ‘60 e ancor più dagli anni ‘70 in poi dal punto di vista concettuale non ci sarebbe bisogno di chiamare in causa il buddhismo. Lo stesso Calvino rimanda a Breve storia dell’infinito, un testo di Paolo Zellini del 1980, per un’appassionante ricognizione del territorio che spazia fra filosofia, matematica e letteratura. Temi come l’infinito e l’indefinito, l’uno e il molteplice abbondano nella filosofia occidentale e il concetto che per cambiare il mondo il saggio deve dedicarsi a investigare il sé credo che si perda nella notte dei tempi, ma viene ripreso quantomeno da Plotino, e citato a più riprese nell’incipit intitolato In una rete di linee che s’intersecano di Se una notte24.
- 25 Andria, ibidem, p. 485.
24Sono le associazioni e la lingua con cui Calvino descrive questa problematica filosofica, che, almeno a me, suonano decisamente orientaleggianti. In Le città invisibili è in parte una scelta obbligata dalla cornice, ma tanto Kublai quanto Marco meditano a più riprese sulla realtà dell’esserci (ibidem, p. 377). Marco s’imbatte in sé ipotetici (ibid., p. 378) – come del resto il protagonista del primo incipit di Se una notte – e un’intera sezione del libro, intitolata Le città e il cielo, instaura rapporti tra micro- e macrocosmi25, il continuo bilanciamento fra ottimismo e pessimismo alla ricerca dell’equanimità e fra continuità e discontinuità come modi di un inarrestabile divenire. Infine sono orientaleggianti le scelte sia di usare la metafora centrale dell’arco e le pietre, vera e propria kan sul rapporto fra unità e molteplicità, sia di concludere il testo con una dichiarazione etica.
- 26 La spiegazione più chiara che conosco di questo concetto è di G. Tucci: “Shunya significa letteralm (...)
25Perfino la centralità del vuoto in La taverna dei destini incrociati, nella conclusione provvisoria di Parsifal, rimanda, attraverso il tao, al tema della vacuità, cardine dell’insegnamento buddhista26.
- 27 I. Calvino, Romanzi e racconti, II, p. 589.
Il nocciolo del mondo è vuoto, il principio di ciò che si muove nell’universo è lo spazio del niente, attorno all’assenza si costruisce ciò che c’è, in fondo al gral c’è il tao, – e indica il rettangolo vuoto circondato dai tarocchi27.
- 28 I. Calvino, Saggi, p. 590. Stando alle informazioni in nota a Collezione di sabbia, il viaggio di C (...)
- 29 I. Calvino, Romanzi e racconti, II, pp. 1394-1395. Così come è ironico che Ukko Ahti muoia scrivend (...)
26Che almeno a livello di modelli narrativi lo Zen affascini Calvino non c’è dubbio: nei testi di Collezione di sabbia dedicati al viaggio in Giappone dice di aver letto i testi di Suzuki28, e ne riracconta apologhi sia qui sia in Lezioni americane. Il motivo del rapporto fra maestro e discepolo viene ripreso da Sul tappeto di foglie illuminato dalla luna in Se una notte, dove, a scanso di equivoci moralisti, l’attenzione impassibile si applica in un’atmosfera che lo schema autoriale chiama “il romanzo della perversione29”.
27Alla riflessione sul cambiamento e lo sfacelo della realtà e alla trappola del desiderio in cui è calato il soggetto rimandano tanto Le città invisibili quanto Se una notte, fino a diventare la pratica di osservazione di Palomar, le cui meditazioni sottolineano la dimensione creativa della compassione e della solidarietà, e, in Il mondo guarda il mondo, la sostanziale, nonché paradossale, unità fra soggetto e mondo.
- 30 Si veda M. J. Stella, Self and Self-Compromise in the Narratives of Pirandello and Moravia, New Yor (...)
- 31 J. Usher, “Metempsychosis and ‘Renaissance’ between Petrarch and Boccaccio”, Italian Studies, vol. (...)
28Studi recenti sottolineano il legame fra la letteratura italiana e il pensiero orientale: John Stella analizza le influenze buddhiste nelle opere di Pirandello e Moravia30, Jon Usher il concetto di metempsicosi in Petrarca e Boccaccio31. Ma, dovendo azzardare delle ipotesi di influenze dirette su Calvino, credo che, dopo le reazioni ambigue alla scoperta dei Beats, sia l’esempio di Borges, autore con Alicia Jurado di Què es el budismo (1976) e impareggiabile manipolatore di questi concetti filosofici, a essere determinante.
Notes
1 I. Calvino, Saggi 1945-1985, a cura di M. Barenghi, Milano, Mondadori, 1995, pp. 2736-2737.
2 A sostegno della mia lettura, in particolare è utile ricordare la pubblicazione da parte di Einaudi di due testi di Mircea Eliade, Tecniche dello yoga (1952) e Trattato di storia delle religioni (1954) entrambi con prefazione di Ernesto De Martino.
3 I. Calvino, Romanzi e racconti, III, a cura di M. Barenghi e B. Falcetto, Milano, Mondadori, 1994, p. 879.
4 Ibidem, p. 880. Si noti la somiglianza con le argomentazioni di Lettera a una professoressa della scuola di Barbiana di Don Milani degli anni ‘60.
5 G. Fink, “Ti con zero”, Paragone, a. XIX, 216 (n. 36), febbraio 1968, pp. 149-153.
6 Il Dio che è fallito. Sei testimonianze sul comunismo, a cura di R. H. S. Crossman, Ivrea, Ed. di Comunità, 1950. La posizione di Calvino nel dibattito si può leggere ora in Lettere 1940-1985, a cura di L. Baranelli, Milano, Mondadori, 2000, pp. 279-285.
7 Ibidem, p. 280. Benché Calvino sia quasi certamente inconsapevole della vicinanza alla dottrina delle sue posizioni quando scrive, il migliorare le condizioni in modo che migliorino i risultati rientra senz’altro nell’ottica di coproduzione condizionata in un universo senza creatore. Si veda R. Gnoli, La rivelazione del Buddha, Milano, Mondadori, 2004, vol. II, p. xxiii.
8 Come specificherà nel 1973 in chiusura a Le città invisibili, “attenzione e apprendimento continui” (Romanzi e racconti, II, p. 498) che corrispondono a due delle sei perfezioni lungo la strada dell’illuminazione secondo la Condensed Perfection of Wisdom Sutra; le altre sono la generosità, la disciplina morale (o gentilezza), la pazienza e la saggezza. Cfr. Geshe Kelsang Gyatso, Joyful Path of Good Fortune, New Kadampa Tradition (NKT) England, 1990, pp. 447-448. E anche Gnoli, p. xxiii.
9 I. Calvino, Lettere, p. 281.
10 I. Calvino, Romanzi e racconti, I, a cura di M. Barenghi e B. Falcetto, Milano, Mondadori, 1991, p. 944.
11 Corsivo nostro.
12 I. Calvino, Fiabe Italiane, Torino, Einaudi, 1956, p. xviii. La sottolineatura è mia.
13 Secondo Enrico De Vivo la verità delle favole ha antecedenti nella Scienza nuova di Giambattista Vico. Si veda il suo recente “Costruire miti per spiegare miti”, in Letteratura come fantasticazione: a colloquio con Gianni Celati, University of Leicester, 2-4 May 2007.
14 I. Calvino, Romanzi e racconti, I, p. 1009.
15 Nota 1960 a I nostri antenati, in Romanzi e racconti, I, p. 1217. Si veda anche la lettera a Mondo Nuovo del 21 marzo 1960, in Lettere, p. 644.
16 I. Calvino, Saggi, p. 2940. Si confronti “L’istituzione dei ‘Beatniks’” parte di “Cartoline dall’America” apparso su ABC, giugno-settembre 1970, ora in ibidem, pp. 2590-2594.
17 L’articolo pubblicato sulle pagine centrali di una rivista non datata e intitolata, forse, Il Punto su La filosofia dei Beats, è conservato nella scatola 34/1, cartella 537/4, nn. 781-782. Il testo a cui fa riferimento è l’antologia poetica Beats a cura di S. Krim e introduzione di M. Bulgheroni, Milano, Lerici, 1966.
18 I. Calvino, Romanzi e racconti, II, a cura di M. Barenghi e B. Falcetto, Milano, Mondadori, 1992, pp. 49-50.
19 Ibidem, p. 34. Per una lettura della dimensione religiosa di questo testo, si veda J. Usher, “The Grotesque as Metaphor in Calvino’s Giornata di uno scrutatore”, Bulletin for the Society of Italian Studies, n. 21, 1988, pp. 2-14.
20 Si noti che il testo, consultabile anche online <http://www.context.org/ICLIB/IC34/Macy.htm>, cambia il nome del personaggio protagonista che da signora Ph(i)Nkº si trasforma in signora Pavacini, con una perdita di astrazione e leggerezza paradossale in un’analisi che ne vorrebbe mettere in risalto l’impalpabilità.
21 I. Calvino, Romanzi e racconti, II, p. 221.
22 Vedi anche Se una notte in ibidem, p. 626, su Zenone d’Elea. E ancora sulla reversibilità del tempo, il far tornare indietro gli orologi fino a essere senza passato e cioè un altro, p. 631, o l’impossibilità di trovare un vero e proprio inizio, a p. 761.
23 I. Calvino, Saggi, p. 638.
24 Id., Romanzi e racconti, II, p. 769.
25 Andria, ibidem, p. 485.
26 La spiegazione più chiara che conosco di questo concetto è di G. Tucci: “Shunya significa letteralmente: “vuoto”. Il più antico buddismo […] aveva predicato la non esistenza dell’anima, intesa come un’entità metafisica immutabile, ma non aveva negato quei punti-istanti, quei minimi nel tempo e nello spazio, continuamente succedentisi attraverso un ininterrotto processo di creazione, durata e distruzione che sono a base dei fenomeni psicologici dell’individuo e dei fatti fisici del mondo della materia designati nel linguaggio tecnico col nome di dharma. Il Mahayana, o grande veicolo, estende la negazione anche a questi punti-istanti e formula appunto il principio della vacuità dell’essere, che è il perno intorno a cui si aggira tutta la dommatica e la mistica delle scuole mahayaniche e che costituisce uno degli aspetti più difficilmente comprensibili della dottrina. Questo principio di vuoto non significa già che il sistema debba ridursi ad una specie di nihilismo filosofico […]. Questo vuoto non è il nulla, ma un concetto limite, la negazione cioè di tutti i possibili predicati, quell’esperienza ineffabile cui il santo assurge nel processo mistico e nel medesimo tempo il fondo indefinibile dell’essere. Il vuoto diventerà infatti per i continuatori di Nagarjuma il puro pensiero, il pensiero senza pensato, l’intelligenza suprema che è al di là di ogni determinazione positiva e pure è la base e la ragione prima delle infinite apparenze del mondo fenomenico.” (In Nirvana [1931], ora in Il paese delle donne dai molti mariti, Vicenza, Neri Pozza, 2005, p. 117)
27 I. Calvino, Romanzi e racconti, II, p. 589.
28 I. Calvino, Saggi, p. 590. Stando alle informazioni in nota a Collezione di sabbia, il viaggio di Calvino in Giappone risale a prima della fine del 1976, dato che l’autore pubblica nel Corriere della Sera i primi articoli su quest’argomento nel dicembre di quell’anno. Cfr. ibidem, p. 2955.
29 I. Calvino, Romanzi e racconti, II, pp. 1394-1395. Così come è ironico che Ukko Ahti muoia scrivendo il saggio sulle reincarnazioni di Buddha, a p. 678.
30 Si veda M. J. Stella, Self and Self-Compromise in the Narratives of Pirandello and Moravia, New York, Bern, Berlin, Bruxelles, Frankfurt am Main, Oxford, Wien, Peter Lang, 2000, pp. 5-6. La frequentazione di tali concetti da parte di Pirandello risale alla pubblicazione di testi dal pali e dal sanscrito filtrati probabilmente dalla filosofia di Schopenhauer nella Germania del 1891, l’ambiente in cui fece gli studi di dottorato, e furono disponibili in italiano solo dall’inizio del secolo successivo con Il Buddha e la sua dottrina (1903) e Filosofia e buddhismo (1913) di Alessandro Costa, per non citare che i primi. Più estese senz’altro le fonti disponibili a Moravia dopo l’interesse nei confronti delle religioni orientali rinato in Italia negli anni Sessanta che gli fece pronunciare in un’intervista con Ferdinando Camon: “Ora a me il monoteismo non mi garba affatto. Non corrisponde ad un mio bisogno. Se dovessi proprio scegliere una religione, preferirei il Buddismo, che è piuttosto una filosofia.” (A. Moravia, Io e il mio tempo. Conversazioni critiche con Ferdinando Camon, Padova, Nord-Est, 1988, p. 86)
31 J. Usher, “Metempsychosis and ‘Renaissance’ between Petrarch and Boccaccio”, Italian Studies, vol. 60, n. 2, 2005, pp. 121-133.
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Référence papier
Claudia Nocentini, « Sollecitazioni buddhiste nell’opera di Calvino », Cahiers d’études italiennes, 9 | 2009, 155-165.
Référence électronique
Claudia Nocentini, « Sollecitazioni buddhiste nell’opera di Calvino », Cahiers d’études italiennes [En ligne], 9 | 2009, mis en ligne le 15 janvier 2011, consulté le 12 décembre 2024. URL : http://0-journals-openedition-org.catalogue.libraries.london.ac.uk/cei/204 ; DOI : https://0-doi-org.catalogue.libraries.london.ac.uk/10.4000/cei.204
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