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Il ritorno di due “uomini contro”? Campanella e Bonhoeffer in Maffia e Affinati

Luciano Curreri
p. 13-24

Texte intégral

Ragioni del ritorno

  • 1 Sull’uso che di alcuni personaggi intellettuali del Novecento, fra Walter Benjamin (1892-1940), Gia (...)
  • 2 Cfr. a proposito L. Curreri, “Suicidi” e “resistenze” intellettuali. Memoria della deportazione e d (...)

1Questo intervento prosegue idealmente la rassegna dedicata al fascino della differenza nell’identità (in crisi) dell’intellettuale1 – con il ritorno narrativo di Walter Benjamin, Giacomo Debenedetti, Roberto “Bobi” Bazlen – e una verifica centrata sul solo Eraldo Affinati, da Campo del sangue (1997) a Un teologo contro Hitler (2002)2, con i suicidi degli intellettuali evocati nel primo testo (da Michelstaedter alla Rosselli) e con la resistenza e la morte di Dietrich Bonhoeffer nel secondo, tra memoria della deportazione e della carcerazione. In queste pagine, che ripartono da Un teologo contro Hitler e approdano, à rebours, a Il romanzo di Tommaso Campanella (1996) di Dante Maffia, mi interessano soprattutto le ragioni del ritorno di questi pensatori, a partire dai luoghi che sembrano tutelarli narrativamente.

  • 3 G. Vattimo, “Ritorno”, in Credere di credere, Milano, Garzanti, 1996 e 1998, [pp. 7-17], pp. 8 e 9; (...)

2Il protettivo genius loci della biblioteca, reperito in certe pagine di Daniele Del Giudice, Antonio Debenedetti e Bruno Arpaia, in relazione ai sopra citati Bazlen, Debenedetti, Benjamin, cede il posto a quello della prigione, alla spazialità della cella, che è anche, specie per fra Tommaso, di conventi, oltre che di carceri. Questo luogo, che tiene quasi a battesimo il ritorno di Campanella e Bonhoeffer, non dipende solo dall’orizzonte che accoglie storicamente l’iter dei due personaggi ma vuole anche rendere più visibile la fede che li caratterizza, seppur in modo diverso, e soprattutto circoscrivere, per il lettore, “la ripresa di un’esperienza in qualche modo già fatta” e “il rapporto di provenienza da un nocciolo di sacro da cui ci si è allontanati e che tuttavia rimane attivo, anche nella sua versione “decaduta”, ridotta a termini puramente mondani”3.

  • 4 Penso a D. Bonhoeffer, Resistenza e resa. Lettere e scritti dal carcere, a cura di E. Bethge, Cinis (...)

3La secolarizzazione, almeno inizialmente, è enunciata nella prigione e nel passaggio più o meno implicito che si dà – in entrambi gli orizzonti, e al di là dell’epocale differenza – dal convento al carcere. Non a caso, è proprio dall’esperienza della prigione e della fede secolarizzata – che nel carcere si fa spazio – che emerge l’”interno” delle lettere di Tommaso Campanella e Dietrich Bonhoeffer. Ed è per l’appunto questo “interno” a connettere via via i due pensatori al mondo, a un “esterno” e, in un certo senso, all’eternità del ritorno di cui il tessuto romanzesco di Affinati e Maffia si fa carico, rispettivamente a partire da quei capolavori che sono Resistenza e resa. Lettere e scritti dal carcere di Bonhoeffer e le Lettere di Campanella4.

“Uomini contro”?

4Nel titolo, Campanella e Bonhoeffer sono accostati e presentati sinteticamente come “uomini contro”, con un pensiero e un omaggio al film di Francesco Rosi, del 1970, ispirato al romanzo di Lussu, Un anno sull’altipiano (1938), e a più “anonimi” e “ignoti” hommes révoltés della Grande Guerra. E in effetti, anche i nostri “uomini contro” sono degli hommes révoltés. Suggerisce Camus:

Qu’est-ce qu’un homme révolté ? Un homme qui dit non. Mais s’il refuse, il ne renonce pas : c’est aussi un homme qui dit oui, dès son premier mouvement. (Camus, 1951, p. 27)

5Ma Campanella e Bonhoeffer non sono affatto “anonimi” e “ignoti” e in tal senso non sono come gli uomini di Lussu e nemmeno, quarant’anni dopo, come quelli di Rigoni Stern – penso a Storia di Tönle (1978). Ben al contrario, personaggi come Bonhoeffer o, per restare nel primo Novecento, come Benjamin, sono soggetti promossi dalla memoria e all’interno di due contesti, quello della religione e della critica, scossi entrambi da una forte perdita di autorità; e proprio in seguito agli episodi di cui sono “vittime” Benjamin e Bonhoeffer e da cui nessuna critica e nessuna religione è uscita indenne, immune, sana e salva. Scegliere oggi tali personaggi per scriverne in seno a quel romanzo che accoglie fin dalle sue origini, istituzionalmente, come genere, questa perdita e che traduce per di più molta narrativa contemporanea in saggio, con tanto di ricche bibliografie, e in diario, confessione, è anche un modo, a mio avviso, per cercare di rispondere a domande sempre più pressanti e diffuse quali: che cos’è un intellettuale”; che cosa è la critica”; che cosa è la religione, quale è il suo ruolo, il suo posto o, per riprendere il titolo di un panoramico dialogo del 2004 tra Luc Ferry e Marcel Gauchet, quale è il senso del religioso dopo la religione” E dico “panoramico dialogo” e cito Ferry e Gauchet perché, a livelli diversi, possono dar l’idea di modalità diffuse di pensare, sentire il religioso, a partire da due posizioni differenti, finanche antagoniste, ma connesse (Ferry, Gauchet, 2004).

  • 5 Cfr. il primo capitolo e le conclusioni di Ferry, 1996, pp. 63-108 e 227-247.

6Per Luc Ferry, ancien ministre de l’Éducation nationale e autore de L’Homme-Dieu ou le sens de la vie (1996)5,

  • 6 Cito dalle pagine introduttive di Éric Deschavanne e Pierre-Henri Tavoillot a Ferry, Gauchet, 2004, (...)

l’époque contemporaine se caractérise par le croisement de deux processus : d’une part, ce qu’il appelle l’”humanisation du divin” […] d’autre part, la “divinisation de l’humain”, c’est-à-dire le fait qu’au cœur de cet individualisme autonome – condition de l’homme moderne – réémerge de la transcendance : une transcendance non plus verticale (entre les hommes et l’au-delà) mais horizontale (entre les hommes eux-mêmes)6.

  • 7 M. Gauchet, Le désenchantement du monde, Paris, Gallimard, 1985. Ma cfr. anche La religion dans la (...)

7Mentre Marcel Gauchet, autore del Désenchantement du monde (1985)7,

  • 8 Cito sempre dalle pagine introduttive di Éric Deschavanne e Pierre-Henri Tavoillot a Ferry, Gauchet (...)

conteste cette alternative du matérialisme et de l’humanisme de l’homme-Dieu, considérant qu’une interprétation radicalement non religieuse de la transcendance est possible […] de telle manière que l’humanisme contemporain […] ne serait pas celui de l’homme-Dieu, mais au contraire de l’homme sans Dieu8.

  • 9 Penso a C. Magris, Se scompare il senso religioso, in La storia non è finita. Etica, politica, laic (...)

8Si potrebbe quasi “tradurre” con una nota battuta e suggerire: “Dio è morto, Marx pure ed io non mi sento tanto bene.” Ma che dire di quella, più recente e involontaria, del giornalista che annuncia che si ricorre più a Padre Pio che a Gesù Cristo e intanto si vuole fare santo Jacques Fesch, assassino convertitosi in carcere, magari insieme allo stesso Padre Pio” È una domanda che ritorna sovente e in altre vesti, più nobili, per esempio in certe pagine di Claudio Magris affidate al Corriere della Sera, il 12 giugno 2004, e di recente riproposte in volume, dove si finisce per parlare di un ritorno simile ai nostri, quello di Luther, al cinema, per la regia di Eric Till, il cui film è definito “una sdolcinata oleografia9“.

9I termini e le questioni del dibattito riassunto con Ferry e Gauchet sembrano saldarsi con le ragioni dei ritorni su cui qui stiamo provando a riflettere, estendendo all’Italia, col Magris citato, una sorta di condivisa e a volte deprecabile esigenza del mercato, che può pure tradursi in un flop al botteghino. Anche se la “marginalità” (e/o “provincialità”) di un certo contesto letterario italiano, dall’epoca di frate Tommaso ai giorni nostri, sembra metterci al riparo dalle sdolcinate derive oleografiche del Luther di Till, ovvero dal “mito a buon mercato”. E così, il Campanella di Maffia, nella quarta di copertina della prima edizione, riporta un giudizio assai diverso dello stesso Magris: “è un romanzo di grande pregio, sul quale bisognerà riflettere a lungo per poter meglio comprendere il nostro tempo e anche il nostro futuro.”

10Insomma, siamo quanto meno spinti a credere che non ci sono sempre e solo risposte oleografiche o rumorose, come quelle del “santo subito”, che traducono le sollecitazioni della piazza e le esigenze del furore mediatico. Si danno anche scelte più silenziose, che si affidano a sentieri meno battuti, dove l’”io” può sperare di ritrovarsi, allontanandosi dalla piazza e dalla folla, seguendo e ricalcando, per esempio, fino in prigione, le orme di Campanella e di Bonhoeffer. E il sottotitolo di Un teologo contro Hitler di Affinati è in tal senso davvero significativo: Sulle tracce di Dietrich Bonhoeffer.

Una scelta anticonformista

11Eraldo Affinati, scegliendo Bonhoeffer, e iniziando e chiudendo non casualmente con la sua impiccagione, applica, come dire, un “taglio a fuori” nei confronti del cattolicesimo. La sua scelta risponde a un certo chiamarsi o, meglio, a un certo mettersi, collocarsi “fuori”, perché è una scelta anticonformista, e “anarchica”, che non vuole né può identificare un uomo e una religione a livello istituzionale; e ben al di là del titolo della collana mondadoriana che ospita il suo libro, “Uomini e religioni” (Affinati, 2002).

12Di più. L’impiccagione, nel libro, non uccide e anzi si trasforma in una sorta di introduzione alla vita, alla memoria che la conserva e va oltre il cul-de-sac della nota e triste fine di Bonhoeffer. Lo capiamo subito dall’incipit graduato in tre tempi, un climax giocato su un pronome, un sostantivo e infine sul nome e cognome del personaggio: “Lo impiccarono nudo […] Il prigioniero morì strangolato […] Finì così la vita di Dietrich Bonhoeffer, pastore e teologo protestante, il 9 aprile 1945.” Certo, tale climax rischia di rendere un po’ monolitica la figura del pastore e teologo ma al tempo stesso veicola una più “aperta” e secolarizzata tendenza alla vita e al sacro, a un sacro più allargato, non recensibile soltanto come un sacro religioso o come un cristianesimo religioso; e soprattutto non rintracciabile all’interno di un iter fortemente istituzionalizzato, ovvero e per esempio all’interno di una Chiesa come “sovrastruttura”; e come tale criticata da Silone, dal 1935 di Pane e vino – poi Vino e pane (1955) – al 1968 de L’avventura di un povero cristiano.

13In Affinati sembrano convivere l’idea de l’homme revolté di Albert Camus – già citato in Campo del sangue – e l’humanisme critique di Tzvetan Todorov (Todorov, 2002, p. 14). Non a caso, nel giro di un lustro, Eraldo Affinati passa da un lungo elenco di “suicidi” intellettuali – contemplabile, come si è detto, nel libro del 1997 e significativo di una reazione alla perdita della funzione dell’intellighenzia nella società (ieri come oggi) – alla selezione di una sola individualità resistente, che emerge soprattutto dalla raccolta di lettere dal carcere (1943-1945) di Bonhoeffer, già citata nella Bibliografia di Campo del sangue. In questo percorso e in questo point d’ancrage conta, innanzi tutto, l’onestà intellettuale e, insieme, un cristianesimo “non propriamente religioso”, che bandisce ogni fuga nell’aldilà e coniuga la fede nel Dio di Cristo – che risponde in gran parte alla secolarizzazione del principio divino – con una piena fedeltà alla terra e alla vita.

Corollari narcisistici e vittimistici (finanche apocalittici)

14Resta l’ambiguità di un’identità scelta anche per ovviare alla mancanza di un’identità, con i corollari narcisistici e vittimistici (finanche apocalittici) che sono più o meno tipici di questa situazione; con Affinati che, fin dall’inizio, fin dalla prima pagina, sembra proprio voler sovrapporsi a Dietrich Bonhoeffer, nel testo e poi nelle foto che lo accompagnano. In effetti, subito dopo l’apertura e la gradazione sopra ricordata, c’è una sorta di anticlimax teso a sfumare il “monolite” che affiora progressivamente dal passato ma anche ad avvicinarlo, con una certa ambiguità.

15“Sono giunto al termine del mio viaggio sulle tracce di Bonhoeffer” diventa, nel giro di una frase, “Dietrich arrivò domenica 8 in Albis e restò fra queste mura poche ore notturne, pregando sul libro dei Salmi”, che apre di nuovo sull’”io” di Affinati: “Mi avvicino alla finestrella con le grate poste in alto sulla parete.” Il passato remoto è circondato e sfumato dai verbi al presente e il grande pastore e teologo è chiamato col solo nome, Dietrich. E in seno a questa riduzione della distanza tra Bonhoeffer e Affinati mi sembra che si agiti ancora un che di adolescenziale e non solo un mix delle posizioni diffuse e sopra raccolte, con Ferry e Gauchet, de l’homme-Dieu e de l’homme sans Dieu.

16Certo, è ancora possibile ammirare senza ridiventare dei ragazzini. Ma fin dall’inizio è possibile sentire l’eco della generazione di Affinati, che è del 1956, o della mia (sono del ‘66), che chiama Morrison per nome, col solo nome: Jim. Per un attimo, insomma, sembra che si passi dal Morire di musica – titolo di un libro Savelli del 1979 dedicato a Janis, Jimi e Jim – a un Morire di fede, per l’uomo e per Gesù Cristo. E quasi per restituire concretezza all’uno e all’altro e magari a quel Dio che si è dato al mondo e che ora sta al mondo ricostruire, come suggerisce Jonas ne Il concetto di Dio dopo Auschwitz (1984), ricordato nelle bibliografie di Campo del sangue e di Un teologo contro Hitler.

17Sembra restare in gioco, in Eraldo Affinati, un’immedesimazione un po’ ingenua e ambigua con lo sconfitto “autorevole”, ormai canonizzato come uno dei massimi teologi del Novecento: è forse il più noto dopo Barth, che è il sant’Agostino della teologia contemporanea. Certamente, il movimento narrativo e saggistico che lega un autore che tendenzialmente si vorrebbe con la a minuscola a un Eroe con la E maiuscola – teologo o superstar, magari fusi insieme nel ricordo della rock opera dedicata a Cristo da Tim Rice e Andrew Lloyd Webber, poi cult movie di Norman Jewison – insegue uno scopo nobile: ovviare alla perdita di autorità o, se si vuole, a un deficit di legittimità e a una credibilità frantumata, sopra i quali pesa il fantasma del pensiero unico, che non va confuso con quello debole e va piuttosto ricondotto a quella globalizzazione che massifica i prodotti culturali. Ma un ipotetico ragazzo che negli anni Settanta, a Roma, dice Jim e che poi da adulto dice Dietrich, può difendersi da questa massificazione, della musica come della religione, o finisce per restarci invischiato, tutta la vita, pensata, percepita magari all’interno della solita fine della cultura e degli apocalittici Frammenti della fine del mondo (altro titolo di Savelli del 1980, con testi di Adorno, Benjamin, etc.)”

18Non lo so. Da un lato, Affinati vuole andare oltre. L’impiccagione non uccide, come si diceva poc’anzi, e l’autore ricorda e traduce (e fa sua) una frase di uno dei figli di Goerdeler: “Questa è la fine, per me l’inizio della vita.” D’altro lato, Affinati, prima dell’Epilogo a Flossenbürg, titola l’ultimo capitolo solo This is the end e ricorda, dopo la frase citata: “This is the end: un’espressione che le generazioni successive alla sua, fra cui quella a cui appartengo, hanno ascoltato cantare da Jim Morrison dei Doors e che il regista Francis Ford Coppola utilizzò quale colonna sonora nel film Apocalypse now.” (Affinati, 2002, [pp. 157-162], p. 162)

  • 10 E. Affinati, Le ragioni del ritorno [2005], in Compagni segreti. Storie di viaggi, bombe e scrittor (...)

19Infine, e più di recente, l’identificazione affinatiana, quasi una sorta di laica “assunzione”, viene, come dire, assolutizzata, e proprio in seno agli “uomini contro”. In Compagni segreti. Storie di viaggi, bombe e scrittori (2006)10, specie in quel prologo significativamente titolato Le ragioni del ritorno, fra le tante scelte immedesimative, ne emerge una che qui conviene citare per intero:

Ero sull’Ortigara, là dove il tenente Emilio Lussu aveva combattuto, trovando il corpo della sua scrittura, anche per affermare una certa idea dell’Italia e, percorrendo insieme al vecchio sergente, maestro di vita e letteratura, le creste dei monti ancora segnate dalle trincee, misuravo la distanza fra ciò che avremmo potuto essere e quello che siamo diventati. Chiamami Mario Rigoni Stern.

20Questa citazione, si badi, non serve solo la “circolarità” del mio discorso critico e ci aiuta anche a capire che in prospettiva Un teologo contro Hitler non è importante in sé – per il momentaneo approdo a un dato religioso, per quanto evaso e trattato altrimenti – ma come tappa verso una ridefinizione dell’uomo e dell’intellettuale, e anche dell’uomo e intellettuale Affinati. Dopo avere attraversato, tra 1997 e 2002, il Campo del sangue e tutta la letteratura che a esso è dedicata, compresa la teologia ultima di Dietrich Bonhoeffer, nel 2006 Affinati è Lussu e Stern, e sembra aderire a quel secolo appena passato che produce senso, secondo Todorov, come tempo accessibile alla memoria degli individui: “c’est notre vie plus celle de nos parents, tout au plus de nos grands-parents” (Todorov, 2002, p. 9). Ovvero anche, se volete, i nonni letterati, gli intellettuali adulti di cui Affinati, per identificarsi e dirsi, continua a seguire le tracce.

La ricerca e la scrittura di una vita: Lussu, Stern, non senza Silone

21E sembra quasi, allora, che Affinati faccia come Silone e, in un certo senso, voglia, come lo scrittore abruzzese, riscrivere lo stesso testo. Ripenso ovviamente a L’avventura di un povero cristiano, del 1968, e a quel Silone a cui interessa “un certo tipo di cristiano”, quel Silone che aggiunge “non saprei scrivere d’altro”, lasciando intendere che è in ballo la ricerca e la scrittura di una vita. Si tratta, anche per lui, di quel corpo della scrittura che si batte pure, e non così implicitamente, contro il mercato:

Ho già detto in altra occasione che, se fosse stato in mio potere di cambiare le leggi mercantili della società letteraria, avrei amato passare la vita a scrivere e riscrivere sempre la stessa storia nella speranza, se non altro, di finire col capirla e farla capire. (Silone, 1968, p. 22)

22In questo accostamento, certo meno ovvio, si potrebbero poi tenere in considerazione certe convergenze strutturali e tematiche: (1) le quattro premesse siloniane unite sotto il titolo di Quel che rimane, con la prima dedicata agli inizi della ricerca, con Silone che entra in biblioteca ed è intercettato da un amico letterato che lo stuzzica sul rapporto presente-passato, sulla storia e il romanzo; (2) le appendici, che sono, in un certo senso, la bibliografia di Silone; (3) il tema, in quel mezzo, dell’anarchismo evangelico, in differente accezione, certo, ma teso a dinamizzare e allargare il romanzo in una sorta di “dramma-saggio” giocato intorno alla figura di Pietro da Morrone-Celestino V: il quale, dopo tre mesi, abdica in favore del cardinale Caetani, poi Bonifacio VIII, sullo sfondo, ovviamente, delle lotte tra francescani spirituali e francescani conventuali, tra l’eremitica Chiesa della croce e la Chiesa della gloria, tra l’amore per gli uomini e il potere sugli uomini. E tutto questo potrebbe farci quasi pregustare un’origine, altra e nascosta, del discorso di Affinati.

23Ma fino a che punto la scelta di Affinati vuole e può rimodellare il mercato delle lettere conosciuto da Silone e soprattutto quello post-siloniano” E poi perché Affinati ha bisogno di Bonhoeffer e perché – per fare un esempio – ci sembra più facile accostare, di primo acchito, il 1968 di Ignazio Silone al 1905 di Antonio Fogazzaro, e quindi L’avventura di un povero cristiano a Il santo” Perché in quella direzione c’è ancora il papa, la Chiesa, la Chiesa di Roma, la “sovrastruttura”, l’istituzione corrotta dal potere, da un lato, e un’idea di Dio e, forse e soprattutto, di cristiano, dall’altro.

24Con quale Chiesa, invece, si può confrontare Affinati, oggi, e pur in seno al “taglio a fuori” di cui dicevamo prima”

25Stato e Chiesa, negli anni in cui Affinati scrive, fanno a gara per sollecitarvi, stupirvi con “la cosa mai fatta prima, mai pensata prima” dal presidente del consiglio (Berlusconi) e dal pontefice (Giovanni Paolo II). In fondo vi stanno parlando ancora della morte di Marx e di una certa morte di Dio. Lo suggerisce anche Jacques Derrida evocando il “pape médiatique et latino-mondial” e la “mondialatinisation” (Derrida, 1996, [pp. 7-100], pp. 47-71). Ma è interessante notare che a paventate novità istituzionali – che non sono tali e che sovente mascherano una vera epoca di restaurazione – possano corrispondere, a livello letterario, certe ragioni del ritorno.

26Insomma, chi un tempo si arroccava sul passato, ora fa finta di muoversi in avanti; e chi oggi sembra arroccarsi sul passato, forse si muove davvero all’indietro e favorisce finanche una certa restaurazione, magari in seno ai mass media, e pur non partecipandovi direttamente: e penso, per esempio, al film per la televisione dedicato a papa Luciani, in onda su Raiuno nel 2006, compensato – completato” – dal ciclo di documentari curati da Luigi Bizzarri sugli ultimi sei pontificati, su Raitre a partire dal 22 novembre dello stesso anno.

  • 11 U. Eco, A passo di gambero. Guerre calde e populismo mediatico, Milano, Bompiani, 2006, pp. 111-183 (...)

27Umberto Eco – che, sia letto come un complimento, “fiuta l’aria dei tempi come Al Pacino sniffa cocaina in Scarface” – titola non a caso A passo di gambero un insieme di cronache del regime berlusconiano, di ritorni alle crociate e pure una scorribanda delle sue il cui titolo è ancora azzeccato: Chi non crede più in Dio crede a tutto11. E il pensiero va non tanto, in tal senso, al Dan Brown di Eco, ma a quanto annota Leonardo Sciascia in Nero su nero (1979) a proposito dell’“incredibile puerilità” degli scritti di Albino Luciani, poi Giovanni Paolo I: “puerilità” su cui, secondo Sciascia, si poteva al limite “puntare” senza spacciarla come “testi chiosati” (Sciascia, 1989, p. 819). Ironia della sorte, potremmo dire, l’invito è stato in parte raccolto e via via funzionalizzato, alla tv e al supermercato, mentre la conclusione dello scrittore siciliano, oggi più problematica e “aperta” di ieri, non ha purtroppo dato vita, in prospettiva, a un argine contro il conformismo ma a forme di razzismo e protezionismo più o meno velate in nome di politiche più o meno corrette.

28Dice Sciascia:

E poi, quel che è urgente in un paese come il nostro quasi sempre sommerso da una marea di conformismo, è il ristabilire i confini, le differenze, le diversità, le identità. Se ci riduciamo in un calderone in cui bolle tutto, in cui tutto fa brodo, è davvero finita. (Sciascia, 1989, p. 820)

Il buon vecchio “calderone”, come è noto, s’è addirittura rotto. Noi veniamo dopo, insieme ad Affinati.

Un passo indietro

29Proviamo allora a fare un passo indietro: io sono del ‘66, Affinati del ‘56, Maffia del ‘46. Nello stesso anno in cui esce, da Spirali, Il romanzo di Tommaso Campanella, Gianni Vattimo, in Credere di credere (1996), suggerisce:

Tutti siamo ormai abituati al fatto che il disincanto del mondo ha prodotto anche un radicale disincanto dell’idea stessa di disincanto; o, in altri termini, che la demitizzazione si è alla fine rivolta contro se stessa, riconoscendo come mito anche l’ideale della liquidazione del mito. (Vattimo, 1996, [pp. 17-23], p. 18)

  • 12 In una bella collana tesa a rendere omaggio alle figure autorevoli dell’orizzonte calabro in un per (...)

30Possiamo dire che Dante Maffia, col suo Campanella, lavora ancora contro la liquidazione del mito. In che modo” Rispettando le regole e un ordine narrativo quasi manzoniano, con la scelta della terza persona e di un narratore onnisciente. Tale scelta allontana Maffia da Affinati ma non del tutto: l’onniscienza che la voce narrativa manifesta nei confronti di frate Tommaso è quella ereditata da Campanella e dalla terra, la Calabria, che lo ha partorito e lanciato nella storia e nella letteratura, con pene, difficoltà e incomprensioni. Tommaso è anche il simbolo di un mondo da recuperare, con la cura delle non facili Poesie dell’eroico pensatore di Stilo uscita tre anni dopo il romanzo, nel 199912. Insomma, Campanella è anche Maffia.

31E Maffia, del resto, con un suo orgoglioso disincanto, vive, rispetto ad Affinati, in un altro mondo letterario, un “sottobosco” di case editrici e riviste, anche autofinanziate, in cui si è accettata un’altra logica. Tale logica coniuga un dato positivo – la “marginalità” di certi percorsi (come la poesia dialettale, frequentata da Maffia con risultati interessanti) – a un dato che lo è meno: l’approdo sicuro di tale “marginalità” a una non così celata e un po’ acritica autopromozione. Di più. La pur feconda marginalità, ribadita in tal modo, è un po’ sacrificata a se stessa, come lo è, in un certo senso, la poesia, e la poesia dialettale in specie.

32La scelta del romanzo, allora, sposa in sé, con più forza, l’autorità di Tommaso Campanella, di un intellettuale che vive nell’epoca oscurata dalla Controriforma e, come suggerisce Norberto Bobbio, di un “uomo eccezionale per vigore, coraggio, intelligenza”, di uno “spirito indomito […] tanto straordinario da essere indimenticabile” (Maffia, 1996). La monumentalizzazione empatica va al di là del mito e della sua disincantata e un po’ sacrificata “assunzione” e rientra anche, a mio avviso, nel ritorno degli “uomini contro” e in seno a un iter “non propriamente religioso”, in cui precipitano la cultura, la filosofia e la poesia di Campanella: un percorso che forse non sarebbe dispiaciuto a Sciascia, a certa sua storica e lirica sensibilità.

33La particolarità di tale ritorno, della ragione di tale ritorno, e poi anche, come in Affinati, la facile individuazione di un “nemico”: il dominio spagnolo e la Chiesa nata dalla Controriforma in Maffia, Hitler e la Chiesa che sta con il dittatore in Affinati. Le coordinate, insomma, sono fin troppo chiare, e proprio oggi che non lo sono più. A partire da Dio, un tempo arma della Chiesa, dei più forti, e oggi, apparentemente, al servizio dell’umanità diseredata.

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Bibliographie

Affinati E., Un teologo contro Hitler. Sulle tracce di Dietrich Bonhoeffer, Milano, Mondadori, “Uomini e religioni/Interventi”, 2002.

Camus A., L’homme révolté, Paris, Gallimard, 1951 e “Folio-Essais”, 1991.

Derrida J., “Foi et savoir. Les deux sources de la ‘religion’ aux limites de la simple raison” [1996], in Foi et Savoir suivi de Le Siècle et le pardon, Paris, Seuil, 2001.

Ferry L., L’homme-Dieu ou le Sens de la vie, Paris, Grasset & Fasquelle, 1996.

Ferry L., Gauchet M., Le religieux après la religion, Paris, Grasset & Fasquelle, “Nouveau Collège de Philosophie”, 2004.

Maffia D., Il romanzo di Tommaso Campanella, Milano, Spirali, 1996.

Sciascia L., “Nero su nero”, in Opere 1971-1983, a cura di C. Ambroise, Milano, Bompiani, 1989 e 2001.

Silone I., L’avventura di un povero cristiano [1968], Milano, Mondadori, “Oscar”, 1983.

Todorov T., Mémoire du mal, tentation du bien. Enquête sur le siècle, Paris, Laffont, 2000 e Librairie Générale Française, “Le livre de Poche”, 2002.

Vattimo G., Credere di credere, Milano, Garzanti, 1996 e 1998.

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Notes

1 Sull’uso che di alcuni personaggi intellettuali del Novecento, fra Walter Benjamin (1892-1940), Giacomo Debenedetti (1901-1967) e Roberto Bazlen (1902-1965), ha fatto la narrativa degli ultimi vent’anni, da Del Giudice a Arpaia e Mari, passando per Antonio Debenedetti, ho tenuto una lezione a Firenze il 12 novembre 2003, intitolata Un angelo, un dandy e “un uomo a cui piaceva vivere negli interstizi della cultura e della storia”. Poi ho cercato di rilanciare e approfondire il discorso in Il fascino della differenza nell’identità (in crisi) dello scrittore, del critico e dell’intellettuale: Bazlen, Debenedetti, Benjamin nel romanzo italiano: 1983-(2001)-2004, relazione al Convegno di Grenoble, Images et formes de la différence dans la littérature italienne des années 1970 à nos jours, 24-25 novembre 2005, Grenoble, ELLUG, Cahiers d’études italiennes, “Novecento… e dintorni”, n. 7, 2008, pp. 159-169.

2 Cfr. a proposito L. Curreri, “Suicidi” e “resistenze” intellettuali. Memoria della deportazione e della carcerazione: Affinati tra Campo del sangue (1997) e Un teologo contro Hitler (2002), relazione al Convegno di Varsavia, Lingua e memoria: scrittori ebrei di lingua italiana, 29-30 gennaio 2007 (in via di pubblicazione negli Atti dello stesso a cura di Hanna Serkowska).

3 G. Vattimo, “Ritorno”, in Credere di credere, Milano, Garzanti, 1996 e 1998, [pp. 7-17], pp. 8 e 9; d’ora in avanti: Vattimo, 1996. Ma cfr. ora, dello stesso, con P. Paterlini, Non Essere Dio, Reggio Emilia, Aliberti, 2006.

4 Penso a D. Bonhoeffer, Resistenza e resa. Lettere e scritti dal carcere, a cura di E. Bethge, Cinisello Balsamo (Milano), San Paolo, 1988 e a T. Campanella, Lettere, a cura di V. Spampanato, Bari, Laterza, 1927.

5 Cfr. il primo capitolo e le conclusioni di Ferry, 1996, pp. 63-108 e 227-247.

6 Cito dalle pagine introduttive di Éric Deschavanne e Pierre-Henri Tavoillot a Ferry, Gauchet, 2004, pp. 9-10.

7 M. Gauchet, Le désenchantement du monde, Paris, Gallimard, 1985. Ma cfr. anche La religion dans la démocratie. Parcours de la laïcité, Paris, Gallimard, 1998, due articoli del 1984, Fin de la religion ? e Sur la religion. Un échange avec Paul Valadier, raccolti in La démocratie contre elle-même, Paris, Gallimard, 2002, pp. 27-66, 67-90, e la seconda parte, Sortie, retour et transformations du religieux, di Un monde désenchanté, Paris, Les Éditions de l’Atelier/Éditions Ouvrières, 2004, pp. 101-177.

8 Cito sempre dalle pagine introduttive di Éric Deschavanne e Pierre-Henri Tavoillot a Ferry, Gauchet, 2004, pp. 10-11.

9 Penso a C. Magris, Se scompare il senso religioso, in La storia non è finita. Etica, politica, laicità, Milano, Garzanti, 2006, pp. 79-82. Nel 2003, anche a Bonhoeffer è stato dedicato un film, da Martin Doblmeier.

10 E. Affinati, Le ragioni del ritorno [2005], in Compagni segreti. Storie di viaggi, bombe e scrittori, Roma, Fandango, 2006, [pp. 5-9], p. 8. Da tener presente, ovviamente, sono anche le attenzioni critiche di Affinati a Rigoni Stern, per cui cfr. almeno l’Introduzione a M. Rigoni Stern, Opere, Milano, Mondadori, “I Meridiani”, 2005.

11 U. Eco, A passo di gambero. Guerre calde e populismo mediatico, Milano, Bompiani, 2006, pp. 111-183, 213-242, 261-278. Ma cfr. L. Curreri, “La sfida di non farsi leggere. Appunti intorno a Tristano muore (2004) di Tabucchi e Alla cieca (2005) di Magris”, in Intellettuali italiani del secondo Novecento, a cura di A. Barwig e T. Stauder, Frankfurt/M., Verlag für deutsch-italienische Studien, “Themen der Italianistik” (in via di pubblicazione).

12 In una bella collana tesa a rendere omaggio alle figure autorevoli dell’orizzonte calabro in un percorso che va dal Cinquecento all’Ottocento curato da Gilberto Floriani e Carlo Carlino per il Sistema Bibliotecario e l’Assessorato ai Beni Culturali della Regione Calabria, per cui cfr. T. Campanella, Le poesie, a cura di D. Maffia, Prefazione di E. Mandruzzato (L’eroico Campanella), Vibo Valentia, Sistema Bibliotecario vibonese, 1999.

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Pour citer cet article

Référence papier

Luciano Curreri, « Il ritorno di due “uomini contro”? Campanella e Bonhoeffer in Maffia e Affinati »Cahiers d’études italiennes, 9 | 2009, 13-24.

Référence électronique

Luciano Curreri, « Il ritorno di due “uomini contro”? Campanella e Bonhoeffer in Maffia e Affinati »Cahiers d’études italiennes [En ligne], 9 | 2009, mis en ligne le 15 janvier 2011, consulté le 12 décembre 2024. URL : http://0-journals-openedition-org.catalogue.libraries.london.ac.uk/cei/181 ; DOI : https://0-doi-org.catalogue.libraries.london.ac.uk/10.4000/cei.181

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Auteur

Luciano Curreri

Université de Liège

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