Crisi di coscienza di un letterato: l’Opus di Franco Cordero
Plan
Haut de pageNotes de l’auteur
Texte intégral
- 1 F. Cordero, Opus, Torino, Einaudi, 1972. D’ora in avanti: O, al testo e in nota.
Il moro suo compagno di viaggio aveva detto [a sant’Ignazio] di credere al concepimento miracoloso di Gesù ma non che la Madonna fosse ancora vergine dopo il parto, essendo anatomicamente impossibile; rimasto indietro sopra pensiero, il santo si è domandato se fosse giusto tollerare che un moro parlasse male di Nostra Signora; alla fine, stanco di pensarci, ha risolto la questione con un’ordalia: se la mula, lasciata a briglia sciolta, al bivio avesse scelto la strada del villaggio, sarebbe andato in cerca del bestemmiatore per pugnalarlo.
F. Cordero, Opus, p. 841.
[Gesù] era un affascinatore e impartiva insegnamenti morali mescolati a previsioni apocalittiche d’un genere molto usato da quelle parti, a proposito del regno che diceva d’essere venuto a instaurare, e d’un ritorno trionfale sulle nuvole fra gli angeli del padre, ma una disavventura giudiziaria lo ha portato sulla croce finché un discepolo che non si rassegnava all’idea d’averlo perduto in modo ignobile, ha creduto di vederlo ed era tale la carica di desiderio che tutti si sono convinti. Eccola la resurrezione.
O, p. 70.
Chi è Franco Cordero, ovvero breve ritratto di un intellettuale engagé
1Franco Cordero (Cuneo, 1928) ha una triplice personalità? Non esattamente. È infatti giurista, politologo e non ultimo romanziere (di classe, se non di successo), ma la sua attività, che può sembrare eclettica (e lo è), persino troppo poliedrica, conserva un fuoco, un centro importante attorno al quale ruotano le sue varie sfere di interesse. È l’idea della legalità, laica e religiosa, o meglio la ricerca di un fondamento dal quale la legalità sia in grado di prendere le mosse.
2Può sembrare anacronistico – ma non a chi conosca la società italiana del ventesimo secolo – che tale fondamento (e qui l’attinenza con la tematica di questo colloquio) sia passibile di una ricerca nelle sfere del diritto laico, civile, come in quella del religioso, del suo côté giuridico nella fattispecie: l’opera di Cordero si situa anzi a questo crocevia, fra sacro e profano, teologico e politico. Di questa dicotomia Cordero tiene a mettere in risalto la componente antitetica, l’inconciliabilità dei due poli… siamo lontani, non solo cronologicamente, ma anche e soprattutto concettualmente (in Cordero, di nuovo, e non nella società italiana contemporanea o del passato prossimo), dalla teoria dei due soli, o da quella del sole e della luna. La risposta alla domanda se può esistere un fondamento civile al potere teologico – domanda che contiene anche il proprio contrario, il dubbio, meno impellente ma legittimo, se possa esistere un fondamento teologico all’autorità civile – è risolutamente negativa.
3Cordero, giurista anzitutto, penalista. Il suo manuale di procedura penale, che risale agli anni Sessanta ma è stato più volte ristampato e aggiornato, è a tutt’oggi fra i testi cardine della disciplina.
- 2 Cfr. almeno la traduzione inglese della Risposta a Monsignore.
4Docente universitario, alla Cattolica di Milano, fondata e allora retta da Agostino Gemelli, dal 1960 al 1974. Poi allontanato in seguito a un’ affaire con risvolti giuridici che ebbe risonanza europea2, che lo vede contrapposto al rettore e al forte partito di Comunione e Liberazione schieratoglisi contro a seguito dell’uscita degli Osservanti (Napoli, Giuffrè, 1967). La querelle che vede Cordero attaccato dalla fazione confessionale in Cattolica innescherà fra l’altro le rivendicazioni di un più vasto movimento d’opinione, tanto che nel 1975 la Chiesa, preoccupata per la forte presenza di studenti e la meno ingente ma già preoccupante ingerenza di docenti di sinistra all’Università Cattolica, aveva deciso di chiuderla, e sarà l’allora rettore Giuseppe Lazzati a salvare l’università del Sacro Cuore. Quindi Cordero insegna a Torino nel biennio 1974-1976, e a Roma fino al ritiro, avvenuto nel 2003.
- 3 Cito dalla seconda di copertina di F. Cordero, Viene il re, Milano, Bompiani, 1974.
5La fama di indipendenza di pensiero e di non assoggettamento all’oscurantismo dominante nell’ambiente religioso (e Cordero è di formazione gesuitica) si diffonde anche all’estero. Così nel 1971 il Times Literary Supplement, recensendo Le masche (Milano, Rizzoli, 1971) e Trattato di decomposizione (Bari, Di Donato, 1970), scrive che Cordero “è l’ultima specie d’uomo che vi aspettereste sulla scena italiana, odiatore del pensiero superficiale e malfermo3“.
6Antropologo della religione, esegeta e fine glossatore di testi, studioso. Ricordo almeno il commento all’Epistola ai Romani (Milano, Garzanti, 1972) e il monumentale Savonarola (4 voll., Roma-Bari, Laterza, 1986-1988).
7Politologo, editorialista per Repubblica, ideatore della figura kafkiana del Signor B. (Le strane regole del Signor B., Milano, Garzanti, 2003, premio Bagutta 2004), a Cordero si è fra l’altro ispirato Nanni Moretti per il suo Caimano.
8Infine, romanziere, attività nella quale i mestieri “altri” – specie il giurista, lo studioso di religione e il politologo – si incontrano per dar vita a una narrativa efficace, attenta e militante, di uno spessore etico e metafisico difficili da trovare altrove nel panorama italiano degli ultimi decenni, originale a livello stilistico e di organizzazione dei contenuti.
L’Opus di Franco Cordero
9Opus, oltre a essere probabilmente il più bel romanzo di Franco Cordero, costituisce un caso emblematico della maniera che Cordero narratore adotta nell’affrontare il rapporto tra le sfere dell’umano e del religioso. Se il rigore dell’esegeta va in frantumi di fronte alla spinta di un “realismo magico” la cui indagine sul personaggio assume le forme del flusso di una psiche in pezzi e di una focalizzazione multipla (Pavana – Torino, Einaudi, 1973 – ed entro una certa misura Passi d’arme – Torino, Einaudi, 1979) oppure ossessivamente fissa (Viene il re), quel che resta intatto è il rigore nella disanima dei problemi, con il frequente ricorso alla tecnica avvocatizia del contradditorio, degli argumenta pro e contra. E quel che ci interessa di più qui è che la particolarità della focalizzazione contribuisce a fare di ogni questione dibattuta nei romanzi di Cordero un caso di coscienza, si tratti di un problema di morale laica o di una disputa sull’esistenza e l’immortalità dell’anima.
10Opus è il terzo romanzo di Cordero. Il titolo allude già al doppio registro che sarà l’asse su cui si regge la dicotomia immanente-trascendente, capitale nel romanzo. Opus è infatti l’operazione alchemica finalizzata alla liberazione di Dio dalla materia in cui è imprigionato (O, p. 150), ma rinvia anche all’Opus Dei, l’Ordine politico-religioso per antonomasia (lo stesso Ordine, si può immaginare, che in Passi d’arme scatenerà una ribellione militare alla legittima autorità civile).
11Quattro le sezioni del romanzo, tutte da leggersi secondo questo doppio registro: Iter, che è il cammino che porta padre Mofa a Limen, ma ha anche il senso di un itinerario spirituale; Limen appunto, il nome della città dove Mofa trascorre la propria convalescenza ma al contempo contiene il senso di una soglia tra la vita e la morte, o, alchemicamente, tra insipienza e conoscenza; Transitus, che riprende e compendia il senso di un itinerario e quello dell’attraversamento di una soglia, il passaggio alla morte; Judicium, che all’ovvio senso giudiziario (padre Mofa viene giudicato dai sopravvissuti) assomma l’accezione escatologica del Giudizio.
12In breve la fabula. Padre Mofa, 46 anni, da 28 nell’Ordine, da 20 ordinato, dopo una degenza di quattro mesi in ospedale si accorge di aver perso la fede, il che gli fa sospettare di non averla mai avuta. Mandato nella Casa di Limen per la convalescenza, continua il proprio esausto ma metodico e infaticabile esame di coscienza, in cerca di fondati presupposti che avallino la fede smarrita. Tale ricerca, scopo dei momenti di lucidità ai quali si succedono sempre più spesso – a mano a mano che il suo stato di salute si aggrava – visioni oniriche o schegge dei traumi irrisolti della giovinezza e della prima maturità, lo fa passare per pazzo o per eterodosso da parte dei confratelli. Mofa ripone tutte le proprie speranze in Luca, il cui spirito di tredicenne tormentato da dubbi precoci aveva ricevuto anni addietro consolazione dallo stesso Mofa, suo direttore di coscienza. Senza aver trovato Luca, ma avendo trovato Vagus, “chierico laico” il cui nome richiama già i clerici vagantes, e la sua assoluzione, Mofa si reca al Santuario fuori città, dove troverà una morte misteriosa. Alla fine, appare Luca, vicinissimo e al contempo irrimediabilmente lontano da Mofa. Morto Mofa, ciascuno fa le proprie supposizioni in merito.
13L’esigenza di “smontare” il romanzo si rende necessaria al fine di mettere in evidenza il sistema di polarità sopra accennato. In particolare, mi soffermerò sulla maniera in cui Opus si presenta come perdita, sconfitta e rivelazione della vanità dei principali presupposti su cui si basano il sistema della fede e il “braccio secolare” che si sente chiamato a diffonderla e difenderla, l’Opus. Emblematico in tal senso è il personaggio di Mofa visto nei suoi rapporti con gli altri personaggi, si tratti di portavoce ufficiali dell’Opus (da padre Liuto al padre Rettore, a Paulus in particolare) come di “liberi pensatori”, interni (padre Cantore, fratel Saltero) o esterni all’Ordine (Vagus).
Nessuna illuminazione sulla via di Damasco
14La coscienza di Mofa tende pericolosamente – in termini religiosi – a coincidere con la logica comune e con quella valida per le scienze esatte (Mofa è laureato in matematica). Mofa considera nondimeno la fede presupposto indispensabile, nonché condizione necessaria per portare avanti un discorso di apostolato o per rivendicare una valenza politica alle strutture religiose o a correnti religiose presenti in istituzioni laiche (in questo caso, prima di tutto, l’università).
- 4 Cfr. inoltre (ma le citazioni potrebbero essere molte): “c’era ben altro a cui badare, cominciando (...)
15Mofa ha perso la fede: “Se la fede si basasse sugli imparaticci teologali, un po’ di ragionamento farebbe piazza pulita” (O, p. 10)4. Questa affermazione, posta in limine o quasi, significa che quella di Mofa non è stata una svolta aproblematica all’ateismo o al razionalismo. Almeno all’inizio, il tentativo di ritrovare la fede smarrita procede con sistematicità quanto con urgenza, e se gli “imparaticci teologali” vengono accantonati è affinché la fede conquisti nuovi e più saldi presupposti con l’avallo della ragione. Il che non esclude la tempestività e l’irrecuperabilità della perdita:
Ha perduto la fede come un altro la trova, in un lampo; ormai non riesce a credere nemmeno se gli mettono i ceppi alla testa: non è questione di volontà. […] La malattia c’entra ma resta da stabilire se non sia un effetto benefico: da bambino sentiva dire che il tifo risana. (O, p. 126)
16Si tratta di una conversione al contrario, sia rispetto al modello della conversione per antonomasia (quello paolino o agostiniano), sia rispetto al senso comune. La reazione a una malattia, specie se grave, si pensa infatti normalmente nella forma di un aggrapparsi alla fede anche da parte di quanti ne erano privi, alla ricerca spasmodica della buona morte. Mofa invece, erede dei philosophes, si riappropria grazie alla malattia di una razionalità che sente come impellente, e che si accorge essere stata troppo a lungo sacrificata a una fede creduta innata ma rivelatasi incapace di sostenere l’indagine della ratio.
17L’Ordine non ammette quanti portino avanti cartesianamente un’indagine razionale sui principi della fede, tanto meno quanti non si sentono, fintanto che l’esame sia compiuto e sia risultato soddisfacente, di intraprendere attività di apostolato o propaganda (è il caso del confratello finito a fare il facchino alla stazione, dopo aver lasciato l’Opus, o di quello divenuto garzone in un mobilificio di provincia: O, p. 58). Anche perché, siamo lontanissimi da Tommaso e da Cartesio. Così, l’emblematicità del romanzo consiste nel fatto che il tentativo di dimostrare razionalmente la fede, se compiuto dall’uomo del ventesimo secolo, è destinato a fallire.
18Eppure l’Opus (come l’influente partito confessionale al Concorso al centro di Viene il re, o l’Ordine ribelle all’autorità civile di Passi d’arme) resiste nel proprio prestigio e potere, anche secolare, agli attacchi dei liberi pensatori.
19Il personaggio di Paulus (il cui nome ci dice già da che parte si orienti) è il portavoce di un cristianesimo intransigente e oltranzista votato al costante tentativo di estendere la propria influenza agli ambiti laici. Pur lontani dalle ingenuità del Da Vinci Code, l’Opus di cui Paulus si intuisce destinato a diventare una delle personalità più influenti non si perita a cercare punti di contatto col secolo, è faccendiere e stolido nel proprio oscurantismo, orientato com’è a “piazzare” uomini suoi o simpatizzanti negli organismi della vita civile. In Opus è l’università a essere la vittima delle incursioni gesuitiche. Attraversa il romanzo la querelle intorno a una recensione di stampo dichiaratamente confessionale, redatta per denigrare uno studioso laico (che è stato fra l’altro il maestro di Luca) e rivendicare un ruolo dell’Ordine nel dibattito scientifico. Si tratta, a parere di Mofa chiamato a giudicare la recensione, di un pezzo dilettantesco privo di basi argomentative ma nondimeno prepotente (“nei sistemi basati su un’autorità ufficiale, chi professa i canoni è accreditato anche se parla da stupido; questo manoscritto fornisce un esempio”: O, p. 101), che altro non farebbe che rafforzare l’impressione di solidità del metodo e delle conclusioni dello studioso laico e il fallimento dell’ortodossia religiosa, in quanto “chi si lega a una formula apodittica deve ignorare ciò che la smentisce” (O, p. 100). E la conclusione di Mofa è perentoria: “Quel recensore blatera di verità soprannaturali: chi non le vede merita compassione come gli insetti condannati a strisciare; il guaio è che per vederle ci vuole la testa deforme. ” (O, p. 114)
20Alla fine del romanzo, sarà a Luca che Paulus chiederà, in cambio dell’appoggio a un concorso, una nuova recensione faziosa, che per il giovane studioso rappresenta anche un definitivo autodafé e una clamorosa sconfessione del maestro (O, p. 174-177).
- 5 O, p. 81. Quest’ultimo stralcio dal dialogo di Paulus è anche una risposta indiretta e una presa di (...)
21Questo è solo un esempio della maniera di operare dell’Ordine, nella persona dei suoi rappresentanti più influenti, il padre Rettore e Paulus (oltre al grottesco professor Piotini, figura troppo caricaturale perché lo si possa considerare un portavoce fededegno delle istanze confessionali). L’episodio chiave, che rivela non solo la personalità di Paulus, ma anche l’idea di cristianesimo che sta alla base della posizione ufficiale dell’Ordine, è il colloquio-scontro fra questi e Mofa (O, p. 79-84). Parlando con Mofa del confratello che ha abbandonato la Casa, il gesuita ortodosso dice cose quali il fatto che costui sia ora facchino alla stazione sarebbe “più di quello che merita; in un paese civile non finirebbe così”, in quanto quelli che se ne vanno “hanno tradito un impegno assunto liberamente, sputano nel piatto dove mangiano”. I presupposti di Paulus sono infatti che “la regola impone l’obbedienza” e che “la scienza conferma sempre la fede, se non c’è di mezzo qualche tara”. Questo sulla base del fatto che ragionare sulla fede non è indispensabile, è anzi deleterio, “come se la fede fosse qualcosa che va e viene: se la perdi è colpa tua; ce la fabbrichiamo ogni giorno, è un frutto di volontà”5. Paulus conclude: “l’importante è mantenere l’ordine” (O, p. 82), frase che si presta beninteso a due livelli di lettura.
22Sulla stessa linea, ma con ancora maggiore determinazione si muove il padre Rettore: “l’apologetica ha le sue esigenze: se i Padri della Chiesa nelle loro polemiche con i nemici della religione si fossero preoccupati di spaccare il capello in quattro e avessero trattato l’avversario coi guanti, se l’immagina dove saremmo finiti” (O, p. 102). Il padre Rettore contempla la possibilità di riconoscere al laicismo delle basi logiche, ma conclude: “noi siamo i depositari d’una rivelazione che vale più di tutte le miserabili scienze umane; lei ed io ci regoliamo sul Credo: perciò dobbiamo ridurre al silenzio gli inquinatori d’anime.” (O, p. 103)
23Il tentativo di Mofa, e di altri come lui viziati dalla ragione, di una ricerca dei fondamenti della fede, di un cristianesimo che sia altro dalla superstizione (le fiamme dell’inferno e la gioia dei beati vengono infatti considerate risposte puerili e non pertinenti agli appelli della ratio: O, p. 56 e 61-63), e dalle sovrastrutture la cui esigenza risiede nella non accettazione di una morte che coincida con la dissoluzione, sono destinati a uno scacco. Perché l’Ordine mantenga le proprie prerogative, i dissidenti devono esserne estromessi, con una possibilità di reintegro solo post mortem – e soltanto qualora la loro morte, come nel caso di Mofa, sia passibile di strumentalizzazione.
24La religione invece crolla. Nessuno dei dogmi traditi resiste allo scandaglio della ratio:
non si può accettare un dogma e rifiutarne un altro: la Madonna è stata concepita senza peccato originale, però gli angeli non l’hanno trasportata in cielo, il papa è fallibile, il concilio infallibile, e via seguitando; vengono tutti dalla stessa matrice come le prescrizioni sui riti. (O, p. 125)
25“Ragionare sull’anima” è un argomento “per teologi in buona salute” (O, p. 12), e “se esistesse un’anima, meglio perderla che passare la vita a lustrarla” (O, p. 107). Decade l’auctoritas del testo sacro come quella della divulgazione popolare, ad esempio il “trombonesco decalogo ipotetico” (If di Kipling), di cui ci si fa beffe in Pavana (p. 96), o putti e demoni affrescati cui si è già accennato.
26Libertà di pensiero e autonomia intellettuale si danno solo fuori dall’Ordine, come nel caso di Vagus, personaggio che costituisce, con Mofa e Luca, una triade caratterizzata da molteplici punti di contatto e complesse relazioni a livello narrativo e simbolico. Sulla maniera in cui si possono considerare tali relazioni vorrei sviluppare la seconda parte di questo intervento, e concludere.
En attendant Godot
- 6 Cfr. in part. O, pp. 36, 42, 48, 56, 91, 106-107, 136-137.
27La figura di Luca nel romanzo è complessa, costituisce un asse che dal passato di Mofa si prolunga, nelle forme di una recherche anch’essa destinata a fallire, nel futuro, in una prospettiva salvifica. Ritrovare Luca è prima di tutto, per Mofa, ristabilire un contatto con le proprie radici, e con un’epoca nella quale egli era sicuro della propria fede, tanto da essersi prodigato per farla ritornare anche al giovane Luca. Che Mofa spera possa diventare in qualche modo il suo direttore di coscienza… anzi, ne è certo. Dunque Mofa aspetta fin dal suo ritorno a Limen, aspetta Luca come si aspetta Godot, ossia qualcuno che non arriva mai o che, se arriva, non lo si incontra per un malinteso o altro6. Il parallelo con la figura beckettiana non pare aleatorio: “Luca tarda a venire, forse non verrà e anche se venisse, sarebbe una visita di cortesia” (O, p. 98). “E se Luca venisse a cercarlo?, no, è venuto ieri e darà una risposta domani” (O, p. 155). Quello che Luca non potrà esimersi dal fare, quando verrà – e parimenti non potrà esimersi dal venire – sarà chiarire i dubbi di Mofa: “Cosa diceva Luca oggi? Non è venuto, verrà domani a risolvere tutti i problemi.” (O, p. 128)
28Luca è del tutto ignaro del carico di aspettative salvifiche di cui Mofa lo investe, tanto che, morto Mofa, dice, immaginiamo con un’alzata di spalle, “volevo venirlo a salutare ma c’è stato un contrattempo” (O, p. 169). Anzi, l’ennesimo scacco di Mofa è nella sostanziale mancanza di interesse di Luca nei suoi confronti, che si vede bene nell’ultima parte, centrata appunto sul personaggio di Luca. L’indifferenza di Luca – che appena si ricorda di Mofa, il quale invece in Luca aveva riposto tutte le proprie speranze in un chiarimento – è già evidente quando Mofa è ancora vivo, mentre Luca assiste alla predica di Mofa “gli occhi erano insolitamente freddi” (O, p. 134), e si accentua ulteriormente dopo la sua morte: “Non riesce proprio a toglierselo di torno, anche Vagus ne parla” (O, p. 189), e ancora, lapidario: “Muore tanta gente ogni giorno: la morte di padre Mofa non ha niente di straordinario” (O, p. 190).
29Se il fallimento della ricerca di Mofa non è completo, ciò è dovuto al fatto che, aspettando Luca, Mofa incontra Vagus, controfigura laica di Luca, e trait d’union fra Luca e Mofa. Vagus è lontano dalla religione, quasi subito ha smesso di frequentare l’oratorio, per un odio quasi epidermico: “È stata l’antipatia a illuminarmi: non sopportavo l’odore di sangue e carne bruciata, il figlio scannato, il padre che sta a guardare soddisfatto, agnelli, pesci, colombe, l’inferno; quando una cosa mi spaventa, per difendermi ci ragiono sopra” (O, p. 148). Come molti altri personaggi di Cordero, Vagus è il portavoce di una causalità ateleologica, di un cieco meccanicismo; ritrova categorie teologali in Sade e sillogizza con Mofa: “metta che l’aspirazione a durare oltre la morte sia naturale come l’acquolina in bocca o le contrazioni della pupilla alla luce; questo non dimostra l’esistenza di un’anima immortale” (O, p. 152). L’incontro con Vagus segna il percorso dell’anima di Mofa. Vagus si rivela il Godot che Mofa credeva avrebbe trovato in Luca. Un Godot che però si trova pure senza cercarlo, e fornisce delle risposte: l’incontro con Vagus era “l’occasione che cercava da quando ha messo piede a Limen. Aveva soltanto sbagliato persona: Luca non può aiutarlo, Vagus risolverà il problema” (O, p. 153). Tanto è vero che sarà Vagus a proporre la lettura definitiva della morte di Mofa, posta a suggello del romanzo (O, p. 191), nei termini di un’ordalia che riesce vittoriosa per il postulante. Il significato dell’ordalia, quale è la risposta in cerca della quale Mofa si sottopone alla prova dell’acqua, rimane inespresso da Vagus, che – figura divina suo malgrado – sembra depositario della soluzione dell’enigma, rifiutandosi nel contempo di farne partecipi il lettore e Luca, suo interlocutore.
- 7 Un significativo parallelo fra i due personaggi è relativo ai problemi di sepoltura, topos letterar (...)
30Dopo la morte di Mofa, nell’ultima parte di Opus, Luca si fa parzialmente latore (inconsapevole) di istanze che erano state del Mofa convalescente7. A differenza di Mofa, Luca è cinico e calcolatore, ben conscio delle dinamiche di potere che gravitano intorno all’Opus. Come Mofa, Luca ragiona sull’inconciliabilità di fede e ragione (“in attesa dell’intellectus angelicus fornito agli inquilini del paradiso, contentiamoci della ratio, che gira cigolando in deduzioni faticose e non porta lontano ma quaggiù è il solo veicolo”: O, p. 178), e nel migliore dei mondi possibili opterebbe per la ratio. In una società clericalizzata anche in ambiti civili invece, Luca sceglie di indossare quotidianamente la maschera di innocuo portavoce di un punto di vista confessionale oltranzista.
31Ultimo ma non meno importante elemento che lega Mofa a Luca è il punto di vista particolare in cui Cordero situa i due personaggi. Come spesso altrove nella sua narrativa, la diegesi è in terza persona, senza onniscienza, ma la voce autoriale è vicina a uno dei personaggi. Tale vicinanza è di solito contraddistinta da una peculiarità nei dialoghi: le parole di chi è più lontano dal narratore sono tra virgolette, mentre quella che di volta in volta si distingue come voce più vicina all’istanza autoriale – pur rimanendone distinta – parla senza virgolette. In Opus ciò avviene per Mofa nelle prime tre parti, per Luca nella quarta.
Sola fide?
32In conclusione, Cordero non offre un ritratto della crisi della religione nella società italiana della seconda metà del Novecento. Anzi, mostra la solitudine dell’individuo in crisi religiosa. Se di un religioso si tratta, poi, l’isolamento è ancor più irrimediabile. Il prete che ha perso la fede viene conseguentemente emarginato dall’Ordine, e non sempre – come invece pare accaduto ai due confratelli apostati di Mofa – gli viene consentito il reintegro nella società civile.
33La Chiesa è un’istituzione da un lato autosufficiente, dall’altro sempre in lotta per una più decisa affermazione ed estensione della propria influenza. La fede diventa un dovere, come l’obbedienza, ai dubbi non vengono fornite risposte e gli anelli che non tengono vengono recisi.
34Nei romanzi di Cordero sono talvolta l’individuo (come è più evidente nel caso di Opus), talvolta l’istituzione laica a dover lottare contro il potere e l’autorità di una Chiesa oscurantista e senza scrupoli, sentita come nemica di qualsiasi tentativo di affermazione da parte di cellule della società civile.
Notes
1 F. Cordero, Opus, Torino, Einaudi, 1972. D’ora in avanti: O, al testo e in nota.
2 Cfr. almeno la traduzione inglese della Risposta a Monsignore.
3 Cito dalla seconda di copertina di F. Cordero, Viene il re, Milano, Bompiani, 1974.
4 Cfr. inoltre (ma le citazioni potrebbero essere molte): “c’era ben altro a cui badare, cominciando dalla religione che ora pesava come una piramide di credenze e pratiche estranee. Le abitudini e i sentimenti s’erano dissolti nel coma; bisognava ripartire dal vuoto assoluto e a quarantasei anni uno disseccato dal lavoro di testa non può contare sulla meraviglia credula di quand’era bambino: le cose che si facevano naturalmente, non riescono più. Ormai vedeva la religione con gli occhi dell’adulto diffidente che ne senta parlare per la prima volta, cerca d’impadronirsene senza riuscirci e si domanda da che cosa dipende l’insuccesso; possibile che l’oggetto stia al di là dell’intelligenza, come gli dicono? Allora ha raddoppiato l’attenzione con risultati disastrosi: da quando deglutendo l’ostia ripassava stupefatto la dottrina dell’eucarestia, non ha scovato un solo argomento a favore della risposta rassicurante e continua ad accumularne di contrari; come se non bastasse, da questo punto di vista tutto si spiega e in un modo spaventosamente chiaro, anche il postulato del soprannaturale inesplicabile, che dovrebbe chiudere la porta alle operazioni sacrileghe” (O, p. 15); “in materia di fede l’impossibile non esiste. Strano, è avvizzita di colpo: l’abitudine, la stanchezza, il dubbio fino alla sensazione d’un niente gelido; nessuno sa da che parte vengono certi impulsi e se portano del bene o del male. Bisogna aspettare; nemmeno gli esercizi di sant’Ignazio suggeriscono un metodo per affrontare la decisione o meglio la scoperta: le cose emergono da sole quando sono mature. Gli scrupoli di cui soffriva sant’Ignazio sono spariti da un giorno all’altro, ma la grazia va aiutata e lui non prega più, si è imposto di stare alla finestra: che una cosa piaccia non è una buona ragione per farla, spesso i sentimenti sono trappole. La decisione d’essere imparziale contiene già una scelta: padre Aspera diceva che solo chi ha perduto la fede ci specula sopra; gli altri credono semplicemente, senza rimestare nelle prove. Senonché questo genere di fede a lui non serve, nemmeno se potesse procurarsela a comando, ormai occorre qualcosa di più: o lo trova o rinuncia alla partita purché in ogni caso sia una conclusione pulita” (O, pp. 32-33); “Dicono che perdere la fede sia un’esperienza dolorosa, lo strazio dell’anima mutilata; niente affatto, ha guardato negli angoli in penombra dove pullulavano i misteri, e non c’era niente: aperti gli occhi, il mistero si squaglia. Che la religione sia un ponte di parole e di gesti sospesi nel vuoto, in fondo lo ha sempre saputo: di reale ci sono i desideri e le paure…” (O, p. 55)
5 O, p. 81. Quest’ultimo stralcio dal dialogo di Paulus è anche una risposta indiretta e una presa di posizione dell’Ordine rispetto alla crisi di coscienza di Mofa.
6 Cfr. in part. O, pp. 36, 42, 48, 56, 91, 106-107, 136-137.
7 Un significativo parallelo fra i due personaggi è relativo ai problemi di sepoltura, topos letterario di lungo periodo: come nell’Ordine ci sono perplessità sul luogo in cui seppellire Mofa, tanto che poi si decide per una soluzione temporanea, così nella tomba di famiglia di Luca viene temporaneamente piazzato il cadavere di un estraneo, contro la volontà di Luca.
Haut de pagePour citer cet article
Référence papier
Filippo Fonio, « Crisi di coscienza di un letterato: l’Opus di Franco Cordero », Cahiers d’études italiennes, 9 | 2009, 37-47.
Référence électronique
Filippo Fonio, « Crisi di coscienza di un letterato: l’Opus di Franco Cordero », Cahiers d’études italiennes [En ligne], 9 | 2009, mis en ligne le 15 janvier 2011, consulté le 11 décembre 2024. URL : http://0-journals-openedition-org.catalogue.libraries.london.ac.uk/cei/186 ; DOI : https://0-doi-org.catalogue.libraries.london.ac.uk/10.4000/cei.186
Haut de pageDroits d’auteur
Le texte et les autres éléments (illustrations, fichiers annexes importés), sont « Tous droits réservés », sauf mention contraire.
Haut de page