Conterie di vetro, lavoro delle donne e commercio di lusso nella prima età moderna
Abstracts
At the first landfall of Columbus in the New World, his navigators gave to the people of the island an offering of glass necklaces. This inaugural gift was made in tiny glass beads known as conterie, already the established currency of European trade overseas. These beads were the product of Europe’s revived glass-making industry of the late Middle Ages, largely made and strung by women in an artisanal labour of cottage industry, of which the distinctive example was Venice. Of all the products of the Murano glass-making families, the glass bead was by far the most lucrative, for the conterie served the newly-global trading economies of early modernity as currency. This paper takes up the example of glass bead manufacture to consider its polyvalent social and cultural roles in the first age of circumnavigation. It considers the complex and layered histories of the early modern glass bead, from the women who made and wore them, to the global traders who bartered under their sign.
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- 1 L. Ronchini, Le impiraresse, 1975, <https://sonichits.com[…]Le_impiraresse>.
Semo tute impiraresse
semo qua de vita piene
tuto fògo ne le vene
core sangue venessiàn.
No xè gnente che ne tegna
quando furie diventèmo.
semo done che impiremo
e chi impira gà ragion.
se lavora tuto il giorno
come macchine viventi
ma par far astussie e stenti
tra mille umiliasiòn1.
1Al primo approdo nel ‘nuovo mondo’, l’11 ottobre 1492, Cristoforo Colombo registrò così gli eventi nel suo giornale di bordo:
- 2 C. Colombo, Diario di bordo. Libro della prima navigazione e scoperta delle Indie, a cura di G. Fer (...)
[…] affinché ci diventassero molto amici […] diedi ad alcuni di essi alcuni berretti rossi ed alcune coroncine di vetro che si ponevano al collo e altre molte cose di poco valore, di cui ebbero molto piacere e restarono tanto nostri [amici] che era una meraviglia. Essi venivano poi nuotando alle barche delle navi dove noi stavamo e ci portavano pappagalli, filo di cotone in gomitoli e zagaglie e molte altre cose e ce le cambiavano con altre cose che noi davamo loro, come perline di vetro e sonagli. Insomma prendevano tutto e di quello che avevano davano con buona volontà.2
- 3 Per una panoramica sulla storia delle perline: L. S. Dubin, The History of Beads from 30,000 BC to (...)
2In questo scambio inaugurale tra il ‘vecchio’ e il ‘nuovo’ mondo, i marinai europei offrirono alle popolazioni indigene un oggetto che era allo stesso tempo un dono e una forma di moneta. Il tema di questo saggio è il mezzo materiale di questo scambio: le conterie, ovvero le perle di vetro che costituivano la valuta principale del commercio dell’Europa rinascimentale, attraverso l’India e l’Africa e, dal 1492 in poi, anche nel continente americano. Il loro appellativo di conterie si riferisce al loro ruolo economico come mezzo di valutazione comparativa e quantitativa delle merci3. In quanto tale, il loro uso configurava il commercio globale nella prima fase della circumnavigazione (fig. 1).
Figura 1. – Perla di vetro con canne rosetta e foglia d’oro, Murano, fine XV secolo.
Museo di vetro, Murano, <https://museovetro.visitmuve.it/it/il-museo/percorsi-e-collezioni/spazio-conterie/>. Foto: autore.
- 4 Per l’oggetto artigianale fra storia dell’arte e antropologia, G. Warwick, Playing with Dolls: Art, (...)
3Tra i molti aspetti degni di nota di questo primo scambio tra Europa e America vi è il riconoscimento della funzione di ornamento delle perle di vetro, «che si ponevano al collo». Come gli storici delle perline hanno notato da tempo, questo tipo di oggetti è una costante antropologica presente in diverse culture4. Dalle perle di conchiglia kula delle isole Trobriand agli cowrie dell’oceano indiano, si tratta della forma di moneta storicamente più conosciuta. Mentre il vetro era un materiale nuovo per le Americhe nel 1492, le perle di costituzione minerale, ossea, o di conchiglia, erano antiche, con uno status al contempo di ornamento e di scambio come wampum. La perla di vetro europea si inserì dunque nell’economia culturale delle perle indigene del ‘nuovo mondo’.
- 5 Ad esempio, J.‑B. Tavernier, Les six voyages de Jean-Baptiste Tavernier (1676), 2 voll., Parigi, Ri (...)
- 6 Secondo L. S. Dubin, The History of Beads, cit., p. 271, basato sulla ricerca di P. Francis, Beads (...)
4Come mezzo di scambio nell’età della prima circumnavigazione, la perla di vetro fungeva da valuta al pari delle monete metalliche. Nei manuali dei mercanti, i beni del primo capitalismo globale erano spesso misurati in perle di vetro: una libbra per una pelle di castoro canadese; 5 libbre per uno schiavo africano5. Tutte le tredici colonie originarie usavano il wampum e le perline di vetro come moneta, sia con i primi popoli che tra di loro6. A testimonianza della loro centralità come moneta nella prima età degli scambi globali, questi manufatti davano persino il nome alle compagnie commerciali nazionali del XVII secolo: così, la Hudson’s Bay Company e la Royal Africa Company erano conosciute colloquialmente come glass bead companies.
- 7 P. Marascutto e M. Stainer, Perle veneziane, cit., p. 66.
- 8 D. A. Rumrill, The Mohawk Glass Trade Bead Chronology ca. 1560–1785, «Beads: Journal of the Society (...)
5La storia della circolazione di questi oggetti si dispiega sul lungo periodo: gli studiosi hanno segnalato un vasto traffico di perle di vetro dall’Europa agli Stati Uniti che si è protratto fino alla fine del XIX secolo, con circa 2700 tonnellate all’anno che arrivavano soltanto a New York, e che finora non è stato adeguatamente esplorato7. L’eredità storica del dono di Colombo sopravvive nell’ornamento in perline dei mocassini e di altri capi di abbigliamento realizzati dalle popolazioni indigene del continente americano. Se questo saggio si concentra sul capitolo dedicato alla prima età moderna, e più specificatamente allo spazio della penisola italiana, la storia della mobilità interculturale delle perle di vetro, che si staglia sullo sfondo, è ben più complessa e stratificata8.
- 9 Sul vetro di Murano: H. Tait, The Golden Age of Venetian Glass, Londra, British Museum, 1979; G. Ma (...)
6Pur tenendo conto della funzione delle conterie come moneta di scambio globale, il presente lavoro si occupa principalmente della storia socio-economica e artistico-artigianale della loro fabbricazione. Nel XVII secolo, la stragrande maggioranza delle conterie rinascimentali era prodotta dalle industrie vetrarie veneziane, situate sulla piccola isola di Murano. Come è ben noto, la produzione vetraria rinascimentale in tutta Italia e in Europa nacque in stretta vicinanza e per emulazione dei manufatti veneziani. L’arte vetraria della laguna fu celebrata nelle corti dell’Europa rinascimentale per la produzione del cosiddetto vetro cristallo, il quale, soffiato con una finezza e una trasparenza eteree, divenne il materiale di norma usato per gli oggetti da tavola delle élites e per i cosmetici di lusso. Come gli storici del vetro hanno notato, il prodotto di punta della vetreria muranese del Rinascimento erano le coppe — bicchieri e calici — che ornavano le tavole principesche, proprio nel momento storico di massima espansione della tavola e del galateo in Europa9. Sebbene il protagonismo artistico-artigianale della coppa e del calice decorati fosse l’emblema riconosciuto della vetreria di lusso muranese, il pilastro economico della vetreria veneziana era rappresentato dalle conterie. Prodotte in grandi quantità e commercializzate in tutto il mondo conosciuto, le perle di vetro veneziane viaggiavano al ritmo dei commerci globali della prima età moderna.
7Il presente saggio adotta una duplice scala di osservazione nello studio delle perle di vetro, concentrando l’attenzione tanto su coloro che le hanno prodotte quanto sui mercanti che le hanno messe in circolazione. Partirò dallo studio delle strutture economiche e sociali veneziane della loro produzione e del loro scambio. È bene innanzitutto sottolineare che, se i fabbricanti di pasta di vetro e i soffiatori delle fornaci muranesi erano uomini, la produzione di perle di vetro per il commercio occupava principalmente una manodopera femminile, nei quartieri più poveri della città, da Cannaregio a Castello. In questa manifattura domestica le donne lavoravano sia come perleri, che con una fiamma ad olio modellavano la pasta di vetro per fare le perle, sia come impiraresse, che infilavano in fili di cotone le minuscole perline vitree di conteria.
- 10 L. Zecchin, Vetro e vetrai di Murano. Studi sulla storia del vetro, 3 voll., Venezia, Arsenale, 198 (...)
- 11 F. Trivellato, Fondamenta dei vetrai, cit.; B. Bettoni, Perle di vetro e gioie false, cit. Si veda (...)
- 12 C. Maitte, Les chemins de verre : les migrations des verriers d’Altare et de Venise (xvie‑xixe sièc (...)
- 13 L. S. Dubin, The History of Beads, cit.; Ead., The Beaded Universe: Strands of Culture, New York, T (...)
- 14 M. Snodin e M. Howard, Ornament: A Social History Since 1450, Londra, V&A Publications, 1996; P. Th (...)
8Per condurre la mia analisi, mi sono avvalsa dell’ampia ricerca archivistica sull’industria vetraria muranese condotta da Luigi Zecchin e della ricca esperienza curatoriale del Museo del Vetro di Murano, al fine di indagare il folklore della perla di vetro e la materialità dei diversi manufatti10. Le ricerche di storia economica di Barbara Bettoni e Francesca Trivellato si sono rivelate particolarmente utili per portare alla luce i complessi rapporti di lavoro tra i sessi all’interno della manifattura, dalle corporazioni alle botteghe. Nell’ambito di studi sul lavoro femminile di età moderna, Francesca Trivellato ha in particolare approfondito la conoscenza dell’impiraressa veneziana11. Corinne Maitte, invece, ripercorrendo i chemins de verre di Altare, ha mappato la trasmissione della tecnica artigianale e quindi dello ‘stile artistico’ attraverso la migrazione di manodopera tra Venezia, Genova e oltre. Ho attinto anche alle ampie risorse del Corning Museum of Glass e del Museo del vetro di Murano per ricostruire le storie globali del vetro12. Più in generale, questo saggio si iscrive nella vasta ricerca interculturale della prima età moderna agli albori della circumnavigazione, proponendosi di analizzare le complesse interrelazioni tra manufatti e linguaggi nella trasmissione e nello scambio di ‘cultura’ tramite le ‘cose’13. Spunti interessanti provengono infine dall’ampia letteratura storico-artistica sulle mediazioni socio-culturali dell’‘ornamento’ e dagli studi antropologici sulle transizioni tra tecniche e tecnologie nella produzione di manufatti14.
- 15 Da una ormai vasta bibliografia si veda soprattutto A. Appadurai, The Social Life of Things: Commod (...)
- 16 M. L. Pratt, Arts of the Contact Zone, «MLA: Profession», 1991, pp. 33‑40; S. Gruzinski, Painting t (...)
9Sono consapevole che il tentativo di scrivere una ‘biografia culturale’ delle cose della prima età moderna implichi uno slittamento tra cronologia archivistica e memoria folklorica. Le bibliografie pertinenti sono attualmente disparate e in gran parte riferite ad aree circoscritte; per unirle nel campo d’indagine della storia culturale occorre innanzitutto delimitare i contorni della storia documentaria della perla di vetro. Nonostante le difficoltà, la circolazione delle conterie offre allo storico un’opportunità eccezionale per tracciare la ‘vita sociale di oggetti in movimento’15. In quanto manufatto circolante in ‘zone di contatto’, il loro raggio d’azione sociale comprendeva l’intero spettro delle vite e dei mezzi di sussistenza, delle identità e delle culture della prima età moderna16. Questo saggio cerca di rendere giustizia a questi oggetti e alla loro miriade di vite culturali, studiando le loro ricche storie sia nel linguaggio che nell’esperienza vissuta degli individui che li hanno prodotti, scambiati e usati.
1. Lessici di laboratorio
- 17 Esiste anche una serie di pubblicazioni dedicate alla terminologia: C. Hess e K. Wight, Looking at (...)
10La maggior parte degli studi sulla vetreria della prima età moderna comprende un glossario di terminologia artigianale17. Si tratta di vocabolari storici specializzati, spesso in dialetti locali, che descrivono le tecniche di produzione e i manufatti realizzati. Da un lato, questi ricchi lessici distinguono gli oggetti strettamente correlati, i loro diversi stili di forma, finitura e colore; dall’altro, descrivono le varie fasi della loro fabbricazione, includendo sia gli strumenti che le competenze artigianali impiegate, spesso differenziando i diversi prodotti in base ai vari metodi di fabbricazione. È bene tuttavia ricordare che tutti i termini legati a questo ambito professionale sono soggetti a uno slittamento storico nella definizione e soprattutto nell’uso. Il tessuto stesso di questi lessici è soggetto a cambiamenti storici in sintonia con l’evoluzione delle tecnologie, dei modi di produzione e della legislazione economica emanata da corporazioni e organi di governo.
- 18 La letteratura si concentra principalmente sulle impiraresse del XVIII secolo: I. Ninni (1893), L’I (...)
- 19 Sulle tecniche manuali colpite dall’impatto delle tecnologie meccanizzate: M. Mauss, Techniques, Te (...)
- 20 S. McTighe, Perfect Deformity, Ideal Beauty, and the Imaginaire of Work: The Reception of Annibale (...)
11Nel contesto veneziano, un esempio di questa specializzazione lessicale e del suo mutamento è rappresentato dalla figura, entrata a far parte del folklore locale, dell’impiraressa (infilatrice o infilaperle). Lavoratrici di una manifattura artigianale che si è protratta fino all’inizio del XX secolo, le impiraresse si riunivano nello spazio comune o cortile dei loro quartieri mentre lavoravano, forgiando così una cultura condivisa del lavoro artigianale, caratterizzata da gesti, strumenti e forme immateriali comuni. Il loro canto, ad esempio, ritmava i gesti delle braccia e delle mani, trasformando il loro lavoro fisico in quello di vere e proprie ‘macchine viventi’18. Il lavoro manuale dell’impiraressa si materializzava nella sua palmetta di aghi, stesi a ventaglio come se fosse un’estensione delle dita, con cui pescava le perline in una sessola e le inseriva in dei fili19. La sessola, un vassoio di legno di forma concava che la donna teneva in grembo, era simile alla sassola usata dai marinai per raccogliere e svuotare l’acqua all’interno delle imbarcazioni. Come i termini e gli attributi di una miriade di personificazioni del lavoro della prima età moderna — i cris de Paris, le arti di Bologna, i cries of London — l’infilatrice di perline veneziana era identificata con gli strumenti del suo mestiere, o addirittura personificata da essi20. Il mestiere era insomma un vero e proprio emblema dell’identità veneziana (fig. 2).
Figura 2. – John Singer Sargent, The Bead-Stringers of Venice.
Oil on canvas, 1880-1882.
National Gallery of Ireland, Dublin, <http://onlinecollection.nationalgallery.ie/objects/11737/the-beadstringers-of-venice>.
12La palmetta di aghi doveva accelerare una produzione, apprezzata per la rapidità, la quantità, e la precisione con cui veniva eseguita. Nel Rinascimento, con il grande incremento della produzione vetraria muranese e incentrata sulla perla di vetro, questa manodopera femminile partecipò di un più ampio fenomeno di proto-industrializzazione moderna. La sua permanenza fino al XX secolo è peculiare, ma non anomala, all’interno della storia dell’artigianato della prima modernità. Se adesso l’impiraressa è una figura del passato, come un cimelio di famiglia intrappolato in una ‘bolla’ temporale, a metà del XV secolo, all’epoca della sua diffusione nei cortili di Cannaregio il suo lavoro era la premessa della produzione meccanizzata. Ciò è in linea non solo con la crescente stratificazione e divisione del lavoro all’interno delle vetrerie di Murano, ma molto più in generale con le grandi attività artigianali del XV‑XVIII secolo, alla vigilia di quella che gli storici definiscono ‘rivoluzione industriale’.
- 21 M. Bloch, Les « inventions » médiévales, «Annales d’histoire économique et sociale», vol. 7, no 6, (...)
13Gli storici della prima modernità sono giustamente cauti nei confronti delle grandi narrazioni di ‘progresso’ che tale periodizzazione teleologicamente orientata implica, anche se riconoscono i cambiamenti temporali nelle economie, nelle culture e negli epistemi che questa produce. Già Marc Bloch, nella sua critica pionieristica di una storia trionfalistica delle ‘invenzioni’, spostava l’attenzione su una storia del cambiamento tecnologico graduale e di lunga durata21. La storia del vetro è, infatti, caratterizzata da sperimentazioni sui materiali, nuove ricette, tecniche e tecnologie, che producono una crescente diversificazione e stratificazione dei prodotti in vetro, nonché delle forme di lavoro, come dimostra la figura dell’intrecciatore di perline veneziano. Questa crescente diversificazione si manifesta anche nel linguaggio, nei vocabolari fiorenti e mutevoli utilizzati per descrivere il lavoro.
- 22 Citato in A. Panini, Perle di vetro, cit., p. 97.
14Il termine conterie, utilizzato per designare le piccole perle di vetro che costituirono una delle principali monete di scambio e di commercio durante il primo periodo moderno, è esso stesso avvolto da una storia folkloristica. I primi storici di Murano, come i fondatori ottocenteschi del suo museo del vetro e del suo archivio, hanno dibattuto sull’etimologia del termine. Da un lato, si riteneva che derivasse da contante o valuta (Domenico Bussolin, 1864); dall’altro, da contigia, che significava ornamento (Vincenzo Zanetti, 1874)22. Se la precisa genealogia storica del termine rimane oggetto di dibattito, queste interpretazioni divergenti fanno riflettere sulla molteplicità di significati che la storia della perla di vetro porta con sé nel corso dei secoli.
- 23 L. Zecchin, Vetro e vetrai di Murano, cit., vol. I, pp. 66‑99.
15L’appellativo di questo manufatto è, d’altra parte, soggetto a uno slittamento temporale, come rilevato da quanti hanno indagato da vicino la storia documentaria del vetro di Murano. Tra questi, Luigi Zecchin nota che il termine ‘conterie’, per tutto il periodo compreso tra il XV e il XVII secoli, indicava tutti i tipi di perle di vetro utilizzate sia come ornamento di tessuti e gioielli, sia come moneta di scambio. Secondo lo studioso, l’uso precoce del sostantivo andava connesso all’uso e al valore di scambio delle perle, e non tanto ai diversi mezzi della loro produzione. Tuttavia, i metodi di produzione erano distinti al punto da determinare nel tempo strutture corporative differenziate per i diversi tipi di perle. Questo vale anche per il termine margariteri, usato per identificare i lavoratori delle perline: sebbene fosse spesso associato alle conterie, il suo uso rinascimentale rimaneva ampio23. Per cogliere le complesse matrici tipologiche di parole e oggetti in relazione alla storia delle perle di vetro, come manufatti e beni economici, è necessario un approfondimento.
- 24 Arte e amore nell’Italia del Rinascimento, a cura di A. Beyer, New York, Metropolitan Museum of Art (...)
16Nel XVIII secolo, le diverse corporazioni di perle di vetro separarono chiaramente le loro produzioni secondo due tipi principali, distinti soprattutto nei metodi di produzione e nelle relative strutture lavorative. Da un lato c’erano le minuscole perline dette margarite, monocromatiche e realizzate in un assortimento di colori. Queste potevano essere infilate in fili multicolori o di colore uniforme, cucite in tessuti, disposte in fili per collane, bracciali, cinture e colletti, o vendute come perline commerciali a sacchi a seconda del peso. La modalità di fabbricazione era in linea con le grandi quantità in cui venivano prodotte come moneta di scambio per i commerci. Sempre secondo Luigi Zecchin, la tecnologia per questo tipo di perle nasce negli anni settanta del Quattrocento, consentendone così la loro produzione di massa per la prima volta. A Murano, in questo periodo, i lavoratori del vetro, in particolare i tiradori, iniziarono ad allungare i cilindri di vetro soffiato in lunghi tubi cavi o canne, che potevano poi essere tagliati in tondi concentrici. Questi piccoli tondi di vetro venivano poi messi in una ferraccia d’acciaio dove si ammorbidivano delicatamente in una fornace, ruotando continuamente in modo da sciogliere i bordi in perle arrotondate. Successivamente venivano caricati in sacchi di sabbia e scossi dai lustradori, per essere lucidati a specchio. Una volta lavate, le perle viaggiavano in barca attraverso la laguna, in grandi tini, per essere affidate alle donne di Cannaregio per l’infilzatura. La maggior parte veniva infilata su fili di tessuto e confezionata in sacchetti per essere utilizzata come moneta. Alcune, tuttavia, venivano infilate su sottili fili metallici, per facilitare la disposizione in lavori ornamentali, più comunemente motivi floreali, che potevano essere utilizzati per diversi scopi decorativi. Quelle su filo potevano anche essere disposte in applicazioni tessili, ma questo lavoro veniva svolto essenzialmente dalle ricamatrici della manifattura tessile del lusso (fig. 3)24. Il lavoro dei margeriteri o perleri prevedeva competenze diverse, dall’incordatura delle perle per farne moneta di scambio, dove l’abilità risiedeva nella velocità, nella precisione e soprattutto nella quantità dell’esecuzione, ai complessi ornamenti decorativi che richiedevano giudizio, acutezza visiva e memoria nell’esecuzione dei modelli. Anche prima della loro distinzione per corporazione nel XVIII secolo, tuttavia, l’appellativo di conterie nel loro ruolo primario di moneta venne sempre più usato per queste perline.
Figura 3. – Cuffia da donna con ricami e perline di vetro, Venezia, c. 1500‑1525.
The Metropolitan Museum of Art, New York, <www.metmuseum.org/art/collection/search/219857>.
17Del resto, una buona parte della produzione di perle di vetro veneziane era fatta su misura. Ogni perla veniva cioè dipinta a mano, utilizzando lampade a olio come piccole fornaci per ammorbidire sottili fili di vetro colorato (le vette). Anche le perle stesse avevano forme, colori e dimensioni diverse, più grandi rispetto alle perle margerite, forgiate avvolgendo la pasta di vetro su rocchetti di metallo dalla misura della moneta metallica. Mentre le grandi fornaci che producevano la pasta di vetro erano state confinate a Murano per decreto legislativo già nel 1292, al fine di proteggere l’isola dal rischio di incendi, i fornacini dei lavoratori di perle di vetro continuarono a essere utilizzati, in gran parte nel sestiere veneziano di Castello. Si trattava, anche in questo caso, di un’occupazione prevalentemente femminile, sebbene spesso sovrapposta con il mestiere di gioielliere, in particolare nella produzione di gemme in pasta di vetro, i cosiddetti veriselli o verixelli in dialetto veneziano. In questo caso le differenziazioni storiche sono quelle della longue durée, senza le chiare distinzioni temporali degli statuti legislativi. Queste artigiane erano dette sopialume per via delle lampade di cui si servivano, o perleri, perché uno dei loro prodotti principali, almeno dal XIII secolo, era la fabbricazione di perle di vetro ricoperte da strati di smalto madreperlaceo. Come le impiraresse, le lavoratrici erano quindi definite dai prodotti e dagli strumenti di produzione: le loro perle e le loro lampade. Queste perle d’imitazione erano tra le principali esportazioni dell’industria muranese, per l’ornamento dei tessuti e dei relativi gioielli, che si diffusero in tutta Europa e nei suoi domini.
18Tra la minuscola perlina ricavata da canne di vetro e la perla da lampada decorata su misura vi è stata una storia diversificata di produzione di perline di forme, dimensioni, e colori diversi, ciascuna con nomi precisi. Quello che vediamo dal XV secolo in poi è una varietà sempre maggiore. Ciò è in linea con la più ampia storia della prima età moderna del vetro di Murano. È infatti attraverso una cultura artigianale di costante sperimentazione, alla ricerca di nuovi tipi di colore e finitura che il vetro veneziano ha guadagnato una fama internazionale. Le vetrerie si sono diffuse in tutta l’Europa tra il XIII e il XIV secolo, ma la maggior parte di esse si occupava della produzione quotidiana di bottiglie e vasi per la conservazione di alimenti e farmaci. Murano produceva e commercializzava, in maniera del tutto singolare, prodotti in vetro ‘di lusso’. La perla di vetro era per molti versi la sorellastra, per raffinatezza, del calice di vetro, ossia della produzione rinascimentale più rinomata di Murano, e certamente il prodotto trainante della vetreria.
- 25 Ad esempio, G. Franco, Habiti delle donne veneziane, Venezia, 1610, <www.youtube.com/watch?v=dAq6rQ (...)
- 26 Per la moderna classificazione museologica dei tipi di perle, si veda A. Panini, Perle di vetro, ci (...)
19Le stesse perle di vetro avevano due facce, sia come prodotti che come agenti del commercio globale veneziano. Mentre la storia successiva ha cercato di segnare una chiara distinzione tra le perle per ornamento e quelle per moneta, la loro posizione nella prima età moderna era molto meno definita, come suggerisce la loro nomenclatura sovrapposta. L’ampia e diffusa documentazione del periodo ci informa che le perle di vetro, come qualsiasi altro bene di lusso, venivano spesso realizzate su richiesta dei committenti. Più in generale, il mercato rinascimentale delle perle rispondeva alle preferenze regionali per la loro vendita e il loro scambio, a livello globale. Ciò suggerisce che spesso si trattava di beni commissionati nell’ambito di relazioni commerciali consolidate o addirittura di mecenatismo, oltre che di merci scambiate in mercati aperti. Come dimostra il regalo di Colombo, le perle di vetro potevano essere utilizzate come ‘dono’ per stabilire nuove relazioni commerciali. In seguito, nel corso del XVI secolo, i mercanti designarono le perle in base alla destinazione: c’erano le ‘perle d’Africa’, altre destinate a specifiche regioni dell’India o alle Americhe. Come per i capi dell’abbigliamento diversificati per area geografica nei libri di costume, anche questi oggetti vennero catalogati secondo tipologie spaziali25. Secondo la tipologia delle perle di Luigi Zecchin, siamo ancora all’interno di una matrice determinata dall’uso o dal consumo, sia da parte di gruppi sociali all’interno di Venezia che di gruppi nazionali all’estero. In pratica, tuttavia, questa matrice era strettamente legata alle tipologie di perle in termini di metodi di produzione, come sopra indicato. Era inoltre intrecciata alla diversificazione delle perle in base al tipo di colorazione e ornamento, di gran lunga la classificazione più diffusa, e quella alla quale mi dedicherò nelle pagine che seguono26.
2. Vetro gioiello
- 27 P. H. Smith, Il corpo dell’artigiano: arte ed esperienza nella rivoluzione scientifica, Chicago, Un (...)
20La varietà crescente di tipi di vetro veneziano, differenziati da effetti estetici di colore e finitura, è stato esponenziale nei secoli XV e XVI. Anche questo è in linea con le considerazioni più ampie sulle merci artigianali del periodo, attraverso il fiorente sviluppo di metodi di produzione basati sulla sperimentazione studiati da Pamela H. Smith e Patricia Falguières27. Il XV secolo è stato testimone di una ricca serie di sperimentazioni artigianali — per ricordarne alcune: la stampa di immagini e testi, la fusione del bronzo, la pittura ad olio — con una conseguente crescente diversificazione sia dei metodi che delle manifatture, tra le quali figurava anche la produzione del vetro.
- 28 M. Sabellicus, Opera omnia, 4 libri, Basilea, Herwagen, 1560, libro III, capitolo 1, De Venetae Urb (...)
- 29 L. Zecchin, Vetro e vetrai di Murano, cit., vol. I, pp. 65‑75.
21Nel Rinascimento, il risultato più celebre del vetro veneziano è l’imitazione delle pietre preziose. Nelle parole dell’erudito veneziano del XV secolo, Marcantonio Sabellico: «Non c’è genere di pietra preziosa che non possa essere imitato dall’industria dei vetrai, una dolce gara della natura e dell’uomo»28. La leggenda veneziana ottocentesca vuole che questa ‘dolce gara’ abbia avuto inizio con il ritorno di Marco Polo, carico di gemme dall’Estremo Oriente che pare avesse ricevuto alla corte di Kublai Khan. Le imprese dei vetrai muranesi si legavano così a una delle più durature narrazioni di viaggio mercantile di Venezia, registrata per la prima volta nel 1811 dallo storico muranese Carlo Rizzi, spesso smentita e sempre tenacemente riaffermata29. La realizzazione del vetro gemmato richiedeva l’applicazione di coloranti nella pasta vitrea ricavata da fonti minerali e vegetali, utilizzati anche dall’industria tessile veneziana. La stessa tecnica veniva adoperata durante il medioevo per la vetrata a colori medievale, in emulazione del vetro romano. Tuttavia, la leggenda delle gemme di Marco Polo ha dato alla storia del vetro colorato veneziano una propria specifica traiettoria. Per comprendere il significato della rivendicazione veneziana del vetro cristallo, è opportuno fare una breve panoramica sulla storia dei suoi metodi di produzione in territorio veneziano.
22Riassumendo processi complessi, ricordiamo innanzitutto che il vetro è composto da pietre frantumate fuse in una pasta malleabile a temperature estremamente elevate. Il suo corollario naturale è l’ossidiana, o roccia vulcanica. La caratteristica del vetro è quella di essere allo stesso tempo liquido e solido, fatto di roccia fusa nel fuoco e poi raffreddata fino a diventare ghiaccio. Per questo motivo, la sua materialità mutevole era considerata metamorfica e alchemica all’interno delle culture intellettuali e artigianali rinascimentali.
23Secondo gli archeologi, il vetro ha fatto la sua prima comparsa nel bacino mesopotamico. Conosciuto in tutto il mondo antico, questo prodotto di lusso cadde in disuso nell’alto Medioevo, per poi essere ripreso intorno al XII secolo grazie all’intensificarsi degli scambi commerciali con il Levante, dove la sua produzione era continuata. Venezia si trovava in una posizione privilegiata, sia per la sua vicinanza al commercio mediorientale, sia per la disponibilità locale degli ingredienti principali per la produzione del vetro: la sabbia bianca di quarzo del fiume Ticino, il legno della terraferma per le fornaci e altri ingredienti botanici che purificavano il prodotto ottenuto attraverso una ricetta dalla lunga sperimentazione. La sua storia materiale fu caratterizzata da continui esperimenti di miscelazione della pasta per ottenere diversi tipi di effetti, come l’imitazione di gemme preziose. In questo senso, il vetro gemmato era simile ai pregiati smalti rinascimentali, anch’essi realizzati con pietre frantumate e fuse, spesso con gemme stesse. Inoltre, nel contesto veneziano e levantino in particolare, si avvicinava ai vetri colorati usati per mosaici realizzati a Bisanzio.
24Nel tentativo di imitare le gemme, gli artigiani veneziani cercarono di riprodurre la loro colorazione e di catturare le loro qualità diamantine di trasparenza cristallina e di scintillio rifrattivo. Dopo continue sperimentazioni, l’obiettivo fu raggiunto nel corso del XV secolo attraverso un’attenta selezione della silice, l’uso di agenti sbiancanti vegetali e minerali per eliminare qualsiasi decolorazione, e la crescente abilità dei soffiatori di Murano, che divennero in grado di soffiare un vetro trasparente così fine da essere quasi invisibile. Se i blu dell’ametista e i rossi del granato erano ugualmente ammirati all’epoca, l’abilità dei vetrai muranesi nell’imitare il cristallo di rocca ne decretò la fama. Il materiale che producevano era talmente leggero, chiaro e fine da essere completamente trasparente. Allo stadio di vetro fuso, somigliava al cristallo di rocca. Nella forma di vetro soffiato, veniva utilizzato per produrre i più raffinati calici di vetro del periodo. Il ‘cristallo’ era il futuro del vetro. A partire dall’umile perla di vetro ‘cristallo’ sarebbero successivamente stati prodotti non solo le perle scambiate nei commerci del primo capitalismo moderno, ma anche gli occhiali e le lenti della prima visione scientifica moderna, e le nuove finestre di vetro che avrebbero trasformato completamente gli interni architettonici. L’invenzione di questo tipo di vetro è generalmente attribuita al vetraio muranese Angelo Barovier, vissuto nel XV secolo.
- 30 L. Zecchin, Vetro e vetrai di Murano, cit., vol. II, pp. 220‑224; anche se P. McCray sostiene la te (...)
25Angelo Barovier nacque da un’antica famiglia di vetrai insediati a Murano alla fine del XIII secolo, nel periodo in cui si iniziò a concentrare la produzione vetraria entro i confini dell’isola. È a lui che lo Stato veneziano concesse un primo brevetto per il vetro cristallo, generalmente datato intorno al 1455. Pare che su richiesta di Filarete (Antonio Averlino), in qualità di architetto di corte di Francesco I Sforza, duca di Milano, Angelo sia stato convocato a Milano per consigliare la pasta vitrea da utilizzare nella costruzione della Sforzinda, un progetto di città ideale mai realizzata in formazione stellare ispirato ai principi umanistici del buon governo. Sebbene non si conoscano altre notizie sul vetraio, si dice che abbia intrapreso studi umanistici sotto la guida di Paolo della Pergola nel suo ginnasio di Rialto, intorno al 145030.
- 31 L. Zecchin, Vetro e vetrai di Murano, cit., vol. II, p. 211, che si rifà al Trattato di Filarete, l (...)
26Ai suoi tempi, la fama di Angelo Barovier si basava tanto sulla sua abilità nella pittura a smalto su vetro, quanto sulla sua ricetta del cristallo, in cui dimostrava non solo le sue capacità artistiche ma anche le sue conoscenze umanistiche delle narrazioni letterarie del mito e della storia antica. Divenuta indubbiamente la più celebre delle fonderie muranesi, allora come oggi, la produzione di cristallo Barovier fu ricercata da personaggi come Isabella d’Este, i re Ferdinando e Isabella di Spagna, e la regina francese Caterina de’ Medici. Di particolare interesse, è il fatto che Filarete elogiava la vetreria di Angelo Barovier non solo per i suoi pregiati vasi e calici, ornati da smalti e dorature, ma anche per le sue perle31.
- 32 Ibid.
- 33 Cfr. le Marche dei perleri, Archivio di Stato di Venezia, illustrate in B. Bettoni, Perle di vetro (...)
27Come gli storici di Murano hanno notato da tempo, il XV secolo portò una significativa innovazione e diversificazione anche nella produzione di perle di vetro, nella loro forma, colore e finitura. Secondo Filarete, e sicuramente anche secondo Angelo Barovier, le novità nella produzione di perle di vetro ebbero lo stesso peso di quelle apportate ai calici principeschi32. Questo punto è cruciale per la nostra comprensione dell’invenzione rinascimentale in ambito artigianale, molto prima del suo successivo snodo storico con l’avvento delle tecnologie della modernità. In questo contesto, l’invenzione affonda le sue radici in quella che in seguito sarebbe stata identificata come ‘scienza’, in quanto comportava un processo di sperimentazione con la trasformazione di materiali che oggi classifichiamo come chimica. Ma in un contesto rinascimentale, in cui ‘scienza’ significava conoscenza e ‘arte’ significava abilità, l’inventio era più facilmente il dominio delle lettere, in cui gli studiosi umanisti si distinguevano attraverso una forma di invenzione letteraria fondata sull’imitazione emulativa dei testi antichi. Per comprendere il significato storico della fama rinascimentale di Angelo Barovier non basta ricercare i suoi brevetti, ma occorre considerarlo tra quegli artisti-artigiani del Quattrocento che, come Filarete, cercavano di padroneggiare un sapere umanistico alla ricerca della virtù, definita come condotta virtuosa del proprio mestiere e ricerca di una rinascita degli antichi valori. In senso più ampio, questa ambizione è evidente nelle insegne commerciali dei vetrai, che erano caratterizzate da immagini e ornamenti classicizzanti33.
- 34 «Quid quod et murina tibi vasa sunt? Nisi pro sensu sit pretium. Age vero cui primo venit in mentem (...)
28Guidata da Barovier, la cultura artigianale di Murano ha prodotto una gamma virtuosistica di tipi di vetro, ognuno con il proprio nome. Attribuiti al solo Angelo Barovier sono il cristallo, il lattimo (a imitazione della porcellana) e il vetro marmorizzato o calcedonio a imitazione della pietra semipreziosa. Tra gli altri, di fama duratura, si ricordano il vetro a ghiaccio, la filigrana e l’avventurina, un ‘oro liquido’ ottenuto aggiungendo polvere di rame alla pasta, usato come ornamento. Parallelamente, gli storici tracciano anche lo sviluppo dei tipi di perle decorative secondo le loro diverse forme (tubolare, ovale, tondo, sferica), e secondo l’uso del colore e del disegno. In questo caso è fondamentale lo sviluppo tecnico, intorno al 1470, delle bacchette di vetro trafilate che potevano poi essere fuse in una varietà di combinazioni policrome. Anch’esse attribuite ai Barovier, ad Angelo o agli eredi della sua fonderia, permettevano di ottenere una molteplicità di effetti ‘vetro mosaico’ a imitazione delle antiche lavorazioni del vetro. Tagliati ad anelli concentrici, questi dischi o tubi multicolori potevano essere fusi nuovamente in ogni sorta di oggetto, comprese le perline, note come millefiori per il loro ‘fiore’ di colore (fig. 1). Riecheggiano, a tal proposito, le parole di Sabellico: «provate a pensare alla persona che per prima ha racchiuso in una palla tutti i tipi di fiori che in primavera ricoprono i prati?»34.
29È alla figlia di Angelo, Maria, che fu concesso il brevetto per la cosiddetta rosetta, con decreto ducale nel 1497. Tra i più noti e duraturi disegni di perle di vetro del Rinascimento, la perla rosetta era realizzata con una canna di vetro dai colori sovrapposti, fusa a stampo in una formazione a stella. Quando veniva tagliata, gli anelli di colore inseriti prendevano la forma di stella o a fiore, da cui l’appellativo di ‘rosetta’ o successivamente di ‘stellaria’. In seguito, le perle dai bordi arrotondati a forma di globo sono state chiamate chevron per il motivo a zig‑zag che questa finitura produceva (fig. 4).
Figura 4. – Perla rosetta, ossia chevron, Venezia, c. 1600‑1700.
Vetro.
Corning Museum of Glass, <www.cmog.org/artwork/chevron-bead-0>.
- 35 L. Zecchin, Vetro e vetrai di Murano, cit., vol. II, pp. 211‑214: «ob eius mirum artificium manus i (...)
30Fu soprattutto la rosetta a dominare il commercio veneziano di perle di vetro verso l’Africa, l’India e le Americhe, insieme alle conterie monocrome. Sebbene la responsabilità di Maria nella fabbricazione della rosetta è ancora oggetto di dibattito tra gli studiosi, il suo nome sul decreto di progettazione è inequivocabile: «in ammirazione della sua bella opera in vetro di cui lei stessa è l’inventrice»35.
- 36 G. Marachier, I vetri di Murano, cit., p. 57; L. Syson e D. Thornton, Objects of Virtue: Art in Ren (...)
31Maria spicca tra gli eredi delle vetrerie, delle loro ricette e competenze, ma il suo caso non è isolato. Nelle famiglie artistiche veneziane, spicca la figlia del pittore Alvise Vivarini, Armenia, che all’inizio del XVI secolo ideò le acquerecce in vetro, una brocca da vino a forma di barca, talvolta anche con remi e vele in vetro, legando così la lavorazione del vetro al commercio marittimo veneziano (fig. 5). Come i Barovier, i Vivarini erano una famiglia di vetrai muranesi di lunga data ed è probabile che Armenia avesse accesso alle fonderie dei parenti dove poté realizzare i suoi progetti innovativi36. Si noterà, a margine, che tra le famiglie di pittori, anche Marietta, figlia di Tintoretto, e Lavinia Fontana, bolognese, figlia di Prospero Fontana, avevano ereditato la bottega di famiglia. Il numero di studi sulle donne artiste in questo periodo è in evidente crescita, ma ancora scarso. Gli storici dell’arte potrebbero ottenere un’analisi molto più penetrante della posizione delle donne rinascimentali all’interno dell’industria artigianale includendo le cosiddette arti decorative nel loro campo di indagine.
Figura 5. – Acquereccia di vetro attribuita ad Armenia Vivarini, c. 1525‑1550.
The British Museum, Londra, <www.britishmuseum.org/collection>, no. 1844, 1201.197.
- 37 Riportato integralmente in L. Zecchin, Vetro e vetrai di Murano, cit., vol. II, pp. 211‑214.
32Testimonianza eloquente del lavoro femminile e del virtuosismo artigianale, un inventario della bottega dei Barovier del 1496 getta luce sul ruolo chiave di Maria Barovier all’interno dell’impresa familiare, e sulla crescente importanza della perla di vetro come oggetto di sperimentazione, invenzione e abilità artistica. Tra le diverse opere elencate, troviamo infatti un gruppo di oggetti realizzati ‘a rosetta’ con la firma di Maria. Molti sono sicuramente oggetti in vetro fuso composti da un mosaico di perline a rosetta: «sechietti de rosetta, 2; manegi de cortelli de rosetta, 4; manegi de pugnali de rosetta, […] oldani de rosetta, 4 […] scudellini de azuro, con lo fondi de rosetta, 5; una zara de rosetta»37. Tra gli altri tipi di oggetti di vetro che le sono stati consegnati vi sono: «lactimo, azuro, marmoro, cristallo o calzedoni […]; francesi, todesche, ongare, gardalaneschi […]»; decorati con oro, un grafo, una figura, uno zigli, una rosetta. Sono formati in «paternostri, copa, gobeletto, vasetti, Sal[i]ere, fiaschetto, candeleri, confitere». Per la prima volta, secondo Luigi Zecchin, le perle vengono descritte anche in base alla loro forma: ulivette per la forma a oliva; oldani per la forma a disco; mentre i paternostri sono sferici. Secondo Augusto Levi, primo direttore del Museo di Murano, nel suo L’arte del vetro a Murano nel Rinascimento e i Berroviero del 1895, si tratta di un elenco di oggetti realizzati da Maria utilizzando e innovando le ricette del padre Angelo. Questa donna è dunque l’erede non solo della fonderia di vetro e della sua esperienza, ma anche delle culture artigianali dell’innovazione promosse e perseguite dal padre.
3. Vetro come virtuosismo
- 38 L. Syson e D. Thornton, Objects of Virtue, cit., pp. 182‑200; M. Cole, Ambitious Form: Giambologna, (...)
33La nave di vetro in miniatura di Armenia Vivarini, progettata sia per fungere da bicchiere che per ornare un tavolo da pranzo o una credenza, esemplifica per molti aspetti la cultura artigianale dell’innovazione delle vetrerie veneziane nella sua ‘ambitious form’38. Come sostengono da tempo altri studiosi delle arti decorative rinascimentali, siamo confrontati a manifatture artigianali di altissimo livello, sia per i materiali che per il design; è proprio nei settori dell’oreficeria e della lavorazione dei metalli preziosi, degli smalti con gemme, degli arazzi e dei ricami per la lavorazione della seta di lusso, delle pietre dure e del design dei mobili con intarsi in legno esotico, delle maioliche e dei vetri, che si assiste a un’arte effervescente di novità e di invenzione, intesa come virtuosismo.
- 39 G. Marachier, I vetri di Murano, cit., p. 57.
34Ogni anno, alla fiera dell’Ascensione in Piazza San Marco, tutti i mestieri veneziani esponevano le loro opere più innovative, per le quali esistono numerose descrizioni da parte degli spettatori contemporanei. Nel 1500, questa fiera aveva assunto una portata internazionale, portando a Venezia illustri mecenati e mercanti interessati alle manifatture della città. In tale contesto, i prodotti di lusso veneziani esibivano non solo tecniche innovative, ma anche forme o disegni audaci e fantasiosi, definiti ‘concetti’39.
- 40 C. Maitte, Les chemins de verre, cit.; J.‑A. Page, Beyond Venice, cit.; J. Shearman, Mannerism, Lon (...)
- 41 D. Summers, Maniera and Movement: The ‘Figura Serpentinata’, «The Art Quarterly», vol. 35, 1975, pp (...)
35Le prime culture moderne del concettismo all’interno della vetreria veneziana sono visibili soprattutto nella progettazione di calici pregiati, dove lo stelo del bicchiere diventava un luogo visibilmente denso di ornamenti. Proprio come gli intrecci calligrafici dello scriba, ogni stelo era decorato secondo una precisa fantasia decorativa. Il gambo alato, in particolare, era molto ricercato per le sue elaborate esibizioni di fili di vetro modellati in spirali sinuose e ulteriormente ornati con perline di vetro applicate per fusione (fig. 6). Questo tipo di lavorazione del vetro manifesta le pretese del virtuosismo rinascimentale nel design decorativo, come linguaggio o grammatica della forma, alla ricerca della novità artistica. I manufatti in vetro del XVI e XVII secolo hanno cercato di emulare queste forme decorative, producendo una cultura notevolmente coesa dell’ornamento artigianale in vetro che può essere facilmente paragonata ad altre forme di arte che gli storici dell’arte hanno a lungo, se non inequivocabilmente, inteso come ‘di maniera’40. Questo è esemplificato soprattutto nelle sue forme di stele ‘serpentinate’, intese come l’apice dell’abilità artistica41.
Figura 6. – Calice di vetro con stelo decorato, Murano, XVII‑XVIII secolo.
- 42 Per altri esempi: <https://museovetro.visitmuve.it/it/il-museo/photo-gallery/nggallery/image/66>; <(...)
The Metropolitan Museum, New York, <www.metmuseum.org/art/collection/search/186351>42.
36Se i risultati virtuosistici della perla di vetro sono apparentemente più modesti rispetto ai calici di lusso di Murano, la sua portata globale come valuta nella prima epoca della circumnavigazione l’ha dotata di una storia diversa e ugualmente imponente. Il riconoscimento da parte dell’UNESCO del patrimonio materiale e immateriale in gioco nella conservazione delle storie delle perle di vetro, come intende evocare la citazione iniziale della canzone popolare delle impiraresse, riguarda al contempo i manufatti e le persone che li hanno realizzati e utilizzati: dal coureur des bois della foresta nordamericana, che viaggiava in canoa, con le racchette da neve e a piedi per scambiare perle con pellicce, ai marinai che navigavano lungo le coste dell’Africa fino all’India, scambiando perle di vetro con avorio, oro, spezie e schiavi, ai setaioli veneziani che cucivano perle di vetro nei loro tessuti, anch’essi generalmente donne, e alle donne che le indossavano, fino agli orafi di Castello che trasformavano le perle di pasta di vetro in gioielli, e a coloro che le acquistavano per adornarsi. Infine, e più direttamente, questa storia evoca l’insieme complesso di relazioni lavorative tra i vetrai (uomini) e le impiraresse (donne) di Venezia. Il loro canto, come il ricco lessico del mestiere utilizzato per descrivere non solo i diversi tipi di perle che producevano, ma anche le intricate distinzioni di competenza artigianale nella loro fabbricazione, raccontano le storie immateriali di questo manufatto.
37Per concludere, la perla di vetro veneziana contiene nella sua forma e composizione un ricco intreccio di storie: il commercio attraverso il mondo durante le prime esplorazioni, gli esperimenti artigianali e le innovazioni tecniche delle industrie manifatturiere regionali, la storia del lavoro artigianale femminile, l’ottica materiale della cosiddetta ‘rivoluzione scientifica’, e i materiali della trasformazione architettonica della vetrata moderna. Come una sineddoche materiale della prima modernità, la perla commerciale in vetro, apparentemente modesta, è un oggetto centrale delle culture rinascimentali. Scrivere una storia sociale della perla di vetro, come insegna Carlo Ginzburg, significa allora scrivere una storia della prima modernità come microstoria di oggetti.
Notes
1 L. Ronchini, Le impiraresse, 1975, <https://sonichits.com[…]Le_impiraresse>.
2 C. Colombo, Diario di bordo. Libro della prima navigazione e scoperta delle Indie, a cura di G. Ferro, Milano, Mursia, 1985, p. 46. Sulla complessa storia del diario, si veda la collana Nuova Raccolta Colombiana, pubblicata a Roma dall’Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato; sul primo sbarco con riferimenti a una varietà di oggetti di vetro come doni: F. Colombo, Le historie della vita e dei fatti dell’Ammiraglio Don Cristoforo Colombo, a cura di P. E. Taviani e I. L. Caraci, Roma, Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato, 1990, 2 voll., I, pp. 91‑95.
3 Per una panoramica sulla storia delle perline: L. S. Dubin, The History of Beads from 30,000 BC to the Present, Londra, Thames & Hudson, 1988; L. Sciama e J. Eicher, Beads and Bead Makers: Gender, Material Culture and Meaning, New York, Berg, 1998. Sulle perle di vetro veneziane della prima età moderna: A. Panini, C. Squarcina e M. Stocco (a cura di), La storia delle perle di vetro, Atti del Convegno, 1 & 2, Venezia, Museo di Palazzo Mocenigo, 2021‑2022; G. Sarpellon, Murrine e perle veneziane, Venezia, Fondazione Musei Civici di Venezia, 2018; A. Panini, Il mondo in una perla: la collezione del Museo del vetro di Murano, Venezia, Grafiche Antiga, 2017; A. Panini, Perle di vetro medioorientali e veneziane, VIII‑XX secolo, Milano, Skira, 2007; P. Zecchin, La nascita delle conterie veneziane, «Journal of Glass Studies», vol. 47, 2005, pp. 77‑92; P. Marascutto e M. Stainer, Perle veneziane, Pieve d’Alpago, Nuove Edizioni Dolomiti, 1991; sulla loro storia economica: F. Trivellato, Fondamenta dei vetrai: lavoro, tecnologia e mercato a Venezia tra sei e settecento, Roma, Donzelli Editore, 2000; B. Bettoni, Perle di vetro e gioie false: produzioni e cultura del gioiello non prezioso nell’Italia moderna, Venezia, Marsilio Editori, 2017.
4 Per l’oggetto artigianale fra storia dell’arte e antropologia, G. Warwick, Playing with Dolls: Art, Effigy, Agency, in G. Johnson (a cura di), Art History Now: Objects, Concepts, Approaches, New York, Routledge, in corso di stampa.
5 Ad esempio, J.‑B. Tavernier, Les six voyages de Jean-Baptiste Tavernier (1676), 2 voll., Parigi, Ribou, 1724, I, p. 379, nota che i mercanti trasportavano «des petits miroirs, des bagues de laiton et d’émail, des perles fausses, et autres de cette nature» per il commercio in Africa e nelle Americhe, ottenendoli a Venezia e Isfahan. Si veda anche J. Savary des Brülons, Dictionnaire universel de commerce, 3 voll., Parigi, Jacques Estienne, 1723, ispettore della corona alla dogana di Parigi e figlio di un celebre economista, il cui testo divenne un manuale di scambio per i mercanti, citato in F. Trivellato, Fondamenta dei vetrai, cit., p. 243.
6 Secondo L. S. Dubin, The History of Beads, cit., p. 271, basato sulla ricerca di P. Francis, Beads and the Discovery of America. Part II: Beads Brought to America, «Ornament», vol. 8, no 2, 1984, pp. 24‑27, nota 7.
7 P. Marascutto e M. Stainer, Perle veneziane, cit., p. 66.
8 D. A. Rumrill, The Mohawk Glass Trade Bead Chronology ca. 1560–1785, «Beads: Journal of the Society of Beads Researchers», vol. 3, 1991, pp. 5‑45; D. Elliott, Two Centuries of Iroquois Beadwork, «Beads: Journal of the Society of Beads Researchers», vol. 15, 2003, pp. 3‑22; K. Karklins, Guide to the Description and Classification of Glass Beads Found in the Americas, «Beads: Journal of the Society of Beads Researchers», vol. 24, 2012, pp. 62‑90; K. Karklins e G. F. Adams, Beads from the Hudson’s Bay Company’s Principal Depot, York Factory, Manitoba, Canada, «Beads: Journal of the Society of Beads Researchers», vol. 25, 2013, pp. 72‑100; P. Francis, Beads and the Discovery of America. Part II: Beads Brought to America, cit.; R. K. Liu, Glass Trade Beads from an Early Eastern North American Site, «The Beads Journal», vol. 1, no 2, 1974, pp. 23‑26; M. Jenkins, Glass Trade Beads in Alaska, «The Beads Journal», vol. 2, no 1, 1975, pp. 23‑26; M. Smith, The Chevron Trade Bead in North America, «The Beads Journal», vol. 3, no 2, 1977, pp. 15‑17; N. Frankel, Native American Beadwork. Part One: History, Materials, and Construction, «Williamstown Art Conservation Center», Winter 2018, pp. 15‑18; <https://historicjamestowne.org/collections/artifacts/beads/>.
9 Sul vetro di Murano: H. Tait, The Golden Age of Venetian Glass, Londra, British Museum, 1979; G. Marachier, I vetri di Murano, Milano / Roma, Carlo Bestetti, 1967; R. Barovier e C. Tonnini (a cura di), Giornate di studio sul vetro veneziano, Venezia, Istituto Veneto di Scienze, Lettere, ed Arti, vol. 172, 2013 e vol. 176, 2018; P. McCray, Glassmaking in Renaissance Venice: The Fragile Craft, Aldershot, Ashgate, 1999. Più in generale: K. Cummings, A history of Glassforming, Philadelphia, University of Pennsylvania Press, 2002; S. Ciappi, Il vetro in Europa: oggetti, artisti e manifatture dal 1400 al 1930, Milano, Electa, 2006; R. Liefkes, Glass, Londra, V&A Publications, 1997. Sulla ristorazione rinascimentale, R. Strong, Feast: A History of Grand Eating, Londra, Jonathan Cape, 2002; N. Elias, The Civilising Process, vol. I: The History of Manners, Oxford, Blackwell, 1969.
10 L. Zecchin, Vetro e vetrai di Murano. Studi sulla storia del vetro, 3 voll., Venezia, Arsenale, 1987‑1990. Tra i principali cataloghi museali ricordiamo: R. Barovier Mentasti, Mille anni di arte del vetro a Venezia, Venezia, Palazzo Ducale, 1982; J.‑A. Page, Beyond Venice: Glass in Venetian Style 1500–1750, New York, Corning Museum of Glass, 2004.
11 F. Trivellato, Fondamenta dei vetrai, cit.; B. Bettoni, Perle di vetro e gioie false, cit. Si veda anche: A. Bellavitis e M. T. Sega, Perle e impiraperle. Un lavoro di donne a Venezia tra ‘800 e ‘900, catalogo mostra documentaria, Venezia, Comune di Venezia, 1990.
12 C. Maitte, Les chemins de verre : les migrations des verriers d’Altare et de Venise (xvie‑xixe siècles), Rennes, Presses universitaires, 2009; M. Philippe, Naissance de la verrerie moderne, xiie‑xvie siècles, Turnhout, Brepols 1998; e le pagine web di ricerca del Corning Museum of Glass <https://allaboutglass.cmog.org/> e del Museo del vetro Murano Venezia <https://museovetro.visitmuve.it/it/il-museo/sede/>.
13 L. S. Dubin, The History of Beads, cit.; Ead., The Beaded Universe: Strands of Culture, New York, The American Craft Museum, 2000.
14 M. Snodin e M. Howard, Ornament: A Social History Since 1450, Londra, V&A Publications, 1996; P. Thornton, Form & Decoration: Innovation in the Decorative Arts 1470–1870, Londra, Weidenfeld & Nicolson, 1998, che affronta due generi principali di ornamento rinascimentale: l’antico e l’arabesco arabo, con particolare rilevanza per Venezia; A. Payne, From Ornament to Object: Genealogies of Architectural Modernism, New Haven, Yale University Press, 2012, per la sua considerazione della storiografia e delle relazioni corporee dell’ornamento con le perline. Il legame è strettamente esemplificato dalla transizione del «The Beads Journal» degli anni settanta in «Ornament». Sullo studio antropologico della tecnologia, si veda la nota 19.
15 Da una ormai vasta bibliografia si veda soprattutto A. Appadurai, The Social Life of Things: Commodities in Cultural Perspective, Cambridge, Cambridge University Press, 2016; L. Jardine, Worldly Goods: A New History of the Renaissance, New York, Doubleday, 1996; L. Jardine e J. Brotton, Global Interests: Renaissance Art Between East and West, Londra, Reaktion, 2000.
16 M. L. Pratt, Arts of the Contact Zone, «MLA: Profession», 1991, pp. 33‑40; S. Gruzinski, Painting the Conquest: the Mexican Indians and the European Renaissance, Parigi, Flammarion, 1991.
17 Esiste anche una serie di pubblicazioni dedicate alla terminologia: C. Hess e K. Wight, Looking at Glass: A Guide to Terms, Styles, and Techniques, Los Angeles, The J. Paul Getty Museum, 2005; C. Moretti, Glossario del vetro veneziano dal Trecento al Novecento, Venezia, Marsilio, 2001; D. Whitehouse, Glass: A Pocket Dictionary of Terms Commonly Used to Describe Glass and Glassmaking, New York, Corning Museum of Glass, 1993.
18 La letteratura si concentra principalmente sulle impiraresse del XVIII secolo: I. Ninni (1893), L’Impiraressa: The Venetian Bead Stringer, «Beads: Journal of the Society of Bead Researchers», vol. 3, 1991, pp. 73‑82; P. Rezoagli, Margariteri, supialume e impiraresse, «MCM: La storia delle cose», no 27, 1995, pp. 13‑16. Immagini delle impiraresse comprendono stampe (G. Grevembroch, Gli habiti de veneziani di quasi ogni età (disegni e mss Museo Correr), Venezia, Filippi, 1981, vol. III, p. 132), dipinti di John Singer Sargent (si veda fig. 2) e fotografie.
19 Sulle tecniche manuali colpite dall’impatto delle tecnologie meccanizzate: M. Mauss, Techniques, Technology, and Civilisation, a cura di N. Schlanger, New York, Durkheim Press / Oxford, Berghahn Books, 2006; L. Mumford, The Myth of the Machine: Technics and Human Development, Londra, Seeker & Warburg, 1967; P. Lemonnier, Elements for an Anthropology of Technology, Ann Arbor (MI), Museum of Anthropology, University of Michigan, 1992.
20 S. McTighe, Perfect Deformity, Ideal Beauty, and the Imaginaire of Work: The Reception of Annibale Carracci’s ‘Arti di Bologna’ in 1646, «Oxford Art Journal», vol. 16, no 1, 1993, pp. 75‑91.
21 M. Bloch, Les « inventions » médiévales, «Annales d’histoire économique et sociale», vol. 7, no 6, 1935, pp. 634‑643.
22 Citato in A. Panini, Perle di vetro, cit., p. 97.
23 L. Zecchin, Vetro e vetrai di Murano, cit., vol. I, pp. 66‑99.
24 Arte e amore nell’Italia del Rinascimento, a cura di A. Beyer, New York, Metropolitan Museum of Art, cat. no 52, p. 124, 1500 circa, cuffia da sposa o cuffia di lino e seta ricamata in filo d’oro e d’argento e in filo di seta colorato con minuscole perline di vetro in motivi di fiori, fenici, volute e putti. Erano oggetti comuni nei corredi nuziali dei nobili (si veda fig. 3).
25 Ad esempio, G. Franco, Habiti delle donne veneziane, Venezia, 1610, <www.youtube.com/watch?v=dAq6rQQH7Io> ; C. Vecellio, Habiti antichi e moderni di tutto il mondo, Venezia, 1598, <https://0-gallica-bnf-fr.catalogue.libraries.london.ac.uk/ark:/12148/btv1b8446755d>.
26 Per la moderna classificazione museologica dei tipi di perle, si veda A. Panini, Perle di vetro, cit.
27 P. H. Smith, Il corpo dell’artigiano: arte ed esperienza nella rivoluzione scientifica, Chicago, University of Chicago Press, 2018; P. Falguières, Poétique de la machine, in P. Morel (a cura di), L’art de la renaissance entre science et magie, Actes du colloque international (Parigi, Institut d’art et d’archéologie, Académie de France à Rome, 20‑22 giugno 2002), Parigi, Somogy, 2006, pp. 401‑452.
28 M. Sabellicus, Opera omnia, 4 libri, Basilea, Herwagen, 1560, libro III, capitolo 1, De Venetae Urbis situ (1500): «Nullum est preciosi lapidis genus, quod non sit vitraria industria immitata. Suave hominis et naturae certamen». Si veda l’ulteriore discussione in P. Hills, Venetian Colour: Marble, Mosaic, Painting and Glass 1250–1550, Londra / New Haven, Yale University Press, 1999, pp. 109‑129; P. McCray, Glassmaking, cit., p. 96; H. Tait, The Golden Age of Venetian Glass, cit., p. 94. Sulla storia simile della perla marine, M. G. Muzzarelli, L. Molà e G. Riello, Tutte le perle del mondo. Storie di viaggi, scambi e magnifici ornamenti, Bologna, Il Mulino, 2023.
29 L. Zecchin, Vetro e vetrai di Murano, cit., vol. I, pp. 65‑75.
30 L. Zecchin, Vetro e vetrai di Murano, cit., vol. II, pp. 220‑224; anche se P. McCray sostiene la tesi di una longue durée dello sviluppo del cristallo. Sui suoi legami con Antonio Averlino (Filarete), Trattato di Architettura (mss c. 1460), libri XI, X, a cura di A. M. Finoli et al., Milano, Polifilo, 1972, p. 257, pp. 317‑8, pp. 666‑672.
31 L. Zecchin, Vetro e vetrai di Murano, cit., vol. II, p. 211, che si rifà al Trattato di Filarete, libro 14.
32 Ibid.
33 Cfr. le Marche dei perleri, Archivio di Stato di Venezia, illustrate in B. Bettoni, Perle di vetro e gioie false, cit.
34 «Quid quod et murina tibi vasa sunt? Nisi pro sensu sit pretium. Age vero cui primo venit in mentem brevi pila includere omnia florum genera, quibus vernantia vestiumtur prata?»: Sabellicus, Opera omnia, 1560, libro III, capitolo 1, De Venetae Urbis situ ; traslato da S. Ciappi, Il vetro in Europa, cit., p. 67.
35 L. Zecchin, Vetro e vetrai di Murano, cit., vol. II, pp. 211‑214: «ob eius mirum artificium manus in conficiendis laboreriis sive operibus vitreis pulcherrimis valde, quorum ipsa fuit inventrix»; G. Moretti, La rosetta. Storia e tecnologia della perla più conosciuta al mondo, «Rivista della Stazione Sperimentale del Vetro», vol. 35, no 1, 2005, pp. 27‑39.
36 G. Marachier, I vetri di Murano, cit., p. 57; L. Syson e D. Thornton, Objects of Virtue: Art in Renaissance Italy, Londra, British Museum Press, 2001, pp. 197‑198.
37 Riportato integralmente in L. Zecchin, Vetro e vetrai di Murano, cit., vol. II, pp. 211‑214.
38 L. Syson e D. Thornton, Objects of Virtue, cit., pp. 182‑200; M. Cole, Ambitious Form: Giambologna, Ammanati e Danti a Firenze, Princeton (NJ), Princeton University Press, 2011.
39 G. Marachier, I vetri di Murano, cit., p. 57.
40 C. Maitte, Les chemins de verre, cit.; J.‑A. Page, Beyond Venice, cit.; J. Shearman, Mannerism, Londra, Penguin Books, 1967, rimane il testo classico di storia dell’arte sul ‘Manierismo’. In relazione alle arti decorative e all’artigianato, A. Giannotti, Lo stucco nell’età della Maniera: cantieri, maestranze, modelli, Roma, L’Erma di Bretschneider, 2023. Si veda anche A. Omodeo, Bottiglie e bicchieri nel costume italiano, Milano, Gorlich, 1970; e D. Heikamp, Studien zur Mediceischen Glaskunst: Archivalien, Entwurfszeichnungen, Gläser und Scherben, Firenze, Olschki, 1986, basato sui disegni di Giovanni Maggi, oggi conservato presso la BNF e gli Uffizi, pubblicato a cura di P. Barocchi e G. Maggi, Bichierografia, 4 voll., Firenze, Studio per Edizioni Scelte, 1977, per una visione del vetro tra le arti della tavola e per l’attenzione alle forme della vetreria rinascimentale.
41 D. Summers, Maniera and Movement: The ‘Figura Serpentinata’, «The Art Quarterly», vol. 35, 1975, pp. 269‑301; E. Maurer, Manierismus: Figura serpentinata und andere Figurenideale. Studien, Essays, Berichte, Munich, Fink, 2001; e nell’ambito dei linguaggi dell’ornamento, E. Passignat, Twisting Marble: Observations on the ‘Figura serpentinata’ and Its Applications, in S. Clerbois e M. Droth (a cura di), Revival and Invention: Sculpture Through Its Material Histories, Oxford, Lang, 2011, pp. 121‑152.
42 Per altri esempi: <https://museovetro.visitmuve.it/it/il-museo/photo-gallery/nggallery/image/66>; <www.cmog.org/artwork/dragon-stem-goblet>.
Top of pageList of illustrations
Title | Figura 1. – Perla di vetro con canne rosetta e foglia d’oro, Murano, fine XV secolo. |
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Credits | Museo di vetro, Murano, <https://museovetro.visitmuve.it/it/il-museo/percorsi-e-collezioni/spazio-conterie/>. Foto: autore. |
URL | http://0-journals-openedition-org.catalogue.libraries.london.ac.uk/cei/docannexe/image/15673/img-1.jpg |
File | image/jpeg, 116k |
Title | Figura 2. – John Singer Sargent, The Bead-Stringers of Venice. |
Caption | Oil on canvas, 1880-1882. |
Credits | National Gallery of Ireland, Dublin, <http://onlinecollection.nationalgallery.ie/objects/11737/the-beadstringers-of-venice>. |
URL | http://0-journals-openedition-org.catalogue.libraries.london.ac.uk/cei/docannexe/image/15673/img-2.jpg |
File | image/jpeg, 350k |
Title | Figura 3. – Cuffia da donna con ricami e perline di vetro, Venezia, c. 1500‑1525. |
Credits | The Metropolitan Museum of Art, New York, <www.metmuseum.org/art/collection/search/219857>. |
URL | http://0-journals-openedition-org.catalogue.libraries.london.ac.uk/cei/docannexe/image/15673/img-3.jpg |
File | image/jpeg, 311k |
Title | Figura 4. – Perla rosetta, ossia chevron, Venezia, c. 1600‑1700. |
Caption | Vetro. |
Credits | Corning Museum of Glass, <www.cmog.org/artwork/chevron-bead-0>. |
URL | http://0-journals-openedition-org.catalogue.libraries.london.ac.uk/cei/docannexe/image/15673/img-4.jpg |
File | image/jpeg, 151k |
Title | Figura 5. – Acquereccia di vetro attribuita ad Armenia Vivarini, c. 1525‑1550. |
Credits | The British Museum, Londra, <www.britishmuseum.org/collection>, no. 1844, 1201.197. |
URL | http://0-journals-openedition-org.catalogue.libraries.london.ac.uk/cei/docannexe/image/15673/img-5.jpg |
File | image/jpeg, 231k |
Title | Figura 6. – Calice di vetro con stelo decorato, Murano, XVII‑XVIII secolo. |
Credits | The Metropolitan Museum, New York, <www.metmuseum.org/art/collection/search/186351>42. |
URL | http://0-journals-openedition-org.catalogue.libraries.london.ac.uk/cei/docannexe/image/15673/img-6.jpg |
File | image/jpeg, 214k |
References
Electronic reference
Genevieve Warwick, “Conterie di vetro, lavoro delle donne e commercio di lusso nella prima età moderna”, Cahiers d’études italiennes [Online], 39 | 2024, Online since 30 September 2024, connection on 05 December 2024. URL: http://0-journals-openedition-org.catalogue.libraries.london.ac.uk/cei/15673; DOI: https://0-doi-org.catalogue.libraries.london.ac.uk/10.4000/12du9
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