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Corpi profanati, manomessi e straniati. Tra scienza e filosofia

«La vie maintenant, c’est l’Invasion»1. Anatomie aberranti nelle opere di Juan Rodolfo Wilcock

« La vie maintenant, c’est l’Invasion. » Anatomies aberrantes dans les œuvres de Juan Rodolfo Wilcock
La vie maintenant, c’est l’Invasion.Aberrant Anatomies in the Work of Juan Rodolfo Wilcock
Giuseppe Crivella

Résumés

L’article aborde la thématique du corps en la mettant en résonnance avec une série de réinterprétations de l’œuvre en prose et en vers de l’écrivain italo-argentin Juan Rodolfo Wilcock. À partir de la notion de somatisation élaborée par E. Sami‑Ali, cet article explore la façon dont elle est déclinée de manière originale et inédite dans des textes tels que Fatti Inquietanti (1961), Lo stereoscopio dei solitari (1972), La sinagoga degli iconoclasti (1972) et le recueil de poèmes La parola Morte (1968). Cette reconstruction offre un cadre théorique assez cohérent dans lequel le corps est conçu comme un terrain convulsif de dégénérescence tératogène.

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Dédicace

À Jean Louis Schefer.
In memoriam.

Texte intégral

1. Nei crani vuoti sono entrati i ragni…

  • 1 H. Michaux, Les grandes épreuves de l’esprit et les innombrables petites, Paris, Gallimard, 1966, p (...)
  • 2 Ci permettiamo di rimandare soprattutto all’importante convegno tenutosi presso l’Università di Bir (...)

1Da Mahmoud Sami-Ali a Jean Louis Schefer, passando per i brillanti studi di Évelyne Grossman fino ad arrivare ai recenti lavori di Pierre Ancet, nel corso della seconda metà del ventesimo secolo il corpo si è imposto a tutti gli effetti come un oggetto di studio capace di suscitare un’attenzione e un interesse trasversali all’interno dei più disparati ambiti disciplinari. Si tratta di un campo di studi relativamente nuovo e inedito, il quale con una certa facilità è riuscito ad affermarsi nel dibattito contemporaneo2, senza dubbio grazie anche all’impulso che esso ha ricevuto da orientamenti di ricerca eterogenei e diversificati nelle loro tipologie di approccio.

  • 3 Cfr. soprattutto E. de Saint Aubert, Du lien des êtres aux éléments de l’être. Merleau-Ponty au tou (...)
  • 4 Tra tutti menzioniamo qui H. Maldiney, Regard, parole, espace, Paris, Éditions du Cerf, 2013, in pa (...)
  • 5 Rimandiamo qui alle analisi contenute in J. Garelli, Artaud et la question du lieu, Paris, José Cor (...)

2In relazione a ciò è senz’altro innegabile il rilievo che ha esercitato su questa riscoperta la filosofia di Merleau-Ponty3 e di quanti hanno proseguito la riflessione di quest’ultimo facendo del dato somatico il mobile e sfumato focus di una nuova idea di fenomenologia, come ad esempio è accaduto con le opere di Maldiney4 e di Garelli5.

3Ma altrettanto innegabile è il peso che ha avuto un certo lavoro messo in campo da varie correnti dell’antropologia: si pensi, a titolo esemplificativo, alle posizioni di Marcel Mauss, il quale nei suoi saggi sulla magia si sofferma lungamente sugli accadimenti che interverrebbero nel ‘corpo sciamanico’ — caratterizzato da sdoppiamenti, possessioni, materializzazioni improvvise di esalazioni6 — oppure alle poderose ricostruzioni delineate da Bachtin, i cui testi sul ‘corpo grottesco’7 nel romanzo di Rabelais risultano talmente in linea con le più avanzate e aggiornate teorie estetiche contemporanee da essere state utilizzate di recente da Philippe Kaenel per lumeggiare alcuni aspetti essenziali della produzione grafica di H. R. Giger8.

4Cambiando in parte versante, si pensi ancora a quanti corpi affollano i romanzi dell’école du regard, tra cui svetta il Théâtre des métamorphoses di Ricardou. Nell’opera in questione l’autore elegge a tema specifico della propria iperbolica vertigine metatestuale il corpo nudo di una figura femminile che poco a poco viene avvolto e invaso da lividi filamenti di linguaggio attraverso l’ininterrotto dialogo telefonico che essa intrattiene con un uomo sconosciuto, il quale non smette di snocciolarle all’orecchio il dettagliatissimo programma delle proprie sadiche perversioni erotiche.

  • 9 M. Sami‑Ali, Corps réel, corps imaginaire. Pour une épistémologie psychanalytique, Paris, BORDAS, 1 (...)

5Microscopia maniacale e raggelato senso del paradosso convivono in tutti questi casi, dando luogo ad un inedito polimorfismo organico, di cui la letteratura ha saputo da subito impadronirsi con fantasia prensile e manipolatrice, muovendo sovente da almeno due nozioni congiunte: quella di somatisation e quella di corps imaginaire, elaborate in altro contesto dal celebre psicoterapeuta egiziano Sami-Ali nella raccolta di scritti intitolata Corps réel et corps imaginaire, uscita per la prima volta presso Bordas nel 19779.

  • 10 Si tratta di sette declinazioni diverse: corps et identité, corps et espace, corps et temps, corps (...)
  • 11 Per questo rimandiamo a O. Mannoni, Clefs pour l’Imaginaire ou l’Autre scène, Paris, Seuil, 1969, p (...)

6I sette capitoli che scandiscono il volume sono organizzati in modo tale da coniugare ogni volta il corpo all’interno di una diade teorica10 in cui esso appare sfigurato e trasfigurato su di una scena immaginaria11 ove è sottoposto ad una precisa serie di alterazioni, deformazioni, modificazioni che lo travagliano dall’interno, fino a renderlo un’incognita incongrua rispetto ad ogni schema cognitivo.

  • 12 Qui intesa nell’accezione ampia proposta da Sami‑Ali, concepita quindi come lo spazio instabile di (...)

7Sami-Ali osserva inoltre che, sotto il profilo psicopatologico, i processi di somatisation si sviluppano in maniera tale da perturbare e infrangere intimamente i quadri di propriocettività12 che i soggetti analizzati faticano a mettere a punto in merito allo sfaccettato quadro di riferimenti corporei. Presso di essi tutto ciò che dovrebbe normalmente appartenere alla dimensione somatica, appare proiettato su una sorta di pianeta remoto, occupato dal selvaggio affastellarsi di componenti estranee che vengono a colonizzarlo e ad abitarlo, facendo di arti e organi dei relitti galleggianti su di un proscenio perversamente allucinatorio.

8Se in un soggetto privo di psicopatologie gravi o conclamate, la somatisation interviene per organizzarne in maniera armonica ed equilibrata lo schema corporeo, in altri casi, come quelli presentati da Sami‑Ali, essa scompagina capillarmente e a vari livelli di complessità la dimensione propriamente organica, fino a tramutare il corpo del soggetto in una sorta di oggetto sconosciuto che non può più essere passibile di riappropriazione.

  • 13 Ivi, p. 103.
  • 14 Ibid.
  • 15 Ibid.

9La somatisation procede quindi per «impasses»13, per «obstacles infranchissables»14, i quali equivalgono a mobili ed effimeri «points de fixation»15. A partire da questi, il corpo può essere concepito unicamente sotto le sembianze di un raffinato repertorio di proliferanti rovine organiche invase dalle spettrali penombre di una soggettività a sua volta invasa da episodiche formazioni somatiche, che non ammettono alcun tipo di riorganizzazione unitaria.

  • 16 N.d.A.
  • 17 Ivi, p. 21.

10L’autore egiziano conclude il primo saggio scrivendo queste parole piuttosto illuminanti: «le monde est vécu dans le corps et le corps dans le monde, dépersonnalisation et inquiétante étrangeté [Das Unheimliche]16 étant le deux faces d’un seul et même processus déréalisant»17. L’aspetto che deve attrarre immediatamente la nostra attenzione qui è senza dubbio quel riferimento al processus déréalisant che Sami‑Ali menziona alla fine della sezione introduttiva del proprio lavoro e che avrà una vasta fortuna anche presso altri autori.

  • 18 J. L. Schefer, Choses écrites. Essais de littérature et à peu près, Paris, POL, 1998, p. 190.

11Infatti nello stesso anno in cui lo studioso egiziano dava alle stampe L’espace imaginaire, un filosofo francese pubblicava una celebre opera in cui la questione del corpo concepito secondo i termini di un’energetica nodosamente entropica veniva affrontata in maniera originale fin dalle pagine di apertura. È quindi impossibile non richiamare qui lo sfolgorante incipit da cui prende le mosse Économie libidinale, ove il processus déréalisant transita verso le forme specifiche di quello che potremmo chiamare corps onirisé18.

12Sancendo la fine di un’idea di corpo astrattamente cartesiana, visto e interpretato cioè come un ordinato mosaico di organi ognuno dei quali rispondenti ad una chiara destinazione funzionale, Lyotard ci espone senza preavviso all’immagine brutale di un corpo invaso innanzitutto dalla violenza incontenibile del nostro sguardo sottilmente vorace, che s’insinua in esso con l’incontrollata brutalità di un bisturi brandito da un anatomopatologo affetto da cecità improvvisa. Ma lasciamo la parola all’autore de L’Inhumain:

  • 19 J.‑F. Lyotard, Économie libidinale, Paris, Minuit, 1974, p. 9.

Ouvrez le prétendu corps et déployez toutes ses surfaces : non seulement la peau avec chacun de ses plis, rides, cicatrices, avec ses grands plans veloutés, et contigus à elle, le cuir et sa toison de cheveux, la tendre fourrure pubienne, les mamelons, les ongles, les cornes transparentes sous le talon, la légère friperie, entée de cils, des paupières, mais ouvrez et étalez, explicitez les grandes lèvres, les petites lèvres avec leur réseau bleu et baignées de mucus, dilatez le diaphragme du sphincter anal, coupez longitudinalement et mettez à plat le noir conduit du rectum, puis du côlon, puis du caecum, désormais bandeau à surface toute striée et polluée de merde, avec vos ciseaux de couturière ouvrant la jambe d’un vieux pantalon, allez, donnez jour au prétendu intérieur de l’intestin grêle, au jéjunum, à l’iléon, au duodénum, ou bien à l’autre bout, débride la bouche aux commissures, déplantez la langue jusqu’à sa lointaine racine et fendez‑la, étalez les ailes de chauves‑souris du palais et de ses sous‑sols humides, ouvrez la trachée et faites‑en la membrure d’une coque en construction19.

  • 20 Cfr. M. le Bot, L’œil du peintre, Paris, Gallimard, 1982, p. 22‑24.

13Lyotard si propone qui come l’esecutore testamentario di una concezione del corpo inteso quale costrutto teorico improvvisamente messo a soqquadro nel momento in cui dalla disabitata sonnolenza delle sue carni inizia a sprigionarsi un centrifugo metamorfismo fino a quel momento quasi del tutto insospettato. Esso si schiude dinanzi al nostro occhio rivelando in ultimo ciò che non solo sembra appartenere al dominio dell’inguardabile e dell’infigurabile20, ma soprattutto si manifesta a noi sotto le sembianze di qualcosa che risulta refrattario ad ogni concettualizzazione.

  • 21 J. L. Schefer, Figures peintes. Essais sur la peinture, Paris, POL, 1998, p. 428.

14Rivoltato come un guanto, il corpo è un suppurare di immagini prive di ancoraggio analogico: Lyotard deve ricorrere ad un cerebrale inventario barocco di similitudini devianti e ressemblances aveugles ove le vibranti ali membranose dei pipistrelli prendono il posto della volta palatale, mentre le logore guaine epiteliali sono un precipitato amorfo di duri corrugamenti e sfibrate isole istologiche che non smettono di ripiegarsi infinitamente su se stesse. Tutto ciò genera una topografia aliena di paesaggi somatici ove l’occhio viene colto da un interminabile capogiro, fino a smarrirsi senza possibilità di ritorno in quella che Schefer chiama «suspension de tout corps figurable»21.

  • 22 J. L. Schefer, Choses écrites, cit., p. 87.

15Muovendoci inizialmente nello spazio di oscillazione descritto dai due pensatori appena scomodati e basandoci su queste rapide considerazioni, le analisi che seguono verteranno sui testi di un autore in cui tutto ciò che afferisce alla somatisation viene ritrascritto secondo i termini di una mirata e stratificata «déconstitution du corps vivant»22.

  • 23 Ivi, p. 151.

16In tal modo vedremo, ad esempio, come il corpo umano possa andare incontro in maniera sempre più radicale a quella indeterminazione ontologica che Schefer ha esaminato con estrema penetrazione critica in numerosi saggi presenti in Choses écrites23. In egual modo cercheremo di indagare ciò che accade allorché una nozione quale quella di metensomatosi viene riletta da una prospettiva eccentrica, i cui esiti si riveleranno in ultima istanza tanto sorprendenti quanto affascinanti.

  • 24 Ivi, p. 82.

17Somatisation, corps interstitiels e discorps assurgono così a direttrici tematiche di una riflessione sul corpo invaso che punta a mostrare in che misura nel corso del secondo Novecento alcuni filoni letterari abbiano saputo interpretare il dato somatico, osservandolo prima e interpretandolo poi come una sorta di sconosciuta materia inarticolata24 ove vedere in atto la spasmodica anomia dell’organico.

2. Allucinare la somatisation

18Come vedremo tra poco, è proprio impadronendosi in maniera massiccia di questi processi di déréalisation che molta letteratura del Novecento ha eletto il corpo, soggetto a somatisations, a tema privilegiato della propria riflessione. Michaux e Scheerbart, Gombrowicz e Beckett, Savinio e Ballard, lavorano proprio secondo questa direzione, delineando i tratti di una configurazione somatica intensamente schizoide, attraversata e dissestata da faglie e ibridazioni, da commistioni e innesti che fanno dell’uomo un coacervo sperimentale di deformità al cui perverso fascino è difficile resistere. È proprio in tale solco che si colloca, a nostro giudizio, lo scrittore italo-argentino Juan Rodolfo Wilcock.

  • 25 Su questo aspetto cfr. G. Crivella, L’Observatoire de Cannes. Comment décrire une description ?, in (...)

19In un brevissimo testo intitolato La ferita e contenuto nella raccolta di prose pubblicata presso Adelphi nel 1972 Lo stereoscopio dei solitari Wilcock, adottando alcuni stilemi propri del Nouveau roman25, ci presenta attraverso un impressionante piano ravvicinato una lacerazione cutanea descritta nella sua scabrosa crudezza:

  • 26 J. R. Wilcock, Lo stereoscopio dei solitari, Milano, Adelphi, 2017 (1972), p. 65. Da ora sempre abb (...)

Così ingrandita, la ferita sembrava una di quelle crepe o fessure che si trovano a volte nelle rocce magmatiche e che vengono appunto chiamate «ferite della terra»; ma i suoi colori, rosso, viola e anche nero non somigliavano a nulla di ciò che si può osservare tra le rocce della terra: piuttosto ai colori dei fiori nelle foreste calde. Grumi di sangue coagulato e nerastro riempivano il fondo della fessura, intrecciati a filamenti di aspetto legnoso, più chiari, quasi gialli, come se la carne viva volesse rigenerare un tessuto abbastanza forte da legare saldamente i due fianchi della ferita26.

  • 27 R. Deidier e R. Nisini (a cura di), L’eternità immutabile. Studi su Juan Rodolfo Wilcock, Macerata, (...)

20Sovradimensionato in maniera abnorme fino a diventare una mostruosa apparizione27 slegata da qualsiasi tipo di riferimento spazio-temporale, nella sua pura e repellente manifestazione lo squarcio si profila dinanzi a noi esibendo dei caratteri ambigui, i quali rimandano al tempo stesso ora ad un livido spaccato geologico ora a un contorto groviglio vegetale.

21Qui il corpo è completamente scomparso nel dilatarsi di questa orribile piaga metafisica in cui poco a poco tutto sembra destinato ad essere inghiottito e trasformato in epitelio sofferente, esubero di carni martoriate e densissimo pus, nel cui inavvertibile prodursi ogni cosa si trova mollemente trascinata, come in forza di una lancinante calligrafia di flussi emorragici e linfe organiche in cui Wilcock affonda il suo occhio.

  • 28 M. Sami‑Ali, Corps réel, corps imaginaire, cit., pp. 38‑60. Facciamo qui riferimento soprattutto ag (...)
  • 29 Ivi, p. 11. Per essere precisi, Sami‑Ali parla molto specificamente delle «parties aliénées du corp (...)
  • 30 SS, pp. 65‑66.

22Proprio come accade presso certe scene oniriche analizzate da Sami‑Ali28, qui del corpo reale non v’è più alcuna traccia. Al suo posto subentra un magmatico «corps imaginaire»29 al cui interno scorgiamo una strana e inquietante vitalità, rappresentata dai nugoli di vermi30 che lo popolano e lo sommuovono, lo agitano e se ne nutrono, avvinghiandosi alle sue succose parti interne con le loro piccole mascelle circolari, con i loro corpi coperti di prominenze uncinate, con le loro microscopiche tenaglie che scavano nella ferita ulteriori cunicoli, quasi a tracciare la fitta nervatura di un lentissimo slittamento sottocutaneo alla luce del quale il corpo viene irresistibilmente consumato dall’interno, svuotato da un fiorire delicatamente selvaggio di altri corpi minimi che di esso sono di fatto gli inconsapevoli e spietati agenti mortiferi:

  • 31 Ivi, p. 66.

Un battito lentissimo faceva ondeggiare ritmicamente le pareti della fessura: a volte un brivido animale la percorreva da un estremo all’altro. Allora i vermi, intenti a divorarne i fianchi precipitavano tra i coaguli neri del fondo, sballottati, e lì si aggrovigliavano formando un nuovo intreccio che poi lentamente si scioglieva; finché il lavorio non ricominciava, su quella carne tra viva e morta, rossa e gialla, viola e nera, tiepida e inerte31.

  • 32 E. Grossman, La défiguration. Artaud, Beckett, Michaux, Paris, Minuit, 2004, p. 21.

23Del corpo qui non resta che qualche frammento in via di decomposizione. Esso, per citare Grossman, non è altro che una forme-trou32: a tenerlo insieme è soltanto questa livida nidiata di vermi che lo attraversano infondendogli una vita lieve e segreta, fitta e incessante, imprimendogli perfino delle movenze simili a quelle di un respiro orrendamente indotto dagli innumerevoli altri corpi invisibili che lo consumano. Rovistando all’interno dei suoi tessuti e dei suoi tegumenti, essi ne cariano tendini e muscoli, producendovi improbabili interferenze trans‑organiche, per cui il corpo ospitante del cadavere è scosso dai continui sussulti prodotti dalla presenza infestante di una molteplice vita parassitaria.

  • 33 J. L. Schefer, Choses écrites, cit., p. 145.

24Più che di un’invasione Wilcock ci parla qui di una incredibile e oscena visitazione: la piaga è una fibrillante soglia d’interscambio tra entità corporee che entrano in contatto sempre più stretto seppur in una maniera decisamente anomala e disturbante. Le carni si schiudono putrefatte e allettanti, offrendosi in pastura ai vermi, i quali sembrano rianimarle dopo averle rese un festante ambiente di succulenta saprobiosi: paradossalmente «le cadavre — potremmo dire citando ancora Schefer — […] redevient le lieu de naissance d’une symptomatologie du vivant»33.

  • 34 M. Sami‑Ali, Corps réel, corps imaginaire, cit., p. 40.

25Ma a leggere meglio il passo riportato sopra, a nostro giudizio c’è anche qualcosa di più: il battito lento che mette in movimento le pareti della lacerazione la fa sembrare, a uno sguardo attento, simile a una disumana bocca, che non sia mai appartenuta ad alcun volto e ad alcun corpo, catatonicamente intenta a balbettare, ad ansimare e a sanguinare. I processi di somatisation qui si fanno ancor più incisivi e destabilizzanti: il corpo infatti, oltre a non possedere e a non costituire più una totalità organica, si frantuma e si disperde in una pletorica generatio aequivoca di membra che transitano da un luogo all’altro, per poi svanire senza lasciar nulla dietro di loro in quello che con formula felicissima Sami‑Ali denomina «le vide de la non‑constitution»34.

  • 35 J. R. Wilcock, Poesie, Milano, Adelphi, 1980, p. 62.

26Si tratta di una nozione in effetti molto frequente in Wilcock. In una celebre poesia contenuta nella breve raccolta del 1963 I tre stati è possibile trovare, ad esempio, la seguente quartina di novenari in rime alternate: «questo ha le orecchie sui ginocchi, / la bocca accanto all’ombelico; / quello ha le dita attorno agli occhi, / si contorce come un lombrico»35. Qui il corps imaginaire non è altro che l’imponderabile precipitato risultante da un’illimitata deriva di efflorescenze somatiche capaci di coinvolgere innumerevoli sezioni anatomiche in continua ricombinazione caotica.

27Il corpo è invaso senza resto da un’incontenibile energia destrutturante, la quale spinge gli effetti dei fenomeni di somatisation al di là dei limiti naturali in modo tale da ridurre il soggetto ad un arabesco di labili sillessi organiche destinate a sfaldarsi in poco tempo, per dare poi luogo a nuove soluzioni altrettanto instabili. La figura umana è

  • 36 J. L. Schefer, Figures peintes, cit., p. 357.

[…] un mixte animal, forme encore à naître. [Elle] est retenue « avant naître » et satellisée, « stellarisée » par un autre monde qui n’a sans doute de définition ou de caractéristique que d’être autre. Monde des paléolithiques où toute la pensée, l’organisation et les affrontements symboliques semblent régis par de grades formes au milieu desquelles la figure humaine est chose interstitielle, sans caractéristique, faite d’empiècements de bouts, de fonctions36.

  • 37 Hanno un ruolo determinante, ad esempio, nel racconto La bella Concetta, cfr. J. R. Wilcock, Il Cao (...)

28Si noti ancora la ricorrenza dei lombrichi, i quali, oltre ad assurgere a veri animali-totem presso Wilcock37, qui sviluppano una sottile metafora di natura arditamente morfologica: essi vengono evocati in tutta la loro sordida capacità contorsionistica unicamente per offrirci in maniera duramente icastica l’immagine di questo corpo para‑umano definitivamente privo d’infrastrutture ossee, molto più simile a una specie di nodosa saccula germinale al cui interno e sulla cui superficie vengono a determinarsi le più sconvolgenti mutazioni endogene.

29Ma che succede quando all’interno del corpo proprio vengono ad innestarsi dei materiali allotri che di fatto lo snaturano, lo alterano, lo alienano fino a modellarlo come qualcosa che non ha più alcun diritto di cittadinanza all’interno di una precisa scienza anatomica? In più circostanze Wilcock sembra essersi posto questa domanda, rispondendo con una serie di scritti e di invenzioni, due delle quali sono contenute nel volume di interventi apparso per la prima volta nel 1961.

  • 38 M. Sami‑Ali, Corps réel, corps imaginaire, cit., p. 7.

30All’inizio e alla fine del testo Fatti Inquietanti l’autore italo-argentino colloca un dittico di articoli folgoranti in cui il protagonista è un corpo che poco a poco va perdendo la propria fisionomia pienamente umana. Anche in questi casi siamo di fronte alle vicissitudini di un corps imaginaire ove però i processi di somatisation di fatto lasciano il posto al fenomeno, simmetrico e inverso, del corps dépossédé38. In relazione a tutto ciò, leggiamo cosa scrive Wilcock, facendo riferimento a quella strana figura che egli denomina ‘bambino meccanico’. Si tratta di un ragazzino di nove anni ricoverato presso una clinica americana il quale, convinto di essere a tutti gli effetti un dispositivo elettromeccanico,

  • 39 J. R. Wilcock, Fatti inquietanti, Milano, Adelphi, 1992 (1971), p. 15. Da ora sempre abbreviato in (...)

Prima di mangiare si legava con fili immaginari al tavolo, si isolava avvolgendosi in salviette di carta e stabiliva il contatto elettrico [...]. Le persone a lui vicine dovevano aver cura di non calpestare i fili che alimentavano le sue «fonti di energia». Quando il suo meccanismo non funzionava, il bambino se ne stava immobile e silenzioso per lunghi periodi; altre volte si metteva in moto, sempre più velocemente, finché esplodeva emettendo i rumori adatti e gettando per aria le valvole39.

31Ciò che resta del corpo proprio qui non è altro che un eteroclito deposito invaso da flussi anomali di energie aventi la loro origine e la loro natura in contesti di funzionamento del tutto difformi rispetto ad una dimensione d’essere afferente alla fisiologia umana. Il sostrato somatico è un ricettore passivo di scariche elettriche, mentre picchi improvvisi di frequenze herziali, contraccolpi e corto-circuiti di onde elettromagnetiche lo avvolgono disconnettendolo dal mondo circostante, trasformandolo in un sovraccarico accumulatore di tensioni che il bambino in ultimo non riesce più a gestire, culminanti così nella goffa pantomima di una deflagrazione palingenetica, la quale ha per scopo di riportare gli equilibri delle energie interne ad uno stato di precaria omeostasi.

  • 40 Ivi, p. 16.

32Il bambino ha smarrito la propria immagine del corpo per sostituirla con un intreccio di cavi e fili, centraline e dinamo in relazione alle quali egli si attiva o si disattiva, esattamente come un dispositivo soggetto al passaggio di una determinata quantità di tensione elettrica. È indicativo, ad esempio, che in alcuni casi il soggetto schizofrenico inizi a comportarsi addirittura come un meccanismo, simulando col proprio corpo i movimenti alternati o radiali, a scorrimento orizzontale oppure oscillanti di qualche parte meccanica — ruote dentate, pistoni, bielle — di un motore col quale egli cerca di identificarsi senza resto40.

33Non vi sono più mani o braccia, non vi sono più occhi o bocca, il corpo del bambino si compone di lunghi segmenti di elementi tubulari, i quali mettono in comunicazioni plessi di iniettori e costellazioni di valvole, micro-condensatori di energia termodinamica convogliata qui in un sistema rotante di volani chiamati a captarla, immagazzinarla, convertirla e a ridistribuirla sotto forma di energia cinetica. Solo in questo modo il ragazzino può di fatto tentare qualche movimento, destinato in ogni caso a risolversi in un’impasse di natura meccanica, da cui egli può riscattarsi solo azzerandosi in una generale scomposizione e riconfigurazione dei propri organi-motore.

  • 41 Rimandiamo naturalmente a Cancroregina, cfr. T. Landolfi, Cancroregina, Milano, Adelphi, 1993, pp.  (...)
  • 42 In particolare rimandiamo a D. Buzzati, Il grande ritratto, Milano, Mondadori, 1960, soprattutto pp (...)
  • 43 Ampliando la nozione di ‘science-fiction’ rinviamo qui a due scritti esemplari, molto diversi nel t (...)
  • 44 Cfr. T. Todorov, Introduction à la littérature fantastique, Paris, Seuil, 1970, pp. 28‑112.
  • 45 Soprattutto FI, pp. 239‑241. Si tratta del testo Letteratura d’avvenire e fantascienza. Per un appr (...)

34Esattamente come Landolfi41 e Buzzati42, Wilcock subiva in maniera irresistibile il fascino di queste formazioni bio‑morfe che molta letteratura di science-fiction più o meno dalla fine dell’Ottocento43 aveva iniziato ad investigare con una certa sistematicità44. Sempre in Fatti inquietanti troviamo a più riprese vari riferimenti a tale filone letterario45. Tra tutti il più interessante ci pare quello tratto da uno dei romanzi di Ian Fleming relativi alle avventure di James Bond. Lo scrittore italo-argentino nell’articolo intitolato Romanzi di successo elenca in modo puntuale i motivi che hanno suscitato la sua attrazione per il personaggio del Dottor No:

  • 46 FI, pp. 237‑238. Il romanzo in questione, che prende il titolo proprio dal personaggio del Dottor N (...)

[…] un uomo alto due metri che sembra «un gigantesco verme velenoso avvolto in una carta argentata grigia». Le sue mani sono state amputate, ma dispone di «pinze meccaniche articolate», e quando pensa ha l’abitudine di battere con queste pinze sulle sue lenti a contatto, facendo un curioso ticchettio metallico: ha il cranio calvo rilucente, manca di ciglia e porta il cuore alla destra del corpo46.

35L’antagonista dell’agente 007 è una sorta di lugubre clown robotico dalle dimensioni sproporzionate. Affetto da una rara forma di gigantismo che lo rende a tutti gli effetti l’estrema propaggine di creature mitiche sopravvissute fino ai nostri giorni, nella sua corporatura convivono e si coniugano enigmatici riferimenti a qualcosa di mostruosamente arcaico e a componenti che per forza di cose lo rendono un erede diretto degli androidi nati per la prima volta dalla fantasia di Karel Čapek.

36Il Dottor No inoltre presenta una serie di tratti ulteriori che meritano di essere indagati in maniera ravvicinata: s’impone innanzitutto il suo vestiario, che non solo ha qualcosa di grottescamente artefatto, ma sembra avvolgerlo come per celare un corpo che probabilmente non rientra più in alcuna tipologia nota di categorizzazione antropomorfa. Ritorna poi con una certa insistenza il riferimento alla natura verminosa del personaggio, il quale senza quella tunica metallizzata che lo serra strettamente rischierebbe forse di sfarinarsi in un cumulo di ruderi organici.

  • 47 FI, p. 238.

37Wilcock insiste molto su questa caratteristica dell’amputazione degli arti: il Dottor No infatti non solo sembra non accusare alcun problema in seguito alla perdita delle mani, ma il suo nuovo stato lo rende una sorta di tecno-divinità prodotta in vitro, la quale domina incontrastata e senza alcun tipo di remora morale o giuridica sull’isola giamaicana che egli ha eletto a proprio regno. Tale personaggio non è semplicemente un criminale di caratura internazionale, ma è anche e soprattutto un sadico torturatore seriale che applica alle proprie vittime supplizi e tormenti sempre nuovi, sempre più astrusi e ricercati dietro l’impulso di una precisa finalità scientifica: «sapere fin dove può giungere la resistenza umana»47.

38Abolito e ricostruito, il corpo entra di fatto in un’intersezione plurale e intricata di sostituzioni e smontaggi, impianti e mutazioni, dissezioni e trapianti che lo riducono ad una sorta di residuo fantasmale al cui fondo sciamano delle intensità nomadi, le quali di volta in volta non possono in ultima istanza non rapprendersi, seppur in modo instabile e del tutto aleatorio, in nuove fattispecie di somatisations selvagge.

39Per questo motivo probabilmente il Dottor No appare al tempo stesso simile ad un monolitico fossile antidiluviano e ad una enorme larva cibernetica, ove traumaticamente il sub‑umano non smette di coniugarsi in maniera capziosamente angosciante con il meccanomorfo.

3. «Tableaux vivants de dégénérescence violente»48

  • 48 J. L. Schefer, Choses écrites, cit., p. 184.
  • 49 Su questo L’eternità immutabile, cit., pp. 25‑39.

40Wilcock spinge così a fondo la propria esplorazione del corpo umano da poter essere egli stesso a tutti gli effetti annoverato in quell’improbabile enciclopedia49 di pravi spiriti magni affetti da una follia tanto metodica quanto insanabile, che affollano le pagine della sua Sinagoga degli iconoclasti.

41In questa raccolta di para-scientifiche bizzarrie apparsa per la prima volta nel 1972, lo scrittore italo-argentino raccoglie e descrive con minuzia da memorialista alessandrino le vite e le opere di ben trentasette uomini che hanno trasformato le loro ricerche negli ambiti più disparati — la teologia e la medicina, la letteratura e la filosofia del linguaggio, la ricostruzione storiografica, l’arte drammatica e l’ingegneria meccanica — in una sorta di irrefrenabile e allucinatissima ossessione. Questa ha finito per divorarli, facendoli passare alla storia come paradigmi di un’idea deviante e irrazionale di indagine scientifica perseguita fino al punto morto in cui essa si capovolge in una forma altamente patologica di fredda e cieca maniacalità, in alcuni perfino omicida.

42Con udito sensibilissimo Wilcock accosta il proprio orecchio all’invisibile parete di oblio oltre la quale la Storia si è incaricata di murare quelle figure per auscultarne pensieri e ragioni, moventi e progetti. Con la premura e lo scrupolo del cronista, egli compulsa gli scritti teorici, gli appunti sparsi, le note incerte che Carlo Olgiati, Aaron Rosenblum, Charles Piazzi-Smyth, Antoine Amédée Bélouin e altri hanno lasciato dietro di loro, a testimonianza di un impegno conoscitivo deragliato lungo versanti della realtà in cui essi sono miseramente e definitivamente scomparsi.

  • 50 Wilcock non parla di ‘astrario’, ma nel leggere la descrizione del marchingegno attribuito al tedes (...)
  • 51 J. R. Wilcock, La sinagoga degli iconoclasti, Milano, Adelphi, 1990 (1972), p. 151.

43L’autore de Il Caos scava nelle assurde e infauste esistenze di questi refusi della Storia con lo scopo di penetrare nella contorta psicologia che ha impresso un impulso anomalo alle loro idee, spingendoli così a muoversi lungo delle traiettorie di indagine in cui, ad esempio, la messa a punto dell’ennesima prova dell’esistenza Dio culmina nella progettazione di un complesso ‘astrario’50 dal meccanismo tanto farraginoso quanto inconcludente51.

  • 52 Ivi, p. 129: «all’età di 59 anni, il belga Henry Boucher ne aveva soltanto 42».
  • 53 Ibid.

44Ma nel novero di questi iconoclasti troviamo anche chi, come Henry Boucher, attraverso l’interminabile e indefessa redazione di regesti cronachistici, suppone di esser riuscito a fermare il tempo, ad imprimergli una spinta retrograda52. Autore degli ormai irreperibili Souvenirs d’un chroniqueur de chroniques — apparso a Lyon nel 1932, non a caso anno della morte di Lucien Laberthonnière — lo storiografo belga delinea un programma di lavoro in cui il computo della durata delle proprie giornate non viene più scandito da orologi o calendari, ma coincide esattamente e senza sbavature con la stesura integrale di un singolo testo, anche se tale operazione finisce col protrarsi per settimane e mesi53.

  • 54 Ivi, pp. 130‑131.

45Nelle scellerate intenzioni del Boucher, tale cortocircuito dovrebbe produrre due effetti congiunti: da un lato una dilatazione dei vari periodi di lavoro dedicati ad ogni singolo scritto54; dall’altro un rallentamento progressivo del tempo di invecchiamento della sua persona, il quale lo porta a convincersi del fatto che tale espediente gli farà guadagnare degli ipotetici anni suppletivi, in grado di metterlo nelle condizioni di vivere in continua sfasatura rispetto al proprio presente. In tal modo egli potrà diventare in ultimo l’unico chroniqueur capace di scrivere sull’attualità come se la vivesse da una distanza storica incolmabile.

  • 55 Ivi, p. 137.

46A noi qui interessano però molto di più i lavori e le teorie di due medici: ovvero l’olandese Henrik Lorgion e Luis Fuentecilla Herrera. Quest’ultimo, di provenienza ignota, fu attivo prevalentemente presso Cartagena, nelle Indie, dove ebbe modo di cercare per anni le cause organiche di quella che Wilcock chiama «longevità sperimentale»55. Ritenendosi erede diretto della tradizione medica che inizia con le osservazioni di Leeuwenhock e che prosegue con le ricerche di Crisholm, About, Cousin e Pasteur, Fuentecilla Herrera si prefigge lo scopo di arrivare ad individuare nel corpo umano il discrimine labilissimo che separerebbe vita e morte.

47Il suo campo di studio diventano allora i moribondi, ovvero dei soggetti sospesi in un livido limbo di incoscienza, ove però l’organismo continua a funzionare secondo dei precisi parametri vitali, sempre più flebili. Fuentecilla Herrera progetta delle camere di essiccazione in cui i corpi sono sottoposti ad osservazione continua al fine di cogliere il frangente preciso a partire dal quale la vita si converte senza resto in decesso.

  • 56 Ivi, pp. 136‑137.

48Le baracche oblunghe adibite all’esperimento, chiuse più o meno ermeticamente, sono attraversate da una corrente d’aria riscaldata e resa piuttosto secca da appositi fornelletti: in tal modo i moribondi dovrebbero avviarsi alla morte cerebrale, rimanendo però sotto il profilo meramente fisiologico in uno stato di catatonia semi-vegetativa, la quale dovrebbe portarli in ultimo ad incadaverirsi vivi56.

49Inutile dire che i risultati a cui perviene l’umbratile Fuentecilla Herrera non sono migliori di quelli a cui erano giunti due suoi illustri predecessori, ovvero il protagonista del noto racconto di Poe The Facts in the Case of M. Valdemar e naturalmente il lovecraftiano Herbert West: i corpi dei moribondi, soprattutto se grassi corpulenti e nerboruti, all’improvviso esplodono, carni e tegumenti si estroflettono senza preavviso, in un estremo spasmo di crepuscolare e esausta vitalità.

50Gli organi interni, piuttosto che palesare il loro segreto ultimo, crepano l’epidermide, la lacerano longitudinalmente dalla testa ai piedi fino a trasformarla in un teatro di teratologiche masse anatomiche ormai alla deriva, innaturalmente sovraccariche di linfe ignote che saturano ogni poro, ogni capillare, ogni tessuto, costringendoli a deflagrare fuori dal fragile perimetro somatico.

51Capziosamente sollecitati affinché emettano interminabilmente il più riposto alito di vita, i corpi si rivelano invece invasi da una morte strisciante e inafferrabile, che nel suo sotterraneo schiumare assorbe in sé tutto ciò che l’inquietante studioso scambiava per una postrema manifestazione di energia vitale. In tal modo Wilcock lascia intendere che la dimensione somatica da cui muoveva Fuentecilla Herrera

  • 57 J. L. Schefer, Le temps dont je suis l’hypothèse, Paris, POL, 2012, p. 129.

[…] est désormais le spectacle dont les hommes ne font pas partie : un théâtre d’imitation fait de bêtes et de plantes, un monde sans pensée parce qu’il est sans la parole, le tableau d’une espèce de sommeil étranger à l’humanité ou qui ne revient en elle que par des rêves qui machinent les anciens corps des métempsycoses, les dernières créatures des métamorphoses rejetées hors du temps57.

52Ciò che resta del corpo si delinea qui secondo le sembianze di una sanguinante cartografia composta di grumi e muchi. Questi, nel loro marcescente tracollo, travolgono e fagocitano la figura umana conducendola così al proprio irreversibile punto di catastrofe.

53Ma sono senza dubbio le analisi estetico-metafisiche del fiammingo Lorgion che devono trattenere ancora il nostro interesse. Se Fuentecilla Herrera cercava la vita in limine mortis, il primo tenta addirittura di isolare chirurgicamente le caratteristiche organolettiche della bellezza.

  • 58 J. R. Wilcock, La sinagoga degli iconoclasti, cit., p. 109.
  • 59 Ibid.
  • 60 Ivi, pp. 110‑111.

54Se, come ricorda lo stesso Wilcock, la ‘cavorite’ di Wells azzerava l’effetto della forza di gravità su un determinato oggetto58, se i ‘bioni di Reich’ — vescicole cariche di astratta energia sessuale — costellavano il manto terrestre fino a permeare anche la materia inorganica come la sabbia59, ‘l’eumorfina’ dovrebbe contenere in sé la precisa codificazione cripto-biologica dell’euritmia nella distribuzione delle membra, della simmetria nella delineazione dell’aspetto fisico, dell’armonia nell’espressione motoria dei soggetti, dell’equilibrio e della grazia nella crescita dei corpi in fase di maturazione60.

55L’eumorfina, come è deducibile già dal nome, è una sorta di onnipervasivo reagente ‘callìforo’ e ‘callìgeno’ che filtra e alligna all’interno degli esseri viventi, innescandovi dalla nascita alla morte una serie pressoché continua di processi virtuosi di buona formazione. In maniera trasversale Lorgion scova le tracce di questa sostanza nella perfetta fisionomia circolare di alcuni protozoi, nella morbida elasticità dei capelli, nella consistenza vellutata di alcune mucose, nella viscida brillantezza delle uova di ragno.

56Se Fuentecilla Herrera disidratava i corpi per ridurre progressivamente lo spazio d’azione della vita, quasi per braccarla come se essa fosse un ospite inquietante che risiede al di sotto della pelle degli uomini, Lorgion non crede neppure più nella nozione di vita, ma solo nell’enigmatica forza sprigionata dalla matrice abiotica che ingenera bellezza. Questa sembra a tutti gli effetti parassitare l’organismo in cui si insinua e si insedia, rendendolo in ultima istanza il mero derivato del suo intervento finemente estetico.

57Per lo studioso olandese quindi, tutto è materia organizzata secondo l’indefettibile dosaggio dell’eumorfina, sempre in constante circolazione all’interno delle creature che possono usufruirne solo finché rimangono in vita. Lorgion sembra così approfondire e rettificare gli studi di Fuentecilla Herrera. Questo si limitava ad investigare il confine tra esistenza e decesso. L’olandese va oltre e fa coincidere la prima solo con la presenza dell’eumorfina. Ecco allora che Wilcock può chiosare tale stato di cose notando quanto segue:

  • 61 Ivi, p. 111.

Ridotta alla sua essenza, la teoria di Lorgion era comunque una sfida al comandamento di Occam, di non moltiplicare gli enti invano. Ciò che per un altro sarebbe stato un prisma di spato di Islanda, per il medico di Emmen era una lega o combinazione di calcite ed eumorfina: il minerale in sé era una massa che lo rendeva prismatico, trasparente, incolore, lucido, bifrangente, insomma bello61.

58Essa di fatto agisce trasformando la bellezza esteriore dei corpi nel proprio veicolo di innesco e trasmissione, simile in ciò ad una sorta di proteiforme virus che si mantiene vivo e protetto moltiplicandosi attraverso l’opera di colonizzazione messa in atto presso i vari organismi in cui penetra. Al fondo delle pietrificate coreografie dei coralli, nell’iridato screziarsi delle madreperle, nel perfetto incastro osseo delle sinartrosi animali, attraverso le flessuose geometrie disegnate dallo svolgersi di un tentacolo o di un’alga, Lorgion scorge operante in filigrana l’eumorfina, la quale quindi presiede alla genesi e allo sviluppo di ogni fenomeno naturale.

59Ma dove si trova tale componente così preziosa, così abbondante e così inafferrabile? Qual è la sua sede effettiva e soprattutto qual è la sua forma specifica? E ancora: è possibile ottenere un distillato di eumorfina che la riveli nella sua indescrivibile e forse ineffabile nudità? Queste domande turbano ogni giorno di più i sonni del medico olandese. Spinto da una malsana curiosità pseudo-scientifica, il suo amore per la bellezza scivola gradualmente nel cono d’ombra di una certosina propensione necrofila che lo sollecita a deturpare i corpi nei quali egli sospetta trovarsi una quota considerevole di quella sostanza.

  • 62 Ivi, pp. 111‑112.

60Implacabile e cupo, Lorgion decide di calcinare ben settantacinque Papilio Machaon nella speranza di veder sprigionarsi dall’intarsio policromo delle loro ali l’animula che le rendeva così affascinanti. In seguito passa le sue giornate a macerare e a ridurre in polvere petali di tulipani, aspettando che da essi si sollevi una leggerissima nubecola granulare d’eumorfina. Elabora negli anni ben 237 esperimenti — tutti fallimentari — arrivando perfino a torturare e ad uccidere un quattordicenne facendolo essiccare, esattamente come Fuentecilla Herrera, in una caldaia di rame62, concepito quale nuovo toro di Falaride.

61La diffusa e soffusa καλοκαγαθία che Lorgion scorgeva ovunque, ora va tradotta secondo i termini di una viscerale possessione demonica che innerva ogni aspetto della Natura. Ciò che inquieta il medico fiammingo è quindi un paradosso: la bellezza diventa manifesta e apprezzabile unicamente con lo svanire della propria policentrica radice ontologica, così che solo portando a decomposizione l’intero creato essa potrebbe rendersi finalmente evidente e afferrabile.

62Onnipresente ma indimostrabile, tanto indistruttibile quanto evanescente, l’eumorfina risulta tanto concreta nei sui lenticolari effetti estetici di superficie, quanto noumenica nella propria irriducibile inattingibilità. Abitata, invasa, infestata dalle minime ramificazioni di questa sostanza immateriale, la Natura è allora per Lorgion null’altro che un immenso corpo esposto alla sua febbrile e spietata libido vivisezionatrice.

  • 63 J. R. Wilcock, Poesie, cit., p. 63.

63Sulla base di questi assunti la bellezza è in ultima istanza inquadrabile sotto gli aspetti di un involucro sclerotizzato, di uno sterile cascame di risulta ininterrottamente prodotto dall’inarginabile irrorazione della sostanza morfogenetica. In tal senso le singole configurazioni del cosmo non fanno altro che ritrarre la realtà sotto le sembianze di un immenso rigor mortis dal quale Lorgion intende strapparla ogni volta in maniera violenta e traumatica, cercando di liberare la carica d’eumorfina in esse momentaneamente depositatasi. Per concludere potremmo citare alcuni versi di Wilcock e sostenere che, se quanto detto finora possiede una certa attendibilità, in queste «deliziose carogne […] la natura muore e l’astrazione vive»63.

4. Il corpo come Altrove

64Quattro anni prima dell’apparizione de La sinagoga degli iconoclasti e del racconto sull’eumorfina appena esaminato, Wilcock aveva dato alle stampe una raccolta poetica intitolata La parola Morte.

65Si tratta di un ciclo lirico di trenta componimenti di varia estensione, in cui l’autore affronta la questione evocata dal titolo a partire da una serie di temi ove nozioni di biologia si innestano sul recupero sottilmente ironico di qualche theologoumenon tardo-barocco coniugato con elementi tratti dai vari filoni della grande tradizione risalente ai cosiddetti Graveyard Poets.

66La raccolta è un piccolo campionario dei numerosi argomenti che negli anni successivi l’autore svilupperà in prosa nei suoi testi maggiori, come ad esempio nelle due sillogi di racconti a cui abbiamo fatto riferimento finora. Ne La parola Morte però c’è soprattutto una lirica che merita tutta la nostra attenzione.

67Stiamo parlando del venticinquesimo carme, il quale esordisce ex abrupto iniziando a narrare la non‑storia di un’indefinibile creatura che fece della propria interminabile nascita mancata il cavernoso alveo di una morte quotidiana e impersonale, reiterata innumerevoli volte in innumerevoli modi. Scrive Wilcock:

  • 64 Ivi, p. 95. Corsivi nostri.

Scomparve a soli tre mesi d’età,
senza conoscere lingua né memoria;
la sua biografia copre due periodi,
il primo si svolse nelle tenebre,
fu pesce, axolotl, proteo concentrico,
tra bagliori radi di luce rossiccia,
visse di continue trasfusioni di sangue
nel suo batiscafo senza oblò,
crebbe da mollusco a golem piccolo,
topologicamente il suo universo
era abbastanza simile al nostro
ma rivoltato come un guanto,
con la parte solida verso l’esterno
e la parte fluida verso l’interno
 […]64.

68Di che cosa sta parlando Wilcock qui? Fornire una risposta precisa è sostanzialmente impossibile. La lirica si apre con l’informazione di una scomparsa, puntando così a sottrarre, fin dalle prime battute, l’oggetto logico del discorso dal campo visivo del lettore, abbandonato dinanzi all’immagine nuda di uno spazio cieco ove non cessano di apparire da un fondo indistinto frammenti sparsi e dolenti di un corpo in precaria e convulsa formazione, il quale però non perviene mai ad un punto più o meno definitivo di assestamento e coagulo.

69«Proteo concentrico» lo chiama l’autore, lasciando intendere con questa possente metafora eleatico-ovidiana che la travolgente proliferazione di mutazioni e disgregazioni intestine non solo non può culminare in alcun modo nel disegno compiuto di una fisionomia terminale, ma deve per forza di cose svolgersi all’interno di un’angusta regione organica ove le virtualità mutàgene sono illimitate per quanto riguarda le variazioni somatiche, ma circoscritte in relazione al campo di estrinsecazione in cui esse possono aver luogo.

70Se, come visto poco sopra, per Fuentecilla Herrera era la morte che invadeva il corpo degli uomini, qui sono gli indocili e spastici volumi di questi effimeri corps interstitiels ad invadere lo spazio-zero della morte, a popolarla di embrionali fenotipi somatici che rimangono allo stato larvale per poi tornare nel biologico nulla prenatale ove scolorano poco a poco verso l’innominabile plaga dell’amorfo, come delle pallide figure senza nome impresse su di una pellicola divorata della fiamme.

71In questa rosseggiante camera ematica senza spiragli sull’esterno e interamente ripiegata sulla disarticolata ontogenesi di un essere privo di ogni coordinata strutturante, incontriamo un axolotl, in cui s’intrecciano inestricabilmente i connotati somatici tipici di vari viventi che non sembrano presentare tra di loro tratti comuni.

72Il corpo di questa creatura si compone di una larga testa tendenzialmente schiacciata ove brillano due piccole prominenze oculari sprovviste di ciglia. Nella parte retrostante dell’estremità anteriore palpitano tre paia di branchie, mentre altre quattro paia si rendono visibili in forza della loro accentuata vibratilità nella parte posteriore del corpo caudato e dotato di arti rudimentali da cui spuntano dita sottili e filamentose. Esso è una sorta di vivente necropoli organica nel cui controverso mosaico somatico, da evi immemorabili, gravitano blocchi anatomici in sfacelo rimasti ad uno stadio di sviluppo latente o eternamente ritardato.

  • 65 A. Dalcq, L’œuf et son dynamisme organisateur, Paris, Albin Michel, 1941, p. 340.
  • 66 Ivi, p. 319.

73Forzando un po’ l’interpretazione potremmo dire che qui si realizza una contro-somatisation la quale dà luogo a un fatiscente viluppo anamorfico di corpi, il cui dinamismo morfogenetico non trova mai requie o arresto. In tal senso il corpo plurale dell’axolotl è paragonabile a ciò che Dalcq denomina larve prismatique65, indicando con ciò un’imprecisa area embriogena66 in cui quello stesso corps interstitiel deriva dall’ibridazione di aborti simbiotici, arenati per sempre in un’infinitesima faglia di incoatività dell’evoluzione animale.

  • 67 J. R. Wilcock, Poesie, cit., p. 95.
  • 68 J. L. Schefer, Figures peintes, cit., p. 428.

74È a questo punto che possiamo formulare la seconda domanda e chiederci a che cosa faccia riferimento la bipartizione in due periodi della biografia della creatura in questione. Se la prima fase trascorre interamente in ciò che Wilcock chiama «ombra del non‑linguaggio»67, quasi a designare «un état qui fait, pour ainsi dire, suspension de tout corps figurable»68 per dirla ancora con Schefer, il secondo momento coincide naturalmente con la nascita che:

  • 69 J. R. Wilcock, Poesie, cit., p. 96. Corsivi nostri.

ha inizio con l’uscita dal grigio
di macchie vaghe di colore
poi raccolte in un groppo amorfo,
una specie di io che si leviga
e in tre settimane diventa una
sfera
ancora irregolare, poi perfetta,
che altre impressioni ridurranno
gradualmente a un
icosaedro
trafitto ancora da lampi improvvisi,
strepiti, avvicinarsi del soffitto,
mentre l’io diventa dodecaedro;
qui si inserisce parenteticamente
fuori del tempo e dello spazio
un fatto incongruo: quell’io
diviene il poeta Cyril Tourneur
scrive due tragedie e ritorna
sotto la forma adesso di un
cubo,
in grado di gustare altri cibi,
placidità notturne, foglie d’albero
sopra cieli vetrati dal sole,
poi si raduna in
tetraedro […]69.

  • 70 Riprendiamo questo termine da E. Berti, In principio era la meraviglia. Le grandi questioni della f (...)

75Si è spezzato l’asfittico circuito di trasformazioni che aveva portato l’anonima creatura a transitare al di fuori del tempo da mollusco a golem. Senza preavviso ora essa entra in una serie di alterazioni morfologiche che sembrano evocare la ‘metensomatosi’70 pitagorica, qui riproposta seconda una curvatura esplicitamente platonica: come noto, infatti, le figure geometriche con cui arriva a coincidere il suo corpo ad ogni stadio ulteriore non sono altro che i cinque poligoni regolari evocati a più riprese nel possente affresco cosmologico esposto nel Timeo. In merito a ciò, potremmo dire con Schefer che abbiamo qui

  • 71 J. L. Schefer, Figures peintes, cit., p. 424.

[…] idée de formes primordiales, bandes, lumières : ces formes ne sont pas organisatrices ou exploratoires. Tamis, pièces, réceptacles, c’est sans doute là que se produisent une dispersion et une concentration de quelque chose. Mais de quoi ? Modulation formelle ou chromatique […] ; modulation de sens ou d’affects… Mais comment cela est‑il possible sans aucun corps […] ? Quelle est donc cette espèce de zone de sensibilité tissée et faite surface ?71

76Liberatosi dalla nativa camera sepolcrale della propria interminabile genesi, il corpo della creatura affiora alla luce: Wilcock ci mostra questa nascita come un improvviso rapprendersi di notazioni cromatiche sulla sua superficie sconosciuta. Esse ben presto prendono a confluire sullo schermo percettivo intorno al quale tale essere ha iniziato ad agglomerarsi. È la febbrile ricettività primordiale di un io privo di unità, disordinatamente assalito dall’acefalo formicolare di sensazioni allo stato brado. Queste lo avvolgono e sembrano racchiudersi su di esso, formando una prima figura vagamente tondeggiante che poi si precisa nella compatta perfezione della sfera.

  • 72 Rimandiamo qui a delle analisi impeccabili di Sami‑Ali: «À la faveur de ce dédale de surfaces réflé (...)

77Il nisus trasformativo a questo punto non si arresta più. Wilcock immagina una dedalica cristallografia di rarefattissime somatisations in forza delle quali i corpi momentanei — e, a volte, anche simultanei — che appaiono dinanzi a noi non smettono di sovrapporsi e di intersecarsi, di trascolorare intercalandosi gli uni nelle anfrattuosità degli altri, attraverso una serie di inter‑penetrazioni culminanti in una cosmogonia pre‑umana di gastrulazioni volumetriche72.

  • 73 Riprendiamo, con beneficio d’inventario, l’espressione da A. Simon, La rumeur des distances travers (...)
  • 74 J. L. Schefer, Choses écrites, cit., p. 269. Wilcock in questo senso è molto chiaro: «finora era un (...)

78Nel punto più profondo di queste l’io fluttua come un dato inassimilabile, preda di quella désorbitation identitaire73 la quale lo rende sempre più affine ad una sorta di fredda e flebile incandescenza che lambisce appena gli orli esterni di questo trigonometrico caos primitivo, essendone come l’ombra portata, «fatras onirique […] lui‑même rendu à sa condition éphémère, transitoire dans la matière du monde»74.

  • 75 M. Sami‑Ali, Corps réel, corps imaginaire, cit., p. 7.

79Perduto in questa farandola di poliedri danzanti, l’io è una reliquia composta d’indecifrabili ideogrammi, i quali nelle loro mute metamorfosi mimano gli anagrammi anatomici a cui questo corps dépossédé75 dà luogo nel momento in cui esso è ridotto a quell’invertebrato labirinto che abbiamo avuto modo di incontrare poco sopra, esaminando il primo segmento della lirica in questione.

  • 76 E. Grossman, La défiguration, cit., pp. 31‑32.
  • 77 Ivi, p. 37.

80Nelle spire di questa teorematica transvertébration modulare l’io s’incista e langue con le sembianze di un’opacità destinata entro breve tempo ad essere obliterata per sempre. Qui la disidentificazione è talmente irreversibile che corpo e soggetto non possono più trovare alcuna coordinata di corrispondenza o di allineamento. Partiti dai processi devianti di somatisation, che impedivano di individuare dei margini di riappropriazione del corpo da parte del soggetto, siamo arrivati all’estremità opposta in cui ogni riferimento più o meno sfumato ad una coordinata di natura somatica sprofonda nel comatoso cratere organico di quel discorps76 visto e concepito ormai come «corps pluriel de personne»77.

  • 78 Cfr. ancora G. Crivella, Itinerarium mentis in Monstrum, cit., pp. 108‑111.

81È su questa linea di ricerca che si collocherà Il libro dei mostri, l’ultima raccolta di Wilcock, apparsa nel 1978. In essa il corpo è un palpebrante reliquiario invaso in maniera incontenibile da vestigia erratiche di malformati pseudopodi, alle cui estremità si schiudono sclere e iridi dentro antere di vetro, che serpeggiano smarrite tra superfici di serici reticoli bronchiali saturati da grappoli di vacùoli, nel cui sostrato brancolano amebe e radiolari, rilasciando un contrattile plasma morfogenetico il quale tiene in incubazione miriadi di uova da cui sorgeranno, silenziosi e striscianti, policefali rettili piumati78.

  • 79 J. R. Wilcock, Il libro dei Mostri, Milano, Adelphi, 1978, p. 138.

82Non è allora un caso che in questo ronzante colombario di crisalidi impagliate svetti un personaggio come Nerone Borio il quale, una volta dismesso ogni sembiante umano, accetta di rinascere stomatopodo frantumatore79. Con Il libro dei Mostri l’autore argentino porta quindi alle estreme conseguenze la propria riflessione sulle forme aberranti di somatisation esaminate finora.

83Proseguendo la traiettoria delle raccolte precedenti, in questo testo Wilcock fa sfilare il negromantico carnevale di corpi colti dal freddo fremito di una metamorfosi trascendentale, in cui l’araldico e il babelico, il fatiscente e il metafisico, l’astratto e il tellurico, il numinoso e il preistorico, il decomposto e il taumaturgico si contaminano reciprocamente, arrivando così a fare in ultima istanza dell’annientamento una scienza esatta. In tal senso, dunque, ciò che potremmo definire il somatico residuale simula sinistramente l’antropomorfo pur appartenendo ormai in toto alle frastagliate latitudini del disumano.

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Notes

1 H. Michaux, Les grandes épreuves de l’esprit et les innombrables petites, Paris, Gallimard, 1966, p. 174.

2 Ci permettiamo di rimandare soprattutto all’importante convegno tenutosi presso l’Università di Birmingham nel gennaio del 2018, dal titolo più che esemplificativo Imaginig the Body, cfr. <https://imaginingthebody.wordpress.com/programme/>.

3 Cfr. soprattutto E. de Saint Aubert, Du lien des êtres aux éléments de l’être. Merleau-Ponty au tournant des années 1945‑1951, Paris, Vrin, 2004, pp. 147‑190.

4 Tra tutti menzioniamo qui H. Maldiney, Regard, parole, espace, Paris, Éditions du Cerf, 2013, in particolare pp. 175‑196.

5 Rimandiamo qui alle analisi contenute in J. Garelli, Artaud et la question du lieu, Paris, José Corti, 1982, pp. 67‑81.

6 M. Mauss, Teoria generale della magia, Torino, Einaudi, 1991, pp. 20‑41. I saggi qui riprodotti risalgono al 1902.

7 M. Bachtin, L’opera di Rabelais e la cultura popolare, Torino, Einaudi, 2001 (1965), pp. 332‑480.

8 Cfr. <www.unil.ch/files/[…]/new PDF/Colloque_Giger_07.10.21_flyer.pdf>.

9 M. Sami‑Ali, Corps réel, corps imaginaire. Pour une épistémologie psychanalytique, Paris, BORDAS, 1977, pp. 1‑21.

10 Si tratta di sette declinazioni diverse: corps et identité, corps et espace, corps et temps, corps et parole, corps et mouvement, corps et somatisation, corps et narcissisme.

11 Per questo rimandiamo a O. Mannoni, Clefs pour l’Imaginaire ou l’Autre scène, Paris, Seuil, 1969, pp. 24‑66. Va detto che Sami‑Ali in effetti non cita mai quest’opera di Mannoni.

12 Qui intesa nell’accezione ampia proposta da Sami‑Ali, concepita quindi come lo spazio instabile di una costituzione somatica in cui però si agita e si dibatte «une réalité corporelle contradictoire», cfr. Sami‑Ali, Corps réel, corps imaginaire, cit., pp. 6‑11. Non a caso, in uno dei saggi centrali di questo testo, la figura emblematica di questo stato di cose è il corpo del Presidente Schreber, cfr. ivi, p. 82.

13 Ivi, p. 103.

14 Ibid.

15 Ibid.

16 N.d.A.

17 Ivi, p. 21.

18 J. L. Schefer, Choses écrites. Essais de littérature et à peu près, Paris, POL, 1998, p. 190.

19 J.‑F. Lyotard, Économie libidinale, Paris, Minuit, 1974, p. 9.

20 Cfr. M. le Bot, L’œil du peintre, Paris, Gallimard, 1982, p. 22‑24.

21 J. L. Schefer, Figures peintes. Essais sur la peinture, Paris, POL, 1998, p. 428.

22 J. L. Schefer, Choses écrites, cit., p. 87.

23 Ivi, p. 151.

24 Ivi, p. 82.

25 Su questo aspetto cfr. G. Crivella, L’Observatoire de Cannes. Comment décrire une description ?, in M. Calle-Gruber, M. Avelot e G. Tronchet (a cura di), Écrire pour inventer (à partir des travaux de Jean Ricardou), Paris, Hermann, 2020, pp. 285‑300.

26 J. R. Wilcock, Lo stereoscopio dei solitari, Milano, Adelphi, 2017 (1972), p. 65. Da ora sempre abbreviato in nota con SS, seguito dal numero di pagina.

27 R. Deidier e R. Nisini (a cura di), L’eternità immutabile. Studi su Juan Rodolfo Wilcock, Macerata, Quodlibet, 2021, pp. 53‑60.

28 M. Sami‑Ali, Corps réel, corps imaginaire, cit., pp. 38‑60. Facciamo qui riferimento soprattutto agli esempi raccolti dall’autore sotto la rubrica Corps et temps.

29 Ivi, p. 11. Per essere precisi, Sami‑Ali parla molto specificamente delle «parties aliénées du corps imaginaire».

30 SS, pp. 65‑66.

31 Ivi, p. 66.

32 E. Grossman, La défiguration. Artaud, Beckett, Michaux, Paris, Minuit, 2004, p. 21.

33 J. L. Schefer, Choses écrites, cit., p. 145.

34 M. Sami‑Ali, Corps réel, corps imaginaire, cit., p. 40.

35 J. R. Wilcock, Poesie, Milano, Adelphi, 1980, p. 62.

36 J. L. Schefer, Figures peintes, cit., p. 357.

37 Hanno un ruolo determinante, ad esempio, nel racconto La bella Concetta, cfr. J. R. Wilcock, Il Caos, Milano, Bompiani, 1961, pp. 89‑90. Su questo rimandiamo a G. Crivella, Itinerarium mentis in Monstrum. Saggio su Juan Rodolfo Wilcock, «Acta Iassyensia Comparationis», no 29, Les monstres dans la littérature, 2022/1, pp. 95‑98.

38 M. Sami‑Ali, Corps réel, corps imaginaire, cit., p. 7.

39 J. R. Wilcock, Fatti inquietanti, Milano, Adelphi, 1992 (1971), p. 15. Da ora sempre abbreviato in nota con FI, seguito dal numero di pagina.

40 Ivi, p. 16.

41 Rimandiamo naturalmente a Cancroregina, cfr. T. Landolfi, Cancroregina, Milano, Adelphi, 1993, pp. 22‑44. Sul rapporto Wilcock-Landolfi, cfr. L’eternità immutabile, cit., p. 53 e p. 56.

42 In particolare rimandiamo a D. Buzzati, Il grande ritratto, Milano, Mondadori, 1960, soprattutto pp. 133‑156.

43 Ampliando la nozione di ‘science-fiction’ rinviamo qui a due scritti esemplari, molto diversi nel taglio espositivo ma a nostro giudizio complementari tra loro: R. Giovannoli, La scienza della fantascienza, Milano, Bompiani, 1991, pp. 7‑38 e pp. 60‑110; F. Orlando, Il soprannaturale letterario. Storia, logica, forme, Torino, Einaudi, 2017, pp. 89‑120.

44 Cfr. T. Todorov, Introduction à la littérature fantastique, Paris, Seuil, 1970, pp. 28‑112.

45 Soprattutto FI, pp. 239‑241. Si tratta del testo Letteratura d’avvenire e fantascienza. Per un approfondimento cfr. F. B. Napoletano, L’assurdo fantastico, in R. Deidier (a cura di), Segnali sul nulla. Studi e testimonianze per Juan Rodolfo Wilcock, Roma, Istituto della Enciclopedia Italiana, 2002, pp. 97‑106.

46 FI, pp. 237‑238. Il romanzo in questione, che prende il titolo proprio dal personaggio del Dottor No, fu pubblicato nel 1958.

47 FI, p. 238.

48 J. L. Schefer, Choses écrites, cit., p. 184.

49 Su questo L’eternità immutabile, cit., pp. 25‑39.

50 Wilcock non parla di ‘astrario’, ma nel leggere la descrizione del marchingegno attribuito al tedesco Scholfield è impossibile non pensare all’invenzione dell’umanista e scienziato padovano Giovanni Dondi dall’Orologio, cfr. la stupenda edizione francese Johannis de Dondis, Astrarium, Paris, Les Belles Lettres, 1987.

51 J. R. Wilcock, La sinagoga degli iconoclasti, Milano, Adelphi, 1990 (1972), p. 151.

52 Ivi, p. 129: «all’età di 59 anni, il belga Henry Boucher ne aveva soltanto 42».

53 Ibid.

54 Ivi, pp. 130‑131.

55 Ivi, p. 137.

56 Ivi, pp. 136‑137.

57 J. L. Schefer, Le temps dont je suis l’hypothèse, Paris, POL, 2012, p. 129.

58 J. R. Wilcock, La sinagoga degli iconoclasti, cit., p. 109.

59 Ibid.

60 Ivi, pp. 110‑111.

61 Ivi, p. 111.

62 Ivi, pp. 111‑112.

63 J. R. Wilcock, Poesie, cit., p. 63.

64 Ivi, p. 95. Corsivi nostri.

65 A. Dalcq, L’œuf et son dynamisme organisateur, Paris, Albin Michel, 1941, p. 340.

66 Ivi, p. 319.

67 J. R. Wilcock, Poesie, cit., p. 95.

68 J. L. Schefer, Figures peintes, cit., p. 428.

69 J. R. Wilcock, Poesie, cit., p. 96. Corsivi nostri.

70 Riprendiamo questo termine da E. Berti, In principio era la meraviglia. Le grandi questioni della filosofia antica, Milano, Feltrinelli, 2007, pp. 74‑89. L’autore osserva molto opportunamente che il lemma ‘metempsicosi’ riferito alla dottrina pitagorica delle anime è etimologicamente e semanticamente errato, dal momento che l’anima, rimanendo sempre la medesima, si sposterebbe da un corpo all’altro, oltrepassando ogni volta i vari involucri materiali che lascia dietro di sé come gusci vuoti.

71 J. L. Schefer, Figures peintes, cit., p. 424.

72 Rimandiamo qui a delle analisi impeccabili di Sami‑Ali: «À la faveur de ce dédale de surfaces réfléchissantes, la pensée dans le délire pense l’impensable […]. La raison, à laquelle rien ne fait plus obstacle, se perd dans l’infini, de la réduplication du même au‑dedans et au‑dehors, et dont le cercle demeure l’image la plus rapprochée. En créant an monde clos où coïncident fin et commencement, où les contraires se dissolvent dans l’identique, le délire constitue une tentative extrême de dépasser une impasse relationnelle que fonde la contradiction, en intégrant la contradiction. Tentative réussie dont l’effet le plus marquant est de bouleverser de fond en comble le fonctionnement psychosomatique, le corps imaginaire supplantant le corps réel, alors que la projection qui a absorbé le réel n’a plus de limite» (M. Sami‑Ali, Penser le somatique. Imaginaire et pathologie, Paris, Dunod, 1987, pp. 75‑76).

73 Riprendiamo, con beneficio d’inventario, l’espressione da A. Simon, La rumeur des distances traversées. Proust, une esthétique de la surimpression, Paris, Garnier, 2018, p. 74.

74 J. L. Schefer, Choses écrites, cit., p. 269. Wilcock in questo senso è molto chiaro: «finora era un morto che viveva, / adesso era un vivente che cominciava a morire» (J. R. Wilcock, Poesie, cit., p. 96).

75 M. Sami‑Ali, Corps réel, corps imaginaire, cit., p. 7.

76 E. Grossman, La défiguration, cit., pp. 31‑32.

77 Ivi, p. 37.

78 Cfr. ancora G. Crivella, Itinerarium mentis in Monstrum, cit., pp. 108‑111.

79 J. R. Wilcock, Il libro dei Mostri, Milano, Adelphi, 1978, p. 138.

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Pour citer cet article

Référence électronique

Giuseppe Crivella, « «La vie maintenant, c’est l’Invasion». Anatomie aberranti nelle opere di Juan Rodolfo Wilcock »Cahiers d’études italiennes [En ligne], 38 | 2024, mis en ligne le 01 mars 2024, consulté le 03 décembre 2024. URL : http://0-journals-openedition-org.catalogue.libraries.london.ac.uk/cei/14151 ; DOI : https://0-doi-org.catalogue.libraries.london.ac.uk/10.4000/cei.14151

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Auteur

Giuseppe Crivella

Chercheur indépendant, professeur d’histoire et philosophie dans l’enseignement secondaire (lycées de Florence)

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