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Introduzione. — Dal ‘corpo evaso’ al ‘corpo invaso’

Diego Pellizzari et Emanuela Nanni

Texte intégral

1. Genesi di una proposta tematica

  • 1 Apparso su «La Repubblica», nella rubrica «I racconti dell’estate», tra il 21 e il 22 agosto 1983, (...)
  • 2 G. Bufalino, L’uomo invaso, in Id., Opere, a cura di Maria Corti e Francesca Caputo, vol. 1, Milano (...)

1In un racconto intitolato L’uomo invaso1, Gesualdo Bufalino narra la sorprendente avventura di Vincenzino La Grua, un individuo comune che un bel giorno, riflettendo sui fenomeni insoliti che da qualche tempo si manifestano nel suo corpo, giunge alla conclusione di essersi trasformato in un angelo. Benché si spinga fino al punto di precisare «probabilmente un serafino», tale conclusione potrebbe però essere avventata; di fatto, l’unico dato innegabile è che, come dice lui, «uno straniero m’ha invaso, d’ora in avanti “io” chissà chi è»2.

  • 3 Ivi, p. 407.

2Gli interrogativi aperti dall’emersione di questo «ospite sconosciuto» sono molti: innanzi tutto il protagonista-narratore si domanda: «patisco una metamorfosi o un’intrusione?», evocando due modalità ben diverse di alterazione; dati i sintomi che progressivamente si manifestano — sanguinamenti, perdita dei capelli, insonnia, e poi un’inclinazione al turpiloquio sempre più difficile da reprimere — è pure lecito dubitare della natura benevola dell’invasore: la moglie di Vincenzo infatti, «da quando ha rivisto in Tv L’esorcista, propende per una possessione d’altra specie», e sebbene l’uomo resti convinto che «la cosa entratami dentro sia di qualità buona», deve pur riconoscere: «io mi sento manomesso, occupato, costretto a contendere a una forza aggressiva qualche magro rimasuglio di me…»3.

3Soprattutto, al di là dell’ipotesi soprannaturale, il testo di Bufalino insinua il sospetto che dietro l’invasione si nasconda una manifestazione patologica afferente tanto al corpo che alla mente del protagonista, trasfigurata dalla sua fervida fantasia: è ancora una volta la moglie a criticare l’attitudine di Vincenzo consigliandogli di andare semplicemente dal medico, consapevole della sua inclinazione a esagerare e vedere miracoli dappertutto. In effetti niente impedisce di leggere i segni della metamorfosi o dell’intrusione come sintomi di una malattia degenerativa («una cosa è irrefutabile», dice il protagonista: «soffro») e non è un caso che il racconto termini con il ricovero in una clinica psichiatrica, in seguito a un violento accesso di coprolalia verificatosi durante un concerto di musica sacra.

4Nella placida rassegnazione della sua nuova dimora, Vincenzo formula un’ultima ipotesi:

  • 4 Ivi, p. 410.

[…] deve trattarsi di una creatura abortita, che s’aiuta come può a non morire, e succhia i miei succhi umani, usurpa i miei ricordi, per questo: per non morire. Dovrò abituarmi a viverci insieme. Da nemico e da amico. Frenandolo o aizzandolo, secondo il caso. Addomesticandolo. Crescerò con lui, lui sarà me, io sarò lui, baratteremo vizi e virtù. Già mi vedo guidare con la sua mano paralitici e ciechi tra i caroselli del traffico; annunciare maternità benedette di porta in porta con un giglio nel pugno; vegliare col dito sulle labbra davanti alle camere dei moribondi; un’alba, con una spada fiammeggiante, vincere il drago4.

  • 5 Da un certo punto di vista, il racconto di Bufalino rappresenta una variazione sul grande tema del (...)

5Quale che sia l’incognita che si nasconde dietro allo sdoppiamento — l’allegoria è aperta, l’interpretazione lo è altrettanto — questa inquietante intimità tra io e non io, questa convivenza forzata tra ciò che si controlla e ciò che ci controlla, è un esempio icastico di come la letteratura possa dare forma, con la forza delle sue invenzioni, a una situazione in cui, è il caso di dirlo, l’io non è più padrone a casa sua5.

  • 6 I saggi derivano dalle relazioni orali presentate nell’ambito di due giornate di studio, organizzat (...)

6È per questo che ci è piaciuto riecheggiare il titolo del racconto di Bufalino per chiosare un’indagine di cui i sei saggi qui raccolti sono un primo risultato: il corpo invaso6.

  • 7 Cfr. J.‑J. Courtine, «Introduction» a Id. (a cura di), Histoire du corps, vol.: 3. Les mutations du (...)

7Sostituire la parola ‘uomo’ con la parola ‘corpo’ è una scelta che si colloca in un solco preciso: quello che mette al centro l’osservazione della carne e del sangue, della pelle e dei muscoli, della materia concreta e tangibile di cui siamo intessuti, in cui esistiamo e con cui ci apriamo al mondo, in opposizione a tutta la tradizione platonica, cristiana e cartesiana che sulla separazione tra anima e corpo e la svalutazione di quest’ultimo a vantaggio della prima ha fondato la concezione dell’uomo in Occidente. L’archeologia di questo lungo divorzio è stata più volte intrapresa, e la storia degli approcci filosofici che hanno riavvicinato la carne e lo spirito è nota: dalle fondamentali intuizioni di Nietzsche, che mettendo all’origine del pensiero astratto le pulsioni e i bisogni fisici, rifonda la filosofia a partire dal corpo vivente — celebre la sua ridefinizione dell’intelletto quale ‘servo’ e non ‘padrone’ del corpo —, al postulato positivista che non ammette fenomeni mentali in assenza di un correlativo organico; da Freud che, attribuendo alla sessualità un ruolo fondante della vita psichica e indagando come l’inconscio si esprima anche attraverso sintomi fisici, ha rinforzato le basi della psicosomatica, alla fenomenologia che, nella versione di Merleau-Ponty, ha fatto del corpo la culla originaria di ogni significato — «incarnation de la conscience» — ponendolo quale centro attivo della nostra costruzione della realtà e fulcro di tutte le relazioni7.

8Il ‘corpo’, dunque, ma senza voler suggerire in nessun modo un riduzionismo materialistico o un’esclusione radicale dell’aspetto psichico: spingere il pendolo completamente nell’altra direzione, infatti, non farebbero altro che riaffermare il dualismo storico di cui la ricerca dell’ultimo secolo ha mostrato il carattere pretestuoso. Si tratta piuttosto di definire un punto di vista, di sottolineare l’intenzione di occuparci di testi in cui sia chiara la volontà di abbracciare un corpo materiale, di investire su di esso a livello di rappresentazione e di costruzione del senso. Ma non un corpo qualsiasi: un corpo ‘invaso’, cioè un corpo colto in una situazione specifica, quella in cui sorge o s’infiltra ‘qualcosa’ che ne altera profondamente l’equilibrio, la natura, il destino, e che viene sentito il più delle volte come estraneo e minaccioso, anche se non sempre e non necessariamente (il racconto di Bufalino è un perfetto esempio di ambivalenza, perché se da una parte l’invasore priva Vincenzo del controllo di sé, dall’altra lo innalza a una condizione ch’egli stesso percepisce come eccezionale e, almeno in un primo tempo, superiore). Sensi metaforici e traslati del concetto di invasione hanno certamente diritto d’asilo in un’indagine di tipo letterario, ma nella selezione dei contributi abbiamo privilegiato in prima battuta l’interesse per corpi concreti.

  • 8 Cfr. U. Galimberti, Il corpo, Milano, Feltrinelli, 2009 (1983), p. 11.
  • 9 Cfr. per esempio le critiche di M. Marzano, La philosophie du corps, cit., pp. 72 sgg.

9Il corpo invaso, dunque, nella ‘letteratura’. Anche per questa terza parola, così apparentemente ovvia, una rapida riflessione potrebbe non essere inutile. Il corpo infatti si trasforma come oggetto di studio in base alla prospettiva disciplinare adottata: se per la medicina esso è un organismo da sanare, per l’economia una forza-lavoro da impiegare e a cui far consumare i propri prodotti, per la religione cristiana carne da redimere, per la psicoanalisi un insieme di pulsioni inconsce da far emergere e padroneggiare, per la semiologia e la sociologia un supporto di segni da trasmettere8, che cosa ne fa la letteratura? Difficile offrire una risposta esauriente, soprattutto in una sede come questa, ma possiamo dire che, senza dubbio, essa lo racconta. È noto che nel linguaggio del costruttivismo radicale si sono affermate metafore che tendono ad assimilare il corpo a una fiction: esso non sarebbe altro che ‘un testo scritto dalla cultura’, in quanto dipendente da una serie di rappresentazioni mentali variabili e relative. Quale che sia il valore di tale assimilazione da un punto di vista scientifico9, è certo che per il campo letterario essa è perfettamente valida, e lo è alla lettera. Il corpo narrato, infatti, è un corpo aperto a un’infinità di percezioni e invenzioni, che può essere deformato e riformulato a piacimento, con gli intenti più vari e le modalità linguistiche più diverse; esso è poi, immancabilmente, un ‘corpo vissuto’, restituito nella viva esperienza di chi lo possiede e lo incammina per le strade, esponendolo all’incontro o allo scontro con gli altri corpi e ancorandolo a un percorso esistenziale, idiosincratico o collettivo. Il corpo in letteratura si trova perciò sempre coinvolto in un processo di attribuzione di senso al mondo, iscritto dentro il mondo, in un itinerario del desiderio. E questo è vero anche quando le strategie autoriali perseguono lo straniamento del corpo e la sua riduzione a materiale biologico informe e incomprensibile, come accade nei testi analizzati dal contributo di Giuseppe Crivella, perché la privazione di senso è un senso, ed è forse la sua riaffermazione più forte.

  • 10 Moltissimi sono ormai i contributi sul tema del corpo in letteratura. Ci limitiamo a citare il ricc (...)
  • 11 Cfr. lo studio di P. Brooks, Body Work, Cambridge / London, Harvard University Press, 1993: «My mai (...)

10Spetta dunque al critico rintracciare i codici ideologici e linguistici che, di volta in volta, sono sottesi al discorso sul corpo, tra innovazione e tradizione, tra costanti e varianti, e in quale direzione operano, a quale progetto sono funzionali, in quali grandi paradigmi culturali si iscrivono, per confermarli o contestarli10. Sarà affascinante seguire le tecniche descrittive e le strategie messe in atto per evocare il corpo sulla pagina e renderlo percepibile al lettore, o il modo in cui esso diventa motore narrativo — il modo cioè in cui il testo lavora il corpo ma anche in cui il corpo lavora il testo, poiché il corpo dipende dal testo ma anche il testo può dipendere dal corpo11, come dimostra, per fare un esempio lampante, buona parte dell’opera narrativa di Walter Siti, a cominciare dalla trilogia Il dio impossibile.

11Per sollecitare riflessioni e contributi, abbiamo aperto il ventaglio e le declinazioni dell’invasione alle svariate forme che essa può assumere in letteratura: la possessione del corpo ad opera di spiriti, demoni o altri tipi di entità soprannaturali, l’installazione nelle carni di creature estranee come alieni, parassiti e batteri, le malattie e le epidemie, con il loro portato sintomatico, e le devianze che hanno a che fare col controllo di quanto viene incorporato o espulso, come quelle che ruotano intorno all’opposizione purezza/abiezione o i disturbi del comportamento alimentare; poi intrusioni che hanno una matrice tutt’altro che patologica, ma si rivelano deformanti e fonte di notevoli mutamenti corporei e psicologici come la gravidanza, il trapianto, la chirurgia o l’ibridazione del biologico con componenti artificiali; e ancora, la rappresentazione dello stupro e di certe pratiche sessuali considerate come estreme, e, su un altro piano, la reclusione carceraria o l’inserzione in altri dispositivi di controllo sociale, con i loro effetti sulla corporeità degli individui e sull’immaginario; naturalmente anche le droghe, l’alcol e tutte le sostanze che hanno un impatto psicofisico offrono un terreno di indagine altrettanto ricco. Il nostro obiettivo era di suscitare riflessioni sul modo in cui la letteratura contribuisce a mettere in scena esperienze corporee individuali e sociali, a plasmare e interrogare la materia fisica con cui l’uomo abita il mondo, attraverso nozioni come quelle di frontiera, di attraversamento e violazione, di identità ed estraneità, di incorporazione o espulsione.

  • 12 È il terrificante racconto di frate Alberigo in D. Alighieri, Inferno, XXXIII, vv. 109‑157.

12Quanto alla scelta di limitarsi al periodo che va dalla seconda metà dell’Ottocento a oggi, essa non vuole in nessun modo suggerire la scarsa rilevanza del tema in altre epoche — anzi, ci auguriamo che questo numero dei Cahiers d’études italiennes stimoli nuove ricerche che includano, per esempio, quei versi della Commedia in cui Dante riferisce di peccatori così immondi che la loro anima è caduta nell’inferno ancor prima della morte, allorché «il corpo suo l’è tolto / da un demonio, che poscia il governa, / mentre che ‘l tempo suo sia tutto volto»12, o ritornino, per contestualizzarlo diversamente, sul motivo dello sbigottimento in Cavalcanti, ove la vista della donna invade il corpo e lo svuota dei suoi spiriti vitali. È infatti nostra convinzione che un approccio diacronicamente ambizioso, meglio ancora se comparatistico (come quello del ricco contributo di Stefano Lazzarin sullo stupro), permetta di rivelare fenomeni e traiettorie altrimenti invisibili.

  • 13 M. Marzano, La philosophie du corps, cit., pp. 19 sgg.
  • 14 Quell’«extension du domaine de la lutte» che M. Houellebecq ha narrato nel suo primo romanzo (1994) (...)
  • 15 R. Donnarumma, La vita nascosta, Roma, Il ramo e la foglia, 2022, p. 118.

13È tanto più interessante occuparsi di ‘corpo invaso’ oggi, in quanto, come ricorda Michela Marzano, il dualismo storico che separa anima (o spirito / intelletto / ragione) e corpo, duro a morire nell’immaginario comune, sembra aver assunto un nuovo volto: quello che oppone materialità e volontà13. Certo, in tutte le epoche la forza della volontà è stata opposta alle pesantezze e ai torpori del corpo, ma se in passato quest’ultimo veniva dominato, mortificato e ‘silenziato’ di volta in volta in nome della verità, della virtù, dell’unione mistica col divino, in questa fase storica è il fantasma demiurgico della ‘fabbricazione di sé’ che oppone l’uomo al suo corpo, in nome di una libertà che tende a confondersi con la volontà di onnipotenza. Un nuovo, implacabile diktat sociale impone infatti di essere magri, belli, sempre giovani, sani, allenati, seducenti e ‘performanti’, nel quadro di un’economia dei desideri e di una retorica dell’apparenza, largamente gestita dal mercato, che spinge a identificare nel perfetto controllo del proprio corpo la condizione imprescindibile della riuscita sociale e della felicità14. ‘Controllo’: questa la parola-chiave in un’epoca dominata dallo specchio stregato in cui la pubblicità, i clip musicali e sportivi, le riviste, i videogames e il cinema mainstream hanno dilatato come mai prima l’ingiunzione occulta che l’unico corpo accettabile e degno di essere esibito è un corpo di cui si è perfettamente padroni. Dove non arrivano le creme di bellezza e i programmi di training personalizzati, arriva la chirurgia estetica, oppure — altra strada percorribile per sbarazzarsi delle miserie e dei limiti del nostro involucro carnale — giunge il mondo incorporeo del virtuale, in cui ci si può creare un avatar perfetto ed essere chi si vuole, come si vuole. Anzi, è senza dubbio l’opposizione tra immagini virtuali e realtà tangibile quella su cui si giocano i giochi dell’identità nel mondo contemporaneo. Di fronte a questa tendenza, un ‘corpo invaso’, per come lo abbiamo descritto, si volge nella direzione diametralmente opposta, quella marcata dalla perdita del controllo su di sé e la propria carne, come accade al personaggio di Bufalino, o anche semplicemente dalla percezione ineludibile del proprio corpo, su cui il principio di realtà si impone in tutta la sua concreta e inalienabile materialità. Nel suo recente romanzo La vita nascosta (2022), Raffaele Donnarumma dedica una lunga digressione al funzionamento dei siti di incontro omosessuali e all’erotismo virtuale, e descrive un ambiguo paradiso allucinatorio fondato su una «teologia della disincarnazione», in cui il sesso, traslato integralmente sul piano delle stimolazioni immaginarie e delle possibilità inesauribili, eludendo il contatto con delle persone in carne ed ossa, diviene «la forma più scorporata dell’amore vero»15, in una specie di ascetismo che permette l’uscita dal mondo e il godimento purificato del fantasme. A ciò viene contrapposto il modo in cui gli omosessuali si incontravano prima della comparsa di Internet, ovvero nei locali, le saune o i battuage:

  • 16 Ivi, p. 110. Poco più avanti (p. 115), è in questi termini che la voce narrante invoca, in un empit (...)

Ma predisporsi, decidere, uscire, andare, e sentire poi vicino a sé i corpi, il loro fiato caldo di vivi, esporsi agli sguardi o al diniego come sansebastiani al martirio degli arcieri era ogni volta una promessa e un pericolo, non c’era riparo alla presenza degli altri, anche se non beccavi nessuno o resistevi venivi invaso e attraversato da loro, ti difendevi perché, inerme, il desiderio potevi anche cercare di soffocarlo, ma ti spezzavano i gesti, gli occhi, le mani di quelli che erano lì, muti come nemici, pronti a concedersi come un inganno16.

14Se l’avatar virtuale — punto estremo dell’evasione dal corpo — è un doppio intangibile in cui il soggetto può trasfigurarsi con la massima libertà, in una lontananza dalla vita che protegge e deresponsabilizza, l’intruso che sorge inaspettatamente nel corpo di Vincenzino La Grua e gli uomini affamati di sesso appostati tra gli alberi in Donnarumma sono ‘doppi’ a cui non si sfugge, e con cui è necessario confrontarsi prima di tutto nella carne.

  • 17 Per una concisa storia della metafora dalle origini alla sua introduzione nella letteratura italian (...)

15Giocando con le parole, ma seriamente, possiamo affermare che, se la tendenza globale della civiltà occidentale è quella a un ‘corpo evaso’ — la metafora del corpo come ‘carcere’ dell’anima, d’altra parte, è altrettanto antica di quella orfico-pitagorica del corpo-tomba, divulgata da Platone17 —, orientare il focus sul corpo invaso significa ripercorrere a contropelo la storia del nostro immaginario, rimettere al centro ciò che era stato gettato in un canto.

2. Il ‘confine esposto’ della pelle

  • 18 Tra le pubblicazioni in cui Jean‑Luc Nancy conduce un discorso filosofico fortemente incentrato sul (...)
  • 19 J.‑L. Nancy, La Peau fragile du monde, cit., p. 146.
  • 20 Ibid. Del resto, all’inizio del Novecento, Freud afferma: «L’Io è in definitiva derivato da sensazi (...)

16Il corpo, dunque, inteso nella sua inevitabile valenza relazionale: come il luogo privato e più intimo che abbiamo, che si fa oggetto e soggetto, custode e custodito, voce e silenzio. Corpo che, se vogliamo concentrarci su uno dei dati fisici tra i meno considerati per definirlo, è uno spazio quantificabile in circa due metri quadrati di derma. Derma è cioé il corpo stesso, ne è la sua essenza oltre che il suo involucro. Di tale superficie delicatamente fragile, che è anche ‘la frontiera’ per eccellenza, Jean‑Luc Nancy ha incisivamente trattato in diverse opere18, riuscendo a mostrare quanto proprio nella peau si concentri l’organo degli organi, se non proprio l’esistenza stessa, costituendo la prerogativa dell’incontro con il mondo poiché «tout ce qui rencontre ma peau me rencontre et sans elle je ne rencontre rien»19. Tale centralità viene attribuita da Nancy al derma fuor di metafora, designando concretamente la pelle quale traccia e spia identitaria essenziale, poiché è «cela par où commence et finit une présence au monde et à soi : non seulement sa vie mais sa sensibilité, son activité et sa passivité, son expressivité et sa signification»20. Esporre tale entità, insieme a tutto il proprio corpo, condividerlo con chi entra in relazione con noi è una scelta che può essere volontaria e felice, o il frutto di un’azione subita, e poi somatizzata o sopita, nella psiche così come nell’organismo dell’individuo. Un’esperienza di contatto può tramutarsi nel più travagliato dissidio, degenerare nella lacerazione e la patologia, o restare nascosta in modo insospettabile sotto corazze e cicatrici ben celate, fino a detonare in modo manifesto.

  • 21 N. Cecchella, La continuazione degli occhi, Cremona, Giovanni Marchesi, 2024, p. 16.
  • 22 N. Cecchella, Marsia I (2015‑2022), gomma siliconica al platino, cemento, sabbia di fiume, ciglia; (...)
  • 23 J.‑L. Nancy, La Peau fragile du monde, cit., p. 145.
  • 24 Ibid., p. 147.

17Ascoltare la voce del corpo, lasciare libero accesso al suo perimetro e farsi teatro di metamorfosi o degenerazioni di vario ordine e cromia, è la prerogativa della vita in società e di quella condotta dialogando anche solo con il proprio doppio, ossia con la propria psiche, con l’altro in sé oltre che da sé: «[…] è il margine che ci viene dato. Un lembo di possibilità. Un’esposizione che da subito si presenta come totale e senza riserve. Da un dato punto in avanti, noi siamo. E con questo essere, totalmente esposto, entriamo in contatto e relazione»21. Così afferma l’artista e poeta Nicolò Cecchella, a cui dobbiamo l’opera apposta in copertina a questo numero, intitolata Marsia22, che dialoga con il tema dell’invasione del corpo, offrendone una sua interpretazione intensa e tormentata. Se il titolo è un’allusione esplicita al mito ellenico del satiro scorticato vivo per aver osato sfidare il genio musicale di Apollo, la realizzazione e i materiali di questa scultura ci conducono nel cuore dell’arte contemporanea, mostrando così la pervasività e la continuità del tema del corpo in ogni forma di linguaggio artistico, dall’antichità ad oggi. Cecchella incentra la sua ricerca proprio sui temi dell’identità e del corpo, colto per la sua manifesta presenza o nella traccia lasciata dalla sua assenza, interrogando limiti e tracimazioni tanto biologiche e materiche quanto concettuali. L’idea di ‘margine’, posta in relazione alla nozione d’invasione, non è neutra né priva di implicazioni immaginifiche e filosofico-linguistiche: una ferita è delimitata da margini — o da lembi come per l’appunto ricorda l’artista —, la nostra stessa pelle è un confine fragile, un’estensione esposta a ogni effrazione, un guscio che può essere infranto e violato con estrema facilità. Si tratta di ciò che Nancy, riferendosi alla struttura metafisica del «corps sans organes» di Artaud, ha definito «organe du corps sans organes»23, una sorta di metonimia del corpo e dell’individuo stesso. La componente fisica che si fa suo malgrado portatrice della nostra «singularité palpitante de l’énigme d’un être-à-soi en tant qu’il est de part en part hors de soi, proche et lointain […] répondant aux pulsions des bribes, des haleines ou des bourrasques du monde»24. Ogni relazione all’involucro che abbiamo e ‘siamo’ è perciò carica di senso non solo fisico e puramente cinetico, ma anche ontologico. Basta uno sguardo (come ci ricorda anche l’autore di uno dei contributi di questo volume già menzionato, Giuseppe Crivella, attingendo al pensiero di Lyotard), un gesto o una parola di troppo e l’invasione è in atto.

  • 25 J. Lacan, Le Séminaire, Livre XXIII, Le sinthome, Paris, Seuil, 2005 (1975‑1976), p. 17.

18Il linguaggio, in questo senso, non può esser considerato un puro elemento mediale, né una mera funzionalità in atto secondo regole innocentemente convenzionali, prive di connotazioni e peso simbolico. Al contrario: dove il corpo è profanato, straziato o anche solo occupato e reso teatro di un’insospettabile metamorfosi, il linguaggio si fa sismografo, si dissemina di tensioni e indici semantici che tradiscono quell’aggressione. La retorica dell’invasione è un’emanazione verbale che, in un qualche modo, sembra confermare la lacaniana convinzione secondo la quale lo stesso sentire istintivo è un fatto linguistico e non una semplice manifestazione fisica, che cioè le pulsioni sono «l’écho dans le corps du fait qu’il y a un dire»25; certo occorre che questo corpo sia recettivo al dire, e viceversa che la spinta di colui che modella la lingua dell’effrazione sappia ascoltare il corpo.

19È in questo senso, forse, che la letteratura ha il suo ruolo maggiore da giocare. La narrazione di una serie di incursioni può colorarsi della violenza dell’assalto o della rassegnazione dell’occupazione mollemente sopportata, della frenesia dell’alienazione più acuta o dei toni di una inquieta narcosi regressiva di chi, come nel contributo di Marie Fabre dedicato alle poesie di Elsa Morante, aveva sperimentato gli effetti provocati dalle droghe. La lingua del corpo aggredito e usurpato si fa prolungamento, eco e traccia dell’effrazione stessa. Il corpo linguistico si coagula, così, in immagini, storie e posture autoriali che le pagine dei contributi qui riuniti vogliono, nel loro campione certo ridotto ma poliedrico, mostrare come registrazioni di tensioni umane che possono parlare a tutti.

3. I contributi di questo volume

20Nel momento in cui scriviamo, la guerra è di ritorno sul continente europeo, e una nuova crisi è esplosa nel conflitto israelo-palestinese. Scenari e configurazioni che speravamo di non dover più vedere rinascono malignamente dalle loro ceneri, e invasioni, esodi, trincee e massacri distruggono vite e mettono di nuovo in crisi l’ordine mondiale. Evento catastrofico in cui nel modo più chiaro i corpi degli esseri umani sono esposti alla violenza, non sorprenderà che i primi due contributi del nostro volume si collochino proprio nel quadro della guerra.

21Nemola Chiara Zecca affronta un testo tra i meno noti di Ugo Tarchetti, il romanzo Una nobile follia (1867‑1867), nell’intento di rivelare le strategie letterarie utilizzate per rappresentare il malessere psicofisico del protagonista, forzosamente imbarcato nell’esperienza bellica della Guerra di Crimea (1853‑1856). È il linguaggio della psichiatria a essere preso in prestito dalla penna dello scrittore, e sebbene Tarchetti non arrivi ad infrangere il determinismo propugnato dalla disciplina alla sua epoca e riconduca la sofferenza mentale del suo personaggio a una degenerazione scaturita da tare ereditarie, l’autrice ritiene che «l’indagine letteraria, esente dalla velleità di sostituirsi a quella scientifica, sia stata in grado — per certi versi — di oltrepassarla, giungendo a profetizzare, attraverso una fine esplorazione dell’umano, scoperte e teorizzazioni successive». Tarchetti infatti, calandosi dentro il vissuto del suo personaggio Vincenzo Sporta, descrive di fatto quella sintomatologia del corpo provocata dalla violenza psichica che sarà riconosciuta e diagnosticata più tardi come ‘trauma bellico’. I medici dell’epoca cercano lesioni organiche che non trovano per spiegare l’alienazione dei soldati, ed è proprio sulla difficoltà per il positivismo di invertire il rapporto tra i due termini — tra ciò che parte dalle emozioni e ciò che si incarna e si manifesta nel corpo — che risiede uno dei motivi di interesse del contributo dal punto di vista della nostra tematica, nel quadro di un discorso che indaga il modo in cui la medicina — che sostanzialmente si occupa dei corpi — abbia influenzato l’immaginario letterario e popolare. La categoria dell’invasione si rivela proficua anche metaforicamente per decrittare il funzionamento della caserma: quel dispositivo sociale impiantato dallo Stato (Foucault docet), che abbrutisce i corpi e li riduce in suo potere inscrivendo su di loro e ‘in’ loro il proprio codice con l’uniforme, la disciplina, la gestualità militare e l’addestramento a uccidere. L’autrice non manca poi di evidenziare in che modo, nel romanzo, i corpi dei soldati — tormentati, massacrati, ammucchiati — divengano a loro volta ‘invasori’, saturando con agghiacciante pregnanza lo spazio narrativo.

22Gli effetti della guerra sono ugualmente al centro del contributo di Ugo Pavan Dalla Torre, che si occupa, con un taglio più storico, di mutilazione e invalidità, percorrendo la letteratura medica che si sviluppa intorno ai problemi dei menomati del primo conflitto mondiale e analizzando poi più nel dettaglio le memorie dei due reduci Carlo Delcroix e Giovanni Mira. L’invasione qui trattata è in un certo senso doppia: distruttrice per sottrazione e riparatrice per addizione. Da una parte, infatti, la mutilazione altera in profondità l’equilibrio del corpo e lo sfigura privandolo delle sue articolazioni anatomiche naturali; dall’altra, l’innesto di protesi artificiali, la produzione delle quali conosce un grande sviluppo proprio in quegli anni, tenta di supplire la perdita e restituire mobilità al reduce per un reinserimento nella vita attiva. Le conseguenze psicologiche e sociali di entrambi questi momenti, che costringono i mutilati a rinegoziare il rapporto con la propria identità e con le proprie aspettative di fronte alla vita, sono studiate con un’attenzione rivolta tanto agli aspetti retorici dei loro scritti, quanto ai quadri ideologici individuali e collettivi in cui si inseriscono. Il linguaggio cristiano che, dal martirio alla resurrezione, dota di un valore religioso il sacrificio dei mutilati, così come l’associazione del corpo del soldato con il corpo della nazione, o ancora l’accostamento delle mutilazioni alla ‘vittoria mutilata’ della pace di Versailles, sono aspetti linguistici che, come mostra l’autore, fanno parte di una narrazione collettiva, in cui il reduce si oppone all’idea di un essere deviante o minorato rispetto alla norma rappresentata dal corpo sano, e valorizza al contrario la menomazione subita. Il corpo invaso diviene insomma motore di un’epopea patriottica, che dà senso al sacrificio individuale, innesca un processo di resilienza e innalza i mutilati allo statuto di memorie viventi — e visibili — di eroismo e abnegazione.

23Si cambia scenario con il corpus analizzato da Michela Toppano, in cui il dialogo tra scienza e letteratura, che pur ritroviamo, investe stavolta le potenzialità, i limiti e i lati oscuri del progresso. Si tratta, per l’autrice, di osservare come, in alcuni testi poco esplorati del genere popolare detto ‘di anticipazione’, pubblicati tra 1901 e 1925 (tra gli autori, Almerigo Ribera, Egisto Roggero, Onorato Fava, Italo Toscani), vengano messe in scena delle intrusioni nel corpo umano volte a manipolare la materia biologica con mezzi tecnologici e scientifici d’avanguardia — sebbene spesso apparentati alle pratiche dell’occultismo e della magia. L’immaginario mitico che va dal Golem alla stregoneria, dall’alchimia alla possessione diabolica, e alcuni grandi modelli letterari come The Island of Doctor Moreau di Herbert G. Wells, The Murders in the Rue Morgue di Edgar A. Poe, Frankenstein di Mary Shelley, tracciano l’ampio cerchio nel quale può essere inscritto il corpus italiano, con i suoi tratti di originalità e le sue specificità. Nell’obiettivo di mostrare come i testi pre‑fantascientifici presi in esame mettano in scena il sogno prometeico di controllo assoluto sul corpo e la materia (e sulla psiche, che per il positivismo è organicamente fondata), la studiosa propone una griglia di lettura che distingue «quatre types de narrations bien reconnaissables qui répondent à des préoccupations et des fantasmes distincts et spécifiques de l’époque». Che si tratti di insufflare la vita in un corpo inerte o di perfezionare un organismo difettoso, di incrementare le capacità cerebrali di scimmie o individui umani, o di esercitare un controllo sulla mente altrui, è il sogno di onnipotenza che oggi collocheremmo nel discorso transumanista ad essere declinato in questi testi, in cui la materia organica, invasa da elettricità e flussi magnetici, da sostanze chimiche e raggi x, diventa una cosa nuova ed estranea. Nel periodo studiato, l’atto carico di hybris dell’uomo che prende il posto di dio grazie alla scienza, non può non approdare alla sanzione e al fallimento, anch’essi variamente declinati in base alle situazioni narrative. I testi in esame infrangono infatti tutta una serie di frontiere antropologicamente forti, come quella tra l’uomo e la bestia, tra i morti e i vivi, tra oggetti inerti ed esseri animati, tra identità autonome e distinte, tra esteriorità e intimità. Queste trasgressioni sono tanto ‘sacrileghe’ quanto lo è l’invasione dei corpi su cui di volta in volta si fondano, e di cui i testi offrono rappresentazioni angosciose e spesso raccapriccianti, con la descrizione di macchine applicate a crani aperti, trapianti e ibridazioni sinistre, o stati di depossessione in cui il corpo è ridotto a un automa (dove l’invasione è quella operata da una volontà estranea e nemica). Altrettanto interessante per la nostra tematica, è il tentativo dell’autrice di definire in che modo il dualismo spirito/corpo viene riconfigurato dal positivismo, il quale tende a riavvicinare i due termini quando non a farli coincidere in una stessa immanenza materialistica.

24Un giro di vite nel dispiegamento di tutte le potenzialità descrittive e inventive di cui la lingua dispone nel delineare corpi immaginari e nell’immergersi nel variopinto caleidoscopio della materia organica, è compiuto dallo scrittore italo-argentino di espressione italiana Juan Rodolfo Wilcock, al quale è dedicato il contributo di Giuseppe Crivella. Appoggiandosi a concetti teorizzati da Sami‑Ali, Jean Louis Schefer, Jean François Lyotard (quali somatisation, déréalisation, corps interstitiels, discorps), l’autore mostra come l’opera di Wilcock sia capace di dar luogo a un’iperbolica serie di invasioni fisiche che non mancano di alludere a diverse forme di corporeità, soffermandosi in modo particolare sui toni dell’ipertrofico e del deviante. Wilcock, infatti, inscena nella sua prosa un «coacervo sperimentale di deformità», come nel caso della raccolta edita nel 1972 da Adelphi, Lo stereoscopio dei soldati, vergando pagine in cui tutto brulica di corruzioni e di corpi che precipitano. Crivella ricorda infatti che Wilcock, «in forza di una lancinante calligrafia di flussi emorragici e linfe organiche», mostra costantemente il corpo in un processo in cui si frantuma e disperde. L’apertura del corpo e la sua dissezione, il dispiegamento della materia sviscerata e resa ontologicamente indeterminata — oppure l’invenzione di creature dalla natura polimorfa e plurale — lo trasformano a tal punto da spingere il baricentro dell’invasione verso il tema della metamorfosi (tema che già compariva nel racconto di Bufalino come alternativo o forse complementare a quello dell’invasione). È una sfida lanciata alla ragione e al linguaggio, alla capacità di ordinare e nominare l’inaspettata e prolissa assurdità che il corpo nasconde; un contatto dissacrante che fa della forma umana, e della coscienza concepita come identità, un accidente puramente epidermico rispetto alle miriadi di altre forme e vite che si agitano nelle profondità di viscere, organi e mucose. Ferite rose da parassiti, esperimenti intrusivi, aberrazioni mostruose divengono la porta d’entrata per una totale riformulazione del corpo, della coscienza e del loro significato. L’invasione, se si presenta innanzi tutto come sguardo inquisitorio su ciò che è nascosto, si afferma poi soprattutto sul piano concettuale: essa consiste in uno straniamento che trasforma il corpo in un oggetto assurdo, opaco e inumano. Tra l’altro, quasi a completare la famiglia di scienziati sospesi tra genio, follia e criminalità presenti nel contributo di Michela Toppano sulla letteratura d’anticipazione, Crivella attira l’attenzione su due medici di cui Wilcock riferisce nella Sinagoga degli iconoclasti (1972): Luis Fuentecilla Herrera, che crea delle camere di essiccazione per i moribondi, al fine di cogliere il frangente preciso del trapasso dalla vita alla morte, e Henrik Lorgion, che tenta di isolare la fantomatica sostanza che dovrebbe contenere la codificazione della bellezza e dell’armonia fisica, chiamata ‘eumorfina’. Ancora una volta, la «febbrile e spietata libido vivisezionatrice», che spinge questi uomini a esperimenti atroci, fallisce, e ancora una volta il corpo dell’uomo e quello della Natura sono frugati, violati, spinti a stati limite — così come Wilcock «spinge così a fondo la propria esplorazione del corpo umano da poter essere egli stesso a tutti gli effetti annoverato in quell’improbabile enciclopedia di pravi spiriti magni affetti da una follia tanto metodica quanto insanabile».

25Dopo la guerra e le speculazioni parascientifiche, con i due contributi che seguono ci spostiamo su altre forme di invasione, che hanno goduto per lungo tempo della connivenza delle strutture sociali ed economiche dominanti — o sono forse, in gran parte, il risultato di quest’ultime — e che la letteratura si è assunta il compito di rappresentare e denunciare: la violenza sessuale e quella inflitta ai corpi dal lavoro (ma rientra altrettanto bene in questo ambito la denuncia tarchettiana della caserma e dell’addestramento militare emersa nell’analisi di Nemola Chiara Zecca).

  • 26 R. Ceserani, M. Domenichelli e P. Fasano (a cura di), Dizionario dei Temi Letterari, 3 voll., Torin (...)
  • 27 Il processo di dissoluzione è ancora in pieno svolgimento. In tutto il mondo, dopo la liberazione d (...)

26Dialogando con la voce ‘Stupro’ elaborata da Stefano Manferlotti per il DTL26, Stefano Lazzarin studia l’emergenza di questa particolare declinazione del tema del corpo invaso, cartografandolo sulla lunga durata; lo scopo è di proporre una periodizzazione che renda conto della sua presenza sempre più crescente e massiccia nell’Ottocento, e della sua vera e propria esplosione nel Novecento e nella letteratura contemporanea. Lo studioso osserva infatti come «a partire da una certa epoca lo stupro diventa molto più ‘corposo’ e più ‘carnale’ nelle immagini della letteratura, meno asettico o simbolico», al punto da permettere di parlare di un’autentica «svolta storica». Le ragioni di questa svolta, che l’autore colloca a cavallo tra Sette e Ottocento, non vanno cercate tanto in ambito estetico, come conseguenza delle poetiche naturalistiche che aprono alla rappresentazione letteraria territori della realtà prima impensabili, quanto nel profondo cambiamento sorto nella sensibilità moderna rispetto ad un atto che viene sempre più sentito e denunciato come scandaloso e intollerabile. Muovendosi su una ricchissima tastiera di esempi che partono dalla mitologia greca e attraversano le letterature occidentali, con riferimenti che vanno dai romanzi cavallereschi francesi al conte philosophique, dal gotico al realismo magico, dal romanzo mimetico-realista e quello fantastico, ricordando anche la vena sadica del Poema a fumetti di Buzzati, Piazza d’Italia di Tabucchi, il caso dei ‘cannibali’ degli anni Novanta e i romanzi di Walter Siti e Giulio Mozzi, l’autore mostra che «fino a una certa epoca, le basi culturali che fondano e giustificano la pratica sociale dello stupro sono molteplici e solidissime», e che «a mano a mano che queste basi culturali cadono o si indeboliscono, lo stupro rimane per così dire ‘nudo’, privo di quelle strutture esplicative e giustificative che lo sorreggevano in precedenza, facendone qualcosa di prevedibile, accettabile, tacitamente o addirittura legalmente consentito; e si rivela per quello che è: atto di violenza, prevaricazione, negazione dei diritti dell’individuo». Queste basi cominciano a crollare con la fine dell’ancien régime, ma non si dissolvono né rapidamente né completamente27. Per tornare alla guerra, viene ancora per lungo tempo considerato normale (e in certi casi ciò vale ancora oggi) che l’invasione militare di un territorio nemico autorizzi lo stupro delle donne da parte dei soldati vincitori, in una maligna omologia simbolica tra corpo della nazione e corpo femminile. I due testi oggetto di un approfondimento specifico — Le supplici di Eschilo (463 a.C.), al di qua alla svolta storica, e il poco noto romanzo Monte Ignoso di Paola Masino (1931), al di là — mostrano con chiarezza quanto il tema spinga a riflettere sul rapporto conflittuale tra i sessi e l’affermazione di un diritto delle donne ad esprimersi e affermare il loro punto di vista, in veste di personaggi o di autrici.

27È invece la violenza implicita nel lavoro, o in un certo tipo di lavoro — quello alienante della fabbrica —, al centro del contributo di Marie Thirion su Ferruccio Brugnaro, operaio-poeta che ha lavorato al Petrolchimico di Porto Marghera a partire dalla fine degli anni ’50. Nel contesto della letteratura working class, in cui il corpo è spesso l’oggetto di rappresentazione per eccellenza in quanto luogo di iscrizione dei rapporti di potere, l’autrice offre un’analisi dettagliata di alcuni componimenti della prima raccolta di Brugnaro, Vogliono cacciarci sotto: un operaio e la sua poesia, pubblicata nel 1975. Suo obiettivo è far emergere «l’ambivalence du thème de la corporéité»: se infatti il corpo dell’operaio può essere considerato un corpo invaso — dai ritmi della fabbrica, dai gesti ripetuti, dalle esalazioni chimiche, dalle sostanze e gli oggetti manipolati oltre che dalle ingiunzioni della produzione —, in esso risiede anche una fonte di resistenza, che si coniuga con la lotta politica e la condivisione della parola con i compagni di lavoro.

28Quella di Brugnaro è una poesia fatta di materia, di grovigli di ferro e cemento, di ruggine e cavi elettrici, di nebbie dense, calce, bulloni e inferriate; ma una materia che, colonizzando e opprimendo il corpo attraverso i sensi, si traduce in stati emotivi — angoscia, sfinitezza, abbattimento — che approdano a uno ‘svuotamento’ dell’essere umano nella sua totalità psicofisica, procedendo, per così dire, dalla carne allo spirito. Ritroviamo una forma di straniamento operata sul corpo dell’operaio che, imbrattato e sfibrato, metamorfizzato in animale o in macchina, non riconosce più la propria immagine e diventa qualcosa di diverso da un uomo. È quindi logico che i momenti liberatori della lotta — come gli scioperi del ’63 —, investiti da una luce di speranza, vengano caratterizzati, come mostra l’autrice, dal recupero di tutti i sensi della percezione umana: «les corps qui se rebellent sont des corps qui perçoivent (les cris, les odeurs, les goûts et les couleurs) et qui s’emplissent ainsi à nouveau de vie». Alcune grandi opposizioni di fondo sostengono la poesia di Brugnaro: tra la natura sentita come spettacolo della bellezza e spazio aperto di evasione, e la fabbrica dipinta come prigione orrenda e artificiale, luogo chiuso della schiavitù e dell’alienazione; tra silenzio e isolamento imposti dal rumore e dal lavoro, e linguaggio dalla poesia, che è condivisione e slancio vitale. Anche l’opposizione tra corpo e anima è presente nell’opera del poeta, ma forse sarebbe meglio parlare di ‘integrazione’, visto che l’invasione del primo approda allo svuotamento di entrambi, e poiché la centralità della materia fa affiorare una figuralità specifica, che da una parte tende a fare dell’anima un oggetto concreto (essa è detta «in frantumi», «indurita», in Riporterò a casa come sempre), dall’altra ad ‘animare’ parti del corpo giocando con forme di personificazione (il sangue degli operai, invasi dalla gioia della lotta, «sbraita» in È la prima volta). Notiamo contestualmente che, se la filosofia tende a rendere la distinzione tra anima e corpo ormai obsoleta, la letteratura continua a sfruttarne, al contrario, l’immediatezza e l’efficacia rappresentativa, la tradizionale accessibilità.

29Con l’ultimo saggio il discorso si sposta su un ambito ancora diverso, ma nel quale permane un rapporto stretto tra invasione e creazione poetica — anche se in quest’ultimo caso l’invasione è volontaria e ricercata. Marie Fabre analizza infatti alcuni componimenti de La commedia chimica, seconda sezione della raccolta Il mondo salvato dai ragazzini (1968) di Elsa Morante, sintonizzandosi sull’esperienza di un io lirico che si confronta con la sofferenza quale elemento «trans‑historique» e «trans‑subjectif». Più specificamente tale dolore viene affrontato attraverso una sperimentazione delle droghe, una scelta intensa che si tramuta in una vera e propria «échappée chimique» finalizzata ad ottenere due risultati cruciali: in primo luogo, giungere a una forma di sedazione dell’insostenibile sofferenza esistenziale e, in seconda battuta, portare la coscienza oltre i limiti e le frontiere dell’io. Nel periodo in cui lavora a questa raccolta, Elsa Morante sperimenta non solo l’LSD sotto la supervisione e il controllo medico, ma anche la mescalina, vivendo un’effrazione sensoriale che la affollerà di ricordi e di visioni, offrendosi quasi come un contraltare a un’altra entità fortemente invasiva: quella del lutto per la perdita del giovane amante. L’invasione chimica delle droghe, mostra Marie Fabre, può esprimersi attraverso deliri e miraggi, morganes e visioni psichedeliche. Morante dà così conto di esperienze liminari che rivelano un io lirico fragile e in bilico, «un sujet en tension avec sa propre dissolution». Ancora una volta, il dualismo tra corpo e spirito si rivela una categorizzazione tenace e poeticamente efficace, ed investe in profondità le strutture dell’opera di Elsa Morante, riflettendosi nella dicotomia tra realtà e irrealtà. In una sorta di neoplatonismo o di neomisticismo chimico, infatti, le invasioni del corpo — descritto anche nelle sue reazioni fisiologiche, oltre che metaforicamente inteso come carcere o barriera, e coperto di cenere o polvere — aprono lo spirito alle sue evasioni, ai suoi (ambigui) viaggi nel regno dell’illimitato.

4. Due voci poetiche per raccontarci l’invasione

  • 28 Questa stringa di Walter Benjamin è riportata da F. Rella, Territori dell’umano, Roma, Jaca Book, p (...)
  • 29 F. Rella, Territori dell’umano, Roma, Jaca Book, 2019, p. 103.

30Marie Thirion e Marie Fabre si sono calate nel vissuto lirico di due poeti capaci di evocare aspetti ineluttabili e misterici dell’invasione corporea, e su questa scia intensa e intima, nell’ultima sezione di questo numero, abbiamo pensato di offrire uno sguardo particolare sulla lingua dell’invasione parlata da due poetesse di oggi. Quest’ultima parte, quindi, desidera proporre la lettura delle parole, delle immagini e delle presenze che due autrici contemporanee, Roberta Durante e Isabella Tomassi, hanno viste affiorare in loro. Sono quindi configurazioni da frequentare e afferrare senza sovrastrutture, senza temere di non maneggiare assunti teorici o di non avere chissà quali strumenti di decodifica. Ognuno con la propria sensibilità, mettendo in prospettiva il proprio sentire con quello delle autrici, è invitato a gustare quel «torso di mondo vero»28 che la poesia cerca di far risuonare, dove per ‘torso’ si intende sia il singolo frammento risultato da una totalità amputata, sia la parte centrale di un frutto che ne racchiude l’essenza, e la speranza di progenie nei semi. Pensiamo che questo semplice incontro, frontale e spontaneo, possa essere il primo movimento per arrivare alla conoscenza di una poesia contemporanea che dell’invasione dà una lettura tanto originale (di certo sempre personale e parziale) quanto empatica. Come direbbe il filosofo e critico Franco Rella chiosando la poesia di Rilke «proprio la nostra capacità di parola, di dire le cose, e tra le cose anche il dolore, fa sì che noi siamo ein Rettendes, qualcosa che salva, che le fa essere cosa, che dice di loro “quello che non sanno di essere nel loro intimo”»29. Ecco che, senza l’ambizione di ‘salvare’ ma senza dubbio imbracciando la volontà di nominare e far agire il potenziale del linguaggio, la poesia di quest’ultima sezione si propone alla lettura per esplorare in modo diverso l’invasione del corpo, ricorrendo quindi al codice, costituito da quella antinomica resistenza-resa delle parole, che la poesia sa mettere in campo. Come se si potesse trattare di corpi soggetti alle incursioni con un dettato se non pacificato dopo l’assalto, per lo meno più riflessivo e intimo. Si tratta di testi in cui si trae il respiro e l’insegnamento dall’esperienza contaminante, riuscendo a farla risuonare in immagini sintetiche suggestive, come una microfisica rara e sottile, per quanto irradiante e appassionata.

  • 30 M. Leiris, Mots sans mémoire, Paris, Gallimard, p. 277.

31È questo ciò che accade, sebbene con modalità molto diverse, nei versi di cui ci hanno fatto dono Roberta Durante e Isabella Tomassi. Due autrici che interpretano e vivono il tema del corpo, nella fattispecie il corpo in interazione con quello altrui, posto al centro di una costante invasione da parte della vita, riuscendo a cristallizzare questa connivenza col mondo in immagini che potremmo definire come «quelque chose de l’ordre d’un feu frais ou d’un désert surpeuplé»30. Poesie che diventano, tra l’altro, anche la traccia del farsi e disfarsi dell’esperienza di coabitazione dell’io con il corpo. Nei versi di entrambe le poetesse il corpo è intaccato, percorso, mutato, e poi sopravvissuto e restituito sulla pagina con una forte carica autobiografica che, come spesso accade in poesia, si mescola a una forte volontà di condivisione. Per queste due autrici, infatti, emerge una tensione verso la partecipazione del lettore: l’io poetico si proietta fuori da sé, e offre istantanee e racconti di invasioni private capaci di farsi universali.

  • 31 A. Cortellessa, La fisica del senso: saggi e interventi su poeti italiani dal 1940 a oggi, Roma, Fa (...)
  • 32 N. Lorenzini e S. Colangelo, Poesia e Storia, Milano, Mondadori, 2013, p. 274.

32Sono voci diverse, sia per quanto riguarda la ritmica che per le predilezioni figurali che attivano in atmosfere e aree differenti, tuttavia conducono in modo analogo un’indagine spesso monologante che tematizza esplicitamente tanto il corpo quanto l’azione della parola. Così accade che, per dirlo con le parole di Andrea Cortellessa «il corpo-che-parla è soprattutto […] luogo emittente di istanze caratterizzate in senso ideologico»31. Leggere queste poesie consente cioè di confrontarsi con due modalità differenti di semantizzare l’invasione del corpo in versi, e di situarsi nel panorama della poesia degli anni Duemila, scenario frastagliato, ormai senza canone, costellato di esperienze tra le più eterogenee, ma che, ci sentiamo di dire, dopo le esperienze delle Neovanaguardie, della Poesia vocale e le sperimentazioni più disgreganti, si delinea spesso per «la necessità di dire di nuovo ‘io’»32. Questo, tuttavia, non deve leggersi quale fuga intimistica o esclusivamente solipsistica: il soggetto in epoca postmoderna non ha la stessa tenuta e monoliticità che poteva avere nel solido assito lirico del Novecento. Vero però è che questo ‘io’ poetico trova nel corpo una sua estensione da indagare, a tratti metaforizzandolo sotto forma di «labili confini» e di un’entità definibile come «un pezzo rosa frastagliato con le coste bagnate / dai popoli del nord», proprio come accade in alcuni versi di Durante, a tratti riducendolo a pura ‘mente’ in cui visualizzare tanto «masserizie» quanto un vuoto terreno da gioco, come in alcune immagini di Tomassi.

  • 33 R. Durante, I bimbi sperduti, Torino, Einaudi, 2023.
  • 34 N. Scaffai, Poesia e critica nel Novecento. Da Montale a Rosselli, Roma, Carrocci, 2024.

33Più nello specifico, nel caso di Roberta Durante, poetessa che ci permette di entrare nella sua ultima raccolta, I bimbi sperduti33, il sogno, l’illusione e il tremolio fragile di un possibile futuro costituiscono il filo che intrama molto del tessuto poetico. Questa autrice rende dolci e amare le ‘invasioni’ di quell’io che abita i suoi versi, mentre il corpo è di volta in volta calato in immagini efficaci quanto distanti tra loro per area semantica e tono. Se infatti in alcuni componimenti è quasi ridotto a una «conformazione territoriale cartina fisica stavolta / stravolta», in altre poesie può farsi pura voce, o meglio «corda vocale / fuori tuta di ortica» mentre dentro confessa che si percepisce «orchestra animale». Questi versi mostrano come Roberta Durante, analogamente a molta poesia contemporanea, attinga anche al dato metaletterario, aspetto che la accomuna alla poetica di Tomassi, in quanto entrambe sono dedite alla tematizzazione in versi della loro riflessione sul ruolo della parola poetica. Questo è un aspetto che riconduce le due poetesse all’eredità novecentesca della poesia italiana post‑montaliana. In particolare di quella del secondo Novecento che coniuga il piglio critico e quello compositivo, facendo della scrittura poetica non solo un laboratorio stilistico ed estetico, ma anche spesso il perno dell’elaborazione del pensiero, ossia un luogo in cui, come ha illustrato Niccolò Scaffai34, lo scrivere in versi si sovrappone e si amalgama con l’elaborazione critica. Il metaletterario, cioè, non è un tema tra tanti, ma una reale necessità affiorante, un respiro, e con esso si impone la riflessione sulla lingua quale altro possibile ‘corpo’ che ogni giorno invadiamo con un uso ora indolente ora manipolatorio e violento.

34Percorrendo le poesie delle due autrici incontriamo, sebbene con toni e schemi strofici molto diversi, una stessa spasmodica attenzione al fatto che «il vocabolario si fa necessario» e che il ‘tu’ destinatario della poesia sentirà, molto probabilmente, parlare una lingua straniera, poiché tale è l’idioma che forse sa rendere conto «di questa vita interna fatta di pulsare e di pensieri». Una lingua che forse non tutti capiscono, come accade, del resto, a quella del corpo.

35In questo senso Isabella Tomassi, poetessa italiana che si occupa da sempre di promozione culturale, oltre che ricercatrice in ambito antropologico e urbanistico, porta a nostra conoscenza degli inediti che rivelano uno scenario ruvido e aspro. Nella sua soggettiva entrano da un lato l’agire umano, nelle sue vesti più violente — dall’evocazione della sommossa a quella del populismo, oltre che dalle inuguaglianze e dalle vuote astrazioni —, dall’altro una volontà spesso frustrata di codificare i desideri e il vissuto.

36Infatti i suoi versi celebrano un «corpo all’aria / fuori dalle maschere» come se l’invasione più cruda fosse quella operata proprio dal corpo, agente e oggetto, lanciato in un’offensiva inevitabile ai danni del mondo, e come se l’uscire allo scoperto da parte dell’io fosse l’aggressione più temibile.

37Se Tomassi passa in rassegna corse a perdifiato, muri spogli contro cui far rimbalzare palle da tennis solitarie, crude giornate di sole e parti di corpi elencate come in rapsodica carrellata fotografica, Roberta Durante procede come un’accurata collezionista che repertoria raramente cocci montaliani aguzzi, e maneggia piuttosto oggetti che potrebbero occupare un’ipotetica Wunderkammer. Nei suoi versi si respira anche una fragile ironia che aleggia attorno a entità tanto eteree quanto inquietanti quali miraggi e «sogni per metà» o «corpi molli senza scheletro», mentre il centro della scena è occupata da una brulicante metafisica degli oggetti. Questa sorta di docile chincaglieria, viene predisposta in un’atmosfera che, sebbene sembri rarefatta e soffusa, sa dar voce anche con violenza a un accumularsi di arenili smangiati, corpi sfuggiti a insospettabili stragi, «bave alla bocca che colano» e «occhi-nocciole», acuti e capaci di torturare.

38Isabella Tomassi, dal canto suo, si muove modellando un verso metricamente breve, che rifugge l’accumulazione formale, seppure la riproduca, in cascata, facendo scendere in picchiata versi brevissimi, il cui l’enjambement, sempre in agguato, coglie di sorpresa il lettore e biforca le letture possibili. In questo modo suggerisce la natura dello strappo e l’impulso dell’insurrezione anche attraverso una scelta metrica rapsodica e, a tratti, ruvida, che in un certo senso frammenta tanto l’osservazione — come stessimo guardando fotogrammi separati — quanto il senso di appartenenza a un luogo e a un tempo. Il verso di Tomassi, a volte iniziato con anafore ossessive, a volte costituito da un singolo verbo, si fa secco, mordace. La sua riflessione metapoetica mostra come la poesia contemporanea si carichi di una funzione quasi ottica, quella cioè di lente focale che non crea il fenomeno ma, piuttosto, cerca di portarci vicino alla visione della scena in cui esso si manifesta. È cioè una poesia che non prevede prese di distanza, non ricompone il quadro di insieme, ci consente invece di spiare da vicino le configurazioni in cui avviene la vita. Anche quando tale esistenza è scomoda e impone compromessi, articolandosi in un confronto costante con effrazioni tanto cercate quanto subite. La relazione, ci dice infatti Tomassi, si dà toccando limiti e intimità altrui, obbligandoci a chiederci a ripetizione «cosa fare dell’euforia / di altri corpi dell’invasione / degli sguardi e odori». Immagini che, sebbene in un microcosmo con altri colori, fanno eco a quella di Durante che evoca l’esistenza nell’io lirico di «dogane, sorvegliate notte e giorno / dagli insetti come fossi morta». Ancora una volta si tematizza il limite, l’involucro ideale e fisico del corpo, il punto in cui l’ingresso e l’effrazione avvengono.

39Al termine della lettura dei testi di Durante e Tomassi, pensiamo che ‘complicità’ sia il concetto chiave che si impone spontaneamente, un possibile filtro attraverso il quale sciogliere, almeno in parte, l’enigma lirico elaborato da entrambe le autrici. In altre parole, si va alla ricerca e si inizia la costruzione di un habitat antropico e lirico da condividere. Un sentimento di raggiunta familiarità che ogni invasione, costitutivamente, non può portare con sé, ma che si dovrebbe imparare a conquistare per attutire l’urto con l’altro e con il mondo.

5. «Le simple fait d’être né est une chose très féroce»

  • 35 J. Littell, Triptyque. Trois études sur Francis Bacon, Paris, Gallimard, 2011, p. 15.

40È l’intensa affermazione di Francis Bacon che lo scrittore Jonathan Littell riporta in un suo studio in lingua francese dedicato alla pittura di questo artista perturbante35. Il pittore britannico, affascinato e tormentato dalle fragilità e le contorsioni della carne e dell’identità, descrive in questo modo l’esistenza; un Bacon artefice di opere che traducono in forme e colori infinite variazioni di invasioni, sotto le spoglie di metamorfosi abnormi, deformazioni di membra e volti, così come immagini astratte, partorite dalla sua mente inquieta. Egli ci ricorda che venire al mondo implica una profonda violenza intrinseca, e rappresenta senza dubbio un’invasione da diversi punti di vista: invasione del corpo materno, invasione del corpo del mondo che deve accogliere una nuova presenza, e infine invasione / deformazione dell’equilibrio prenatale della stessa vita nascente, catapultata in una nuova dimensione. Infatti il nuovo essere, gettato al di là della nascita, dovrà affrontare per tutta la sua esistenza una lunga serie di invasioni.

  • 36 A. Artaud, Le Théâtre et son double, Paris, Gallimard, 1938, p. 141.

41Se una delle vesti più silenti ma anche lancinanti che il corpo invaso può assumere è il corpo dell’alienato — ove l’alienazione, come affermava Antonin Artaud, è «spectre plastique et jamais achevé»36 — tale riflessione mette in evidenza il dato non conclusivo dell’invasione, il processo e l’effetto in costante divenire. Non tanto perché l’irruzione sia materialmente sempre in atto, ma piuttosto perché essa segna l’inizio di una serie di fenomeni e metamorfosi inarrestabili, che costituiscono la struttura di un nuovo e inquietante esistere. In altre parole: un corpo invaso, anche qualora venga ‘liberato’ dall’usurpatore, sia esso fisico o psicologico o di altra natura ancora, non tornerà più come prima, resterà segnato, ustionato, lesionato, o, nel migliore dei casi, ibridato, esaltato, accresciuto.

  • 37 Teniamo a ringraziare l’insieme degli autori, ricercatori, colleghi che ci hanno offerto la loro pe (...)

42L’esperienza dell’invasione contribuisce quindi, come ogni esperienza di relazione, a decretare la fine dell’illusione dell’unità di un corpo e quindi dell’‘io’, e predispone ogni soggetto alla constatazione che la frattura è una delle più consuete condizioni esistenziali, vissute in seno a un processo mai terminato, ripetibile a oltranza. Il tema del corpo invaso ci ha portato così, attraverso le riflessioni condotte dagli autori di questo volume, a ripensare alla letteratura come alla cronaca, registrazione, eco o mistificazione di un soggetto esposto a un costante processo di contatto ed effrazione, dove l’io ora è usurpato, ora è, lui stesso, invasore37.

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Notes

1 Apparso su «La Repubblica», nella rubrica «I racconti dell’estate», tra il 21 e il 22 agosto 1983, poi ristampato nel 1986 da Bompiani in prima posizione nella raccolta di cui è divenuto eponimo.

2 G. Bufalino, L’uomo invaso, in Id., Opere, a cura di Maria Corti e Francesca Caputo, vol. 1, Milano, Bompiani, 1981‑1988, pp. 403‑410.

3 Ivi, p. 407.

4 Ivi, p. 410.

5 Da un certo punto di vista, il racconto di Bufalino rappresenta una variazione sul grande tema del doppio, sul quale si veda, per una panoramica, M. Fusillo, L’altro e lo stesso. Teoria e storia del doppio, Modena, Mucchi, 2012 (1998) e, per un focus ristretto, B. Laghezza, «Una noia mortale»: il tema del doppio nella letteratura italiana del Novecento, Pisa, Felici, 2012. Nel quadro della nostra tematica, è di sicuro interesse accostare L’uomo invaso a un testo di Jean‑Luc Nancy, L’Intrus, Paris, Galilée, 2010 (2000), in cui il filosofo francese avvia una meditazione sull’accettazione dell’étrangeté e i confini dell’identità in seguito a un trapianto di cuore.

6 I saggi derivano dalle relazioni orali presentate nell’ambito di due giornate di studio, organizzate da chi scrive all’Université Grenoble Alpes il 31 maggio e l’11 ottobre del 2022, con il sostegno del laboratorio LUHCIE e della Commission culture della stessa UGA.

7 Cfr. J.‑J. Courtine, «Introduction» a Id. (a cura di), Histoire du corps, vol.: 3. Les mutations du regard. Le xxe siècle, Paris, Seuil, 2006, e si veda M. Marzano, La philosophie du corps, Paris, PUF, 2016 (2007).

8 Cfr. U. Galimberti, Il corpo, Milano, Feltrinelli, 2009 (1983), p. 11.

9 Cfr. per esempio le critiche di M. Marzano, La philosophie du corps, cit., pp. 72 sgg.

10 Moltissimi sono ormai i contributi sul tema del corpo in letteratura. Ci limitiamo a citare il ricco volume a cura di M. Paino, M. Rizzarelli e A. Sichera, Scritture del corpo, Atti del XVIII convegno internazionale della MOD (22‑24 giugno 2016), Pisa, ETS, 2018, da cui il lettore potrà desumere ulteriore bibliografia, e in cui non pochi contributi contengono spunti affini con la tematica specifica del corpo invaso.

11 Cfr. lo studio di P. Brooks, Body Work, Cambridge / London, Harvard University Press, 1993: «My main concern throughout is with the creation of fictions that address the body, that imbed it in narrative, and that therefore embody meanings: stories on the body, and the body in story» (p. xi).

12 È il terrificante racconto di frate Alberigo in D. Alighieri, Inferno, XXXIII, vv. 109‑157.

13 M. Marzano, La philosophie du corps, cit., pp. 19 sgg.

14 Quell’«extension du domaine de la lutte» che M. Houellebecq ha narrato nel suo primo romanzo (1994). Per un discorso più ampio sui rapporti tra estetica e società, si può vedere B. Carnevali, Le apparenze sociali: per una filosofia del prestigio, Bologna, Il Mulino, 2012.

15 R. Donnarumma, La vita nascosta, Roma, Il ramo e la foglia, 2022, p. 118.

16 Ivi, p. 110. Poco più avanti (p. 115), è in questi termini che la voce narrante invoca, in un empito di cupio dissolvi, la completa invasione del virtuale sulla sua persona: «Voi angeli, voi virtù, voi potestà, voi, dominazioni, installatevi nello spazio della mia mente, spazzate con lo strepito delle vostre ali i residui della mia carne — e rapitemi nel vortice luminoso dei pixel, trascinatemi dove non sarò più nessuno!».

17 Per una concisa storia della metafora dalle origini alla sua introduzione nella letteratura italiana da parte di Petrarca, cfr. L. Macozzi, The Metaphor of the Corpus Carcer in Petrarch’s Canzoniere and in the Lyrical Tradition, in J. L. Hairston e W. Stephens (a cura di), The Body in Early Modern Italy, Baltimore, The Johns Hopkins University Press, 2010, pp. 24‑41.

18 Tra le pubblicazioni in cui Jean‑Luc Nancy conduce un discorso filosofico fortemente incentrato sul derma ricordiamo in particolare La Peau fragile du monde, avec un poème de Jean‑Christophe Bailly et une étude de Jean Manuel Garrido, Paris, Galilée, 2020, Noli me tangere. Essai sur la levée du corps, Paris, Bayard, 2013, così come il volume scritto a quattro mani con Federico Ferrari, La pelle delle immagini, Milano, Bollati Boringhieri, 2003.

19 J.‑L. Nancy, La Peau fragile du monde, cit., p. 146.

20 Ibid. Del resto, all’inizio del Novecento, Freud afferma: «L’Io è in definitiva derivato da sensazioni corporee, soprattutto dalle sensazioni provenienti dalla superficie del corpo. Esso può dunque venir considerato come una proiezione psichica della superficie del corpo […]» (S. Freud, L’Io e l’Es, in Id., Opere, vol. 9, Torino, Bollati Boringhieri, 1917‑1923, pp. 488‑489).

21 N. Cecchella, La continuazione degli occhi, Cremona, Giovanni Marchesi, 2024, p. 16.

22 N. Cecchella, Marsia I (2015‑2022), gomma siliconica al platino, cemento, sabbia di fiume, ciglia; copyright N. Cecchella e courtesy di GAM (Galleria Civica d’Arte Moderna e Contemporanea di Torino). Cogliamo l’occasione per ringraziare la generosità dell’artista che ci ha dato piena libertà di scegliere un’opera nell’insieme della sua produzione per accompagnare l’uscita di questo numero.

23 J.‑L. Nancy, La Peau fragile du monde, cit., p. 145.

24 Ibid., p. 147.

25 J. Lacan, Le Séminaire, Livre XXIII, Le sinthome, Paris, Seuil, 2005 (1975‑1976), p. 17.

26 R. Ceserani, M. Domenichelli e P. Fasano (a cura di), Dizionario dei Temi Letterari, 3 voll., Torino, UTET, 2007.

27 Il processo di dissoluzione è ancora in pieno svolgimento. In tutto il mondo, dopo la liberazione della parola delle vittime di violenze sessuali sotto l’insegna del movimento #MeToo, assistiamo a una profonda ristrutturazione della coscienza pubblica in materia di consenso, abuso, emprise. Un lato particolarmente doloroso di questa vicenda è l’emersione dello stupro sui minori all’interno della famiglia, anch’esso sempre più denunciato e rappresentato dalla letteratura e dal cinema (in Francia, grande risonanza ha avuto ad esempio il libro di Camille Kouchner, La familia grande, Paris, Seuil, 2021).

28 Questa stringa di Walter Benjamin è riportata da F. Rella, Territori dell’umano, Roma, Jaca Book, p. 125, citata per ricordare che la verità si nasconde nella parzialità e nel frammento.

29 F. Rella, Territori dell’umano, Roma, Jaca Book, 2019, p. 103.

30 M. Leiris, Mots sans mémoire, Paris, Gallimard, p. 277.

31 A. Cortellessa, La fisica del senso: saggi e interventi su poeti italiani dal 1940 a oggi, Roma, Fazi, 2006, p. 67.

32 N. Lorenzini e S. Colangelo, Poesia e Storia, Milano, Mondadori, 2013, p. 274.

33 R. Durante, I bimbi sperduti, Torino, Einaudi, 2023.

34 N. Scaffai, Poesia e critica nel Novecento. Da Montale a Rosselli, Roma, Carrocci, 2024.

35 J. Littell, Triptyque. Trois études sur Francis Bacon, Paris, Gallimard, 2011, p. 15.

36 A. Artaud, Le Théâtre et son double, Paris, Gallimard, 1938, p. 141.

37 Teniamo a ringraziare l’insieme degli autori, ricercatori, colleghi che ci hanno offerto la loro perizia e parte del loro tempo nella rilettura dei contributi di questo volume. Un ringraziamento speciale va a Joel Golb e François-Xavier Guerry, per il supporto linguistico, e al direttore della rivista, Enzo Neppi, che ha sostenuto questo nostro progetto sin dall’inizio con entusiasmo e attenzione.

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Pour citer cet article

Référence électronique

Diego Pellizzari et Emanuela Nanni, « Introduzione. — Dal ‘corpo evaso’ al ‘corpo invaso’ »Cahiers d’études italiennes [En ligne], 38 | 2024, mis en ligne le 01 mars 2024, consulté le 03 décembre 2024. URL : http://0-journals-openedition-org.catalogue.libraries.london.ac.uk/cei/14251 ; DOI : https://0-doi-org.catalogue.libraries.london.ac.uk/10.4000/cei.14251

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Auteurs

Diego Pellizzari

ENS de Lyon, laboratoire LUHCIE
diego.pellizzari@univ-grenoble-alpes.fr

Emanuela Nanni

Univ. Grenoble Alpes, ILCEA4, 38000 Grenoble, France
emanuela.nanni@univ-grenoble-alpes.fr

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