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Immagini sacre, candele, borselli e fichi: materialità e agency sensoriale nell’esperienza religiosa femminile bassomedievale

Images sacrées, bougies, sacoches et figues : matérialité et agence sensorielle dans la vie religieuse des femmes au bas Moyen Âge
Sacred Images, Candles, Bags and Figs: Materiality and Sensory Agency in the Religious Experience of Late Medieval Women
Micol Long

Résumés

L’article se propose d’étudier le rôle joué par différents types d’objets dans la vie religieuse féminine tel qu’elle nous est représentée par des textes hagiographiques composés en Italie entre le xiiie et le xve siècle. En analysant ces textes, je prête une attention particulière à l’interaction (multi)sensorielle entre individus et objets, pour vérifier l’hypothèse que les objets aient exercé une « agence sensorielle » qui leur permettait d’influencer les individus et leurs relations sociales. Dans la première partie de l’article, je me concentre sur le rôle d’une image de la Vierge Marie tel qu’il nous est représenté dans la Vie latine de Umiliana Cerchi (c. 1246). La deuxième partie de l’article est organisée par thèmes et se fonde sur la comparaison et l’intégration de textes différents pour offrir un regard d’ensemble sur le rôle joué par ces objets dans la vie dévotionnelle des femmes dans ce contexte historique.

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Notes de l’auteur

Le ricerche qui presentate rientrano nell’ambito del progetto ERC “The Sensuous Appeal of the Holy. Sensory Agency of Sacred Art and Somatised Spiritual Experiences in Medieval Europe (12th–15th century) – SenSArt” diretto da Zuleika Murat presso il Dipartimento dei Beni Culturali dell’Università degli Studi di Padova. Questo progetto ha ricevuto finanziamenti dal Consiglio Europeo della Ricerca (ERC) nell’ambito del programma di ricerca e innovazione Horizon 2020 dell’Unione Europea, Grant Agreement n. 950248.

Texte intégral

Ringraziamenti
Ringrazio Zuleika Murat e Valentina Baradel per i loro commenti alla prima stesura di questo testo.

1. Introduzione

  • 1 B. Williamson, Sensory Experience in Medieval Devotion: Sound and Vision, Invisibility and Silence, (...)
  • 2 C. W. Bynum, Holy Feast and Holy Fast: The Religious Significance of Food to Medieval Women, Berkel (...)
  • 3 Sul tema si veda C. Lawless, Sensing the Image: Gender, Piety and Images in Late Medieval Tuscany, (...)
  • 4 G. Dominici, Regole del governo di cura familiare, a cura di D. Salvi, Firenze, A. Garinei, 1860, p (...)
  • 5 Ivi, p. 41.
  • 6 The Revelations of Margaret Ebner (1291–1351), a cura di L. P. Hindsley, New York, Paulist Press, 1 (...)

1Nella religiosità medievale, come nuovi studi stanno sempre più mettendo in luce, tutti i sensi dei credenti giocavano un ruolo: la vista delle immagini sacre, l’ascolto della predicazione e della musica, e perfino l’odore dell’incenso e il gusto dell’ostia1. Vale la pena di interrogarsi sul ruolo dei sensi — e degli elementi materiali in grado di stimolarli — nell’esperienza devozionale medievale specificamente in una prospettiva di genere, considerato che diversi autori medievali consideravano il corpo e i sensi particolarmente importanti per le donne2. Vi sono in effetti analogie con quanto Zuleika Murat illustra nel suo articolo in questo volume relativamente all’istruzione dei bambini, che si pensava dovesse coinvolgere il più possibile il corpo e i sensi. Tuttavia, occorre tenere presente che i testi che trattano della devozione femminile ci testimoniano un atteggiamento ambivalente: se da una parte si riconosceva l’utilità di alcuni ausili devozionali in grado di stimolare i sensi, dall’altra si mettevano in guardia le donne dal rischio che le percezioni sensoriali le portassero alla distrazione o, peggio, alla tentazione3. Per esempio, Giovanni Dominici (1355‑1419) nella sua Regola del governo di cura familiare istruisce le donne a orientare appropriatamente tutti i propri sensi, chiudendoli alla percezioni giudicate dannose (la vista delle vanità del mondo, l’ascolto di favole e canzoni, l’odore del vino, il gusto dei cibi raffinati) e aprendoli invece a quelle ritenute salutifere, cioè «i divini comandamenti, i celestiali consigli, le lode divine, la dottrina santa, la miseria dell’afflitto, le melodie degli uccelli facendo dolci versi al suo signore»4. Lo stesso Dominici fa riferimento al ruolo dell’interazione sensoriale (in questo caso, tattile) con uno specifico oggetto devozionale nell’accendere l’amore per Dio: «e se avessi preso al tuo cubile [letto, N.d.A.] una croce grande, la quale repentemente abbracciassi, sentiresti accendere fuoco per lui riscaldare te»5. Alcuni casi in cui l’esperienza mistica di donne è presentata come direttamente collegata a un oggetto sono giustamente celebri, per esempio il racconto della monaca domenicana Margareta Ebner (1291‑1351) di aver visto animarsi la statuetta di Gesù bambino che aveva ricevuto in dono (all’età di cinquantatré anni). La statuetta, che poteva essere riposta in una culla apposita, avrebbe emesso suoni e addirittura parlato a Margareta, chiedendo di essere presa in braccio e allattata6. Questa eccezionale esperienza multisensoriale avrebbe nutrito la devozione di Margareta, facendola sentire più vicina a Dio.

  • 7 Si veda C. W. Bynum, The Resurrection of the Body in Western Christianity, 200–1336: expanded ed., (...)
  • 8 In particolare negli ambiti legati alla Actor-Network theory: per un’introduzione sul tema si veda (...)

2In quest’articolo ho scelto di basarmi su fonti narrative (soprattutto agiografie e autobiografie spirituali) prodotte in area italiana dal tredicesimo al quindicesimo secolo. Se la maggioranza degli studi che hanno preso in considerazione la dimensione della materialità nell’esperienza religiosa femminile si è focalizzata sulla percezione del corpo e del cibo (con particolare attenzione ai digiuni e all’ingestione dell’Eucaristia)7, vorrei invece soffermarmi sul ruolo di alcuni oggetti al di fuori del contesto strettamente liturgico. Nell’analizzare i riferimenti ad essi, presto particolare attenzione alla dimensione (multi) sensoriale della loro fruizione; in particolare, mi propongo di verificare l’ipotesi che attraverso le percezioni sensoriali da essi provocate, gli oggetti stessi esercitassero quella che può essere definita, in mancanza di un termine equivalente in italiano e in forza di un uso linguistico ormai relativamente diffuso8, una agency, in grado di influenzare gli individui e le loro reti di relazioni.

3L’articolo è diviso in due parti: nella prima mi concentrerò su una fonte particolarmente ricca ai fini del presente studio, la Vita latina di Umiliana Cerchi, composta intorno al 1246. Questo mi permetterà al tempo stesso di illustrare la metodologia proposta e di introdurre molti dei temi-chiave che saranno poi discussi nella seconda parte dell’articolo. La seconda parte dell’articolo è invece organizzata tematicamente con riferimento a diversi tipi di oggetti attestati da una pluralità di fonti che, confrontate ed integrate tra loro, possono offrire una prospettiva più ampia sul ruolo giocato da questi oggetti nella vita devozionale delle donne nel contesto storico in esame.

2. Il ruolo dei sensi e l’agency degli oggetti nella Vita di Umiliana Cerchi

2.1. L’immagine della Vergine e i suoi miracoli

  • 9 Per un’introduzione sul personaggio si veda A. Benvenuti Papi, Umiliana Cerchi. Nascita di un culto (...)
  • 10 Si veda M. C. Storini, Umiliana e il suo biografo. Costruzione di un’agiografia femminile fra XIII (...)
  • 11 La vita in volgare è edita in G. De Luca (a cura di), Prosatori minori del Trecento, vol. 1: Scritt (...)

4Umiliana (Emiliana) nacque a Firenze nel 1219 nella potente famiglia dei Cerchi. Sposata giovanissima, ebbe almeno due figlie, e fu molto attiva nell’assistenza ai poveri e ai malati della città. Alla morte del marito, avvenuta nel 1239, Umiliana rifiutò di sposarsi nuovamente e, privata della dote e della possibilità di ritirarsi in convento, visse isolata in una torre di famiglia per gli ultimi sette anni della sua vita9. Ciò che sappiamo di lei deriva quasi esclusivamente dalla Vita scritta poco dopo la sua morte nel 1246 dal frate francescano Vito da Cortona. La vita, basata sulle testimonianze dirette di trentaquattro persone (in maggioranza donne) i cui nomi sono elencati nel prologo, offre una rappresentazione edificante di vita cristiana di una vedova laica di classe sociale elevata, che finì per aderire al Terzo Ordine Francescano10. Tra il 1250 e il 1350 la Vita latina fu abbreviata, unita a una selezione di miracoli postumi redatta da un altro francescano, Ippolito da Firenze, e tradotta in volgare, conoscendo un grande successo11.

  • 12 Come rilevato anche da H. B. J. Maginnis, Images, Devotion, and the Beata Umiliana de’ Cerchi, in A (...)

5Mi concentro qui sul testo latino, che è estremamente ricco in quanto testimonianza del ruolo giocato dai sensi nell’esperienza devozionale. Fra i molti stimoli offerti dal testo, ho scelto di concentrare la mia analisi su un’immagine della Vergine a cui viene attribuito un ruolo importante in alcuni momenti-chiave della storia di Umiliana12. Se molto è stato scritto sul ruolo delle immagini sacre nella devozione medievale, l’approccio che adotto qui è caratterizzato da un’attenzione alla materialità delle immagini stesse (per esempio, alla natura dei supporti sui quali sono state realizzate) e degli oggetti che le circondavano (come si vedrà, per adornarle o per coadiuvarne l’azione), nonché alla dimensione multisensoriale della loro fruizione. Ritengo infatti che si tratti di elementi fondamentali per ricostruire se e come questi-oggetti immagine esercitassero un ruolo attivo nella vita devozionale individuale.

  • 13 Vitus de Cortona, Vita Humiliana De Circulis, in F. Baertio e C. Ianningo (a cura di), Acta Sanctor (...)

6La prima volta che un’immagine della Vergine viene menzionata nella Vita di Umiliana è quando la donna, rimasta vedova a ventidue anni e tornata a casa del padre, è oggetto delle pressioni dei parenti perché si risposi. Si reca allora in una torre di famiglia e prega Dio di mostrarle la sua volontà, ricevendo miracolosamente la certezza nel suo proposito di non maritarsi. Il testo precisa che Umiliana prega «coram imagine Dominae nostrae, quam tunc habebat expressam in quadam charta»: si tratta dunque di un’immagine realizzata su un foglio sciolto13. L’affermazione che l’immagine si trovava su un foglio che Umiliana aveva sotto mano «in quel momento» (tunc), suggerisce una natura quasi casuale, e tutto sommato marginale, dell’oggetto-foglio, soprattutto in confronto all’immagine di cui parlerò tra poco. La descrizione di questo evento gioca a mio parere un ruolo importante nel contesto nella narrazione, per spiegare non solo la scelta di vita di Umiliana, ma anche il suo sviluppo di una particolare venerazione dell’immagine della Vergine. La torre, teatro di questo primo episodio miracoloso, diventerà il luogo nel quale Umiliana vivrà ritirata in casa del padre, in quella che poco oltre comincerà a essere definita la sua ‘cella’, dove si collocherà stabilmente un’immagine della Vergine, che diventerà un oggetto fondamentale nella devozione di Umiliana quale ci è descritta dal suo biografo.

  • 14 «[…] lumen lampadis cellæ suæ subito extinctum est, quod semper tenebat accensum nocte tota coram i (...)
  • 15 «Et appropians tabulæ fidelis Humiliana, ut ad columbam pertingeret; ipsa columba versa in solem qu (...)
  • 16 Si veda Tabula, in A. Blaise, Lexicon latinitatis medii aevi, Turnhout, Brepols, 1994 e Tabula, in (...)
  • 17 Prosatori minori del Trecento, vol. 1: Scrittori di religione, cit., p. 734.

7La seconda volta in un cui un’immagine della Vergine viene nominata, la Vita usa lo stesso termine imaginis, affermando che nella sua cella Umiliana teneva sempre accesa una lampada davanti a un’immagine della Vergine: secondo la narrazione, una notte essa si spense, provocando il dispiacere della donna, che evidentemente trascorreva la notte in quel luogo (come affermato anche altrove)14. Umiliana si trova a questo punto in difficoltà, desiderando luce ma non volendo svegliare la sua domestica che dormiva. Sopravviene a questo punto una luce miracolosa, sotto forma di una colomba con una rosa nel becco, che Umiliana cerca inutilmente di afferrare con la mano («apponens manum juxta eam, columba prosilivit aliquantulum super ipsam eamdem perticam, ut manum videretur effugere capientis»). La colomba finisce per posarsi proprio accanto all’immagine, che ora, per la prima volta e sempre da qui in poi (con una sola eccezione), è qualificata come tabula15. Questo termine, anche se in latino ha normalmente accezioni diverse16, sembra qui da interpretare nel senso di una tavoletta di legno o pannello recante l’immagine della Vergine, secondo quello che è l’uso italiano di ‘tavola’, usato anche nel volgarizzamento (di poco posteriore, come si è detto) della Vita, che nel racconto della colomba miracolosa, usa «immagine della Donna», «tavola della Donna» e di «tavola, ovvero immagine»17.

  • 18 «Domina Bene, divinæ consolationis particeps, orans quadam vice præsente B. Humiliana, coram tabula (...)

8Nel racconto, si può affermare che la colomba venga a confermare autorevolmente la bontà dell’ambiente e delle pratiche devozionali di Umiliana. Essa, infatti supplisce alla luce richiesta dall’uso stabilito da Umiliana, posandosi vicino all’immagine e addirittura unendosi ad essa prima di scomparire («ipsi imagini se uniens, simul cum luce disparuit»). Questa conclusione conferisce un carisma sacrale all’oggetto-tavola (che si dimostrerà in grado di compiere miracoli) e suggerisce (come confermato da successivi riferimenti) che essa sia percepita come un ponte o una porta, attraverso cui il divino può entrare nella quotidianità di Umiliana. Tale intervento divino risulta, per Umiliana, percepibile con i sensi: se non il tatto (dato che Umiliana cerca senza riuscire di afferrare la colomba), almeno la vista e anche il gusto. La Vita afferma infatti che dopo il miracolo della colomba la donna sarebbe rimasta in preghiera tutta la notte e avrebbe gustato in maniera molto forte la dolcezza di Dio («multam Dei dulcedinem degustavit»). Questa dolcezza fu poi percepita anche da una nobildonna la cui testimonianza è fra quelle raccolte dal biografo: dopo aver pregato davanti alla tavola di Umiliana «gustò una tale sensazione di dolcezza che mai ricordava di aver gustato prima» («tantam gustavit dulcedinem gratiæ quantam numquam meminerat se gustasse»)18. Anche se la dolcezza dell’esperienza mistica di Dio è un topos diffuso, mi sembra che in entrambi gli episodi l’oggetto-tavola svolga un ruolo importante nell’aiutare le due donne a raggiungere in preghiera la grazia della percezione della dolcezza divina.

  • 19 «Nocte quadam, cum surgeret a somno ut oraret, aperiens oculos vidit totam cellam insolito fulgore (...)

9La Vita menziona numerosi episodi di luce miracolosa nella cella di Umiliana, la quale una volta, trovandosi con una lampada ad olio senza combustibile, la riempie d’acqua, che si tramuta miracolosamente in olio; un’altra volta una mano angelica che accende la lampada. Qualche dettaglio in più sul contesto materiale della tavola della Vergine è fornito dall’episodio in cui Umiliana si sveglia di notte per pregare e vede la sua cella tutta illuminata; guardando verso la solita immagine, scorge una grande fiamma sul panno che copriva la tavola, secondo un uso diffuso nel Medioevo19. Spaventata all’idea che panno e tavola stiano bruciando, Umiliana afferra il panno, lo sfrega tra le mani («apprehenso panno et ipso compresso confricabat eum manibus») constata così che il fuoco non scalda ne brucia («ignem manibus non sentiri, eo quod non calefaciebat nec comburebat»). Come nell’episodio della colomba, è con il tatto che Umilia cerca inutilmente di esperire la presenza soprannaturale che la visita, e che si fa vedere ma non toccare.

  • 20 «Et signo facto, egressus est puer quidam admirabilis et decorus a tabula, pergens ad locum ubi jac (...)

10Vista e tatto giocano un ruolo anche nel miracolo più celebre legato alla tavola della Vergine. Il testo racconta che una giovane figlia di Umiliana, Rigalis, visitando la madre nella sua stanza della torre improvvisamente cade come morta. Umiliana cerca di rianimarla, ma non sentendola respirare, si convince che la figlia sia morta e si prostra davanti all’immagine della Vergine pregandola tra le lacrime di restituirgliela («et recurrens ad imaginem Dominæ nostræ, prostravit se coram ea, et postulans cum lacrymis dixit […]»). L’atto di prostrarsi davanti all’immagine (che non ricorre altre volte nel racconto) può essere considerato, tanto quanto il pregare tra le lacrime, come il manifestarsi gestuale di una preghiera particolarmente sentita, dovuta alla drammaticità e all’urgenza della situazione. A questo punto, secondo l’agiografo, dall’immagine sacra esce un bambino di aspetto mirabile («egressus est puer quidam admirabilis et decorus a tabula»), il quale fa il segno di croce a Rigalis (toccandola quindi, delicatamente), guarendola completamente, prima di svanire20. Come già nel caso della colomba luminosa, l’immagine sacra appare come un tramite diretto, porta o ponte, attraverso il quale il divino entra nella quotidianità di Umiliana.

2.2. La tavola della Vergine si circonda di altri oggetti

11Umiliana stessa, secondo il racconto, riconosce il valore sacro della tavola e desidera adornarla in modo da tradurre la sua devozione in oggetti concreti e visibili:

  • 21 «Fervens multum circa ea que Dei sunt, tabula quamdam beatæ Virginis, quam habebat in cella sua, de (...)

Desiderava onorare con cura una certa tavola della beata Vergine che aveva nella sua cella: non avendo il necessario, in presenza di una certa signora con la quale era in familiarità dichiarò: «Se la beata Vergine mi desse il necessario per onorare la sua tavola, la ornerei con diligente reverenza». Dopo poco venne un tale che portava dei signaculi di cristallo e d’ambra, e li diede alla donna in questione, così che li desse a Umiliana da parte sua: quando glieli portò e glieli mostrò, ella ne fu felice e disse: «So da dove hai avuto questi, e chi te li ha dati, e perché te li ha dati»21.

  • 22 Signaculum (postcl. et lat. chr.), in A. Blaise, Lexicon, cit.
  • 23 Molti esempi di cristalli di rocca medievali intagliati sono fotografati in G. Kornbluth, Active Op (...)
  • 24 Sul cristallo si veda S. Gerevini, Christus crystallus: Rock Crystal, Theology and Materiality in (...)

12L’interpretazione del termine signaculi qui usato non è ovvia: può essere tradotto come ‘segno’ (per esempio, il segno della croce) ma anche come sigillo o matrice di sigillo22. In questo passo viene rilevata la materia preziosa di cui questi oggetti sono fatti, per cui sembrano essere trattati essenzialmente come gemme preziose, forse intagliate con simboli o figure religiose (per un esempio, si vedano figg. 1 e 2)23. Sia il cristallo sia l’ambra erano materiali molto apprezzati in oggetti liturgici e devozionali, per il loro aspetto e per i significati simbolici che vi erano attribuiti24.

Figura 1. – Sigillo di cristallo intagliato (XI‑XII secolo, area bizantina).

Figura 1. – Sigillo di cristallo intagliato (XI‑XII secolo, area bizantina).

Metropolitan Museum of Art, Accession Number 86.11.38.

Figura 2. – Medaglione d’ambra con il volto di Cristo (1380‑1400, prodotto nei territori dell’Ordine Teutonico nell’attuale Polonia).

Figura 2. – Medaglione d’ambra con il volto di Cristo (1380‑1400, prodotto nei territori dell’Ordine Teutonico nell’attuale Polonia).

Metropolitan Museum of Art, Accession Number 2011.503.

13Nella Vita, l’episodio dei signaculi è immediatamente seguito da un altro racconto che in apparenza è accomunato solo dalla prescienza dimostrata da Umiliana:

  • 25 «Die quadam ad quamdam sibi carissima reverendam religiosam gratia visitationis accessit, et inter (...)

Un giorno andò a trovare una certa religiosa a lei molto cara, e tra le cose di cui parlarono, disse prima questo: «Carissima, sappiate con certezza che i capelli, che ti sono stati dati, sono veramente della Beata Vergine, e gli altri come ti fu detto». Sentendo ciò la religiosa in questione fu sorpresa, dicendo «Chi te lo ha rivelato, che cosa dici che io abbia? Perché nessuno sapeva chi mi ha dato ciò, se non Dio». A questo tacque, non volendo rivelare che ciò non le era stato rivelato da alcun mortale, ma le era stato manifestamente rivelato per spirito di profezia. In precedenza la religiosa aveva dubitato che i capelli e le reliquie sopra nominate fossero della beata Vergine, come indicò un certo segreto informatore25.

  • 26 Per un’introduzione a questi temi si veda W. Bonser, The Cult of Relics in the Middle Ages, «Folklo (...)

14Ritengo che vi sia un altro motivo per il quale questi due episodi sono presentati insieme, e cioè il fatto che, proprio come la donna che entra in possesso dei signaculi li dona a Umiliana per adornare la sua tavola, anche questa seconda donna finisca per donare a Umiliana una parte se non tutti dei capelli della Vergine — una reliquia con caratteristiche di eccezionalità, così come ancora eccezionale è, a quest’epoca, l’uso di reliquie in un contesto domestico26. Questa ipotesi si basa, oltre che sulla vicinanza tra i due racconti, sul fatto che nel successivo riferimento alla tavola nella Vita, si menziona la presenza, accanto ad essa, di un capello della Vergine.

15Si tratta della descrizione della morte di Umiliana. La donna, secondo un diffuso topos di santità, presagisce la fine e fa chiamare presso di sé una compagna, e la informa che il diavolo la tenta anche nel momento finale:

  • 27 «Socia concite cucurrit ad tabulam Dominæ nostræ, ubi erat quidam capillus ejusdem dignissimæ Dei G (...)

La compagna corse rapidamente alla tavola della Vergine, dove vi era un capello della stessa degnissima Genitrice di Dio, e prese delle candele benedette, le quali accese tenendole in forma di croce, e la tavola, sulla quale era l’immagine della Vergine e del Crocifisso, la pose sul suo petto [di Umiliana, morente e presumibilmente sdraiata a letto]. Con le candele la illuminava, e con l’incenso dava profumo, e le aspergeva il capo con l’acqua benedetta27.

  • 28 C. Lawless, ‘Make Your House like a Temple’. Gender, Space and Domestic Devotion in Medieval Floren (...)

16Questo rituale mira a sostenere Umiliana nella sua lotta contro il diavolo, facendo ricorso a numerosi ausili, dall’immagine sacra alla reliquia (che potrebbe essere stata fisicamente unita alla tavola)28 e all’incenso, dalle candele benedette all’acqua benedetta. Umiliana, benché immobilizzata a letto, viene circondata da tutte queste ‘armi’, che può percepire sensorialmente senza neanche aprire gli occhi, considerando che quando il diavolo è scacciato si dice che «aprendo gli occhi vide la tavola posata sul suo petto». Delle candele avrebbe probabilmente percepito ad occhi chiusi almeno l’odore di cera oltre al profumo dell’incenso, e avrebbe ugualmente sentito la tavoletta sul suo petto e l’acqua sul suo capo.

  • 29 «Hæc dum agerentur conversa est ad dæmonem et imperavit ei, dicens: Recede a me inique statim, et n (...)

17L’ultimo gesto di Umiliana ricordato nella vita, quando si riprende dall’attacco del diavolo e apre gli occhi, è quello di avvolgere più degnamente la tavola in un panno serico (come si faceva con le reliquie) del suo mantello prima di posarla di nuovo sopra il proprio petto, testimoniando ancora una volta l’importanza di quest’oggetto e la sua volontà di trattarlo nel modo più degno possibile29. Il motivo per il quale la tavola non era stata avvolta in un panno prima di posarla sul petto di Umiliana la prima volta potrebbe essere legato all’idea che, per aiutare nella sua lotta contro il diavolo, l’immagine avesse bisogno di essere a diretto contatto del corpo di Umiliana, per poterle conferire, tramite il contatto, la sua potenza sacra. Solo una volta che il demonio è stato scacciato, e non è più necessario che l’oggetto eserciti il suo potere, esso può essere avvolto nel panno, in grado al tempo stesso di proteggerlo contro i danneggiamenti, di onorarlo in quanto materiale prezioso.

18Volendo azzardare qualche considerazione conclusiva sulla rappresentazione della tavola e degli oggetti ad essa collegati nella vita di Umiliana, si può affermare che essa è direttamente legata almeno alla vista (messa particolarmente in evidenza dai miracoli di luce), al tocco (in quest’ultimo episodio) e al gusto (percepito da Umiliana e dalla sua compagna in preghiera davanti ad essa). Ad essi si può aggiungere l’odorato se si considera l’incenso usato nel rituale di accompagnamento alla morte, ed eventualmente l’odore della lampada ad olio. Ciò delinea già una fruizione multisensoriale dell’esperienza religiosa, che potrebbe essere sviluppata ulteriormente se si prendessero in considerazione altri oggetti o eventi citati nell’opera (come il pane miracoloso e odorifero che nutre Umiliana o il canto come forma di espressione devozionale personale). Insomma, nonostante il biografo dipinga Umiliana come desiderosa di annullare i propri sensi (augurandosi di essere cieca e sorda per non sentire alcune cose che le vengono dette, e addirittura turandosi le orecchie con la bambagia per non udire i rumori e le vanità del secolo), il ruolo multisensoriale esercitato da oggetti materiali nella devozione è ampiamente rappresentato. Della tavola in particolare ritengo che si possa affermare che eserciti un’agency attiva nella vita di Umiliana, e di altri per suo tramite. Non a caso, in momenti di grande difficoltà personale, Umiliana e le donne intorno a lei si rivolgono all’immagine sacra della Vergine, certe di trovare aiuto: Umiliana quando deve decidere se risposarsi e soprattutto quando teme che sua figlia sia morta, la sua visitatrice quando prega davanti alla tavola in cerca di consolazione, e la socia presente alla morte di Umiliana quando questa le comunica che sta subendo l’ultimo attacco del diavolo ed ella «corre in fretta alla tavola» («concite cucurrit ad tabulam Dominæ nostræ»). Inoltre, tutti questi esempi suggeriscono l’impatto della tavola, e degli oggetti che ad essa si accompagnano, sul piano sociale oltre che su quello strettamente religioso: vale a dire, l’effetto si osserva non solo sulla devozione individuale di Umiliana, ma anche sulle sue reti di relazioni.

3. Considerazioni comparative

3.1. La materialità delle immagini sacre

  • 30 Vita Seconda, cap. 6, in Fonti Francescane editio minor, a cura di E. Caroli, Assisi, Edizioni Fran (...)

19La rappresentazione del ruolo della tavola della vergine nella Vita di Umiliana costituisce una testimonianza eccezionale per ricchezza, originalità e precocità temporale, che risalta ancora di più se analizzata nel suo contesto storico. Un modello importante per capire la percezione del ruolo delle immagini sacre, considerata la vicinanza di Umiliana con l’ambiente francescano, è rappresentato dalla storia del Crocifisso dipinto che avrebbe parlato a Francesco d’Assisi nella chiesa di San Damiano secondo il racconto di Tommaso da Celano nella Vita seconda (ca 1246/47)30. Quello delle immagini sacre ‘parlanti’ o miracolose diventa un topos diffuso nella lettura agiografica del Trecento e Quattrocento, in particolare per quanto riguarda le donne: crocifissi parlano per esempio a Brigitta di Svezia e Margherita da Cortona, e Caterina da Siena riceve le stimmate da un crocifisso. Va in ogni caso considerato che il caso di Umiliana non è solo precoce, ma anche originale, in quanto l’immagine sacra non è ‘parlante’ o animata, ma piuttosto, come si è detto, una porta attraverso cui il miracoloso può entrare o uscire dalla vita di Umiliana, agendo attivamente per offrire luce, guarigione o aiuto spirituale.

  • 31 Angela da Foligno, Memoriale, a cura di E. Menestó, Firenze, Edizioni del Galluzzo, 2013, cap. 1, p (...)

20Se si guarda, a scopo comparativo, ai riferimenti alle immagini sacre nelle fonti narrative che ci attestano la vita e il pensiero di donne religiose mistiche bassomedievali, si rileva anzitutto che essi sono relativamente frequenti. Ciò non sorprende, considerato l’importante ruolo attribuito alle immagini nella religiosità medievale, in particolare degli illetterati. Diverse religiose, secondo le fonti, reagivano in modo intensamente fisico alla vista delle immagini sacre; per esempio, di Angela da Foligno (1248‑1309), il Memoriale tramanda l’affermazione: «Quando vedevo la passione di Cristo dipinta (passionem Christi pictam), a malapena potevo sostenermi, mi assaliva la febbre e mi ammalavo, perciò la mia compagna mi nascondeva le pitture della passione (picturas passionis) e poneva ogni cura nel nasconderle»31. Il fatto che le immagini dovessero essere nascoste per impedire loro di produrre determinati effetti mi sembra una testimonianza convincente della loro agency.

  • 32 V. Baradel, Immagini per “muover divozione” a Venezia all’inizio del Quattrocento, in G. Baldissin (...)
  • 33 F. Sorelli, La santità imitabile. “Leggenda di Maria da Venezia” di Tommaso da Siena, Venezia, Depu (...)
  • 34 Si veda per esempio Hieronymus Iohannis, Legenda Beate Villanae de Bottis, cap. 2: «Puerulus quidem (...)

21In un’indagine che si concentri sulla materialità delle immagini sacre nella devozione femminile tardomedievale vale la pena di citare un episodio — giustamente celebre — che compare nella Leggenda di Maria da Venezia del domenicano Tommaso da Siena, detto Caffarini (ca 1350‑1434) ed è stato analizzato da Valentina Baradel in un recente saggio sul tema32. Il testo racconta che la donna, avendo sentito le predicazioni appunto del Caffarini su Caterina da Siena, e vedendo per caso nella bottega di un pittore una «tavoletta ne la quale era dipinta la ymagine de la decta beata Katerina» non solo riuscì a ottenerla, ma «in una altra ancona, infra certe ymagini de’ santi del nostro ordine facte dinançi a la ymagine del crocifixo Iesù, essa si fé dipingere se stessa vestita in tutto dell’abito sopradecto, tenendo el suo cuore in mano et offrendolo in tutto e per tutto a esso misser Iesù»33. Si tratta di un caso limite di ‘personalizzazione’ delle immagini sacre, che va oltre l’uso di adornarle con oggetti che avessero un significato speciale per la fruitrice, come nel caso dei signaculi di Umiliana. Rientrano in una questa “personalizzazione” anche l’uso di mantenere un lume acceso davanti a un’immagine sacra o di ornarla con fiori34; le fonti di luce e i fiori arricchivano la fruizione multisensoriale delle immagini sacre, sia visivamente sia olfattivamente.

  • 35 Illuminata Bembo, Specchio di Illuminazione, a cura di S. Mostaccio, Firenze, SISMEL-Edizioni del G (...)
  • 36 Illuminata Bembo, Specchio di Illuminazione, cit., p. 29.

22Per donne che non potevano circondarsi di oggetti di devozione acquistandoli o comunque ottenendoli per la loro dimora privata, un’alternativa è offerta da Caterina Vigri, che secondo la testimonianza della sua allieva Illuminata Bembo (che scrive nel 1464): «voluntiera depingea lo Verbo divino piccolino infassato [cioè avvolto in fasce], per molti lochi del monasterio di Ferrara e per i libri lo facea cossì piccholino»35. Realizzare con le proprie mani un’immagine devozionale non era solo una possibilità aperta a chi ne aveva il talento e i mezzi: sulla base della lunga tradizione di valorizzazione del lavoro del copista e dell’illustratore di opere sacre, questo gesto poteva essere interpretato come una pia attività e un atto di carità che andava a vantaggio degli altri. Questa interpretazione è supportata dall’affermazione che Caterina «avea uno suo brevario el quale scrisse con sua grande faticha, e questo fece per poter servire a chi non n’avea, tanto era la sua karità»36. Con la fatica della sua mano, e lasciando una traccia estremamente personale, la donna produceva dunque oggetti e immagini in grado di stimolare negli altri la stessa devozione di Caterina. Non a caso, la donna dipinge Gesù bambino come avvolto in fasce, e invita chi le sta attorno a «“Pigliarolo per la fascia, che l’è lo fuocho che me acora”». In un celebre miracolo Caterina vide la Vergine offrirle Gesù bambino da tenere in braccio, consentendole l’esperienza tattile che è suggerita proprio in questo passo.

  • 37 G. Bevegnati, Legenda de vita et miraculis beatae Margaritae de Cortona, a cura di F. Iozzelli, Gro (...)

23Un’ultima questione che merita di essere posta è la possibilità di identificare, ed eventualmente di studiare nella loro materialità, le immagini devozionali che appaiono aver giocato un ruolo importante nella vita di queste religiose. Da una parte, va detto che la precoce popolarità di un religioso si tradusse quasi sempre nell’identificazione (o supposta tale) di oggetti materiali ad essi connessi, dal crocifisso che parlò a Francesco a quello che conferì le stimmate a Caterina da Siena. Un elemento che mi pare importante considerare è se il testo si proponesse o meno di permettere al pubblico di identificare l’immagine sacra citata nelle testimonianze coeve. Nessun tentativo in tal senso si registra nella Vita di Umiliana, mentre per esempio nell’agiografia di Margherita da Cortona (redatta da uno dei suoi confessori poco dopo la sua morte avvenuta nel 1297) si fa riferimento al fatto che nella chiesa dei Minori la donna avrebbe cominciato a pregare assiduamente davanti a una immagine del Crocifisso che — precisa il biografo — al tempo in cui stava scrivendo si trovava presso l’altare dei detti frati («que nunc est in altari dictorum fratrum»)37. Una simile affermazione, oltre a dare concretezza al racconto e a fungere da garanzia di autenticità, mi sembra legarsi al desiderio di permettere a quello specifico oggetto devozionale di continuare ad esercitare un ruolo per gli ammiratori ed emulatori di Margherita, così come lo aveva esercitato per Margherita stessa. Similmente, Illuminata Bembo aveva menzionato che Caterina Vigri aveva dipinto Gesù bambino «per molti lochi del monasterio di Ferrara e per i libri», forse con l’idea che lettori e lettrici della sua opera potessero cercare queste raffigurazioni e beneficiarne, continuando, anche in questo caso, una catena di devozione in cui gli oggetti giocano un ruolo centrale.

3.2. Candele e altri oggetti benedetti

  • 38 F. Paxton, Christianizing Death: The Creation of a Ritual Process in Early Medieval Europe, Ithaca  (...)
  • 39 F. Paxton e I. Cochelin (a cura di), The Death Ritual at Cluny in the Central Middle Ages / Le ritu (...)

24La descrizione della lotta di Umiliana morente contro il demonio costituisce un eccellente esempio di uso di vari elementi materiali: oltre a un’immagine sacra, anche candele benedette, acqua benedetta, e incenso. Come è noto, tali elementi appaiono essere stati usati nei rituali di accompagnamento alla morte fin dall’alto medioevo38. Tra le descrizioni più dettagliate sono quelle relative ai monasteri: per esempio, i consuetudinari di Cluny menzionano l’uso non solo di candele, ma anche di acqua benedetta, di una croce, e di olio per l’estrema unzione39.

25Tra le fonti che ci attestano la vita di religiose italiane tardomedievali, l’unica in cui ho identificato un rituale simile a quello rappresentato nella Vita di Umiliana è il già nominato Specchio di Illuminazione di Illuminata Bembo. Si consideri il passo in cui descrive Caterina Vigri che interviene per cacciare il diavolo dal capezzale di una consorella morente:

  • 40 Illuminata Bembo, Specchio di Illuminazione, cit., pp. 58‑59.

E partisse la madre piena de ogni lume divino, la quale bene si avedea quello volea fare lo malegno, e apena fu dipartita — e non credo anchora fusse giunta alla sua letiera — ch’el malegno fu lì e havendo la sacristana amorçato [cioè spento] uno candeloto benedecto, quale volse sempre la benedetta madre lo dì con la nocte iene ardesse dui, lo adversario ebe subito amorçato l’altro lume, quale aveva accesso la sacristana, e subito fu questa anima posta e divenuta in tanto forte e spaventoso ansiamento che fu cossa terribile40.

26Caterina, subito chiamata, interviene per proteggere la morente dal demonio, apostrofando quest’ultimo e cacciandolo con le parole e con l’acqua santa: «et prese l’acqua santa et asperse la inferma e tuta la stantia». Come già nella Vita di Umiliana, alle candele e l’acqua benedetta è attribuito un ruolo importante come ausili per scacciare il maligno. Si tratta di due elementi che uniscono un forte significato simbolico alla possibilità di essere percepiti sensorialmente dalla donna morente, anche se costretta a letto e in una situazione di grave difficoltà, e che la aiutano a ritrovare la calma e la pace. In particolare, se si tengono in considerazione anche i numerosi episodi di luce divina nella cella di Umiliana, risulta evidente che la pratica di tenere acceso un lume aveva delle notevoli associazioni emotive: se lo spegnimento del lume porta con sé sentimenti negativi, dal dispiacere e dal dubbio all’ansia e al tormento — di converso, il lume acceso (o riacceso) ha evidenti associazioni positive. Non è certo un caso se proprio in questo passo Caterina è definita come «piena de ogni lume divino», in grado di portare luce nell’oscurità — fisica e mentale — della morente e di tutte coloro che assistono. In effetti, la dimensione comunitaria di questo momento non va dimenticata: a questa deve forse essere ricollegata l’affermazione dell’autrice che Caterina asperge di acqua santa non solo la morente, ma l’intera stanza, proteggendo dunque dal diavolo non solo una singola persona ma tutte la consorelle che si trovavano li.

  • 41 Ivi, pp. 6970.

27Gli oggetti necessari per un rituale di accompagnamento alla morte sono menzionati anche in relazione al trapasso di Caterina stessa, la quale, presentendo la fine, dice alle consorelle: «Mandati per lo confessore et aparechiati l’altare da metere lo corpus Domini e dare l’olio sancto, e metiti uno crucifixo da piedi de l’altare. Portati l’acqua santa e delle candelle benedecte»41. In questo passo in particolare si rileva la differenza di contesto tra Umiliana Cerchi, isolata nella sua torre di famiglia (con l’unico aiuto di una donna) in cui aveva raccolto i segni materiali della sua devozione alla Vergine, e Caterina Vegri, attorniata dalle sue consorelle nel monastero delle clarisse del Corpus Domini di Bologna e con accesso a un altare dove poter ricevere l’Eucaristia e l’unzione rituale. Tuttavia, colpisce in entrambe le descrizioni l’atto di spostare l’immagine sacra per permetterne una più agevole fruizione da parte della morente: la tavola della Vergine presa e collocata sul suo petto, e il crocifisso spostato e messo ai piedi dell’altare, per poter essere più visibile, o forse accessibile al tocco.

  • 42 La bibliografia sul tema è vastissima: per un’introduzione generale si veda J. Bachelot e P. Lefebv (...)

28Avendo già avanzato alcune riflessioni sulle immagini sacre, mi concentro ora sul significato attribuito alle candele. La luce è naturalmente associata al divino da tempo immemorabile, e vi è un’ampia tradizione di riferimenti alla luce nei testi sacri Cristiani, nella Patristica e nell’agiografia medievale42. I testi che ci rappresentano la vita e il pensiero delle religiose italiane su cui si concentra questo articolo contengono di frequente riferimenti alla luce e/o al calore in quanto esperienze sensoriali associate alla presenza del divino, come ben testimoniato dalla Vita di Umiliana. Ciò che qui m’interessa è osservare a quali oggetti queste esperienze sensoriali sono collegate e quale ruolo giocano questi oggetti nella devozione delle donne in questione. Purtroppo, i riferimenti che compaiono nelle fonti prese in esame sono spesso fuggevoli, o metaforici, ma permettono lo stesso di avanzare alcune riflessioni.

  • 43 Angela da Foligno, Memoriale, cit., cap. 9, par. 128, ll. 445‑449: «in festo sancte Marie Candelari (...)

29Per esempio, nel Memoriale di Angela da Foligno (scritto tra il 1248 e il 1309) si narra un’esperienza mistica in occasione della festa di santa Maria candelora (che commemorava non solo la presentazione di Gesù bambino al tempio ma anche la purificazione della Vergine Maria dopo il parto secondo il rituale ebraico). Questa festa, particolarmente significativa per le donne, era caratterizzata da un ampio uso rituale delle candele, menzionate anche da Angela.43 Nella sua visione, Angela si vede nobile e alta, in grado di presentarsi a Dio con sicurezza. Ciò suggerisce già che le candele siano associate a emozioni positive, quali appunto la sensazione di sicurezza e di gioia; in effetti, nel Memoriale si ricorre alla metafora delle candele per descrive come appariva al di fuori lo stato di grazia di Angela:

  • 44 Angela da Foligno, Memoriale, cit., cap. 7, par. 98, ll. 356‑363, p. 74: «Et dixit michi socia sua (...)

Una volta, mentre andavano per strada, la fedele diventò bianca, luminosa, lieta e rosseggiante e i suoi occhi divennero grandi e tanto splendenti che non sembrava più lei; e aggiunse: — Io ero triste e temevo che qualche persona, uomo o donna, ci venisse incontro e la vedesse. Io le dicevo: «A che giova coprirti il volto? I tuoi occhi sembrano risplendere come candele»44.

30Un terzo riferimento alle candele nel Memoriale si trova quando Angela, di fronte a una visione mistica, chiede a Dio di darle un segno tangibile:

  • 45 Angela da Foligno, Memoriale, cit., cap. 4, par. 44, ll. 54‑60, p. 34: «Querebam quod ipse daret mi (...)

Chiesi allora che mi desse un segno materiale che potessi vedere, cioè che mettesse nella mia mano una candela o una pietra preziosa o qualunque altro segno che volesse. E dissi: «Non mostrerò questo segno a nessuno, se vuoi». Rispose: «Questo segno che chiedi è un segno capace di procurarti gioia tutte le volte che lo vedi e lo manipoli, ma non ti libererebbe dal dubbio e ti ci potesti ingannare»45.

  • 46 A. Sapoznik, Bees in the Medieval Economy: Religious Observance and the Production, Trade, and Cons (...)

31Qui la candela è un piccolo oggetto in grado di offrire un segno concreto del divino — che deve evidentemente manifestarsi in qualcosa di degno, anche se piccolo, come una pietra preziosa o, appunto, una candela. Oltre alla luce di cui si è già detto, vale la pena di ricordare che anche alla cera d’api era attribuito un valore simbolico importante, in quanto questi animali erano spesso interpretati come simbolo di Cristo46. La dimensione sensoriale degli oggetti che vengono presentati come in grado di fungere da ‘segno’ è importante, in quanto si dice che sarebbero in grado di procurare gioia alla loro proprietaria tutte le volte che li percepisce sensorialmente, vedendoli o toccandolo (il verbo contrecto indica l’atto di manipolare, palpare, perfino accarezzare), anche se il passo si conclude con un ammonimento a ricordare che tutto ciò che è materiale risulta insufficiente come testimonianza del divino, e con l’invito quindi a non affidarsi agli oggetti e ai sensi ma solo alla fede.

  • 47 Su cui si veda V. Baradel, When the ‘Bell Flies to Rome’. The Liturgy of Tenebrae and Its Sounding (...)
  • 48 D. Postles, Lamps, Lights and Layfolk: ‘Popular’ Devotion before the Black Death, «Journal of Medie (...)

32Le candele erano particolarmente importanti come ausilio devozionale per quanti — come laici e donne — erano esclusi dal manipolare in prima persona oggetti liturgici: a costoro le consentivano, in rare occasioni, di svolgere un ruolo attivo nella liturgia (per esempio, nella Candelora e nell’Ufficio di Tenebre)47, o perlomeno di percepire con i sensi i frutti delle loro donazioni alla chiesa, quando queste erano destinate specificamente alla sua illuminazione48. Inoltre, come si è visto, le candele potevano essere usate in rituali di devozione personale, come il lume tenuto sempre acceso da Umiliana davanti alla tavola della Vergine o per fungere da simbolo per uso strettamente personale, come nel caso della candela che Angela propone di tenere come segno fisico di Dio senza farla vedere a nessuno. Un altro esempio è attestato nella lettera di Arcangela Panigarola (1468‑1525, al secolo Margherita) al figlio spirituale Denis Briçonnet:

  • 49 Ambrosiana, O 248 sup. f. 3r, trascritto in Scrittrici mistiche italiane, cit., p. 330. Su Arcangel (...)

Reverendo figliolo, ve mando questa candela per memoria che in tal dì ve azetai in figliolo per volontà della zelesta regina vergine e madre. La quale candela, figlio mio, pregove che sempre solizitiate de tenerla azesa nella mane vestra e non morta […]49.

  • 50 Santa Umiltà da Faenza, I sermoni, a cura di R. Fusco, trad. F. Valori, Siena, Cantagalli, 2007, p. (...)

33Nonostante la preminenza, in questa lettera, delle interpretazioni simboliche delle candele, non vi è dubbio che la lettera accompagnasse l’invio di una vera candela, che agli occhi del destinatario (il vescovo di Tolone e di St. Malo, che certo non aveva difficoltà a reperire una singola candela) doveva assumere un valore particolare in virtù della persona che l’aveva donata e, forse, dell’ambiente in cui era stata prodotta, se si trattava della comunità religiosa femminile di Santa Marta a Milano, dove Arcangela viveva. La ricorrenza tutta privata dell’adozione spirituale del destinatario è celebrata tramite la candela, quasi fosse una festa religiosa ufficiale, e non è impossibile che il destinatario della lettera si sentisse incoraggiato ad accendere effettivamente quella candela e a tenerla nella mano mentre era accesa, usando quell’esperienza sensoriale come stimolo alla meditazione sulle parole della sua madre spirituale. La stessa Arcangela Panigaroli aveva invitato le sue monache a diventare come «il stopino che sta accesso nella candella», sempre accese dell’amore di Cristo: ancora una volta, concretezza del riferimento a un oggetto di uso comune e dimensione metaforica vanno insieme. Similmente, quanto Umiltà da Faenza (1226‑1310) nei suoi Sermoni dichiara: «prendete ceri nelle vostre mani come ce li hanno gli angeli e i santi»50, non credo che il riferimento sia solo a ceri immateriali e simbolici. Il fatto che questo invito si trovi associato a quello di «lavare le mani e la faccia nella fonte dell’acqua viva, affinché siate mondi e splendidi» è indicativo: luce e acqua (un binomio già presente nei rituali di accompagnamento alla morte) sono due elementi simbolici fondamentali nella mistica cristiana che si ricollegano direttamente alla vita quotidiana. Ciò permette all’autrice di costruire un’associazione tra l’esperienza sensoriale di lavarsi e di vedere e maneggiare una candela e la purificazione spirituale.

3.3. Taschetine, scatoline, uova, fichi e giuggiole

34Nell’ultima sezione di questo articolo prenderò in considerazione alcuni oggetti di tipo molto diverso da quelli esaminati in precedenza: contenitori destinati a contenere cibo (o anche denaro) e il cibo in essi contenuto. Pur trattandosi di elementi che non potevano, di per se stessi, essere usati in funzione devozionale o liturgica (come avveniva invece per le immagini sacre, le candele e) altre sostanze benedette, a mio parere questi oggetti possono comunque rivestire un ruolo nell’esperienza religiosa.

35Alcuni esempi interessanti per i fini di quest’articolo si trovano nello Specchio di Illuminazione di Illuminata Bembo, laddove si parla di due contenitori usati da Caterina Vigri per offrire cibo alle sue consorelle: una schatoleta o scatolina contenente fichi e giuggiole (sulla quale mi soffermerò più oltre) e una taschetina, menzionata laddove si parla dell’amore del prossimo di Caterina:

  • 51 Illuminata Bembo, Specchio di Illuminazione, cit., pp. 11‑12.

Lei se havea facto una taschetina e portavala apicata al cordone soto la honesta, e quando havesse veduta alcuna sumere pocho o vero non essere proveduta como li parea bisognasse secundo li casi hochorenti […] questa benedicta serva de Dio andava a la madre e dicea «Madre, ho bisogno me provediati alquanto: fatimi dare qualche hovo o quello che possiti». E la madre cossì facea. […] e le ove toleva e ponevale nella sua tascheta e davale poi a quella vedea essere in debeleza e così facea de le altre cosse li era proveduto […] Similiter faceva a quelle de la infermaria: adimandava alla sua abbadessa li provvedesse alquanti dì de carne e lei la ponea ne la sua tascheta e davala a loro51.

  • 52 «[…] quoties ipsa benedicta appositi panis fragmenta latenter subduceret a viri sui mensa et abscon (...)
  • 53 «[…] visitabat nobiles Dominas et discretas et timentes Deum civitatis Florentinæ, petens ab eis hu (...)

36La menzione del borsello che Caterina si era fatta, di come lo portava (secondo un uso diffuso all’epoca e ben rappresentato anche dall’iconografia, vedi fig. 3), dei tipi di cibo che poteva contenere e di come se li procurava conferisce concretezza alla narrazione topica dell’atto caritativo. Anche Umiliana raccoglieva cibo per i poveri: la Vita afferma che quando viveva col marito ogni giorno toglieva gli avanzi di pane dalla tavola e se li nascondeva in seno, anche se non si specifica se vi fosse una tasca atta a contenerli52. Il testo menziona invece che quando Umiliana visitava delle nobildonne per raccogliere delle elemosine, le riponeva in una certa borsina realizzata a questo scopo («in quadam perula munda, specialiter ad hoc facta»)53.

Figura 3. – Borsello portato sotto le vesti da una donna (XV secolo), dettaglio del ms‑5070 réserve, Bibliothèque nationale de France, Bibliothèque de l’Arsenal, f. 333r.

Figura 3. – Borsello portato sotto le vesti da una donna (XV secolo), dettaglio del ms‑5070 réserve, Bibliothèque nationale de France, Bibliothèque de l’Arsenal, f. 333r.

Questa immagine è resa disponibile dalla biblioteca digitale Gallica <gallica.bnf.fr> con il numero identificativo btv1b7100018t/f679.item.

37Il fatto che entrambe le bisacce fossero state realizzate precisamente a scopo caritativo deve essere considerato una dimostrazione della serietà e continuità dell’impegno delle due donne. Vale però la pena di notare che Caterina aveva cucito la sua tasca da sola, mente Umiliana se l’era fatta fare da altri; la borsa di Umiliana è anche qualificata come munda, che in questo contesto mi pare debba essere interpretato, più che come un riferimento alla pulizia o alla purezza, al suo aspetto curato, ordinato e ben organizzato. Viene spontaneo fare un parallelo con le immagini sacre che Caterina tracciava da sola, mentre quelle di Umiliana erano realizzate da altri: questa differenza rimanda, credo, al diverso contesto sociale, economico e materiale in cui operano le due donne.

38La tascheta/taschetina e la schatoleta/scatolina di Caterina e la perula di Umiliana sono tutte indicate con un diminutivo legato alla loro piccola dimensione, che le rendeva facilmente portate su di sé dalle donne in questione, divenendo quasi una loro estensione (a questo proposito vale la pena di considerare anche il dettaglio dei pezzi di pane che Umiliana si nascondeva in seno). Anche se i motivi erano pratici (trasportare e nascondere quanto raccolto), si può considerare anche la dimensione simbolica e sensoriale: il contatto fisico con essi quando se li portavano appresso avrebbe funzionato come un costante ricordo dell’impegno caritativo. Dal punto di vista dei beneficiari di questo impegno poi, il fatto che l’offerta fosse stata portata direttamente su di sé da una donna pia, se non addirittura santa, poteva aggiunge un valore ulteriore al dono, in particolare al cibo, che passava dall’essere toccato e portato su di sé dalla religiosa all’essere ingerito dai beneficiari della carità.

39L’esperienza sensoriale dell’ingestione del cibo mi pare particolarmente rilevante nel caso della scatolina contenente fichi e giuggiole, che secondo il testo Caterina offriva alle consorelle che avevano difficoltà a resistere durante l’ufficio divino:

[…] tenea per una grande munera in una sua schatoleta, e quando alcuna avesse decto: «io ho tanta necesità che me consumo; pare ch’io venga meno!» e lei con una faza columbina dicea: «Vieni mecho, te darò della mia schatolina!» e davali de quelli fichi e giogole con grande karita.

40È notevole che lo Specchio riporti il ricordo di Caterina stessa di aver assistito in piedi alla messa nonostante il fatto che dei problemi fisici glielo avessero reso penoso, ma anche di essere stata aiutata proprio dal dono di fichi e giuggiole.

[…] pure lì sono stata, e sono stata in piedi. Vero è — dicea — ch’io adimandai alla mia reverenda madre qualche cossa da meterme in bocha e lei per sua benignità me fece dare parechi fichi e delle gigiole : e con l’aiucto de Dio e di quelle de le quale me misse in bocha, lì sono pure stata, avegno che [cioè sebbene] con grande manchamento.

  • 54 JChatillon, Dulcedo Dei, in M. Viller et al. (a cura di), Dictionnaire de spiritualité ascétique (...)
  • 55 Illuminata Bembo, Specchio di Illuminazione, cit., p. 19 e p. 32 rispettivamente.

41Il gesto caritatevole di Caterina nei confronti delle sue consorelle vuole dunque ricalcare esattamente l’aiuto da lei ricevuto in passato, in una catena di carità in cui i frutti svolgono un ruolo importante. Si tratta di frutti umili ma molto zuccherini: al di là della loro indubbia utilità per calmare la fame o combattere la stanchezza, vale la pena di considerare che la percezione sensoriale della dolcezza è tradizionalmente associata all’esperienza di Dio (si veda ad esempio il Salmo 119: «Le parole del Signore sono dolci al mio palato più del miele per la mia bocca»)54. Non mi pare un dettaglio senza importanza che Caterina e le sue consorelle, mangiando i fichi e le giuggiole, percepissero la sensazione di dolcezza mentre erano nel coro intente ad ascoltare l’ufficio divino, associando quindi il gusto dolce al contesto della liturgia. Non a caso, a poche righe dalla descrizione dei fichi, il testo riporta l’affermazione di Caterina che gli atti disdicevoli che possono essere commessi nel coro nascono dal fatto che li chi commette non gusta sufficientemente l’ufficio divino: «E questo adiviene perchè non gustasi lo divino offitio, imperoché se ‘l si gustasse e si avesse lo core alle sacre e melate parole del Spiritu Sancto, non se avederia de altro». La parola divina è dunque paragonata al miele, che produce una sensazione di dolcezza in chi la esperisce. Il tema del gusto riappare più volte nel capitoletto, che si apre con la spiegazione che Caterina frequentava l’ufficio divino perché «lo dicea con uno grandissimo gusto» e si chiude con l’affermazione che la donna: «tanto sapea bene trare la midolla del divino amore e de la pietra el dolce licore»55. Le due metafore alimentari aiutano a ribadire la necessità di riuscire a percepire la dolcezza nell’esperienza religiosa, e di trarne nutrimento, secondo un tema diffuso nell’agiografia femminile tardomedievale.

  • 56 Ambrogio, De officiis, libro 2, cap. 30, par. 155, in Sancti Ambrosii Mediolanensis De Officiis, a  (...)
  • 57 Si veda P. Modesti, Le chiese e le monache di San Zaccaria (XV‑XVII secolo), in B. Alkema, M. Manci (...)

42La dolcezza è anche associata specificamente alla carità (si veda per esempio l’affermazione di Ambrogio che «nihil caritate dulcius», «nulla è più dolce della carità»)56. Non a caso, nello Specchio Caterina stessa è spesso descritta come ‘dolce’: di conseguenza, il cibo dolce può essere interpretato come una materializzazione della carità di Caterina, e addirittura come un prolungamento di Caterina stessa, che cristologicamente offre sé stessa per gli altri. Si potrebbe riflettere sui doni offerti da donne religiose in questa prospettiva, considerando l’uso di donare oggetti prodotti dalla donna stessa o dalle sue consorelle (per esempio, tessuti) o cibo. Per restare nell’ambito italiano, le monache di San Zaccaria a Venezia erano note per i biscotti che cucinavano e che venivano offerti al doge e ad altri ospiti prestigiosi57.

4. Conclusioni

43In chiusura, vale la pena di tornare alla domanda posta in apertura dell’articolo, vale a dire se si possa effettivamente parlare di una agency sensoriale esercitata dagli oggetti nella vita devozionale delle donne prese in considerazione e di coloro che le circondavano. Risulta intuitivo comprendere in che senso immagini sacre miracolose potessero esercitare un ruolo attivo nella vita di qualcuno, per esempio guarendo un malato con il loro tocco; un discorso analogo può essere fatto elementi materiali usati nei riti, come l’incenso, l’acqua santa che, aspersa su morente, la confortava, e le candele usate in funzione devozionale, la cui luce esprimeva la devozione della proprietaria e addirittura teneva lontano il diavolo, mentre il loro spegnimento provocava un vivo dispiacere, se non addirittura la disperazione, della persona che confidava nella loro luce. Meno ovvio è se — ed eventualmente come — dei recipienti o del cibo possano esercitare una agency. Non sono forse elementi passivi per antonomasia, capaci solo di essere riempiti o mangiati? Spero che quanto presentato aiuti a rispondere negativamente a questa domanda. Ritengo infatti che considerare la dimensione multisensoriale della fruizione degli oggetti aiuti a ricostruire il modo in cui essi influenzavano l’esperienza individuale, compresa quella religiosa. Per esempio, considerare il gusto dolce dei fichi e delle giuggiole offerti da Caterina Vigri alle consorelle in coro e il modo in cui si sovrapponeva alla caratterizzazione dell’esperienza divina — ma anche della carità — come ‘dolce’ aiuta a comprendere che il ruolo giocato da quel cibo nell’esperienza religiosa di quelle donne non era insignificante.

44Considerazioni simili possono forse essere avanzate per i contenitori dei doni caritatevoli, che finivano per rappresentare materialmente la carità delle loro proprietarie, per le donne stesse (che se li portavano appresso), per i beneficiari della carità (che si vedevano offerti qualcosa che era stato portato su di sé e toccato da una donna dal particolare carisma spirituale) e anche per eventuali testimoni, considerato che i biografi ritennero questi contenitori abbastanza rilevanti da menzionarli nella loro opera agiografica.

45In conclusione, vorrei tornare a riflettere sulla dimensione di genere, per cercare di ricostruire se nelle testimonianze esaminate vi siano indizi di una specificità femminile nella scelta degli oggetti e nel modo in cui erano usati. A mio parere, si può rispondere positivamente, per vari motivi. Da una parte, gli oggetti che sono stati citati erano tutti accessibili e sensorialmente fruibili dai laici e dalle donne, a differenza di quelli riservati al clero (per esempio, paramenti sacri o calici liturgici). Per adornare le immagini sacre destinate alla devozione privata vi era spazio per la creatività individuale, usando ciò che si rendeva disponibile alla proprietaria, come materiali preziosi o fiori freschi. Come si è detto, le candele potevano offrire uno spazio di partecipazione attiva alla liturgia, in particolare in occasione della festa della Candelora, associata con la Vergine. Le immagini prese in considerazione raffigurano quasi tutte la Vergine, la Vergine con suo figlio, o Gesù bambino, che ben potevano rispondere a esigenze devozionali tradizionalmente attribuite alle donne. La devozione femminile era spesso costretta in spazi angusti e privati, in cui i rituali (con i loro elementi materiali) venivano elaborati e eseguiti individualmente o insieme ad altre donne. Anche l’impegno caritatevole è stato tradizionalmente uno degli spazi d’azione femminile: estromesse dalla gestione diretta dell’ufficio divino, spesso limitate nella loro gestione del denaro (si pensi a Umiliana privata della dote — non a caso si specifica che il denaro da lei donato in elemosina non era il suo, ma era da lei raccolto presso altre nobildonne), le donne trovavano spesso nel dono di oggetti e di cibo un mezzo efficace di azione sociale.

46Al di là delle donazioni caritatevoli ai poveri, colpisce l’onnipresenza del tema del dono nei testi qui esaminati: gli oggetti con cui Umiliana adorna la sua tavola della Vergine le sono donati, Arcangela Panigarola manda in dono al figlio spirituale una candela, e la carità di Caterina Vigri si materializza nel suo breviario, nelle uova e nella frutta che distribuisce. In diversi casi si menziona che gli oggetti continuano una catena di condivisione, come nel caso dei fichi e delle giuggiole che Caterina Vigri dice di aver ricevuto a sua volta, o delle immagini sacre che realizza nel monastero perché possano essere utili ad altre. Tutti questi oggetti prodotti, raccolti e donati diventavano degli agenti (o, per un usare il lessico della Actor-network theory, degli attanti) d’azione sociale, capaci di influenzare le reti di relazioni sociali delle donne, e anche di giocare un ruolo significativo nella loro esperienza religiosa.

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Bibliographie

Fonti

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Williamson Beth, Sensory Experience in Medieval Devotion: Sound and Vision, Invisibility and Silence, «Speculum», vol. 88, no 1, 2013, pp. 1‑43.

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Notes

1 B. Williamson, Sensory Experience in Medieval Devotion: Sound and Vision, Invisibility and Silence, «Speculum», vol. 88, no 1, 2013, pp. 1‑43, in particolare pp. 1‑22, G. Rudy, The Mystical Language of Sensation in the Later Middle Ages, New York / London, Routledge, 2013; É. Palazzo, L’invention chrétienne des cinq sens dans la liturgie et l’art au Moyen Âge, Paris, Les Éditions du Cerf, 2014; H. H. Lohfert Jørgensen, H. Laugerud e L. K. Skinnebach (a cura di), The Saturated Sensorium. Principles of Perception and Mediation in the Middle Ages, Aarhus, Aarhus University Press, 2014; R. G. Newhauser, Introduction: The Sensual Middle Ages, in Id. (a cura di), A Cultural History of the Senses in the Middle Ages, London, Bloomsbury Academic, 2019, e i frutti del progetto ERC SenSArt di cui sopra.

2 C. W. Bynum, Holy Feast and Holy Fast: The Religious Significance of Food to Medieval Women, Berkeley / Los Angeles, University of California Press, 1987; H. Solterer, Seeing, Hearing, Tasting Woman: Medieval Senses of Reading, «Comparative Literature», vol. 46, no 2, 1994, pp. 129‑145. Per un esempio si veda Egidio Romano, De Regimine Principum, libro 2, parte 2, capitolo 19 sull’educazione delle figlie femmine, ff. 73r e 73r su München, Bayerische Staatsbibliothek 2 Inc.c.a. 161, disponibile online via <https://www.digitale-sammlungen.de/en/view/bsb00040647?page=149>. Sono riconoscente a Craig Hambling per la segnalazione.

3 Sul tema si veda C. Lawless, Sensing the Image: Gender, Piety and Images in Late Medieval Tuscany, «Open Arts Journal», no 4, 2014‑15, pp. 61‑74.

4 G. Dominici, Regole del governo di cura familiare, a cura di D. Salvi, Firenze, A. Garinei, 1860, p. 47.

5 Ivi, p. 41.

6 The Revelations of Margaret Ebner (1291–1351), a cura di L. P. Hindsley, New York, Paulist Press, 1993, p. 134.

7 Si veda C. W. Bynum, The Resurrection of the Body in Western Christianity, 200–1336: expanded ed., New York, Columbia University Press, 2017; Ead., Fragmentation and Redemption. Essays on Gender and the Human Body in Medieval Religion, New York, Zone Books, 1991, in particolare pp. 119‑150 and 181‑237; and Ead., Holy Feast, cit.

8 In particolare negli ambiti legati alla Actor-Network theory: per un’introduzione sul tema si veda A. Blok, I. Farias e C. Roberts (a cura di), The Routledge Companion to Actor-Network Theory, London, Taylor & Francis, 2020.

9 Per un’introduzione sul personaggio si veda A. Benvenuti Papi, Umiliana Cerchi. Nascita di un culto nella Firenze del Duecento, «Studi Francescani», vol. 77, 1980, pp. 87‑117.

10 Si veda M. C. Storini, Umiliana e il suo biografo. Costruzione di un’agiografia femminile fra XIII e XIV secolo, «Annali d’Italianistica», vol. 13, 1995, pp. 19‑39.

11 La vita in volgare è edita in G. De Luca (a cura di), Prosatori minori del Trecento, vol. 1: Scrittori di religione, Milano / Napoli, Ricciardi, 1954, pp. 723‑768.

12 Come rilevato anche da H. B. J. Maginnis, Images, Devotion, and the Beata Umiliana de’ Cerchi, in A. Ladis e S. E. Zuraw (a cura di), Visions of Holiness: Art and Devotion in Renaissance Italy, Georgia Museum of Art, University of Georgia, 2001, pp. 13‑20, che analizza solo il volgarizzamento della Vita, in cui alcuni episodi (tra cui quello sulla provenienza dei capelli della Vergine, su cui di veda infra) sono mancanti.

13 Vitus de Cortona, Vita Humiliana De Circulis, in F. Baertio e C. Ianningo (a cura di), Acta Sanctorum Maii, vol. 4, Parisiis / Romae, apud Victorem Palme, 1865, coll. 385‑402 (d’ora in poi, citata semplicemente come Vita). In questa frase, il fatto che si trattasse di un foglio sciolto/volante mi pare qui più importante del materiale, che considerata la datazione precoce, potrebbe non essere stata carta ma pergamena, almeno nei ricordi e nell’immaginazione.

14 «[…] lumen lampadis cellæ suæ subito extinctum est, quod semper tenebat accensum nocte tota coram imagine Dei Genitricis altissimæ: quod sibi satis displicuit, sed humilitatis causa noluit propter hoc excitare famulā dormientē».

15 «Et appropians tabulæ fidelis Humiliana, ut ad columbam pertingeret; ipsa columba versa in solem quemdam valde lucidum ante tabulam, et ipsi imagini se uniens, simul cum luce disparuit».

16 Si veda Tabula, in A. Blaise, Lexicon latinitatis medii aevi, Turnhout, Brepols, 1994 e Tabula, in C. Du Cange et al., Glossarium mediæ et infimæ latinitatis. Ed. nova locupletior et auctior opera et studio Monachorum Ordinis S. Benedicti e Congregatione S. Mauri, vol. 6, Niort, L. Favre, Parisiis, Sub oliva Caroli Osmont, 1737, coll. 943‑952. Tra i possibili significati più attestati, l’unico che potrebbe avere senso nel contesto è quello di altare portatile, ma il fatto che l’oggetto in questione non fosse un altare mi pare dimostrato dal fatto che esso venga a un certo punto posto sul petto di Umiliana, come menzionato più oltre. Un uso latino di tabula nel senso di ‘tavola dipinta’ è peraltro attestato in ambito francescano fiorentino del tardo Duecento da un documento di recentissima scoperta, una versione inedita dell’Esortazione alla lode di Dio latina di Francesco D’Assisi, su cui si veda R. Iannetti e F. Rossi, Il “primo cantico” di san Francesco, «L’Osservatore Romano», anno 163, no 92 (49.309), 20 aprile 2023. Ringrazio Zuleika Murat per la segnalazione.

17 Prosatori minori del Trecento, vol. 1: Scrittori di religione, cit., p. 734.

18 «Domina Bene, divinæ consolationis particeps, orans quadam vice præsente B. Humiliana, coram tabula ipsius Sanctæ, cum oraret ut meritis famulæ suæ aliquid consolationis reciperet a Domino, tantam gustavit dulcedinem gratiæ quantam numquam meminerat se gustasse». Nel prologo, la donna è menzionata tra i testimoni come «Domina Bene, uxor Ricci, de populo S. Mariæ Alberici prædictæ civitatis».

19 «Nocte quadam, cum surgeret a somno ut oraret, aperiens oculos vidit totam cellam insolito fulgore splendentem, et respiciens versus tabulam, in qua erat imago Dominæ nostræ vidit quamdam ignis copiosam flammam in panno, quo tegebatur tabula, usque ad cellæ supercilium ascendentem: et stupefacta nimis, timens ne combureretur tabula, cucurrit ad tabulam; et apprehenso panno et ipso compresso confricabat eum manibus, ne tabulam lædere». Sulla pratica medievale di coprire le immagini sacre, attestata anche dal celebre Rationale Divinorum Officiorum (1286) di Guglielmo Durante, si veda J. Bärsch, Velum ante summum altare suspenditur…”: Riten der Verhüllung und Enthüllung in der Liturgie des Mittelalters, in A. Husslein-Arco e V. Pirker-Aurenhammer (a cura di), Aktuell Restauriert: Das Fastentuch-Fragment des Thomas von Villach, Riggisberg, Abegg-Stiftung, 2015, pp. 95‑111.

20 «Et signo facto, egressus est puer quidam admirabilis et decorus a tabula, pergens ad locum ubi jacebat puella, et signavit eam: quæ statim facto signo Crucis surrexit sana, et puer disparuit statim».

21 «Fervens multum circa ea que Dei sunt, tabula quamdam beatæ Virginis, quam habebat in cella sua, delicate cupiebat honorare: quaæ non habens apparatā, coram quadam Domina familiaritate sibi conjuncta dixit: Si beata Virgo dederit mihi unde tabulam suam honorem, diligenti reverentia exornabo. Paulo post venit quidam deferens quosdam signaculos de crystallo et ambra, dedit eos illi familiari prædictæ, ut S. Humilianæ deferret illos ex parte sua: quos cum prædicta detulisset et ostendisset ei, ipsa læta effecta dixit: Scio unde istos habeas, et eum qui dedit, et quare dederit tibi».

22 Signaculum (postcl. et lat. chr.), in A. Blaise, Lexicon, cit.

23 Molti esempi di cristalli di rocca medievali intagliati sono fotografati in G. Kornbluth, Active Optics: Carolingian Rock Crystal on Medieval Reliquaries, «Different visions. A Journal of New Perspectives on Medieval Art», no 4, 2014, pp. 1‑36.

24 Sul cristallo si veda S. Gerevini, Christus crystallus: Rock Crystal, Theology and Materiality in the Medieval West, in J. Robinson, L. de Beer e A. Harnden (a cura di), Matter of Faith: An Interdisciplinary Study of Relics and Relic Veneration in the Medieval Period, London, British Museum Press, 2014, pp. 92‑99; B. V. Pentcheva, The “Crystalline Effect”: Optical and Sonic Aura and the Poetics of the Resurrected Body, in C. Hahn e A. Shalem (a cura di), Seeking Transparency. Rock Crystals across the Medieval Mediterranean, Berlin, Gebr Mann Verlag Gmbh & Co Kg, 2020, pp. 211‑224; G. Toussaint, The Sacred Made Visible. The Use of Rock Crystals in Medieval Church Treasure, in ivi, pp. 225‑236. Sull’ambra si veda R. King, Amber. From Antiquity to Eternity, London, Reaktion Books, 2022.

25 «Die quadam ad quamdam sibi carissima reverendam religiosam gratia visitationis accessit, et inter ea, quæ sibi locuta est; hoc primum dixit: Carissima, scito pro firmo, quod capilli, qui tibi allati, sunt vere beatæ e Virginis, et alia, ut tibi dictum fuit. Quod audiens admirata est prædicta religiosa dicens: Quis indicavit tibi hoc, quod habere me dicis? Cum nemo sciverit, quis mihi hoc dederit, nisi Deus. Ad haæc siluit, non volens indicare, quia a nullo mortalium indicatum est sibi, quoniam prophetiæ spiritu sibi revelatum fuerat manifeste. Dubitaverat religiosa prius de capillis et reliquiis supradictis, non fuisse ipsos beatæ Virginis, sicut quidam secretus eorum porrector indicaverat». Questo episodio è assente nel volgarizzamento, il che fa sì che chi si appoggi solo a quest’ultimo si trovi nell’ignoranza o nell’errore relativamente all’origine dei capelli.

26 Per un’introduzione a questi temi si veda W. Bonser, The Cult of Relics in the Middle Ages, «Folklore», vol. 73, no 4, 1962, pp. 234‑256; C. Freeman, Holy Bones, Holy Dust: How Relics Shaped the History of Medieval Europe, New Haven / London, Yale University Press, 2011; S. Blick, Bringing Pilgrimage Home: The Production, Iconography, and Domestic Use of Late-Medieval Devotional Objects by Ordinary People, «Religions», vol. 10, no 6, 2019, pp. 1‑26.

27 «Socia concite cucurrit ad tabulam Dominæ nostræ, ubi erat quidam capillus ejusdem dignissimæ Dei Genitricis, et obtulit candelas benedictas, quas accendit tenens in modum Crucis, et tabulam, in qua erat imago Dominæ et Crucifixi, posuit superpectus ejus. Candelis autem illuminabat eam, et incenso adolebat, et aquam benedictam adspergebat super caput ipsius». In questo passo, per la prima volta si afferma che l’immagine rappresentava, oltre alla Vergine, anche il Crocifisso; una menzione tardiva mi sembra tutto sommato il linea con la tendenza del biografo a rivelare via via maggiori dettagli sulla tavola in questione.

28 C. Lawless, ‘Make Your House like a Temple’. Gender, Space and Domestic Devotion in Medieval Florence, «Religions», vol. 11, no 3, 2020, p. 120, afferma che in questo passo scopriamo che la tavola conteneva al suo interno una ciocca di capelli della Vergine, ma mio parere ciò dipende soprattutto dal fatto che, usando come fonte la sola Vita volgarizzata, Lawless non ha informazioni sulla provenienza della reliquia in questione.

29 «Hæc dum agerentur conversa est ad dæmonem et imperavit ei, dicens: Recede a me inique statim, et non deinceps ausis me in aliquo infestare. Ad quod dictum diabolus convictus discessit confusus, et ipsa in omni tranquillitate quievit: et aperiens oculos et videns ipsam tabulā supra pectus sibi positam, collocavit eam honorabilius in quodam panno serico mantelli sui, et supra pectus suum melius collocavit».

30 Vita Seconda, cap. 6, in Fonti Francescane editio minor, a cura di E. Caroli, Assisi, Edizioni Francescane, 1998, p. 336. Si veda anche A. Derbes, Picturing the Passion in Late Medieval Italy: Narrative Painting, Franciscan Ideologies, and the Levant, New York, Cambridge University Press, 1996.

31 Angela da Foligno, Memoriale, a cura di E. Menestó, Firenze, Edizioni del Galluzzo, 2013, cap. 1, par. 21, ll. 265‑267, p. 13: «Quando videbam passionem Christi pictam, vix poteram sustinere, sed capiebat me febris et infirmabar, unde socia mea abscondebat a me picturas passionis et studebat abscondere». La bibliografia su Angela da Foligno é molta vasta: per un’introduzione si veda ivi, pp. xxiii-lvii.

32 V. Baradel, Immagini per “muover divozione” a Venezia all’inizio del Quattrocento, in G. Baldissin Molli, C. Guarnieri e Z. Murat (a cura di), Pregare in casa. Oggetti e documenti della pratica religiosa tra Medioevo e Rinascimento, Roma, Viella, 2018, pp. 175‑194.

33 F. Sorelli, La santità imitabile. “Leggenda di Maria da Venezia” di Tommaso da Siena, Venezia, Deputazione Editrice, 1984, pp. 181‑182.

34 Si veda per esempio Hieronymus Iohannis, Legenda Beate Villanae de Bottis, cap. 2: «Puerulus quidem flores ad eam [= Villana de Botti] forte missos deferens, quibus sanctorum ymagines pernabat […]», in Firenze biblioteca nazionale, II.IV.167, ff. 75vb‑76ra; ed in C. Leonardi e G. Pozzi (a cura di), Scrittrici mistiche italiane, Genova, Marietti, 1988, p. 222.

35 Illuminata Bembo, Specchio di Illuminazione, a cura di S. Mostaccio, Firenze, SISMEL-Edizioni del Galluzzo, 2001, p. 7. Su Caterina Vegri si veda C. Leonardi, Caterina Vegri e l’obbedienza del diavolo, in O. Besomi, G. Gianella, A. Martini e G. Pedrojetta, Forme e vicende per Giovanni Pozzi, Padova, Antenore, 1988, pp. 125‑128; S. Spanò Martinelli, Caterina Vigri (1413‑1463). Nascita e sviluppo di un culto cittadino, «Revue Mabillon», vol. 17, 2005, pp. 127‑143; C. Leonardi (a cura di), Caterina Vigri: la santa e la città, Atti del convegno (Bologna, 13‑15 novembre 2002), Firenze, SISMEL-Edizioni del Galluzzo, 2004; J. Körber, The Life of Catharina Vigri of Bologna (1413–1463): A Post-Tridentine Saint from the Middle Ages, «Papers on French Seventeenth Century Literature», vol. 49, no 96, 2022, pp. 119‑136; I. Graziani e S. Spanò Martinelli, Caterina de’ Vigri between Manuscript and Print: Text, Image, and Gender, in A. Knowles Frazier (a cura di), The Saint between Manuscript and Print: Italy 1400–1600, Toronto, Centre for Reformation and Renaissance Studies, 2015, pp. 351‑378.

36 Illuminata Bembo, Specchio di Illuminazione, cit., p. 29.

37 G. Bevegnati, Legenda de vita et miraculis beatae Margaritae de Cortona, a cura di F. Iozzelli, Grottaferrata, Ediciones Collegii S. Bonaventuae ad Claras Aquas, 1997, p. 181: «Dum semel, devota in oratione coram ymagine Christi que nunc est in altari dictorum fratrum […]».

38 F. Paxton, Christianizing Death: The Creation of a Ritual Process in Early Medieval Europe, Ithaca / London, Cornell University Press, 1990, p. 188.

39 F. Paxton e I. Cochelin (a cura di), The Death Ritual at Cluny in the Central Middle Ages / Le rituel de la mort à Cluny au Moyen Âge central, Turnhout, Brepols, 2014, pp. 56, 108, 166.

40 Illuminata Bembo, Specchio di Illuminazione, cit., pp. 58‑59.

41 Ivi, pp. 6970.

42 La bibliografia sul tema è vastissima: per un’introduzione generale si veda J. Bachelot e P. Lefebvre (a cura di), Symbolisme de la lumière au Moyen Âge : de la spéculation à la réalité, Actes du colloque européen des 5 et 6 juillet 2003, Chartres, Association des Amis du Centre médiéval européen de Chartres, 2004.

43 Angela da Foligno, Memoriale, cit., cap. 9, par. 128, ll. 445‑449: «in festo sancte Marie Candelarie, quando dabantur candele benedicte pro facienda representatione Filii Dei in templo», su cui si veda J. A. Schroeder, The Feast of the Purification the Liturgical Mysticism of Angela of Foligno, «Mystics Quarterly», vol. 32, 2006, pp. 35‑67.

44 Angela da Foligno, Memoriale, cit., cap. 7, par. 98, ll. 356‑363, p. 74: «Et dixit michi socia sua quod quadam vice, dum ipse ambe irent per viam, predicta fidelis Christi effecta fuit alba, rubicunda, resplendens, leta, et oculi facti erant crossi et in tantum resplendentes quod nullo modo videbatur esse ipsa. Et dixit michi fratri ista socia: “Ego eram tristis et timens ne aliqua persona, vel homo vel etiam mulier, obviaret et respiceret eam. Et dicebam ei: ‘Quid tibi prodest quod cooperis tibi vultum? Oculi tui videntur resplendere sicut candele».

45 Angela da Foligno, Memoriale, cit., cap. 4, par. 44, ll. 54‑60, p. 34: «Querebam quod ipse daret michi signum corporale quod possem videre, videlicet poneret in manu mea unam candelam aut lapidem pretiosum aut quodcumque aliud signum ipse vellet. Et dicebam ego: “Ego illud signum non ostendam alicui, si tu vis”. Et respondebat: “Istud illud signum non ostendam alicui, si vis”. Et respondebat: “Istud signum quod tu queris est unum signum quod daret tibi laetitiam semper quando videres vel contrectares illud, sed non traheret te de dubio et posses in tali signo esse decepta».

46 A. Sapoznik, Bees in the Medieval Economy: Religious Observance and the Production, Trade, and Consumption of Wax in England, c. 1300–1555, «The Economic History Review», vol. 72, no 4, 2019, pp. 1152‑1174.

47 Su cui si veda V. Baradel, When the ‘Bell Flies to Rome’. The Liturgy of Tenebrae and Its Sounding Objects, in P. Cordez, J. Olchawa e R. Müller (a cura di), Rhythms and Resonances. Sounding Objects in the Middle Ages, Paris / Heidelberg, DFK Paris, di prossima pubblicazione.

48 D. Postles, Lamps, Lights and Layfolk: ‘Popular’ Devotion before the Black Death, «Journal of Medieval History», vol. 25, no 2, 1999, pp. 97‑114.

49 Ambrosiana, O 248 sup. f. 3r, trascritto in Scrittrici mistiche italiane, cit., p. 330. Su Arcangela Panigarola si veda R. Bacchiddu, Panigarola, Margherita (in religione Arcangela), in Dizionario Biografico degli Italiani, vol. 80, 2014.

50 Santa Umiltà da Faenza, I sermoni, a cura di R. Fusco, trad. F. Valori, Siena, Cantagalli, 2007, p. 30.

51 Illuminata Bembo, Specchio di Illuminazione, cit., pp. 11‑12.

52 «[…] quoties ipsa benedicta appositi panis fragmenta latenter subduceret a viri sui mensa et absconderet, postmodum pauperibus eroganda! Nam et collectam multitudinem copiosam fragmentorum prædictorum, implens sinum suum pia compassione vulneratum, deferebat una cum cognata sua prædicta pauperibus et egenis».

53 «[…] visitabat nobiles Dominas et discretas et timentes Deum civitatis Florentinæ, petens ab eis humiliter elëemosynas pro inclusis sororibus pauperibus amore Domini Jesu Christi: quas cum multa devotione suscipiens, reponebat in quadam perula munda, specialiter ad hoc facta, deferens ea diligenter pauperibus supradictis».

54 JChatillon, Dulcedo Dei, in M. Viller et al. (a cura di), Dictionnaire de spiritualité ascétique et mystique. Doctrine et Histoire, t. 3, Paris, Beauchesne, 1957, coll. 1777‑1795; M. Carruthers, Sweetness, «Speculum», vol. 81, no 4, 2006, pp. 999‑1013; R. Fulton, “Taste and See That the Lord Is Sweet” (Ps. 33:9): The Flavor of God in the Monastic West, «The Journal of Religion», vol. 86, no 2, 2006, pp 169204; F. Posset, Christi Dulcedo: “The Sweetness of Christ” in Western Christian Spirituality, «Cistercian Studies Quarterly», vol. 30, no 3, 1995, pp. 245265.

55 Illuminata Bembo, Specchio di Illuminazione, cit., p. 19 e p. 32 rispettivamente.

56 Ambrogio, De officiis, libro 2, cap. 30, par. 155, in Sancti Ambrosii Mediolanensis De Officiis, a cura di M. Testard, Turnhout, Brepols, 2000, p. 152.

57 Si veda P. Modesti, Le chiese e le monache di San Zaccaria (XV‑XVII secolo), in B. Alkema, M. Mancini e P. Modesti (a cura di), In centro et oculis urbis nostre: la chiesa e il monastero di San Zaccaria, Venezia, Marcianum Press, 2016. Ringrazio Zuleika Murat per avermi segnalato questo esempio.

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Table des illustrations

Titre Figura 1. – Sigillo di cristallo intagliato (XI‑XII secolo, area bizantina).
Crédits Metropolitan Museum of Art, Accession Number 86.11.38.
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Titre Figura 2. – Medaglione d’ambra con il volto di Cristo (1380‑1400, prodotto nei territori dell’Ordine Teutonico nell’attuale Polonia).
Crédits Metropolitan Museum of Art, Accession Number 2011.503.
URL http://0-journals-openedition-org.catalogue.libraries.london.ac.uk/cei/docannexe/image/14871/img-2.jpg
Fichier image/jpeg, 2,6M
Titre Figura 3. – Borsello portato sotto le vesti da una donna (XV secolo), dettaglio del ms‑5070 réserve, Bibliothèque nationale de France, Bibliothèque de l’Arsenal, f. 333r.
Crédits Questa immagine è resa disponibile dalla biblioteca digitale Gallica <gallica.bnf.fr> con il numero identificativo btv1b7100018t/f679.item.
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Pour citer cet article

Référence électronique

Micol Long, « Immagini sacre, candele, borselli e fichi: materialità e agency sensoriale nell’esperienza religiosa femminile bassomedievale »Cahiers d’études italiennes [En ligne], 39 | 2024, mis en ligne le 30 septembre 2024, consulté le 06 novembre 2024. URL : http://0-journals-openedition-org.catalogue.libraries.london.ac.uk/cei/14871 ; DOI : https://0-doi-org.catalogue.libraries.london.ac.uk/10.4000/12du4

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Auteur

Micol Long

Université de Padoue, Département du patrimoine culturel (DBC)
long.micol@gmail.com

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