Navigation – Plan du site

AccueilNuméros38Poteri invadenti: il patriarcato ...Stupro, ovvero: integrazioni ‘fuo...

Poteri invadenti: il patriarcato e la fabbrica

Stupro, ovvero: integrazioni ‘fuori tempo massimo’ a una voce del Dizionario dei Temi Letterari

Viol : intégrations « hors délai » à une entrée du Dizionario dei Temi Letterari
Rape: “Out-of-Time” Additions to an Entry in the Dizionario dei Temi Letterari
Stefano Lazzarin

Résumés

Cette étude met à jour et enrichit l’entrée sur le viol du Dizionario dei Temi Letterari dirigé par R. Ceserani, M. Domenichelli et P. Fasano, en s’interrogeant sur les principaux tournants dans l’histoire de ce thème et notamment sur le grand changement qui survient avec l’avènement de la modernité : à cheval entre les xviiie et xixe siècles s’affirme, dans les littératures occidentales, l’idée que le viol peut être défini, entre autres choses, comme l’invasion d’un corps non consentant. Dans les dernières pages de l’article, pour étayer l’hypothèse de cette mutation radicale, l’auteur analyse deux textes : le premier, la tragédie d’Eschyle Les suppliantes (probablement représentée en 463 av. J.‑C.), est exemplaire non seulement de la littérature ancienne à laquelle elle appartient, mais plus généralement de l’approche pré‑moderne ; le second, le court roman Monte Ignoso de Paola Masino (1931), représente d’une façon emblématique la littérature qui suit le tournant historique de la fin du xviiie siècle.

Haut de page

Texte intégral

1. Della necessità di spolverare, a volte, le pietre miliari

  • 1 Cfr. R. Ceserani, M. Domenichelli e P. Fasano (a cura di), Dizionario dei Temi Letterari, 3 voll., (...)

1Nel 2007 esce per l’editore torinese UTET, a cura di Remo Ceserani, Mario Domenichelli e Pino Fasano, il Dizionario dei Temi Letterari1: tre volumi, 2882 pagine, centinaia di voci che segnano uno spartiacque nella storia della comparatistica e della critica tematica italiana; dopo quest’opera — per la quale l’aggettivo ‘monumentale’, spesso usato a sproposito, mantiene intatto il suo significato — nulla sarà come prima. Eppure, si sa, perfino le pietre miliari richiedono, talvolta, d’essere spolverate un po’: allo stato attuale della ricerca letteraria in Italia sostituire il DTL è impossibile, ma non è altrettanto chimerico immaginare un aggiornamento puntuale di certe voci, o alcune integrazioni mirate che potrebbero, forse, migliorare l’opera quasi non‑migliorabile. Questo progetto è nato, quindici anni dopo l’uscita del DTL, nella redazione di una rivista italiana di letteratura contemporanea e letterature comparate, dove si vanno raccogliendo le energie per tentare l’impresa.

  • 2 Cfr. S. Manferlotti, Stupro, ivi, vol. III: P‑Z, pp. 2400‑2403.
  • 3 In data 11 ottobre 2022. Il titolo: Il corpo invaso nella letteratura italiana dei secoli XIX‑XXI /(...)
  • 4 R. Ceserani, La maledizione degli “ismi”, «Allegoria», vol. XXIV, no 65‑66, gennaio-dicembre 2012, (...)

2Ora, fra le voci del DTL non poteva mancare quella dedicata al tema dello Stupro, firmata da Stefano Manferlotti2. Si tratta — diciamolo subito — di una buona sintesi; ma per l’appunto questa voce vorrei tentare qui di aggiornare o integrare, e proprio questo, come vedremo, è l’aggancio con il tema di una delle giornate di studi sul ‘corpo invaso’, organizzata dall’Université Grenoble Alpes3, che è stata l’occasione scatenante della mia riflessione sull’argomento. Ridiscutendo il percorso storico proposto da Manferlotti, aggiungerò qualche esempio a quelli esaminati dal critico e proporrò qualche pista ulteriore per l’interpretazione delle grandi svolte nella storia millenaria del tema. Una in particolare mi sembra sia stata trascurata da Manferlotti: l’idea che lo stupro possa essere definito, fra le altre cose, come l’invasione di un corpo non consenziente. Mi chiedo se l’accento tutto particolare posto su questo aspetto dell’invasione non sia per caso una conquista della letteratura della modernità, dell’epoca cioè che si apre — secondo la proposta storiografica avanzata da Remo Ceserani — «a cavallo tra Sette e Ottocento, prima in Inghilterra e poi gradualmente negli altri paesi europei e nel continente americano, […] con processi di trasformazione economica e industriale che abbiamo chiamato di “modernizzazione”»4.

  • 5 Ivi, p. 194.

3Se così fosse, i temi del corpo invaso e della violenza sessuale sarebbero di quelli che rivelano, con la più grande forza semantica, il trascorrere delle epoche e il mutamento strutturale dei sistemi letterari da una fase storica alla successiva. E acquisterebbero insomma, oltre all’interesse che indubbiamente possiedono di per sé, un supplemento d’interesse, come cartine di tornasole di una «profonda trasformazione epocale»5.

2. La voce Stupro del DTL

  • 6 S. Manferlotti, Stupro, cit., p. 2400.

4Ma procediamo per ordine, e con metodo. Come tutte le voci del DTL, anche quella sullo stupro inizia con qualche considerazione lessicale e definitoria, per poi fissare a) l’aggancio fondamentale del tema con la realtà extra-letteraria, b) il percorso storico del medesimo, con le relative fasi e gli esempi più significativi nelle varie epoche. In un primo breve excursus storico Manferlotti, partendo dall’Iliade e arrivando fino al Don Juan (1818‑1824) di Lord Byron, sottolinea il nesso fra il tema letterario della violenza sessuale e una serie di pratiche sociali legate alla sfera del potere e della guerra: «Lo stupro è una pratica antica quanto l’umanità e connessa al rapimento delle donne […], alle invasioni militari, alle conquiste in cui le donne facevano parte del bottino del vincitore»6. Il critico evidenzia poi una serie di grandi articolazioni nella storia del tema, che possiamo riassumere come segue:

    • 7 Ibid. La formulazione, non particolarmente felice, sembrerebbe quasi sottintendere che la storiogra (...)

    In epoca antica, il tema va cercato più in ambito mitologico che letterario: «Nel mito classico, così come nell’epica e nella storiografia […], lo stupro ha uno spazio ben più ampio rispetto alla letteratura»7.

    • 8 Ivi, p. 2401.

    Successivamente, nella fattispecie dall’età moderna in poi, il tema assumerebbe una maggior riconoscibilità: «È comunque da questo momento che si può parlare dello stupro come tema letterario ben definito»8. Manferlotti però — qui ci imbattiamo in una prima lacuna nella sua trattazione — non spiega perché: non dice cioè né come vada intesa una siffatta ‘maggior definizione’ del tema, né quali siano le differenze strutturali rispetto alle occorrenze dell’Antichità e del Medioevo.

    • 9 Ivi, p. 2400. Il riferimento di Manferlotti allo stupro «inteso come violenza carnale consumata con (...)

    Ridiscendendo i secoli e le epoche storiche giungiamo al siècle stupide, anzi alla fine dell’Ottocento; e proprio «a cominciare dal tardo Ottocento» si assiste alla prima, impetuosa moltiplicazione delle occorrenze del tema: «il tema dello stupro inteso come violenza carnale consumata contro la donna è attestato [allora] in letteratura con frequenza crescente»9.

    • 10 Ivi, p. 2401.

    Un esempio ottocentesco particolarmente significativo è lo stupro compiuto da Stavrogin ai danni di una bambina nei Demoni (1873) di Dostoevskij: Manferlotti osserva che questo episodio costituisce un’«epifania del male assoluto» e uno di quei sondaggi, consueti da parte del romanziere russo, negli «spazi più distorti della coscienza umana»10. Aggiungerei che l’episodio dostoevskijano costituisce una declinazione ormai pienamente novecentesca del tema, e che in tal senso Dostoevskij anticipa — come gli capita non di rado — molta letteratura del secolo successivo.

    • 11 Ibid.
    • 12 Ivi, p. 2400.

    Un’altra mini-svolta nella storia del tema andrebbe collocata secondo Manferlotti a fine Ottocento, e sarebbe dovuta essenzialmente a ragioni di natura estetica: sarebbe cioè legata da un lato a una sperimentazione di tipo già avanguardistico (il naturalismo) e dall’altro, specularmente e un po’ paradossalmente, alla ripresa del tema nella cultura e nella letteratura di consumo. «È comunque nel Novecento» — afferma il critico — «che lo stupro come tema si attesta in letteratura con una frequenza quasi impressionante»11; e ancora: «Si può […] sostenere che a partire dalla seconda metà del Novecento [lo stupro] sia assurto a motivo fra i più battuti, in ciò seguendo una linea di tendenza piuttosto marcata nel cinema, e non solo in quello di basso consumo»12.

    • 13 Ivi, p. 2401.
    • 14 Ivi, p. 2400.
    • 15 Cfr. ivi, p. 2402. Per ragioni analoghe, e facilmente intuibili, sono forti anche i legami con il t (...)

    Sempre nel Novecento si affermano alcune declinazioni del tema che ne fanno un efficace strumento di denuncia: abbiamo così lo stupro come «possente emblema degli orrori legati ad ogni conflitto bellico» in Moravia (La ciociara, 1957) e Morante (La Storia, 1974), ma anche in Hemingway, Faulkner e Tennessee Williams, che al pari degli scrittori italiani «me[ttono] insieme violenza sessuale e violenza ideologica»13; il riuso del tema come «strumento del proprio impegno femminista» in «non poche scrittrici [contemporanee], soprattutto statunitensi»14; nonché una variante tematica post-coloniale che collega lo stupro alla violenza dei colonizzatori (e della loro cultura) nei confronti dei colonizzati15.

    • 16 Ibid.
    • 17 In proposito, rimando a un’altra voce del DTL, di cui sono l’autore: cfr. S. Lazzarin, Orrore, in R (...)

    Infine, «a partire dagli anni ’70, vale a dire quasi un secolo dopo il citato romanzo di Dostoevskij [I demoni], la letteratura registra con una certa frequenza anche abusi sessuali e stupri consumati a danno di bambini»16: probabilmente perché la letteratura del Novecento (e poi del nuovo secolo) è caratterizzata dalla ricerca dell’oltranza espressiva e tematica dell’orrore17.

3. La svolta storica del ‘corpo invaso’ e le sue ragioni

  • 18 Alludo rispettivamente a un articolo di Remo Ceserani che si focalizza su due momenti emblematici d (...)

5Questa, dunque, la sistemazione di Manferlotti, cui mi è parso opportuno concedere un certo spazio: non soltanto perché costituisce l’antefatto del presente saggio, ma anche perché, se diamo un’occhiata alla bibliografia italiana, le indagini sul nostro tema non sono numerosissime, e quelle che esistono, pur di qualità, non abbracciano la totalità del panorama, o se lo fanno, non optano per la chiave tematica qui prescelta18. La voce di Manferlotti costituisce dunque un’ottima base di partenza per il mio tentativo di aggiornamento e ripensamento: sarà inevitabile discuterne le debolezze e le aporie — quelle che a me paiono tali — ma senza dimenticare, appunto, il valido contributo dello studioso che mi ha preceduto.

  • 19 S. Manferlotti, Stupro, cit., p. 2401.
  • 20 Sul problema della corposità o «consistenza letteraria delle immagini» nella critica tematica si ve (...)
  • 21 Cfr. rispettivamente ivi, pp. 69‑71, e R. Ceserani, Raccontare il postmoderno, Torino, Bollati Bori (...)
  • 22 Come si è visto, sono almeno tre le fasi di diffusione esponenziale del tema registrate da Manferlo (...)

6Il punto chiave mi sembra il seguente: Manferlotti non considera una svolta decisiva nella storia del tema, che permette, secondo me, di risolvere le esitazioni e contraddizioni della sua periodizzazione (in particolare il fatto che, a sentir lui, il tema a più riprese — e un po’ troppe volte — si diffonde a macchia d’olio, e a più riprese attinge alla sua dimensione autenticamente moderna: posto che quest’ultima esista, e che a partire da un certo «momento» sia lecito «parlare dello stupro come tema letterario ben definito»19, a me sembra che il raggiungimento della fase ‘moderna’ del tema si possa compiere una sola volta e che, se così non fosse, i raggiungimenti che precedono quello ‘autentico’ sarebbero soltanto apparenti…). La svolta cui alludo è questa: a partire da una certa epoca lo stupro diventa molto più ‘corposo’ e più ‘carnale’ nelle immagini della letteratura, meno asettico o simbolico; per dirla con Francesco Orlando, le immagini letterarie del tema acquistano una «consistenza»20 che prima non avevano; e la dimensione del corpo invaso — ma anche, lo vedremo, del corpo invasore — diventa assolutamente predominante in tutte le raffigurazioni letterarie della violenza sessuale. Questa è, a mio parere, l’unica autentica svolta epocale nella storia moderna del tema: ed è una svolta che si colloca in concomitanza con la grande svolta storica di fine Settecento e inizio Ottocento, di cui studiosi come Orlando e Ceserani hanno riconosciuto l’esistenza e l’importanza per la storia del sistema letterario europeo21. In epoca posteriore si assiste a una serie di successivi approfondimenti di tale svolta storica: ciò potrebbe giustificare l’impressione di Manferlotti che a partire da una certa epoca, e poi da un’epoca successiva, e poi di nuovo a partire da un’epoca ulteriore, il tema si diffonda esponenzialmente nei testi letterari della tradizione occidentale22.

  • 23 Altro tema del DTL: cfr. R. Ceserani, Scandalo, in R. Ceserani, M. Domenichelli e P. Fasano (a cura (...)

7Ho già sottolineato come Manferlotti, di fronte alla moltiplicazione vertiginosa del tema nella letteratura degli ultimi due secoli e mezzo, invochi spiegazioni che sono, se non esclusivamente, prevalentemente di natura estetica: in sostanza, la rappresentazione sempre più frequente della violenza sessuale dipenderebbe dall’ossequio a pratiche latamente ‘naturalistiche’, per cui, a partire dal naturalismo zoliano ma anche dopo, con l’affermarsi delle varie estetiche realistiche, neorealistiche, naturalistiche e iperrealiste del Novecento (e oltre), la letteratura cercherebbe di annettersi sempre nuove ‘zone di realtà’ e sempre nuove ‘aree di rappresentazione’. Questa dinamica è ben presente, anzi inconfutabile; nonostante ciò, a me sembra che la svolta epocale del ‘corpo invaso’ vada ricollegata non tanto a considerazioni di natura estetica quanto al sorgere di una diversa sensibilità, più vicina a noi contemporanei, che è per l’appunto quella delle letterature della modernità e della postmodernità. La letteratura della modernità percepisce per la prima volta in tutta la sua profondità lo scandalo23 — non solo nel senso morale della parola, ma etimologico: l’inciampo, l’intoppo conoscitivo, la lacerazione — e l’orrore del corpo invaso; la letteratura della postmodernità denuncia tale scandalo con una consapevolezza che vorrei definire politica, ancor prima che gender, sempre più forte: la consapevolezza del fatto che lo stupro (almeno nel senso letterale del termine) è un gesto che si inserisce in un preciso contesto culturale di dominio esercitato dall’uomo sulla donna, e che denunciare lo stupro — osteggiarlo, perseguirlo, condannarlo — è a sua volta, oltreché esercizio di giustizia, un gesto di natura civica, ugualitario e appunto intimamente politico, un gesto culturalmente progressista. In questo nuovo contesto, perfino un esercizio di stile a partire dalle estetiche dell’orrore estremo come il raccontino Rispetto (nella raccolta Fango, 1996) del ‘cannibale’ (all’epoca) Niccolò Ammaniti acquisisce imprevedibilmente, e non si sa quanto consapevolmente da parte dell’autore, un significato addizionale, politico per l’appunto: il resoconto agghiacciante della violenza, dal punto di vista degli stupratori e con gli occhi del branco che la esercita, senza un qualsivoglia controcanto (né morale né filosofico, e nemmeno narratologico), finisce con il suscitare nel lettore un incontenibile orrore morale. Ancora una volta: più che una faccenda di gusto letterario — il che rimanderebbe alla sfera dell’estetico — credo si tratti di una faccenda di sensibilità moderna, che rimanda alle connessioni del letterario con la sfera extra‑estetica (e dunque a considerazioni etico-morali e politiche in senso lato, come ho detto).

4. Le basi culturali della pratica sociale dello stupro

8In sintesi, le cose sarebbero andate all’incirca nel modo seguente. Fino a una certa epoca, le basi culturali che fondano e giustificano la pratica sociale dello stupro sono molteplici e solidissime; ci sono quelle ricordate da Manferlotti e ce ne sono pure delle altre:

91) Nell’Antichità, ad esempio, esiste un quadro mitologico-religioso — il politeismo greco — che garantisce la liceità dello stupro compiuto da dèi, semidèi ed eroi. Zeus il Sommo, garante della giustizia presso gli dèi e presso gli uomini, è anche il dio violentatore per eccellenza: i suoi stupri mitologici nutrono millenni di letteratura (non solo le letterature classiche) e di arti figurative. Gli esempi sono innumerevoli e ciascuno potrà facilmente ritrovarli nella propria memoria: il mito di Europa, Danae e la pioggia d’oro, Leda e il cigno, Io amata e poi trasformata in giovenca per sottrarla alla gelosia di Era, e via di seguito. Ma Zeus non è l’unico ad avere pessime abitudini in fatto di violenza carnale; tutte le divinità maschili si comportano in modo analogo: pensiamo al mito di Apollo e Dafne, con la Naiade che soltanto trasformandosi in pianta riesce a sfuggire agli ardori amorosi del dio, oppure al satiro, cioè l’altro stupratore seriale della mitologia e della letteratura classica, che può essere descritto, da questo punto di vista, come una declinazione silvestre di Zeus. Nemmeno le dèe si astengono, all’occorrenza, dal ricorrere a questo comodo mezzo di impadronirsi delle grazie altrui: pensiamo a Selene ed Endimione, il pastore che per la sua bellezza viene avvicinato dalla dea durante un plenilunio — ricordo, per inciso, che di questo mito classico esistono memorabili declinazioni novecentesche italiane: penso non soltanto alla celeberrima versione che ne fornì Pavese nei suoi Dialoghi con Leucò (1947), ma anche alla novella Male di luna (nella raccolta Dal naso al cielo, 1925), nella quale Pirandello fornisce una variante ‘endimionica’ del tema licantropico.

  • 24 C. de Troyes, Le Conte du Graal ou le roman de Perceval [1180 ca], édition du manuscrit 354 de Bern (...)
  • 25 Ivi, vv. 688689. [«[…] chanberiere que il ait / en tote la maison ma mere»]
  • 26 Cfr. ivi, vv. 655734.
  • 27 Cfr. ivi, vv. 503513.

102) Per tutto il Medioevo e poi nelle società d’ancien régime dell’età moderna vigono rapporti economici e sociali che permettono e incoraggiano la pratica dello stupro — purché, ancora una volta, praticato da chi abbia prerogative e titoli per farlo. Come attesta la letteratura europea, diciamo da Perceval fino almeno a Balzac e a De Roberto, lo stupro fa parte dei privilegi dell’aristocrazia: a partire dalla pratica ben nota dello ius primae noctis, gli esponenti maschi più e meno anziani e illustri della nobiltà hanno il diritto legale di possedere sessualmente le donne delle classi meno abbienti e meno privilegiate. Apriamo Le Conte du Graal ou le roman de Perceval, quinto romanzo incompiuto di Chrétien de Troyes (1180 ca): all’inizio delle sue avventure il protagonista si imbatte in uno splendido padiglione che sorge «au milieu d’une belle prairie», e dentro al padiglione c’è «une demoiselle endormie / qui y était, toute seule, couchée»24. Che fa allora il giovane, ancora rustico e irruento protagonista, che pure ha già ricevuto le prime lezioni di comportamento cavalleresco da parte della madre (ma ancora la sua educazione non è stata perfezionata dal buon consigliere Gornemant de Goort), ed è entrato in quel luogo credendolo consacrato e allo scopo di innalzare la propria preghiera a Dio? Pur non potendo ignorare che la signorina assopita non è una contadinotta del luogo, e nemmeno una «femme de chambre / de chez [s]a mère»25, di quelle che — lascia intendere Chrétien de Troyes — si sono già incaricate di svezzarlo sensualmente, Perceval si comporta con una brutalità scioccante per il lettore odierno, ma che doveva parer tale anche al lettore dell’epoca (ne fa fede il giudizio morale interno al testo sulla condotta dell’eroe): copre di baci non graditi la povera fanciulla, le strappa violentemente l’anello che ha al dito, e per finire saccheggia la mensa imbandita nel padiglione, bevendo e mangiando a crepapelle nonostante i pianti e le rimostranze della sua ospite forzata26. La sequenza dei baci rubati, in particolare, merita di essere citata, perché costituisce il palese succedaneo di quell’amplesso cui Perceval rinuncia soltanto perché la madre, fra i molti buoni precetti, lo ha ammonito a rispettare il gentil sesso27:

  • 28 Ivi, vv. 664673. [«Li vallez avoit les bras fors, / si l’enbraça molt nicemant, / qu’il ne le sot (...)

Le jeune homme avait les bras solides,
il l’a prise dans ses bras non sans gaucherie,
car il ne savait pas s’y prendre autrement.
Il l’a renversée sous lui,
elle s’est bien défendue,
elle s’est dégagée tant qu’elle a pu,
mais c’était peine perdue !
Le jeune homme lui prit d’affilée,
bon gré mal gré,
vingt fois des baisers, suivant l’histoire
[…]
28.

  • 29 Ivi, vv. 735739. [«Car li covenra por lui / soffrir tant hontë et anui / que ja n’en ot nule chati (...)
  • 30 Ivi, rispettivamente vv. 743 e 767. [«amis»; «Se plus i ot, no celez ja» (letteralmente: «se c’è st (...)
  • 31 Ivi, vv. 770‑771. [«mais ce fu maleoit gré mien. / — Ançois vos sist et si vos plot»]

11Pur letteralmente non consumata, la violenza carnale segna per sempre l’avvenire della demoiselle endormie: «car elle devra», sentenzia la voce narrante del Conte du Graal, «à cause de lui, / subir plus d’affronts et de peines / que n’en eut jamais une malheureuse femme, / et jamais, jour de sa vie, / elle n’en aura secours ni aide»29. In effetti l’«ami» della donna, di ritorno al padiglione e messo a conoscenza dell’accaduto, non vorrà credere che non ci sia stato qualcosa di più («Y a‑t‑il eu plus ?»30, chiede, persuaso di conoscere già la risposta), e punirà la donna come se si fosse resa colpevole di tradimento consenziente: «[…] mais ce fut bien malgré moi. / — Dites plutôt avec votre accord et avec plaisir»31. Quando poi, tremila versi più tardi, le strade di Perceval e della coppia si incroceranno di nuovo, il cavaliere geloso, raccontando la propria storia all’interlocutore di cui ignora l’identità, sintetizzerà con grande efficacia la naturalità dello stupro nel contesto sociale cui entrambi, lui e Perceval, appartengono:

  • 32 Ivi, vv. 3789‑3796. [«Et s’il la baissa maugré suen, / n’en fist il aprés tot son buen ? / Oïl, ce (...)

et si c’est bien malgré elle qu’il lui a pris un baiser,
ne devait‑il pas, de toutes façons, faire d’elle ensuite sa volonté ?
Oh, oui, personne n’irait jamais croire
qu’il lui a pris un baiser sans lui faire plus,
car une chose entraîne l’autre.
Qui embrasse femme et ne fait pas plus,
quand ils sont tous deux seul à seule,
c’est lui, à mon avis, qui est en reste !
32

12Seicentocinquant’anni dopo, nel romanzo di Balzac Le Cabinet des Antiques (1839), il privilegio dello stupro figura tra gli emblemi d’ancien régime che si tratta ormai, secondo l’indignatissimo sieur du Croisier, di abolire per sempre:

  • 33 H. de Balzac, Le Cabinet des Antiques [1839], in Id., La Comédie humaine, 12 voll., édition dirigée (...)

Monsieur Chesnel, il s’agit de la France ! il s’agit du pays, il s’agit du peuple, il s’agit d’apprendre à messieurs vos nobles qu’il y a une justice, des lois, une bourgeoisie, une petite noblesse qui les vaut et qui les tient ! On ne fourrage pas dix champs de blé pour un lièvre, on ne porte pas le déshonneur dans les familles en séduisant de pauvres filles, on ne doit pas mépriser des gens qui nous valent, on ne se moque pas d’eux pendant dix ans, sans que ces faits ne grossissent, ne produisent des avalanches, et ces avalanches tombent, écrasent, enterrent messieurs les nobles33.

  • 34 Su questo aspetto si può vedere S. Lazzarin, Balzac et le corps des nobles : à propos du Cabinet de (...)
  • 35 Cfr. F. De Roberto, I Viceré [1894], in Id., Romanzi, novelle e saggi, a cura di C. A. Madrignani, (...)
  • 36 Ivi, p. 861.
  • 37 Cfr. ivi, pp. 620‑621.
  • 38 Ivi, p. 621. Scarsa lucidità perché in realtà sono proprio i tempi a essere cambiati: l’ancien régi (...)

13Spianare un campo per acciuffare una lepre o violare per capriccio le figlie dei contadini erano cose che rientravano nei diritti dell’aristocrazia: dopo la Rivoluzione questi bei privilegi non hanno più ragion d’essere. L’invettiva che il borghese du Croisier rivolge a monsieur Chesnel, notaio del suo avversario il marquis d’Esgrignon in quella che è molto di più di una causa legale, un vero e proprio conflitto storico-ideologico34 che si combatte sul campo delle fortune e delle déchéances nobiliari nella Francia ormai percorsa dai fremiti del Quarantotto, riecheggia in molti altri testi ottocenteschi, che al pari del romanzo balzachiano rievocano — con tasso di adesione variabile — l’età ormai tramontata dei privilegi aristocratici. Per citare un esempio italiano, appartengono al codice culturale delle angherie d’ancien régime le «gesta» notturne di Consalvo descritte nel cap. VII della parte seconda dei Viceré (1894) di Federico De Roberto35; così come si inscrive in quel codice il ratto della figlia del barbiere del Belvedere — socialmente inferiore — da parte dello stesso Consalvo, rampollo dell’antichissima stirpe degli Uzeda di Francalanza: «[…] egli fece un bel giorno rapire la ragazza e la tenne tre giorni con sé al Belvedere»36. Pure il conte Raimondo, del resto, medita di rapire donna Isabella37, anche se poi non mette in atto il suo proposito perché — dice con scarsa lucidità — «non tanto i tempi quanto le circostanze […] [sono] diverse»38.

  • 39 S. Manferlotti, Stupro, cit., p. 2400.
  • 40 Ibid.
  • 41 Lo stupore delle abitanti di Ismailia allude inoltre, come mi fa notare Enzo Neppi, a un tipico mot (...)

143) Infine, sempre a proposito delle basi culturali che per secoli danno alla violenza sessuale un’aura di legalità e liceità (anche morale), vale la pena di insistere con forza sul legame — già rilevato da Manferlotti — dello stupro con le «invasioni militari» e le «conquiste in cui le donne facevano parte del bottino del vincitore»39. Fin dalla notte dei tempi lo stupro è stato una pratica sociale ammessa in tempo di guerra, per cui in caso di conflitto era largamente prevedibile, e potremmo dire perfino accettato dal senso comune, che l’arrivo degli eserciti coincidesse con l’esercizio sistematico della violenza sessuale. Nel Don Juan di Byron c’è un passo rivelatore in tal senso: quello (VIII, 132) in cui «si parla dell’assedio e della conquista di Ismailia da parte dei russi, e c’è un celebre tratto comico del poema, quando le donne anziane, a città conquistat[a], domandano perché ancora non sian cominciati gli stupri»40. Per le donne anziane di Ismailia — ma anche, si può presumere, per gli altri abitanti della città — ciò che suscita stupore è l’assenza di stupri, non il contrario: lo stupro costituisce, letteralmente, un fatto di routine, un evento che non ha neppure bisogno di essere spiegato o giustificato perché rappresenta la ‘normalità’41.

5. Una data dal valore emblematico

15Alcune delle basi culturali che ho elencato sono ormai definitivamente crollate: l’ancien régime non esiste più, e nessuno oggi penserebbe di giustificare le azioni di uno stupratore tirando in ballo dei privilegi sociali di diritto divino; altre sussistono, ma indebolite sul piano ideologico: lo stupro di guerra è una realtà ancor oggi diffusissima, ma è diventato più difficile giustificarlo e gli argomenti intellettuali a suo favore scarseggiano (nella guerra d’invasione russa in Ucraina tuttora in corso gli stupri di massa sono, non a caso, uno degli eventi che hanno suscitato la più grande riprovazione nella comunità internazionale). Ora: a mano a mano che queste basi culturali cadono o si indeboliscono, lo stupro rimane per così dire ‘nudo’, privo di quelle strutture esplicative e giustificative che lo sorreggevano in precedenza, facendone qualcosa di prevedibile, accettabile, tacitamente o addirittura legalmente consentito; e si rivela per quello che è: atto di violenza, prevaricazione, negazione dei diritti dell’individuo — quei ‘diritti dell’uomo’ (dell’essere umano) dei quali la Rivoluzione aveva decretato l’intangibilità proprio negli anni della svolta storica di cui abbiamo parlato. Ciò potrebbe spiegare sia la moltiplicazione delle occorrenze del tema, che a partire dalla soglia cronologica di fine Settecento acquista un nuovo e più pieno rilievo, una più grande ‘urgenza semantica’, e chiede con insistenza di essere trattato da scrittori e scrittrici; sia l’accento inedito posto sull’invasione del corpo: perché, come dicevo, in assenza di pezze d’appoggio lo stupro viene ormai rappresentato dalla letteratura per quel che è realmente, senza attenuanti — pura violenza prevaricatrice, invasione non consentita (e dunque illegale e immorale) del corpo altrui.

16Alle considerazioni precedenti vorrei aggiungere un ulteriore, più preciso richiamo cronologico — ma con l’avvertenza che ci si deve guardare dal conferire a tutto il discorso un’impostazione gender la quale, pur presente e significativa, non è condizione necessaria e sufficiente a spiegare la storia del nostro tema letterario. C’è una data che ha valore emblematico per la cronologia del tema: a fine Settecento, in corrispondenza con la svolta storica da cui nasce la modernità, nasce anche il pensiero femminista, con il primo, grande incunabolo che è A Vindication of the Rights of Woman: With Strictures on Political and Moral Subjects (1792) di Mary Wollstonecraft. Una delle tesi centrali di questo lucidissimo pamphlet è che l’istituto del matrimonio, per come si presenta all’epoca dell’autrice, sia responsabile dell’ingiustizia sociale che separa il destino delle donne da quello degli uomini: per questi ultimi, infatti, il matrimonio

  • 42 M. Wollstonecraft, A Vindication of the Rights of Woman, edited with an introduction by M. Brody, L (...)

[…] non viene considerato come l’elemento centrale nelle loro vite; mentre le donne, al contrario, non hanno nessun altro modo per affinare le proprie facoltà. […] Per conquistarsi una posizione […] devono fare un buon matrimonio, e a questo scopo viene sacrificato il loro tempo, e spesso le loro persone vengono legalmente prostituite42.

17Nasce insomma con Mary Wollstonecraft l’idea che il connubio legalmente riconosciuto, ma determinato da condizioni socio-economiche strutturalmente ingiuste, sia prostituzione: un’invasione del corpo femminile che l’uomo compie illecitamente, sebbene al riparo della legge, delle consuetudini sociali e delle convenzioni morali. A maggior ragione, dunque, va riconosciuta come moralmente illecita la violenza sessuale, che non è nemmeno garantita dalle leggi del tempo di pace (pur essendo pratica diffusissima e largamente accettata — dagli uomini! — in tempo di guerra), né lo è dalle mille ipocrisie su cui si fondano il patto sociale e la convivenza umana.

6. Nuovi esempi per il percorso storico del tema: dall’antichità ai cannibali

18Agli elementi di teoria e storia del tema che ho rammentato fin qui va garantito l’indispensabile conforto dei rimandi testuali: perciò agli esempi già menzionati ne aggiungerò di seguito altri, prima di esaminare in dettaglio due testi campione, uno antecedente la svolta storica e l’altro successivo. Preciso che uno dei miei criteri di scelta è stata la volontà di evitare i testi citati da Manferlotti: non solo e non tanto per il desiderio di arricchire il corpus del tema — non miravo a produrre degli addendi alla voce del DTL, perché in tal senso si potrebbe andare avanti quasi all’infinito, vista l’inesauribilità dell’argomento — quanto per evidenziare la svolta principale nella storia del tema, quella del ‘corpo invaso’ per l’appunto, che ne spiega la pervasività nella letteratura degli ultimi due secoli e mezzo.

19Per cominciare ricorderò un testo che appartiene alle letterature classiche, non menzionato da Manferlotti, e che però mi sembra assolutamente cruciale per chi si interessi al nostro tema: Le supplici di Eschilo (tragedia rappresentata probabilmente nel 463 a.C.). Questo sarà anche il mio campione testuale pre‑svolta storica: mi limito dunque, per ora, a nominarne il titolo, e passo alle letterature medievali. In Boccaccio il tema della violenza carnale, trattato nel registro giocoso prevalente nel Decameron (1349‑1353), annovera qualche non irrilevante attestazione: penso alla novella della vergine Alatiel (II, 7), e anche ad Alibech, alla quale Rustico monaco insegna a rimettere il diavolo in ninferno (III, 10). In effetti, anche se il testo boccacciano presenta quest’ultima come consenziente, anzi desiderosa di ‘servire Domeneddio’ a un ritmo e con un dispendio di energie che il romito riesce a reggere solo per poco, rimane il fatto che all’inizio Rustico riesce a possederla ingannandola sulla qualità dell’atto da compiere. Registrata l’occorrenza puramente lessicale della Commedia dantesca (1306‑1321), laddove il «superbo strupo» vendicato dall’arcangelo Michele in Inf. VII, 12 ha carattere metafisico (è la ribellione violenta degli angeli contro Dio di cui si legge in Apocalisse 12, 7‑9), va sottolineata l’importanza del tema nell’Orlando Furioso (1516, 1521, 1532), dove Ariosto se ne serve per ottenere non gli effetti comici e farseschi di Boccaccio, ma quelli ironici che hanno reso celebre il suo poema. Angelica trascorre eternamente, lontano dalla minaccia del rapporto sessuale non consentito, sfuggendo con beffarda leggerezza sotto il naso dei cavalieri — forse bisognerebbe dire buzzurri in armatura — che vorrebbero abusare di lei; ma quando incontra Medoro, del quale condivide il trasporto, l’imprendibile fanciulla decide, non a caso, di fermarsi…

20Nel Settecento, una serie di occorrenze significative si trovano nel Candide ou l’optimisme di Voltaire (1759): qui lo stupro è pratica sistematica dei luoghi in cui si combatte, e data la frequenza di guerre, battaglie, scontri violenti di ogni tipo (il mondo di Candide è convulso, perpetuamente agitato dalla violenza degli uomini e della natura), possiamo dire che non v’è quasi pagina dell’opera in cui una donna non subisca la ferocia altrui. Cruciale è il cap. IV, dove Candide, dopo essere scampato dalle grinfie dei Bulgari, ritrova il suo maestro di filosofia Pangloss; costui gli fornisce, tutte in una volta, una quantità di notizie che ammazzerebbero un toro (e infatti Candide sviene per ben due volte):

  • 43 Voltaire, Candide ou l’optimisme [1759], in Id., Romans et contes, édition de H. Bénac, Paris, Garn (...)

Cunégonde est morte ! Ah ! meilleur des mondes, où êtes‑vous ? Mais de quelle maladie est‑elle morte ? Ne serait‑ce point de m’avoir vu chasser du beau château de monsieur son père à grands coups de pied ? — Non, dit Pangloss, elle a été éventrée par des soldats bulgares, après avoir été violée autant qu’on peut l’être ; ils ont cassé la tête à monsieur le baron, qui voulait la défendre ; madame la baronne a été coupée en morceaux ; mon pauvre pupille, traité précisément comme sa sœur ; et quant au château, il n’est pas resté pierre sur pierre, pas une grange, pas un mouton, pas un canard, pas un arbre; mais nous avons été bien vengés, car les Abares en ont fait autant dans une baronnie voisine qui appartenait à un seigneur bulgare43.

21Come chiarisce la desolata esclamazione iniziale di Candide — «Ah ! meilleur des mondes, où êtes‑vous ?» — il tema dello stupro diventa, sotto la penna di Voltaire, un grimaldello che scardina irrimediabilmente l’ordito dell’ottimismo leibniziano: se Cunégonde ha potuto subire un destino così ingiusto, allora il migliore dei mondi possibili dev’essere per forza un sogno farneticante dei filosofi. Nonostante il nome che porta, Candide ragiona bene, almeno quando decide di seguire la testimonianza dei propri sensi; analogamente, l’amore — che leibnizianamente dovrebbe essere ragion sufficiente dei più favorevoli effetti — può suscitare, al contrario, orrende malattie (la sifilide):

  • 44 Ibid.

Candide […] s’enquit de la cause et de l’effet, et de la raison suffisante qui avaient mis Pangloss dans un si piteux état. « Hélas ! dit l’autre, c’est l’amour : l’amour, le consolateur du genre humain, le conservateur de l’univers, l’âme de tous les êtres sensibles, le tendre amour. — Hélas ! dit Candide, je l’ai connu, cet amour, ce souverain des cœurs, cette âme de notre âme ; il ne m’a jamais valu qu’un baiser et vingt coups de pied au cul. Comment cette belle cause a‑t‑elle pu produire en vous un effet si abominable ? »44

  • 45 Cfr. Sade, Aline et Valcour ou le roman philosophique. Écrit à la Bastille un an avant la Révolutio (...)

22Il secolo XVIII si chiude all’insegna del Divin Marchese: i suoi romanzi abbondano di castelli ormai chiaramente gotici in cui il villain può esercitare serenamente le proprie fantasie sadiche sulla malcapitata fanciulla di turno; gli stessi supplizi, moltiplicati all’infinito, ritroviamo nelle Cent vingt journées de Sodome, ou l’école du libertinage (1785), mentre il prodigioso, multiforme, avventuroso romanzo epistolare Aline et Valcour ou le roman philosophique (1793) contiene un memorabile esempio di stupro necrofilo45. La fanciulla perseguitata, si sa, è anche uno dei topoi fondanti del gotico, genere che nasce ufficialmente in Inghilterra nel 1764, con The Castle of Otranto di Horace Walpole; ed è altrettanto scontato che la persecuzione tipica dell’immaginario gotico — in tutte le sue forme, compresa la persecuzione immaginaria, da cui proviene la costante paranoica così ben attestata in questo genere letterario — sfoci in tentativi, riusciti o no, di violenza sessuale. Così è, per esempio, nel testo più rappresentativo del gotico ‘spettacolare’ (e del soprannaturale accettato), The Monk (1796) di M. G. Lewis, che contiene fra l’altro la scena — la quale doveva essere all’epoca straordinariamente disturbante, ma che anche oggi presuppone lettori dallo stomaco forte — dello stupro e dell’uccisione di Antonia in una cripta (libro III, cap. XI). Ma così è anche, a ben vedere, nei Promessi Sposi di Manzoni (1827, 1840), cioè un romanzo che non può essere etichettato come gotico, ma che del gotico, ampiamente presente nel Fermo e Lucia (1821‑1823), ha conservato — nonostante la rassettatura, non soltanto linguistica, intrapresa dall’autore — qualche inconfondibile barlume. Se don Rodrigo fa rapire Lucia, ennesimo esempio di fanciulla perseguitata nella letteratura fra Sette e Ottocento, è per l’appunto perché vuole abusare di lei.

  • 46 Cfr. T. Todorov, Introduction à la littérature fantastique, Paris, Éditions du Seuil, 1970, segnata (...)
  • 47 Nel romanzo di King, chi viene avvicinato da Barlow cade preda di una fortissima eccitazione sessua (...)

23Oltreché nel gotico, il nostro tema è frequentemente attestato nel genere storico che del gotico è figlio legittimo e primogenito: il racconto fantastico. Questa propensione del fantastico per la rappresentazione della violenza sessuale rimanda naturalmente, oltreché alla discendenza dal gotico, ad altre spiegazioni; una è questa: come ha mostrato Tzvetan Todorov nel suo libro fondatore, la letteratura fantastica predilige i temi della sessualità eccessiva, deviata, aberrante (i ‘temi del tu’, come li chiama il teorico franco-bulgaro)46. All’interno di questa casistica, un dossier importante è quello dei rapporti sessuali con i vampiri, che nella letteratura ottocentesca e poi novecentesca sono sempre più o meno violenti: anche quando la vittima è consenziente, infatti, si tratta di un consenso che è stato estorto (per lo più attraverso la fascinazione dello sguardo magnetico di cui sono dotati i vampiri stessi). Si pensi, tanto per fare qualche esempio, al Vampyre di J. W. Polidori (1819), a Carmilla di J. S. Le Fanu (1872), al Dracula (1897) di Stoker e alla sua più notevole riscrittura novecentesca, Salem’s Lot di Stephen King (1975)47. Si potrebbe affermare senza tema di smentita che il morso del vampiro costituisca un chiaro equivalente simbolico della violenza carnale; mutatis mutandis, il discorso vale anche per la letteratura licantropica: anche qui il morso — del lupo o dell’essere mannaro — è un Ersatz dello stupro (si pensi a quel che accade durante la prima notte di nozze fra Szémioth e la sua sposina in Lokis di Mérimée, 1869).

  • 48 Sulle sue attestazioni nella letteratura italiana si vedano, ora, S. Lazzarin e M. Colin (a cura di (...)

24Agli innumerevoli esempi del tema nella letteratura fantastica e d’orrore — meriterebbero di essere citati almeno lo stupro in senso lato di Berenice (1835) di Poe, e quello tentato ma non riuscito in Avatar (1856) di Gautier — vanno poi aggiunte le occorrenze del tema nel romanzo popolare dell’Ottocento, dove i frequenti casi di violenza sessuale nutrono al tempo stesso la retorica sensazionalistica del genere e la sete di denuncia dell’ingiustizia sociale condivisa, magari un po’ ingenuamente, da molti autori di feuilletons. Nel capostipite dei ‘misteri urbani’, genere fortunatissimo e poi dimenticato dalla storia letteraria48, ovvero Les Mystères de Paris di Eugène Sue (1842‑1843), Fleur-de-Marie, che la malvagità umana ha avviato sulla strada della depravazione, conserva nondimeno, in mezzo al vizio, la purezza di una vergine (il che giustifica il suo soprannome); ma rimane il fatto che nella sua carriera di malaffare è stata vittima di stupri a ripetizione: e tutta l’attività occulta di Rodolphe, che vuole sottrarla all’universo della pègre parigina, mira per l’appunto a sradicarla da quella dinamica della coazione a ripetere in cui sembra intrappolata per sempre — a evitarle l’eterna ripetizione dello stupro iniziale e archetipico.

25L’interesse per i ‘margini’ della realtà più convenzionalmente accettata e l’intento di denuncia che caratterizzano il romanzo di misteri urbani si ritrovano, nella seconda metà del secolo, in area naturalistica. Il romanzo naturalista, decreta Zola, ha da essere riproduzione esatta della realtà, verbale scrupoloso di eventi, persone, oggetti reali; è così simile alla realtà che il lettore, quando ha finito di leggerlo, può, con eloquente metafora, rincasare — la lettura diventa il corrispettivo letterario di una passeggiata, la pagina scritta è la registrazione fedele delle impressioni della persona che esce di casa e vede, percepisce, sente cose realmente esistenti. Va letta, in tal senso, una pagina dell’importante saggio zoliano su Flaubert (novembre 1875):

  • 49 É. Zola, Gustave Flaubert. L’écrivain [1875], in Id., Œuvres complètes, 21 voll., sous la direction (...)

Le premier caractère du roman naturaliste, dont Madame Bovary est le type, est la reproduction exacte de la vie, l’absence de tout élément romanesque. […] Toute invention extraordinaire en est donc bannie. On n’y rencontre plus des enfants marqués à leur naissance, puis perdus, pour être retrouvés au dénouement. Il n’y est plus question de meubles à secret, de papiers qui servent, au bon moment, à sauver l’innocence persécutée. Même toute intrigue manque, si simple qu’elle soit. Le roman va devant lui, contant les choses au jour le jour, ne ménageant aucune surprise, offrant tout au plus la matière d’un fait divers ; et, quand il est fini, c’est comme si l’on quittait la rue pour rentrer chez soi49.

  • 50 C. Pierre, Viols naturalistes : « commune histoire » ou « épouvantable aventure » ?, «Tangence», no(...)
  • 51 Cfr. R. Ceserani, Tra vegetariani e cannibali, cit.
  • 52 Cfr. G. Lo Castro, Il mistero della violenza: «Tentazione!» di Verga e il racconto di stupro, «OBLI (...)

26In tale contesto, lo stupro diventa un tema cardine: uno di quelli che permettono di raccontare il fait divers senza fronzoli, senza romanzesco, senza trama, senza niente di niente, appunto secondo i dettami dell’estetica naturalistica. Fra i numerosi esempi («[o]n viole beaucoup dans le roman naturaliste»50, osserva una studiosa che si è occupata specificamente della questione), ricorderò il miserevole destino della serva Adèle in Pot‑Bouille (1882) — le serve in Zola sono predestinate allo stupro da parte dei padroni, verrebbe voglia di dire: programmate per subire la violenza sessuale dei loro datori di lavoro — e la violenza e l’assassinio commessi dal sindaco Renardet su una ragazzina nella Petite Roque (1885) di Maupassant. Sempre in Maupassant, merita una menzione anche la novella Enragée (1883), dove, agli occhi della sposa completamente ignara di ciò che accadrà durante la prima notte di nozze, il marito sembra repentinamente trasformarsi in una belva assetata di sangue, la cui violenza ferina non concede riparo… In Italia — e dunque in area verista — un notevole esempio del tema è la novella Tentazione! (1883) di Verga, di cui parlano fra l’altro Remo Ceserani e Giuseppe Lo Castro: il primo, in un suo articolo su vegetariani e cannibali, la mette a paragone — in quanto rappresentativa della letteratura della modernità — con qualche passo di un romanzo postmoderno, Bastogne (1996) di Enrico Brizzi51; il secondo la considera emblematica del ‘racconto di stupro’ nella letteratura italiana della seconda metà dell’Ottocento52.

  • 53 G. Orwell, La camera rossa [titolo redazionale per il cap. II di Down and Out in Paris and London, (...)
  • 54 Ivi, p. 176. «He was a curious specimen»: è l’ultima frase del capitolo orwelliano.
  • 55 Ibid.
  • 56 Cfr. ivi, pp. 175‑176.

27Nel Novecento, oltre ai generi della letteratura impegnata menzionati da Manferlotti, il nostro tema frequenta, non senza logica, la narrativa erotica e pornografica, e più in generale tutta quella letteratura che predilige, per una ragione o per l’altra, i temi sadici. Potremmo nominare qui, rispettivamente, l’Histoire d’O (1954) di Pauline Réage e diversi romanzi di Anthony Burgess, fra cui gli emblematici A Clockwork Orange (1962, famoso per l’adattamento cinematografico di Stanley Kubrick, 1971) e The Clockwork Testament, or Enderby’s End (1974); ma anche The Naked Lunch (1959) di William S. Burroughs, che costituisce forse la più significativa declinazione del tema in chiave omosessuale (e bisessuale) nella letteratura novecentesca. Un conte cruel della più bell’acqua si trova poi nel cap. II di Down and Out in Paris and London (1933) di George Orwell, che con vari elementi di ascendenza gotica e sadiana allestisce una trappola infernale: la vittima della violenza ha un bell’urlare, si trova «al centro di una piramide»53, seppure in piena Parigi — nessuno potrà sentirla e nessuno potrà aiutarla. Sebbene l’atto sia narratologicamente ‘messo a distanza’ tramite la scelta di una voce narrante che qualifica l’autore dello stupro come «curioso esemplare»54, il testo orwelliano produce sul lettore un effetto raggelante: l’invasione del corpo altrui vi è presentata come paradigma dell’amore fra esseri umani, istante irripetibile di felicità (da parte dello stupratore ma anche, pretende il protagonista, di qualsiasi essere umano: «Questo è l’amore»)55, squisita prerogativa della giovinezza — la quale giovinezza, dopo quell’apice, non si ripresenta più, «si fugge» definitivamente — e addirittura conquista di saggezza56!

  • 57 Ignobilmente profanata dalle armate che dopo il 1943 attraversarono l’Italia, la dimora fatale del (...)
  • 58 Cfr. A. Tabucchi, Piazza d’Italia [1975], Milano, Feltrinelli, 2005, p. 42.

28Sarebbe impossibile chiudere questa pur rapida rassegna senza accennare alla fortuna del tema in altri generi e settori della produzione letteraria del Novecento (e del nuovo secolo): dal fantastico al realismo magico, per arrivare fino alla letteratura dell’orrore estremo e alle varie declinazioni del romanzo di area mimetico-realistica. Del fantastico e della sua predilezione per la sessualità abnorme si è già detto; gli scrittori fantastici del Novecento italiano confermano in pieno quel che avevamo intuito riflettendo sul corpus della letteratura ottocentesca: possiamo pronunciare qui i nomi di Bontempelli (Eva ultima, 1923), Landolfi — con il dittico composto da Maria Giuseppa (nel Dialogo dei massimi sistemi, 1937) e dalla Vera storia di Maria Giuseppa (in Ombre, 1954), ma anche con l’immagine tremenda della casa avita sventrata alla fine del Racconto d’autunno (1947)57 — e Buzzati, che soprattutto nelle storie figurate dà largo spazio a un immaginario fortemente sadico (si può pensare alla ‘neghittosa’ del Poema a fumetti, 1969, o alle tavole intitolate Il formicone, Il robot e Schiava dei Mori nei Miracoli di Val Morel, 1971). Ma anche il territorio del realismo magico — contiguo al fantastico — annovera esempi memorabili, a cominciare dal testo più famoso di tutti e capostipite di tanta letteratura successiva, Cien años de soledad (1967) di Gabriel García Márquez: nell’accoppiamento di José Arcadio con Rebecca, a lungo creduta sua sorella, non manca certo, fra tante ragioni di attrazione, qualche indizio di violenza. Non stupisce, allora, di ritrovare il tema attestato anche in Piazza d’Italia di Tabucchi58: che di Cien años de soledad è sostanzialmente una rivisitazione in salsa toscana e anarchico-libertaria. La letteratura dell’orrore estremo predilige il tema dello stupro per le ovvie ragioni d’oltranza rappresentativa cui mi è già capitato di alludere; un nome che va assolutamente fatto è quello di Bret Easton Ellis, i cui romanzi — ricordiamo almeno American Psycho (1991) e Glamorama (1998) — hanno generato schiere di seguaci anche in Italia. Fra questi, i ‘cannibali’ degli anni Novanta: in Gioventù cannibale, l’antologia programmatica curata da Daniele Brolli nel 1996 con la quale viene ufficialmente creato il ‘caso letterario’ dei cannibali, si registrano non a caso un paio di significative occorrenze del tema (alludo ai racconti Il rumore di Stefano Massaron e Cappuccetto splatter di Daniele Luttazzi). Ma il più notevole testo dei cannibali italiani sul tema — e a mio parere il vertice di tutta la loro produzione — è il già menzionato raccontino Rispetto (1996) di Niccolò Ammaniti, che riesce a entrare, con resa estetica non comune, nella mente collettiva del branco. Infine, nella letteratura italiana ipercontemporanea il tema dello stupro appare spesso collegato a quello della pedofilia, a conferma di un’osservazione di Manferlotti precedentemente citata: si pensi all’Amore molesto di Elena Ferrante (1992), a Bruciare tutto di Walter Siti (2017), alle Ripetizioni di Giulio Mozzi (2021), tanto per citare soltanto qualche testo esemplare.

7. Le supplici di Eschilo: terrore dello stupro e venerazione per il dio stupratore

  • 59 Tutte le citazioni proverranno dalla seguente edizione: Eschilo, Le supplici [463 a.C. ca], in Id., (...)

29Come promesso, per concludere queste integrazioni alla voce del DTL — e attenuare, spero, il loro carattere rapsodico — proporrò due esempi testuali che Manferlotti non discute, e che appartengono rispettivamente alla letteratura pre- e post- svolta storica. Il primo è un testo lontano da noi addirittura venticinque secoli, ma tuttora di grande attualità: Le supplici di Eschilo. Rappresentata probabilmente nel 463 a.C., questa tragedia narra la storia delle Danaidi che, volendo sfuggire alla violenza dei cugini paterni (v. 38: «patradélpheian»)59, si rifugiano insieme al padre Danao ad Argo e vi trovano, grazie al re argivo Pelasgo, accoglienza e difesa contro gli Egizi. La tragedia si conclude con un provvisorio ‘lieto fine’, prima che scoppi la guerra paventata fra la città greca e i pretendenti respinti.

30Un primo dato che colpisce nel testo eschileo è la densissima ‘intertestualità del tema’ — cioè un fenomeno che si constata immancabilmente quando si studia un tema letterario che abbia, potremmo dire, consistenza tematologica (e non soltanto tematica). Fin dal coro di apertura la vicenda delle Danaidi, ossessionate dal terrore del coniugio non consentito, si intreccia da una parte con quella di Io violata da Zeus e costretta a subire la vendetta di Era (che si traduce nella lunga e disperata erranza, nelle sembianze di una vacca, per scampare alla puntura dolorosissima del tafano che la sovrana dell’Olimpo le ha scatenato contro), e dall’altra con il mito di Tereo, Procne e Filomela, dove pure all’origine dei lutti c’è uno stupro (quello di Tereo ai danni della cognata Filomela). Insomma, per comprendere a fondo le angosce delle cinquanta figlie di Danao, Eschilo proietta la loro situazione su sfondo mitologico, accostando la loro storia ad altre notissime storie di violenza sessuale (e delle conseguenze della violenza). Inoltre, nel suo desiderio di restare «ágamou adámaton» (v. 143, poi ripetuto al v. 153: cioè ‘non sposato, non domato’; il matrimonio, o meglio il connubio, viene equiparato all’assoggettamento), il coro si rivolge logicamente ad Artemide (cfr. v. 145: «Diòs kóra»), l’Inviolata per antonomasia (cfr. v. 147: «ádmetos»), colei che, a differenza di Afrodite, è rimasta intatta (cfr. v. 1030: «Ártemis hagnà»), non si è dovuta sottomettere a quella che le Supplici considerano come la prova gravosa del connubio. Artemide è per noi particolarmente interessante nella misura in cui rappresenta, nella mitologia, il polo opposto rispetto alla violenza maschile incarnata da Zeus (e da molti altri dèi, come si è visto). Figlia di Zeus, Artemide è colei che oppone la sua castità alle brame maschili, e ha gli strumenti per farlo; è colei che punisce in modo atroce — si ricordi il mito di Atteone — chi ne sorprende l’immagine: perché per la dea casta per definizione il viol par l’œil è altrettanto invasivo e colpevole (che sia volontario o involontario non conta) di quello compiuto par la chair. Artemide è dunque collegata alla dimensione intertestuale che stiamo esaminando; proprio come lo sono le Amazzoni, il cui mito si affaccia puntuale sulla scena della tragedia eschilea: al pari delle Supplici le Amazzoni sono ‘prive d’uomo’ (v. 287: «tàs anándrous […] Amazónas»); ma a differenza delle Supplici sono armate e agguerrite!

  • 60 A questa carezza alludono anche i vv. 1062‑1067: qui l’intervento di Zeus che salva le Supplici dal (...)

31Fin qui possiamo tranquillamente affermare che Eschilo preannuncia gran parte della letteratura a venire sul tema che ci interessa; ma al tempo stesso, la sua tragedia ci permette di cogliere la differenza fra i testi antichi (e anche la mitologia) da una parte, e quelli moderni (e la relativa sensibilità) dall’altra. In effetti, per sfuggire alla brutalità maschile (cfr. v. 528: «andrõn húbrin»; «brutalità d’uomo», traduce Ezio Savino nella mia edizione di riferimento), le Supplici non smettono di invocare chi, quella brutalità e quell’oltraggio, li ha perpetrati sul corpo della loro madre; in tutta la tragedia Zeus — lo stesso che commise violenza su Io — viene presentato come garante della giustizia e difensore delle profughe supplicanti: perché ciò che da parte dei cugini egizi è violenza intollerabile, se lo commette il Sommo fra gli dèi è invece legittimo e fa parte dell’ordine delle cose. Addirittura le Supplici, rivolgendosi a Zeus, gli ricordano, per attirarsi la sua benevola protezione, «l’antica carezza su Io» (cfr. vv. 531‑537)60!

  • 61 A titolo d’esempio, ai vv. 817‑818 si dice che «ghénos gàr Aigúption húbrei / dúsphoron», cioè che (...)

32Va notato inoltre che il tema dello stupro paventato, pur così importante sul piano narrativo visto che muove tutta la vicenda, non è altrettanto centrale sul piano etico. A ben vedere la questione morale posta dal testo eschileo non è tanto la liceità della violenza sessuale, quanto l’opportunità e giustizia di accogliere le Supplici ad Argo, la città da cui lontanamente discendono, a prezzo di una probabile guerra contro gli Egizi. L’húbris è onnipresente nel testo — così come le occorrenze della parola — e assume varie configurazioni, fra le quali appunto quella del connubio delle Supplici con i cugini egizi61; ma è precisamente in questo punto che lo ‘sfregio agli dèi’ (cfr. vv. 732‑733) interseca la traiettoria della polis e ne minaccia l’esistenza e il fondamento politico. Ed è su questo punto fondamentale che si concentrano, logicamente, le considerazioni di re Pelasgo: il quale finirà per scegliere, con l’approvazione del proprio popolo, fra Realpolitik e rispetto delle leggi umane e divine, il secondo.

  • 62 Su questo aspetto si vedano soprattutto i vv. 942‑944.
  • 63 Cfr. Eschilo, Le supplici, traduzione, introduzione e cura di G. Paduano, Pisa, ETS, 2016.

33Tutto ciò implica che si debba fare parecchia attenzione a non esagerare la pur sorprendente modernità del testo eschileo. Nella sua introduzione alla recente edizione nella collana ETS dei «Piccoli classici della filosofia», il noto grecista Guido Paduano ha fatto delle Supplici un testo sostanzialmente proto‑femminista: una rivendicazione del diritto della donna a esprimere il consenso62. Secondo Paduano, con la tragedia di Eschilo il punto di vista delle donne irrompe per la prima volta nella storia della letteratura; e non il punto di vista di ‘una’ donna singola, ma di una comunità femminile, atterrita dalla violenza maschile e segnatamente da quella di matrice sessuale63. A questa interpretazione, sicuramente brillante ma anche decontestualizzante e pericolosamente incline all’anacronismo, preferisco la lettura — meno estrosa e però a mio avviso più fedele al testo e ai suoi contesti — di un altro critico, il quale sostiene:

  • 64 E. Savino, Nota storica, in Eschilo, Prometeo incatenato. I Persiani. I sette contro Tebe. Le suppl (...)

Nelle Supplici la donna non è fornita di decisione e d’azione. Solo in un caso minaccia d’agire, ma è l’azione che nega se stessa: il suicidio. È nel colloquio con Pelasgo, il re incerto se concedere asilo. Priva d’azione, la massa femminile è monumento immoto, ingombrante sulla scena: gli si contrappone l’andirivieni concitato di Danao e Pelasgo. La donna attende, l’uomo si muove nel mondo64.

8. Monte Ignoso di Paola Masino: corpo violato e corpo invaso

34Ho affermato sopra, in via generale, che è stata la letteratura moderna — quella dall’Ottocento in poi — a rappresentare lo stupro anche nel suo significato di invasione del corpo. Prima della svolta storica di fine Settecento, in effetti, del tema che ci interessa vengono esplorate le valenze mitologico-religiose (da parte delle letterature classiche) e socio-politiche (dal Medioevo in poi); il tema costituisce un nodo cruciale per riflettere sui criteri che devono ispirare la condotta politica dei reggitori della polis, come in Eschilo, o un rivelatore di rapporti di potere e socio-economici, come nei romanzi arturiani e bretoni, o ancora una fonte sicura di effetti comici e ironici, come nella novellistica e nel poema eroicomico, o perfino una prova, tramite i sensi, dell’infondatezza filosofica delle teorie ottimistiche dell’universo, come nel conte philosophique di Voltaire: in nessun caso, così mi sembra e salva la necessità di nuove e più approfondite ricerche, lo stupro viene rappresentato come violazione di un corpo non consenziente da parte di un corpo invasore, con tutta la ‘corporalità’ (appunto) che a una tale intromissione è associata. Ma nella letteratura delle epoche successive, da fine Settecento in poi, si affermano nuove accezioni del tema che mettono in grande evidenza questa corporalità: per esempio quella proposta dal romanzo gotico, dal racconto fantastico e dalla letteratura d’orrore, in cui il tema dello stupro costituisce una via d’accesso alla sessualità smisurata e minacciosa, o la variante attestata nel romanzo naturalista, che cerca garanzie di fedeltà scrupolosa alla grisaille del reale e le trova in quei faits divers, fra cui i casi di violenza sessuale, che nell’esistenza reale sono sempre numerosi.

  • 65 P. Masino, Monte Ignoso, postfazione di M. Bersani, Genova, Il Melangolo, 1994, p. 43.
  • 66 Ivi, p. 7.
  • 67 M. Bersani, Postfazione, ivi, p. 211.

35La svolta di cui vorrei sancire l’esistenza mi pare chiaramente documentata in un testo novecentesco tuttora poco noto, e che meriterebbe maggior attenzione da parte di critici e lettori: il romanzo breve Monte Ignoso di Paola Masino (1931). È la storia di Emma, del marito Giovanni e della figlioletta Barbara, che vivono nella «casa rossa»65: un grande casolare di campagna pieno di quadri inquietanti e (forse) animati, situato nella zona montuosa di origine vulcanica che dà il titolo al romanzo. Il primo capitolo si apre però non nei luoghi in cui si svolgerà poi la vicenda, bensì in Medio Oriente, ai tempi dei Patriarchi biblici e degli altri innumerevoli personaggi delle Sacre Scritture. È una scena notturna di notevole forza suggestiva; la «fiamma piccola d’una candela»66, con effetto pittorico e in «un abbrivio [narrativo] decisamente cinematografico»67, trascorre lungamente nella notte biblica, illuminando una scelleratezza dopo l’altra e un misfatto dopo l’altro, tutti debitamente registrati nella loro verità storica dai libri biblici. In questa ricchissima casistica dell’atroce, i primi due atti di violenza sono tentativi di stupro — il primo riuscito, il secondo fallito solo grazie alla qualità divina delle vittime (gli angeli di Sodoma), che permette loro di difendersi dagli aggressori:

  • 68 P. Masino, Monte Ignoso, cit., pp. 9‑10.

   Ora, lasciate dietro di sé le terre gialle della Palestina, la luce brillava alle porte di una città biblica. […] Anche qui avvenivano cose brutte ma nessuno poteva saperlo, perché rimanevano nascoste.
   Nella prima casa, la più appartata, la fiamma trovò Ammon figlio di Re Davide, che violentava la sorella Tamar.
   In un’altra i sodomiti facevano forza su Lot che non voleva abbandonare loro i due angeli belli suoi ospiti. Gli angeli chiusi nei manti verdi rimanevano quieti in un angolo, ma dagli occhi mandavano lampi che scintillavano intorno a Lot e così lo difendevano
68.

36L’incipit di Monte Ignoso dà insomma il tono di una narrazione dominata dal tema che ci interessa; all’inizio del secondo capitolo, poi, Masino insiste con altrettanta forza e chiarezza sui temi del corpo, configurando in tal modo per intero quella costellazione tematica che rappresenta una delle ragioni di originalità del suo romanzo. Fin dal suo ingresso in scena, infatti, la protagonista Emma viene accompagnata, in una sorta di sfilata di emblemi o corteo premonitore, dal sangue, dal grembo, dal torbido ribollire del corpo:

  • 69 Ivi, p. 13.

La signora Emma stava sulla porta che dalla cucina va in giardino […]. Erano le quattro del pomeriggio. La signora Emma, stando così sulla soglia, era tutta circonfusa di chiara luce. La luce scivolandole sui capelli rossi e sul vestito cupo s’intorbidava, ribolliva, diventava grumosa e piena di sangue. La signora Emma teneva le mani incrociate sul grembo69.

  • 70 Sulla simbologia del colore dei capelli nella letteratura (e nella cultura) occidentale, con partic (...)
  • 71 S. Freud, Carattere ed erotismo anale [Charakter und Analerotik, 1908], in Id., Ossessione Paranoia (...)

37Anche il dettaglio della capigliatura assume qui un significato forte: una lunga tradizione letteraria presenta i capelli rossi come attributo di donne malvagie, seguaci di Satana70; quest’ultimo, a voler adottare un’elementare prospettiva psicoanalitica, incarna le incontrollabili pulsioni dell’inconscio (secondo il Freud di Charakter und Analerotik il diavolo «non è altro che la personificazione della vita pulsionale incoscia rimossa»)71; e a loro volta le pulsioni, represse nella nevrosi, ritornano a manifestarsi, si sa, mediante tutto il complesso linguaggio di sintomi corporei (e linguistici) che caratterizzano, per l’appunto, il comportamento dei nevrotici. Masino era tutt’altro che a digiuno di psicoanalisi, e le poche righe che presentano Emma al lettore basterebbero già, probabilmente, a dimostrarlo.

  • 72 P. Masino, Monte Ignoso, cit., rispettivamente pp. 14 e 17.
  • 73 Ivi, p. 20.

38Una volta allestiti gli sfondi, la storia può cominciare. Quando Barbara dice di aver parlato, in casa, con «un prete […] vestito buffo», Emma accantona rapidamente l’ipotesi dell’«allucinazione»72 per affrontare quello che, secondo lei, sarebbe l’autentico molestatore della figlioletta: il sacerdote Federico Vaira, o meglio il suo «ritratto impassibile»73 che sta appeso al piano di sopra insieme a molti ritratti di soggetto biblico. La scena è una sinfonia trionfale di moti e secreti corporali, che accompagnano un flusso di parole interamente corporeizzato, divenuto esso stesso corpo fluido, mentre Emma sembra trasformarsi in un fenomeno naturale — un’eruzione vulcanica, lo scioglimento delle nevi – sotto la spinta delle proprie angosce e passioni:

  • 74 Ibid.

Appena fu sola, furiosamente si precipitò in casa, su per le scale. Giunta […] davanti al quadro del bisavolo canonico, si arrestò di schianto. Barcollò due o tre volte su se stessa prima di ritrovare l’equilibrio, poi già immobile, ancora fremeva e vibrava come la vetta di un’antenna troppo lunga. Anche tutto il suo volto chiuso e le mani abbandonate lungo i fianchi sussultavano, premute dall’impeto di una passione mostruosa. Stette così un minuto a fissare il ritratto […]. In quel minuto gli occhi le si sfacevano, la bocca divenne un taglio nero, il respiro le usciva a vampate fangose quasi che nel ventre le ardesse un fuoco viscido, come deve essere quello che rimane nei fianchi di un vulcano spento. A poco a poco, con sforzo grandissimo, mosse le labbra, e finalmente cominciò a parlare. Le parole le scendevano dal cervello lungo la fronte gelata negli occhi marci, vi si insozzavano, diventavano oscenità. Allora lungo il naso, in due solchi violetti, colavano fino alla bocca ove si rotolavano nel fango ardente. Poi ne uscivano dure come sassi e sibilando si scagliavano contro il prete74.

39La ragione di tanto furore emerge a poco a poco dal torrente di parole; spalleggiato dalla schiera dei personaggi biblici rappresentati nei quadri, il prete malvagio sarebbe responsabile della perversione della protagonista, e avrebbe ora deciso, Emma ne è sicura, di insidiare la purezza della piccola Barbara:

  • 75 Ivi, p. 21. Si notino, anche in questo passo, le proliferanti immagini di corruzione fisica (e mora (...)

Basta. Ora basta. Barbara non devi toccarla. Se no racconto a tutto il paese quello che fai, che hai fatto. Ti faccio disseppellire. Ti butteranno in una chiavica, ci affogherai. Che cosa vuoi da lei? Farne una donnaccia, come me? Lei non lo sa quello che io sono. Tutta la mia vita per colpa tua, di quegli altri, sarà quest’inferno rovente. Almeno mi potessi scaldare e illuminare con questo fuoco. Ma no, ma no. […] Ah vita! Vita maledetta! E morta sarà lo stesso. Sarò già putrida e non potrò ancora lavarmi nel pianto, perché se no un verme uscito da questo ventre lurido andrà sul mondo a raccontarlo alla mia bambina75.

  • 76 Ivi, p. 22.

40E non sono soltanto immaginose metafore, bensì pesantissime realtà corporali. Il «prete maledetto»76 e gli altri personaggi biblici hanno realmente abusato della madre di Emma, con la connivenza del marito di lei o forse invadendone il corpo incosciente per manovrarlo (nel qual caso l’invasione sarebbe doppia; ma il testo mantiene l’ambiguità su questo punto); Emma si è persuasa di essere stata concepita in seguito agli stupri reiterati ai danni della madre; né la spirale violenta s’è interrotta, dal momento che la stessa Emma è stata vittima, in una sorta di ossessione diabolica dai risvolti molto concreti, della lussuria dei quadri criminali, e visto che la minaccia incombe ormai, come detto, sulla figlia di lei. Rivolgendosi proprio a Barbara nel suo convulso monologo, la protagonista rivela:

  • 77 Ivi, pp. 21‑22.

Ora schianto di rabbia perché lo so che è lui, che sono loro, che mi torturano così. Hanno cominciato prima ancora che io nascessi. La mia mamma, la tua nonna, Barbara, li guardava quand’era incinta e la incantavano. Lei, ogni sera il marito (ma erano loro invece, ora lo so) la obbligava a essere una di queste donne, Esther o un’altra. Non posso dirti quello che facevano. Si mettevano in terra, qui davanti. Io sono nata così. Da allora, sempre, tutta questa gente mi è stata addosso. Io entro nei quadri, loro ne escono. Di notte77.

41Addirittura, Emma si offre al sacerdote lubrico, disposta a subirne l’amplesso purché la figlia venga risparmiata; il testo ci fa assistere a un parossismo delirante che potrebbe anche essere un vero e proprio stupro:

  • 78 Ivi, p. 22.

È questo prete maledetto che mi spinge a farti male [Emma parla sempre alla figlia, che non la può sentire perché si trova al piano di sotto]. Apposta, perché mi vuole. Subito. Mi spoglio qui. Fa venire quello stupido fantasma a prendere me, invece di farlo passeggiare intorno a Barbara. Che cosa mi fai dentro? Ah! Non mi fare urlare78!

  • 79 Si tratta di quel passo del decimo capitolo in cui i quadri confabulano intorno alla protagonista s (...)
  • 80 P. Masino, Monte Ignoso, cit., p. 23.
  • 81 Ibid.
  • 82 Ivi, p. 21.

42Le citazioni si potrebbero moltiplicare, ma ce n’è già abbastanza, mi sembra, per confermare l’ipotesi iniziale: che nei testi della modernità — o per lo meno nel testo di Masino, che però mi sembra emblematico di tutta una letteratura — il tema dello stupro si presenti con quel carattere di invasione corporea che la letteratura antecedente alla svolta storica di fine Settecento era riuscita soltanto a presagire. Rimane ancora un elemento da rilevare, importante e anzi capitale (a tal punto che è stato determinante nella mia scelta di analizzare proprio il romanzo di Masino fra tanti testi moderni e contemporanei sul tema dello stupro). Ed è questo: come dimostra il ‘prologo in Medio Oriente’ di Monte Ignoso, e soprattutto il comportamento dei quadri in tutto il corso della vicenda, nell’ottica di Emma — l’unica accreditata all’interno del romanzo; e va sottolineato che il lettore modello dell’opera non è autorizzato a considerarla inattendibile perché, al contrario, un luogo molto significativo di Monte Ignoso sembra convalidarla in pieno79 — nell’ottica di Emma, dunque, i personaggi biblici sono violenti per definizione, e la loro violenza si esercita invariabilmente sub specie stupri («Voi tutti facce da criminali. Stupratori», prorompe a un certo punto la protagonista)80. Ma sulla violenza e sullo stupro — osserva ancora Emma alla quale bisogna riconoscere, dietro le sembianze sconnesse del suo argomentare, una straordinaria lucidità — sono state «edificate le basi dell’umanità»81: che cos’è infatti la Bibbia se non un racconto delle origini? E non è forse la Bibbia a collocare alle scaturigini del Tempo la stirpe dei Patriarchi dell’umanità, costruttori e legislatori del mondo? Ebbene, l’ordine patriarcale che ha istituito il mondo, svela Paola Masino prestando la propria voce a Emma la pazza, è profondamente ingiusto e intollerabilmente violento, basato com’è sulla sottomissione con la forza della donna al desiderio maschile e sull’intromissione non consentita degli «uomini» nel corpo femminile («Giù, Emma, gli uomini e i dolori ti sfonderanno»82, esclama a un certo punto la protagonista parlando fra sé e sé, con un linguaggio di grande crudezza che, secondo l’espressione lessicalizzata, dice ‘pane al pane e vino al vino’ — o, potremmo aggiungere sviluppando la metafora, corpo al corpo e stupro allo stupro). Il mondo garantito dall’autorità dei testi sacri — e quello comunemente ammesso ai tempi di Masino, se non ai nostri — poggia su un primordiale esercizio di violenza: è fondato, per l’appunto, sull’invasione del corpo delle donne da parte dell’uomo.

  • 83 Sulla tradizione letteraria del ritratto animato si possono vedere T. Ziolkowski, Disenchanted Imag (...)
  • 84 Grazie, fra l’altro, agli studi della citata Laghezza, e inoltre di Beatrice Manetti, Flora Ghezzo, (...)

43Qui risiede, in conclusione, la principale ragione d’interesse di Monte Ignoso: rileggendo il vecchio topos fantastico del ritratto vivente83 e trasformando, con una trovata geniale, i quadri animati in quadri stupratori, Masino contesta l’ordine patriarcale — appunto perché i personaggi dipinti sono Patriarchi biblici — su cui è fondata la cultura dello stupro, identificando esplicitamente violenza sessuale e violenza patriarcale con una forza simbolica e una capacità suggestiva mai raggiunte, credo, fino ad allora. Il linguaggio del fantastico, con le sue potenzialità stranianti e la sua carica conoscitiva, permette alla scrittrice di svelare il vincolo che unisce strettamente i testi biblici a quel codice culturale (e testuale, letterario) che legittima l’inferiorità della donna e il suo statuto di oggetto a disposizione dell’uomo: per questo ritengo si possa tranquillamente dire di Masino quel che non si può dire di Eschilo se non a prezzo di una forzatura cronologica e interpretativa — e cioè che l’autrice è proto-femminista e pienamente tale (non in senso lato). Ed è per tutti questi motivi che il romanzo, pur oggetto di una rivalutazione critica negli ultimi anni84, andrebbe, tuttavia, ulteriormente riletto.

Haut de page

Notes

1 Cfr. R. Ceserani, M. Domenichelli e P. Fasano (a cura di), Dizionario dei Temi Letterari, 3 voll., Torino, UTET, 2007.

2 Cfr. S. Manferlotti, Stupro, ivi, vol. III: P‑Z, pp. 2400‑2403.

3 In data 11 ottobre 2022. Il titolo: Il corpo invaso nella letteratura italiana dei secoli XIX‑XXI / Le corps envahi dans la littérature italienne (xixexxie siècles); gli organizzatori, che ringrazio per l’opportunità concessami: Diego Pellizzari, Emanuela Nanni ed Enzo Neppi. Ringrazio inoltre Enzo, Emanuela e Diego per le loro puntualissime osservazioni, che hanno contribuito notevolmente — non è una formula retorica! — a migliorare il presente articolo.

4 R. Ceserani, La maledizione degli “ismi”, «Allegoria», vol. XXIV, no 65‑66, gennaio-dicembre 2012, p. 195.

5 Ivi, p. 194.

6 S. Manferlotti, Stupro, cit., p. 2400.

7 Ibid. La formulazione, non particolarmente felice, sembrerebbe quasi sottintendere che la storiografia e l’epica non siano letteratura.

8 Ivi, p. 2401.

9 Ivi, p. 2400. Il riferimento di Manferlotti allo stupro «inteso come violenza carnale consumata contro la donna» mi fornisce lo spunto per una precisazione sul corpus: la grande maggioranza dei miei esempi riguarderanno la violenza carnale esercitata nei confronti della donna. Ciò non significa ovviamente che non si diano in letteratura esempi di stupro dell’uomo sull’uomo o dell’uomo su bambini.

10 Ivi, p. 2401.

11 Ibid.

12 Ivi, p. 2400.

13 Ivi, p. 2401.

14 Ivi, p. 2400.

15 Cfr. ivi, p. 2402. Per ragioni analoghe, e facilmente intuibili, sono forti anche i legami con il tema delle razze e del razzismo.

16 Ibid.

17 In proposito, rimando a un’altra voce del DTL, di cui sono l’autore: cfr. S. Lazzarin, Orrore, in R. Ceserani, M. Domenichelli e P. Fasano (a cura di), Dizionario dei Temi Letterari, cit., vol. II: F‑O, pp. 1775‑1779.

18 Alludo rispettivamente a un articolo di Remo Ceserani che si focalizza su due momenti emblematici della storia letteraria degli ultimi due secoli, Tentazione! (1883) di Verga e Bastogne (1996) di Enrico Brizzi; e a due libri di Luciano Parisi, uno circoscritto all’opera moraviana, l’altro che affronta il Novecento italiano nel suo complesso: R. Ceserani, Tra vegetariani e cannibali. Il giornalismo, la letteratura, il mondo dei media e la rappresentazione della violenza sessuale, «Nuevo Texto Crítico», vol. XII, no 23‑24, gennaio-dicembre 1999, pp. 285‑296; L. Parisi, Uno specchio infranto. Adolescenti e abuso sessuale nell’opera di Alberto Moravia, Alessandria, Edizioni dell’Orso, 2013; Id., Giovani e abuso sessuale nella letteratura italiana (1902‑2018), Alessandria, Edizioni dell’Orso, 2021.

19 S. Manferlotti, Stupro, cit., p. 2401.

20 Sul problema della corposità o «consistenza letteraria delle immagini» nella critica tematica si veda F. Orlando, Gli oggetti desueti nelle immagini della letteratura. Rovine, reliquie, rarità, robaccia, luoghi inabitati e tesori nascosti [1993], seconda edizione riveduta e ampliata, Torino, Einaudi, 1994, p. 261 (nonché le pagine seguenti).

21 Cfr. rispettivamente ivi, pp. 69‑71, e R. Ceserani, Raccontare il postmoderno, Torino, Bollati Boringhieri, 1997, pp. 19‑20.

22 Come si è visto, sono almeno tre le fasi di diffusione esponenziale del tema registrate da Manferlotti: l’epoca rinascimentale e barocca, il tardo Ottocento, il Novecento (con ulteriori momenti forti, all’interno del secolo scorso, da collocare negli anni Trenta e negli anni Settanta).

23 Altro tema del DTL: cfr. R. Ceserani, Scandalo, in R. Ceserani, M. Domenichelli e P. Fasano (a cura di), Dizionario dei Temi Letterari, cit., vol. III: P‑Z, pp. 21672172. Voce successivamente rielaborata da Ceserani nella comunicazione presentata all’ottava edizione di Synapsis (European School for Comparative Studies), tenutasi nella settimana dal 16 al 23 settembre 2007 e dedicata per l’appunto a questo tema: cfr. R. Ceserani, Petra scandali, in R. Carbotti (a cura di), Scandalo. Quaderni di Synapsis VIII, Atti della Scuola Europea di Studi Comparati (Bertinoro, 1623 settembre 2007), Firenze, Le Monnier, 2009, pp. 1527.

24 C. de Troyes, Le Conte du Graal ou le roman de Perceval [1180 ca], édition du manuscrit 354 de Berne, traduction critique, présentation et notes de C. Méla, Paris, Librairie générale française, 1990, rispettivamente vv. 602603 e 632633. [«tant que il vit un tref tandu / en une praarie bele»; «el lit une dame gissoit, / qui estoit iqui andormie»]

25 Ivi, vv. 688689. [«[…] chanberiere que il ait / en tote la maison ma mere»]

26 Cfr. ivi, vv. 655734.

27 Cfr. ivi, vv. 503513.

28 Ivi, vv. 664673. [«Li vallez avoit les bras fors, / si l’enbraça molt nicemant, / qu’il ne le sot faire autremant, / mist la soz lui tote estandue / et cele s’est bien desfandue / et gandilla quant qu’ele pot, / mais desfanse mestier n’i ot, / que li vallez tot de randon / la baissa, vosist ele o non, / vint foiz, si com li contes dit»]

29 Ivi, vv. 735739. [«Car li covenra por lui / soffrir tant hontë et anui / que ja n’en ot nule chative, / ne ja tant con ele soit vive / n’en avra secors ne haïe»]

30 Ivi, rispettivamente vv. 743 e 767. [«amis»; «Se plus i ot, no celez ja» (letteralmente: «se c’è stato qualcosa in più, me lo dica»)]

31 Ivi, vv. 770‑771. [«mais ce fu maleoit gré mien. / — Ançois vos sist et si vos plot»]

32 Ivi, vv. 3789‑3796. [«Et s’il la baissa maugré suen, / n’en fist il aprés tot son buen ? / Oïl, ce ne crerroit ja nus / qu’il la baisast sanz faire plus, / que l’une chose l’autre atrait. / Qui baisse fame et plus n’i fait, / des qu’il sont sol a sol andui, / don cuit je qu’il remaint an lui»]

33 H. de Balzac, Le Cabinet des Antiques [1839], in Id., La Comédie humaine, 12 voll., édition dirigée par P.‑G. Castex, Paris, Gallimard, 1976‑1981, vol. IV, p. 1054.

34 Su questo aspetto si può vedere S. Lazzarin, Balzac et le corps des nobles : à propos du Cabinet des Antiques, in J.‑M. Roulin (a cura di), Corps, littérature, société (1789‑1900), Atti del Convegno (Saint‑Étienne, 13‑14 maggio 2004), Saint‑Étienne, Publications de l’Université de Saint‑Étienne, 2005, pp. 175‑189.

35 Cfr. F. De Roberto, I Viceré [1894], in Id., Romanzi, novelle e saggi, a cura di C. A. Madrignani, Milano, Mondadori, 1984, pp. 853‑854.

36 Ivi, p. 861.

37 Cfr. ivi, pp. 620‑621.

38 Ivi, p. 621. Scarsa lucidità perché in realtà sono proprio i tempi a essere cambiati: l’ancien régime è tramontato.

39 S. Manferlotti, Stupro, cit., p. 2400.

40 Ibid.

41 Lo stupore delle abitanti di Ismailia allude inoltre, come mi fa notare Enzo Neppi, a un tipico motivo sessista, diffuso anche nelle barzellette: quello secondo cui le donne anziane, ormai non più desiderabili ma sempre desideranti, non chiedano che questo — di essere stuprate. Il salto logico è grande e rivelatore: noi oggi diremmo che tutte e tutti hanno diritto di desiderare, a qualsiasi età; insinuare che la violenza sessuale possa soddisfare il desiderio della vittima costituisce invece, ovviamente, un gravissimo fraintendimento.

42 M. Wollstonecraft, A Vindication of the Rights of Woman, edited with an introduction by M. Brody, London, Penguin, 1992, Chapter 4, p. 152. Traduzione mia. [«[…] marriage is not considered as the grand feature in their [degli uomini] lives; whilst women, on the contrary, have no other scheme to sharpen their faculties. […] To rise in the world […] they must marry advantageously, and to this object their time is sacrificed, and their persons often legally prostituted.»]

43 Voltaire, Candide ou l’optimisme [1759], in Id., Romans et contes, édition de H. Bénac, Paris, Garnier, 1960, p. 144.

44 Ibid.

45 Cfr. Sade, Aline et Valcour ou le roman philosophique. Écrit à la Bastille un an avant la Révolution de France [1793], édition de J. M. Goulemot, Paris, Librairie générale française, 1994, lettre XXXVIII, p. 566. Il tema della violenza sessuale post mortem annovera qualche attestazione anche nell’Ottocento — dove si incrocia con il topos scapigliato della sala di dissezione: si pensi ad esempio alla violenza metaforica, ma non per questo meno efferata, esercitata dal sinistro anatomista Gulz sul corpo esanime di Carlotta nella novella Un corpo (1870) di Camillo Boito —, e poi soprattutto nel Novecento e nel nuovo secolo. In area italiana e ipercontemporanea è degna di nota l’occorrenza, tutta giocata su un’agghiacciante figura di reticenza, che compare nel romanzo La ferocia di Nicola Lagioia (2014), quando il medico legale Gennaro Lopez riconosce Clara Salvemini nel cadavere che gli sta di fronte sul tavolo anatomico (cfr. N. Lagioia, La ferocia, Torino, Einaudi, 2016, pp. 125‑126).

46 Cfr. T. Todorov, Introduction à la littérature fantastique, Paris, Éditions du Seuil, 1970, segnatamente il cap. 8, Les thèmes du tu, pp. 131‑147.

47 Nel romanzo di King, chi viene avvicinato da Barlow cade preda di una fortissima eccitazione sessuale.

48 Sulle sue attestazioni nella letteratura italiana si vedano, ora, S. Lazzarin e M. Colin (a cura di), Les mystères urbains en Italie. Vol. I : Les textes du xixe siècle, «Transalpina», no 25, 2022, e Les mystères urbains en Italie. Vol. II : Les réécritures du xxe siècle, «Transalpina», no 26, 2023.

49 É. Zola, Gustave Flaubert. L’écrivain [1875], in Id., Œuvres complètes, 21 voll., sous la direction de H. Mitterand, Paris, Nouveau Monde Éditions, 2002‑2010, t. 10: La critique naturaliste 1881, pp. 502‑503.

50 C. Pierre, Viols naturalistes : « commune histoire » ou « épouvantable aventure » ?, «Tangence», no 114, 2017, pp. 61‑78, disponibile online su <https://0-journals-openedition-org.catalogue.libraries.london.ac.uk/tangence/379> (ultimo accesso 11 gennaio 2023). L’articolo figura all’interno di un numero monografico diretto da N. Grande sul tema Viol et littérature. xviexixe siècle; la citazione riportata a testo compare sul sito, nella sezione degli abstract (Résumés).

51 Cfr. R. Ceserani, Tra vegetariani e cannibali, cit.

52 Cfr. G. Lo Castro, Il mistero della violenza: «Tentazione!» di Verga e il racconto di stupro, «OBLIO – Osservatorio Bibliografico della Letteratura Italiana Otto-novecentesca», anno I, no 2‑3, ottobre 2011, pp. 22‑35, disponibile online su <www.progettoblio.com/archivio/oblio-i-2-3/> (ultimo accesso 9 luglio 2023).

53 G. Orwell, La camera rossa [titolo redazionale per il cap. II di Down and Out in Paris and London, 1933], in G. Lippi (a cura di), Racconti fantastici del Novecento, 2 voll., Milano, Mondadori, 1990, vol. I, p. 175.

54 Ivi, p. 176. «He was a curious specimen»: è l’ultima frase del capitolo orwelliano.

55 Ibid.

56 Cfr. ivi, pp. 175‑176.

57 Ignobilmente profanata dalle armate che dopo il 1943 attraversarono l’Italia, la dimora fatale del Racconto d’autunno — che diversi indizi suggeriscono essere un correlativo oggettivo del corpo femminile — viene a coincidere con l’avita magione di Pico Farnese, distrutta dalla guerra e per sempre rimpianta dallo scrittore: «Essa giaceva sventrata, mostrando le sue viscere, […] lamentevolmente vuota del suo mistero, che era come il suo sangue» (T. Landolfi, Racconto d’autunno, in Id., Opere, vol. I: 1937‑1959, a cura di I. Landolfi, Milano, Rizzoli, 1991, p. 514).

58 Cfr. A. Tabucchi, Piazza d’Italia [1975], Milano, Feltrinelli, 2005, p. 42.

59 Tutte le citazioni proverranno dalla seguente edizione: Eschilo, Le supplici [463 a.C. ca], in Id., Prometeo incatenato. I Persiani. I sette contro Tebe. Le supplici, introduzione di U. Albini, traduzione, nota storica e note di E. Savino, Milano, Garzanti, 1988.

60 A questa carezza alludono anche i vv. 1062‑1067: qui l’intervento di Zeus che salva le Supplici dalle nozze non volute viene paragonato alla carezza con cui il re dell’Olimpo diede sollievo a Io, liberandola dall’assillo del tafano, restituendole forma umana e permettendole di generare Épafo (futuro re d’Egitto). Ma prima, tout de même, Zeus l’aveva stuprata! così insorgerebbe forse, se esistesse, un ‘lettore ingenuo’ dei giorni nostri.

61 A titolo d’esempio, ai vv. 817‑818 si dice che «ghénos gàr Aigúption húbrei / dúsphoron», cioè che ‘la stirpe egizia imperversa perniciosamente’; e si veda, inoltre, il v. 881.

62 Su questo aspetto si vedano soprattutto i vv. 942‑944.

63 Cfr. Eschilo, Le supplici, traduzione, introduzione e cura di G. Paduano, Pisa, ETS, 2016.

64 E. Savino, Nota storica, in Eschilo, Prometeo incatenato. I Persiani. I sette contro Tebe. Le supplici, cit., p. lii. In appoggio all’interpretazione di Savino si può citare anche un luogo emblematico della tragedia: quello in cui le Danaidi invocano l’aiuto del padre perché la donna, da sola, non è nulla (cfr. vv. 748‑749).

65 P. Masino, Monte Ignoso, postfazione di M. Bersani, Genova, Il Melangolo, 1994, p. 43.

66 Ivi, p. 7.

67 M. Bersani, Postfazione, ivi, p. 211.

68 P. Masino, Monte Ignoso, cit., pp. 9‑10.

69 Ivi, p. 13.

70 Sulla simbologia del colore dei capelli nella letteratura (e nella cultura) occidentale, con particolare riferimento ai capelli rossi, si può vedere R. Junkerjürgen, Haarfarben: eine Kulturgeschichte in Europa seit der Antike, Köln, Böhlau, 2009.

71 S. Freud, Carattere ed erotismo anale [Charakter und Analerotik, 1908], in Id., Ossessione Paranoia Perversione, a cura di C. L. Musatti, Torino, Bollati Boringhieri, 1978, p. 19.

72 P. Masino, Monte Ignoso, cit., rispettivamente pp. 14 e 17.

73 Ivi, p. 20.

74 Ibid.

75 Ivi, p. 21. Si notino, anche in questo passo, le proliferanti immagini di corruzione fisica (e morale).

76 Ivi, p. 22.

77 Ivi, pp. 21‑22.

78 Ivi, p. 22.

79 Si tratta di quel passo del decimo capitolo in cui i quadri confabulano intorno alla protagonista svenuta esattamente come quando Emma non aveva ancora perso i sensi (cfr. ivi, p. 177). Beatrice Laghezza — nei saggi Il fantastico di essere donna: spose, massaie e madri nell’opera di Paola Masino, «Between», vol. IV, no 7, maggio 2014, pp. 1‑19, disponibile online su <http://ojs.unica.it/index.php/between/article/view/1148/903> (ultimo accesso 11 gennaio 2023) e Una querelle tra immaginazione e realtà. Statuti del soprannaturale nella narrativa di Paola Masino, in A. Gialloreto e S. Jurišić (a cura di), Anti‑mimesis. Le poetiche antimimetiche in Italia (1930‑1980), Novate Milanese (Milano), Prospero Editore, 2021, pp. 159‑208 — ha giustamente posto l’accento su questo snodo decisivo, che riverbera sull’interpretazione complessiva della vicenda e dell’opera: «convinto della malattia [mentale] di Emma e persuaso dell’inattendibilità delle sue visioni» (B. Laghezza, Il fantastico di essere donna, cit., p. 7; e cfr. B. Laghezza, Una querelle tra immaginazione e realtà, cit., pp. 189‑190), il lettore è costretto a ricredersi, mentre il critico con ambizioni tassonomico-definitorie non può far altro, ormai, che classificare Monte Ignoso nella letteratura fantastica.

80 P. Masino, Monte Ignoso, cit., p. 23.

81 Ibid.

82 Ivi, p. 21.

83 Sulla tradizione letteraria del ritratto animato si possono vedere T. Ziolkowski, Disenchanted Images. A Literary Iconology, Princeton, Princeton University Press, 1977, e P. Pellini, Il quadro animato. Tematiche artistiche e letteratura fantastica, Milano, Edizioni dell’Arco, 2001: due libri che costituiscono ormai, ognuno con le proprie specificità, dei piccoli ‘classici’ della critica.

84 Grazie, fra l’altro, agli studi della citata Laghezza, e inoltre di Beatrice Manetti, Flora Ghezzo, Lucia Re, Barbara Garbin, ecc.

Haut de page

Pour citer cet article

Référence électronique

Stefano Lazzarin, « Stupro, ovvero: integrazioni ‘fuori tempo massimo’ a una voce del Dizionario dei Temi Letterari »Cahiers d’études italiennes [En ligne], 38 | 2024, mis en ligne le 01 mars 2024, consulté le 11 décembre 2024. URL : http://0-journals-openedition-org.catalogue.libraries.london.ac.uk/cei/14444 ; DOI : https://0-doi-org.catalogue.libraries.london.ac.uk/10.4000/cei.14444

Haut de page

Auteur

Stefano Lazzarin

Université Jean Monnet, Saint‑Étienne

Articles du même auteur

Haut de page

Droits d’auteur

CC-BY-SA-4.0

Le texte seul est utilisable sous licence CC BY-SA 4.0. Les autres éléments (illustrations, fichiers annexes importés) sont « Tous droits réservés », sauf mention contraire.

Haut de page
Rechercher dans OpenEdition Search

Vous allez être redirigé vers OpenEdition Search