Note su Bartolomeo Sanvito, scriba e miniatore del rinascimento veneto
Résumés
Cette étude porte sur un scribe et enlumineur de manuscrits relativement peu connu. Celui-ci a néanmoins éveillé la curiosité d’illustres paléographes, surtout anglais, à cause d’un certain nombre d’énigmes liées à son œuvre. L’auteure est ainsi amenée à poser des questions dont l’intérêt dépasse le cas individuel de Sanvito.
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Mots-clés :
codes enluminés, Monselice, Epistolario, Evangelario, De Kunert, Padoue, erreurs de lecture, esprit critique, James Wardrop, « légèreté » de Italo CalvinoKeywords:
illuminated manuscripts, Monselice, Epistolario, Evangelario, De Kunert, Padua, misreading, critical mind, James Wardrop, I. Calvino’s “lightness”Parole chiave:
codici miniati, Monselice, Epistolario, Evangelario, De Kunert, Padova, errori di lettura, spirito critico, James Wardrop, «leggerezza» di Italo CalvinoTexte intégral
- 1 A. C. de la Mare e L. Nuvoloni (a cura di), Bartolomeo Sanvito. The Life and Work of a Renaissance (...)
1Bartolomeo Sanvito (Padova, 1433 – Monselice, 1511) è al centro delle considerazioni che seguono. Non molti, anche fra gli studiosi, lo conoscono. Il suo lascito va cercato nel mondo dei manoscritti, cui contribuì per tutta la vita, copiandone i testi e decorandone le pagine. Dunque lo si può definire uno scriba e un miniatore. Della prima qualifica non si è mai dubitato; la seconda sta facendosi faticosamente largo nei nostri giorni, dopo decenni di esitazioni e dibattiti, nonostante lui stesso avesse lasciato una chiara testimonianza di questa sua parallela attività, finalizzata, allo stesso modo del lavoro di copia che gli fu specifico, a costruire del tutto manualmente un libro, ma in più ad aggiungergli valenze artistiche1.
- 2 S. De Kunert, Un padovano ignoto ed un suo memoriale de’ primi anni del cinquecento (1505-1511) con (...)
2Sottoscrivendo due codici che nel 1509 donò alla collegiata di Santa Giustina in Monselice, di cui era divenuto canonico dal marzo del 1497, un Epistolario e un Evangeliario, per la prima volta, infatti, Bartolomeo Sanvito appose il proprio nome per intero, precisando di averli scritti e decorati di sua mano e a sue spese. La dichiarazione, apparentemente semplice e chiara, parve insidiosa e ambigua allo studioso, S. De Kunert2, che per primo attrasse l’attenzione su questo singolare personaggio, pubblicandone un tardo taccuino di appunti autografo, fondamentale per la sua biografia, che egli trovò nell’Archivio del Pio Istituto degli Esposti di Padova, ma che è oggi smarrito e il cui mancato ritrovamento, a più di cento anni dalla sua edizione a stampa, va sempre più assomigliando ad una perdita definitiva.
3Se sarebbe avventato, e magari quasi lesivo del suo onore, affermare che allo studioso cui si deve la scoperta del Sanvito sia da collegarsi la sparizione del Memoriale, a lui certamente, nella fattispecie considerata, va fatto risalire l’avvio di quella linea di prudenza interpretativa la cui durata ha superato di gran lunga ogni previsione. Certo la sua impostazione critica ha avuto un peso: scripta manent; ma a rallentare ulteriormente i ricercatori è stata proprio l’impossibilità di controllare direttamente il famoso documento, di verificarne l’autenticità. Il loro decalogo professionale contiene alcuni precetti da cui non si discostano e che vanno illustrati per meglio comprendere e giustificare l’atteggiamento di cautissima prudenza.
4Sanno bene, per esperienza più volte fatta nel corso della loro vita di lavoro, che la Storia è sempre sorprendente e che l’improbabilità non è assolutamente un criterio sicuro per fondarvi le proprie asserzioni in negativo, per abbandonare definitivamente una via di ricerca. E ne tengono conto.
5In secondo luogo hanno dovuto accettare l’errore come uno dei motori più potenti che operi nelle vicende umane e, talvolta, nella loro stessa memoria, tale che la sua sfera d’azione va ben al di là del prevedibile, colpendo in modo spesso sottilmente insidioso e assolutamente inatteso.
- 3 Cfr. A. Tomei (a cura di), Le biccherne di Siena. Arte e finanza all’alba dell’economia moderna (Ro (...)
6Valga a questo proposito un recente esempio: per un’erronea lettura dell’iniziale del suo cognome — L invece di B, quindi Domenico Benzi e non Lenzi — l’ambizioso biadaiolo cui si deve una delle più vivide testimonianze della quotidianità fiorentina del primo Trecento (è il manoscritto Tempi 3 della Biblioteca Medicea Laurenziana di Firenze) peregrinò per circa cento anni in territori biografici non suoi, nei quali appariva del tutto spaesato. La correzione di una sola lettera alfabetica ha aggiunto ai suoi non pochi meriti di cronista della vita economica di Firenze, come a dire di autore di un tassello importante per comprendere la realtà dei comuni italiani nel momento della loro massima fioritura, la luce pregiata di un legame con Dante Alighieri, i cui eredi, stando ai documenti, ebbero certo contatti con la sua famiglia3.
7In terzo luogo i ricercatori sono consapevoli che non di rado, quando l’asserzione definitiva sembrerebbe vicina, in quanto corroborata da elementi concordi, improvvisamente può emergere quello fatalmente contraddittorio, che distrugge in un attimo la ricostruzione del passato operata.
8A chiudere la breve rassegna s’impone almeno un’ultima considerazione: la ricerca, sempre faticosa e come contesa da dati in contrasto fra loro, richiede un rigore che non si deve mai allentare, così da non poter dare per scontata neppure l’auctoritas, lungamente tramandata e accettata: è sconsolatamente certo che proprio sulla base dell’ipse dixit molte verità si sono respinte a lungo o sono state tardivamente raggiunte. Non se ne vuol certo negare il valore, trattandosi di una naturale fonte di energia, che è sempre in sé esemplare, ma non si può riservarle incondizionata adesione; al contrario, senza timore reverenziale, va sottoposta a quel vaglio critico della Ragione con cui si deve valutare, indifferentemente, ognuno degli elementi acquisiti nell’indagine storica.
- 4 Cfr. J. Wardrop, The Script of Humanism. Some Aspects of Humanistic Script 1460–1560, Oxford, Clare (...)
9Riemerso dagli archivi non infiniti, ma immensi, della Storia, fu naturale che Bartolomeo Sanvito, copista davvero singolare, attirasse l’attenzione di uno storico della scrittura, l’inglese James Wardrop (1905-1957). Il suo lascito più importante è un libro breve, ma fondamentale, nella storia della paleografia, che, grazie soprattutto a lui, per la prima volta superò il tradizionale limite del quattordicesimo secolo e cessò di essere intesa come semplice tecnica di decifrazione e datazione del manoscritto4.
10Indagatore incline ad approfondire la materia dei suoi studi, più che a percorrerla in tutte le direzioni; disposto a conoscerne bene una sola parte, piuttosto che a tentare l’impossibile appropriazione del suo intero; poco desideroso di mettere per iscritto i risultati delle sue ricerche, perché gli pareva che i tempi dello scrivere lo sottraessero a più alti compiti e speculazioni; tuttavia consapevole della necessità di comunicare agli altri, per riceverne quel riconoscimento che aiuta il ricercatore a credere nei suoi risultati, Wardrop non ebbe tempo di sviluppare teoricamente le sue intuizioni, ma certo non gli sfuggì la natura della scrittura come rappresentazione del pensiero e della lingua a mezzo di segni; come loro principale strumento di mediazione, ma soprattutto straordinaria invenzione che permise di dare materialità all’immateriale. Fu invece del tutto esplicito nell’affermare che la scrittura, come ogni fenomeno che dipende dall’uomo, è soggetta a quell’inarrestabile trasformazione che caratterizza la società e al suo interno gli individui che la compongono, la riflette e al tempo stesso ne è proiezione diretta, documentando puntualmente i suoi continui, inarrestabili mutamenti, cioè il divenire; a reclamare per essa la stessa attenzione riservata a qualsiasi frutto dell’attività umana; a farne, quindi, oggetto di ricerca per conoscerne quel percorso che è proiezione diretta di civiltà.
11Tutto l’entusiasmo con cui Wardrop patrocinò il riscatto della paleografia è presente nelle sue pagine e viene spontaneo chiedersi se ciò non sia un po’ dovuto a quello che l’autore denuncia come una propria manchevolezza, cioè l’aver dato alle stampe un testo non rifinito, non ancora pronto per la pubblicazione, ma costituito dagli appunti elaborati nel corso dei suoi anni di insegnamento, per uso didattico. Pur astenendomi dal dare una risposta (che peraltro si intuisce quale possa essere) mi sembra assai opportuno richiamare a proposito di questo piccolo dilemma — per la sua soluzione — una delle Lezioni americane di I. Calvino, quella sulla «leggerezza» (nel senso di levità di tocco e non di superficialità di approccio), primo dei valori letterari da salvare per il nuovo Millennio, a giudizio del grande scrittore.
12In questo modo l’eredità di Wardrop andò oltre la materia e la sua elaborazione da parte di lui, consegnandoci anche il suo modo di sentire.
13A raccoglierla fu principalmente Albinia de la Mare (1932-2001) che in quanto paleografa non si limitò allo studio dei ductus e dei cambiamenti delle scritture pur nella mutata ottica patrocinata da Wardrop, ma sottolineando l’importanza di tale disciplina come strumento fondamentale per l’indagine storica, se ne servì per dissodare il terreno dell’Umanesimo fiorentino, pervenendo, attraverso l’identificazione dei copisti che vi operarono, a risultati — ed è affermazione del tutto scevra da ogni intenzione di abbellimento retorico — cui la filologia classica degli ultimi decenni deve buona parte dell’impulso e dei forti progressi che la caratterizzano.
- 5 F. Petrarca, Familiares XXI 10, citato da N. Mann, Petrarca, ed. it. a cura di G. C. Alessi e L. C. (...)
14Il secondo filone di studi della De la Mare fu proprio Bartolomeo Sanvito, a cui potè dedicare molta parte della sua stessa vita per una vera e propria affinità elettiva che la legò a lui. Chi fa ricerca sa bene che questi incontri, tra vivi e morti, possono avvenire, anzi non sembrano poi così rari e, a ben guardare, sono talvolta favoriti e quasi predisposti dagli uomini di maggior autoconsapevolezza. Un esempio illustre a questo proposito è costituito da Petrarca: intento per tutta la vita al proprio epistolario, lavorando di scelta e di cesello per costruirlo nel modo che gli parve più lusinghiero per trasmettere memoria di sé ai posteri, ripetè quanto già aveva fatto Cicerone, che aveva proceduto esattamente nello stesso modo. Ma non si trattò di pura imitazione. Con lui il grande poeta aretino intrattenne per tutta la vita un rapporto devoto e affettuoso, come di un buon figlio verso un buon padre, un legame stretto che, è Petrarca stesso a dircelo in una sua lettera, lo induceva a parlargli — parrebbe — anche ad alta voce sicuro della sua presenza5.
15Il Sanvito non fu una scoperta della De la Mare. Prima di lei, come si è detto, altri si erano accorti di lui e James Wardrop, in particolare, gli aveva rivolto un’attenzione prolungata e ammirata, intuendo dietro le sue pagine più che eleganti la forza di un’estetica originalmente elaborata e perseguita con serena inflessibilità, senza mai scostarsene.
16Alla grande studiosa inglese si deve invece il tenace, costante lavoro di ricerca dei codici sanviteschi sparsi nelle biblioteche di tutto il mondo e il loro reperimento in un numero alto — fino ad oggi cento venticinque codici — che da solo nega quell’accusa di pigrizia che pure figura nella vita del Sanvito, indubitabilmente attestata da una lettera autentica e rivoltagli da un contemporaneo impaziente. La notizia in sé non lusinghiera, non era sfuggita agli studiosi del copista padovano, ma era stata lasciata circolare come una curiosità, che lungi dall’intaccare la personalità del personaggio la arricchiva, collocandolo di diritto nella categoria dei «migliori», che come si sa sono sempre inseguiti dall’invidia sociale.
17Il rilievo che si è fatto offre lo spunto per accennare ad un’altra fondamentale questione connessa all’indagine storica, quella cioè della censura, spesso coscientemente operata anche dallo stesso indagatore.
18La ricerca, descritta e intesa, oggi, come caratteristicamente neutrale, asetticamente non ideologica, mai giudicante, né selettiva di dati ed eventi che incrinino l’immagine che, pure, quasi sempre, ogni studioso volentieri assegnerebbe aprioristicamente al suo oggetto di indagine, ha conosciuto nel corso dei tempi non pochi attacchi diretti ad impedirne le acquisizioni, quindi finalizzati ad ostacolare la Storia come ricostruzione il più possibile vicina alla Verità.
- 6 L. Settembrini, I Neoplatonici, Racconto inedito a cura di R. Cantarella, Milano, Rizzoli, 1977.
19Per tutti valga un esempio illustre che fa capo a Benedetto Croce, autore del sorprendente veto alla pubblicazione di un inedito di Luigi Settembrini (I Neoplatonici, uscito poi nel 1977)6 giudicando l’opera un «lubrico e malsano […] errore letterario del Venerato Maestro. Martire patriottico dei Borboni […]».
- 7 S. Dickerson, Chronology, in A. C. de la Mare e L. Nuvoloni (a cura di), Bartolomeo Sanvito, cit., (...)
20Al contrario non ha subito questo trattamento, nonostante il suo contenuto quasi sconvolgente per l’immagine del Sanvito ormai acquisita da cento anni di studi, un recentissimo ritrovamento del suo ultimo, eccezionale biografo, Scott Dickerson, nella cui ricca e puntuale cronologia sanvitesca7 è con non poco stupore che si legge che nel settembre del 1498 il Sanvito disseppellì nei suoi poderi due antichi vasi su cui campeggiavano quelle preziose iscrizioni che l’erudizione umanistica — a partire da Ciriaco d’Ancona, Felice Feliciano ed altri fino a Fra Giovanni Giocondo, amico e committente del copista padovano — raccolse con avida solerzia, facendone ordinate raccolte finalizzate alla conoscenza della venerata Antichità classica. Le iscrizioni delle anfore furono prontamente riportate nelle sillogi di iscrizioni antiche che Sanvito copiava per Fra Giocondo, destinate a potenti, possibili mecenati.
21Il moderno ricercatore, per definizione, è possibilista e, come si è detto, alla base delle sue convinzioni sta la certezza che l’improbabile è talvolta la giusta via. Il rinvenimento in casa Sanvito senza dubbio lo ha stupito, ma non lo ha trovato impreparato; al contrario disposto ad accettare una manifestazione sorprendente, ma non impossibile, del Caso.
22Ma poiché la ricerca è un’inarrestabile fonte di interrogativi ha sentito l’immediato bisogno di circostanziare, di chiarire la sorprendente notizia, di ritrovare il percorso, nei secoli, dei vasi che il Sanvito cavò nei suoi stessi poderi. La fama immediata di cui gli oggetti e le straordinarie circostanze del loro ritrovamento godettero fin da principio, ha lasciato tracce e non è stato difficile per lui accertarne la vendita, ad opera dello stesso Sanvito, ad un collezionista e umanista umbro, Francesco Maturanzio (oggi ancora ricordato grazie alla sua collaborazione con il Perugino).
- 8 Cfr. K. Pajorin, I simposi degli Umanisti in Uralkodók és corvinák – Potentates and Corvinas, Anniv (...)
23È quasi certo, conoscendo il fervore culturale che caratterizzò l’epoca, che l’acquirente dovette desiderarle con una tenacia non inferiore a quella con cui Gerolamo Rossi, umanista pistoiese ambizioso di figurare alla corte medicea, perseguì l’acquisto di un antico busto di Platone per farne omaggio a Lorenzo il Magnifico che, come è noto, professò devozione per il grande filosofo greco, fino a celebrarne annualmente, con adeguato banchetto, il genetliaco (7 novembre)8.
24Sappiamo adesso che l’uno e l’altro furono ingannati. Nel Quattrocento la vera effige di Platone non si conosceva e si dovette attendere il tardo Ottocento per appropriarsene. Ma la scritta con il nome del filosofo, aggiunta surrettiziamente all’erma di uno sconosciuto, fu espediente sufficiente a creare l’illusione. Anzi la convinzione.
- 9 T. Mommsen, Corpus inscriptionum latinarum, V, Berlin, G. Reiner, 1877, no 194, pp. 22, 96, 264.
25Per i vasi o meglio per le loro iscrizioni fu T. Mommsen, nel secondo Ottocento, a pronunciare l’odiosa sentenza di contraffazione9.
26Difficile dire se Gerolamo Rossi e Bartolomeo Sanvito furono consapevoli oppure ingenui strumenti di altrui malizie.
27Tornando alla De la Mare occorre almeno aggiungere che l’operazione più vistosa compiuta, cioè il ritrovamento del corpus superstite dell’opera del Sanvito, presumibilmente portato da lei vicino alla completezza, non è certo la più importante; anche se sarebbe errato pensarla come una semplice caccia al tesoro, dal momento che al contrario fu basata su presupposti di tipo scientifico, essendo il risultato finale di una profonda conoscenza della materia e di un lavoro accurato di vaglio e di eliminazione di tutto quanto potesse sviare e intralciare il raggiungimento dell’obbiettivo. Come per ogni vero ricercatore il suo percorso procedeva per la via più diretta.
28Non solo paleografa, fu filologa e storica e come tale possedette non pochi strumenti essenziali per il suo lavoro. Ma, credo, i suoi risultati furono anche più straordinari perché accompagnati, anche in lei, da quell’entusiasmo per la Classicità che è caratteristica quasi distintiva del mondo accademico britannico e che spesso fa dei suoi rappresentanti alcuni dei migliori interpreti del Passato. La studiosa inglese dedicò ad ogni manoscritto ritrovato una serie di cure e di indagini mirate alla loro esatta collocazione cronologica nella lunga vita produttiva del Sanvito, mirando a ricostruirne l’ordine di apparizione, ma anche a riambientarli in una realtà storica quanto più possibile ricca di dati costituivi. Cosicché scorrendo oggi il catalogo della produzione dello straordinario copista, le acquisizioni cui lo studioso perviene non fanno tanto perno sul fatto evolutivo della scrittura (certamente presente come naturale riflesso del suo naturale invecchiamento: dall’andamento tremolante della grafia Wardrop dedusse notizie sulla salute del Sanvito, ipotizzando una più che probabile artrite), quanto sul messaggio culturale trasmesso e sull’ampio quadro della società romana di secondo Quattrocento da lei delineato.
29Concludendo, credo, alla luce di questi risultati, si possa affermare che l’entusiasmo intellettuale condensatosi intorno alla vicenda umana di un personaggio la cui professione, a prima vista, non sembrava tale da consentirgli un protagonismo nella Storia, ha fatto sì che la barriera angusta della sua microstoria sia stata abbattuta e che muovendo da un individuo si sia arrivati ad un’epoca, alla cui definizione il Sanvito ha contribuito più di quanto si sarebbe disposti ad ammettere. E volendo definire quel suo particolare atteggiamento nei confronti della Classicità, quale emerge da pagine sempre eleganti e accurate, e da cui trapelano scelte non solo grafiche, ma anche competentemente filologiche, miranti a pubblicare i testi più corretti, cioè più fedeli alla loro versione originale, la sola nozione che sembra appropriata è quella di devozione e di gratitudine per un mondo che non si stancò di celebrare, rievocandolo anche con le sue miniature, non più che garbate dal punto di vista artistico, e non scevre di ingenuità, ma anche collocabili fra la testimonianze più commosse con cui l’Umanesimo ha cercato di ridar vita alla Grecità e alla Romanità.
Notes
1 A. C. de la Mare e L. Nuvoloni (a cura di), Bartolomeo Sanvito. The Life and Work of a Renaissance Scribe, London, Association internationale de bibliophilie, 2009.
2 S. De Kunert, Un padovano ignoto ed un suo memoriale de’ primi anni del cinquecento (1505-1511) con cenni su due codici miniati, in «Bollettino del Museo civico di Padova», 10, 1-2 (1907), pp. 1-16, 64-73.
3 Cfr. A. Tomei (a cura di), Le biccherne di Siena. Arte e finanza all’alba dell’economia moderna (Roma, Palazzo del Quirinale, marzo-aprile 2002), Roma, Retablo – Bolis Edizioni, 2003, pp. 254-255 (scheda di A. Dillon Bussi).
4 Cfr. J. Wardrop, The Script of Humanism. Some Aspects of Humanistic Script 1460–1560, Oxford, Clarendon Press, 1963.
5 F. Petrarca, Familiares XXI 10, citato da N. Mann, Petrarca, ed. it. a cura di G. C. Alessi e L. C. Rossi, Milano, LED, 1993, pp. 13-14.
6 L. Settembrini, I Neoplatonici, Racconto inedito a cura di R. Cantarella, Milano, Rizzoli, 1977.
7 S. Dickerson, Chronology, in A. C. de la Mare e L. Nuvoloni (a cura di), Bartolomeo Sanvito, cit., pp. 39-62.
8 Cfr. K. Pajorin, I simposi degli Umanisti in Uralkodók és corvinák – Potentates and Corvinas, Anniversary exhibition of the National Széchényi Library, May 16 – August 20, 2002, Budapest, 2002, pp. 117-121.
9 T. Mommsen, Corpus inscriptionum latinarum, V, Berlin, G. Reiner, 1877, no 194, pp. 22, 96, 264.
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Référence papier
Angela Dillon Bussi, « Note su Bartolomeo Sanvito, scriba e miniatore del rinascimento veneto », Cahiers d’études italiennes, 18 | 2014, 109-115.
Référence électronique
Angela Dillon Bussi, « Note su Bartolomeo Sanvito, scriba e miniatore del rinascimento veneto », Cahiers d’études italiennes [En ligne], 18 | 2014, mis en ligne le 30 septembre 2015, consulté le 07 décembre 2024. URL : http://0-journals-openedition-org.catalogue.libraries.london.ac.uk/cei/1672 ; DOI : https://0-doi-org.catalogue.libraries.london.ac.uk/10.4000/cei.1672
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