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Le conseguenze della guerra: traumi e mutilazioni

Rappresentazioni e manifestazioni psico-somatiche del trauma bellico in Una nobile follia di Igino Ugo Tarchetti

Représentations et manifestations psychosomatiques du traumatisme de guerre dans Una nobile follia de Igino Ugo Tarchetti
Representations and Psycho-Somatic Manifestations of War Trauma in Una nobile follia by Igino Ugo Tarchetti
Nemola Chiara Zecca

Résumés

À partir de l’analyse du roman de Tarchetti, Una nobile follia (Une noble folie), l’article examine les stratégies littéraires de représentation du malaise physique et surtout du mal‑être psychique provoqués par l’expérience de la guerre. À une époque où la psychiatrie italienne, en quête d’une pleine reconnaissance scientifique, utilise le paradigme de la dégénérescence pour expliquer les traumatismes de guerre où elle ne voit que le résultat d’une faiblesse héréditaire, le roman de Tarchetti n’hésite pas à attribuer la responsabilité du malaise psychique à des dynamiques psycho‑sociales qui ne peuvent être ramenées à de simples prédispositions naturelles.

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Texte intégral

  • 1 Il romanzo viene ristampato nella sua versione definitiva da Treves solo nel 1869.

1Una nobile follia (Drammi della vita militare) [d’ora in poi, abbreviato, Una nobile follia, N.d.A.] viene pubblicato per la prima volta col titolo Vincenzo D*** (Una nobile follia) in appendice al giornale milanese «Il Sole» tra il 1866 e il 1867, proprio quando nell’immaginario collettivo erano ancora ben vivi i ricordi delle drammatiche sconfitte di Lissa e Custoza1.

  • 2 D. Tongiorgi, «Le fortunate catastrofi di Custoza e Lissa»: Tarchetti, Farina e l’anti-mito della s (...)
  • 3 La parabola del quotidiano progressista era, infatti, iniziata qualche tempo prima: già nel febbrai (...)

2Noto per le sue posizioni interventiste, vicine alle idee di una vivace sinistra borghese e imprenditoriale, «Il Sole», pur avendo da sempre selezionato con attenzione parsimoniosa i pochi interventi di ambito artistico e letterario2, decide tuttavia di pubblicare l’opera tarchettiana con la volontà (già da tempo dichiarata)3 di dare voce a un più generale grido di dissenso che, soprattutto all’indomani di quelle due sconfitte reputate infamanti, si era elevato nell’ambiente intellettuale italiano nei confronti della classe politica vigente.

  • 4 R. Carnero, Introduzione, in I. U. Tarchetti, Una nobile follia, Milano, Mondadori, 2004, p. xxv. F (...)

3L’inglorioso tramonto dell’esperienza risorgimentale aveva, infatti, aperto critiche ed esami di coscienza sul modo con cui era stato condotto il processo di unificazione nazionale. Il disincanto nato dalle disfatte di Lissa e Custoza e, ancor prima di queste, l’insoddisfazione nei confronti della linea moderata di Cavour, che aveva sbarrato la strada alle più radicali posizioni mazziniane e garibaldine, trovano posto, come ben nota lo studioso Roberto Carnero, in voci dissonanti e certamente minoritarie rispetto alla più vasta letteratura ufficiale, che denunciano «la delusione proveniente da un Risorgimento che si era rivelato troppo borghese e troppo poco popolare»4.

  • 5 Cfr. L. Bani, «Un’istituzione che io mi proponevo di abbattere». La rappresentazione del soldato e (...)
  • 6 Citato in L. Spalanca, Introduzione. Per un ritratto dell’artista martire, in I. U. Tarchetti, Una (...)

4Oltre alle più note produzioni scapigliate, che trovano spesso spazio in periodici come la «Cronaca Grigia» di Cletto Arrighi e il «Gazzettino Rosa» di Felice Cavallotti e Achille Bizzoni5, già negli anni dell’unificazione compaiono infatti in Italia opuscoli specifici sull’argomento. Carlo Pisacane, nel saggio Ordinamento dell’esercito italiano del 1860, denuncia con sguardo chiaro e franco i vizi che dilagano in caserma: «il gioco, la crapula, l’ignavia figlia dell’odio in cui si giace ne’ presìdi, ecco in che consiste l’amor proprio di corpo degli eserciti permanenti»6.

  • 7 S. Farina, Tutti militi! Pensieri sull’abolizione degli eserciti permanenti, Milano, Cesare Cioffi, (...)

5Il rifiuto categorico dell’istituzione militare, che sottende a tali riflessioni, rappresenta il tema di un altro opuscolo, dal titolo Tutti militi! Pensieri sull’abolizione degli eserciti permanenti7, scritto nel 1866 da Salvatore Farina, amico fraterno e collega di Tarchetti.

  • 8 «L’ultima guerra ha portato un assai benefico frutto; uno di quei frutti che altri eventi, altri te (...)

6Nello stesso anno, Farina pubblica, sempre sulle colonne de «Il Sole», una feroce critica contro la pochezza della classe dirigente nazionale, messa, non in ultimo, a nudo dal catastrofico risultato delle prove belliche di Lissa e Custoza8. In linea col pensiero di Carlo Cattaneo, teorico della nazione armata e nume tutelare del gruppo del giornale milanese, Farina si inserisce di fatto nel solco di una proposta politica concreta, che vede nel rifiuto del modello militare stanziale la propria cifra caratterizzante.

  • 9 «All’inventio romanzesca di Tarchetti sembra […] spettare […] il compito di infrangere alcuni degli (...)

7L’aspra polemica sull’operato dell’esercito e, con questa, la diffusa sfiducia nei confronti della classe politica trova voce — seppur in termini e finalità differenti — nell’opera tarchettiana che, pur connotandosi come un più generale grido di dissenso sostanzialmente impolitico, finisce comunque per intaccare la retorica di guerra e, dunque, il processo stesso di costruzione della nazione9.

  • 10 Nello scritto programmatico Idee minime sul romanzo del 1865, in parte ripreso nella prefazione all (...)
  • 11 Per una definizione di scapigliatura democratica, cfr. G. Farinelli, La scapigliatura. Profilo stor (...)
  • 12 «Io l’ho scritto per uno scopo […] e lo rafforzai in pochi giorni per appendici di giornale — non m (...)

8Sganciandosi da una visione agiografica del soldato e da una concezione celebrativa della guerra, Tarchetti con Una nobile follia si fa promotore di un’etica nuova, che riconosce alla letteratura il ruolo di efficace strumento di diffusione di un panorama valoriale alternativo. «Educare e istruire, allettando» rappresenta, infatti, per l’autore, l’obiettivo primo di questa nobile arte10, cui riconosce il compito — allineandosi, in questo, alle istanze culturali proprie della scapigliatura democratica11 — di diffondere, nel momento politicamente più appropriato12, un messaggio nuovo e decisamente non convenzionale.

  • 13 Dalle parole scritte da Tarchetti nella prefazione alla seconda edizione del romanzo: «Quando ho pu (...)

9Sebbene non sia annoverata tra le opere più note della produzione tarchettiana, Una nobile follia rappresenta il romanzo che meglio di qualunque altro è riuscito a diffondere l’ideale antimilitarista con un’efficacia propagandistica13, resa ancor più fortunata dalla presenza di una cornice metastorica che, oltrepassando l’avvenimento specifico, lascia spazio al racconto di un io universale, sempre più smarrito in un percorso poroso tra ragione e follia.

  • 14 S. Jacomuzzi, L’epica “negativa” di Tarchetti: la battaglia della Cernaia, in F. Contorbia (a cura (...)
  • 15 M. L. Patruno, I romanzi di Igino Ugo Tarchetti, «Annali della Scuola Normale Superiore di Pisa», v (...)
  • 16 Ivi, p. 1215.
  • 17 L. Bani, «Un’istituzione che io mi proponevo di abbattere», cit.
  • 18 D’ora in poi, per esigenza di chiarezza e per evitare confusione, ci riferiremo al protagonista del (...)

10L’antimilitarismo, o piuttosto «l’antirisorgimento tarchettiano» (così lo definisce Stefano Jacomuzzi)14, innestandosi nel quadro più generale di un ripensamento critico nei confronti della politica governativa post-unitaria, si risolve di fatto in una sorta di «confusione ideologica» che, lasciando sostanzialmente inesplorato l’obiettivo polemico, si dissolve in «un anarchismo libertario, liquidatorio», che prende la forma di «un messaggio profetico-umanitario, portatore di grandi verità»15. Tralasciando le più indagate ragioni ideologiche e culturali sottese alla discontinuità strutturale e allo sperimentalismo aperto che, come sottolinea Patruno, rappresentano il principale problema critico legato all’intera produzione tarchettiana16, con questo intervento si vorranno invece esaminare le strategie letterarie di rappresentazione del malessere fisico e, in particolare, del disagio psichico, che emergono nel corpo e nell’animo del protagonista di Una nobile follia, a seguito dell’esperienza bellica da questi vissuta. Nel romanzo, l’abbruttimento straniante e depersonalizzante causato dai tragici eventi della guerra viene tradotto nella frammentazione della struttura narrativa dell’opera, non a caso definita da Luca Bani come un vero e proprio «sistema a scatole cinesi»17, l’unico forse in grado di restituire la disintegrazione che, nella mente e nel corpo, subisce il protagonista Filippo Sporta18.

11Filippo Sporta, alias Vincenzo D., si vede d’improvviso prelevato dalla sua pacifica e piacevole quotidianità, per essere forzatamente arruolato come soldato nella Guerra di Crimea, conflitto per il controllo dei Balcani che, dal 1853 al 1856, contrappose alla Russia l’Impero Ottomano, sostenuto dagli alleati Gran Bretagna e Francia, forti dell’appoggio di un corpo di spedizione piemontese; di questo, Filippo fa appunto parte. Del conflitto vissuto, egli racconta al suo interlocutore e alter ego Vincenzo D., a sua volta intimo amico di Ugo. Se Vincenzo D. rappresenta il narratore di secondo livello del romanzo, Ugo è il primo; a lui, infatti, spetta il compito di esporre con chiarezza nella cornice narrativa, il racconto dell’incontro tra Vincenzo e Filippo, e della loro amicizia.

  • 19 «Una nobile follia istituisce esplicitamente, e per la prima volta in assoluto, un rapporto analogi (...)

12Il capovolgimento delle categorie cognitive e sensoriali che caratterizza la ricostruzione del racconto esperienziale del protagonista prende di fatto le forme di uno stato nevrotico: se, sul piano stilistico, questo viene formalizzato principalmente attraverso l’innesto del fantastico19, sul piano contenutistico e lessicale ciò si traduce nel ricorso a codici propri della medicina e, più particolarmente, della psichiatria. Su questi, il presente contributo intende focalizzare la propria indagine. Mettendo a confronto alcuni passaggi del romanzo sia con articoli pressoché coevi, pubblicati su riviste come «L’Italia militare» e il «Giornale medico del Regio Esercito», sia con saggi scritti tra la fine del 1800 e i primi del 1900 da psichiatri come Pietro Grilli, Filippo Saporito e Pietro Brancaleone-Ribaudo, si cercherà di dimostrare come l’indagine letteraria, esente dalla velleità di sostituirsi a quella scientifica, sia stata in grado — per certi versi — di oltrepassarla, giungendo a profetizzare, attraverso una fine esplorazione dell’umano, scoperte e teorizzazioni successive. Nello specifico, si cercherà di riscoprire la centralità del corpo e della portata emotiva, sociale e culturale che questo riveste nel romanzo Una nobile follia, allo scopo di comprovare quanto labile, nell’epoca del positivismo, fosse il confine tra letteratura, medicina e antropologia.

  • 20 Cfr. in particolare M. A. Bazzocchi, Il codice del corpo: genere e sessualità nella letteratura ita (...)

13Le più recenti acquisizioni storiografiche hanno, infatti, dimostrato quanto prolifico possa risultare, in termini di metodo e contenuto, il riportare al centro dell’analisi i corpi e le loro soggettività20. In tal senso, adottare una chiave interpretativa che incroci la letteratura alla storia della medicina (che in un certo senso altro non è che storia dei corpi) rappresenta un passo importante e significativo per comprendere come e quanto questa abbia influito nella costruzione di un immaginario popolare. Prima, però, di esaminare le implicazioni scientifiche sottese alla descrizione del profilo psico-somatico del protagonista, si ritiene necessario evidenziare quella che, fin da una prima lettura del testo, scevra da interpretazioni debitrici alla medicina, risulta essere un’inopinabile centralità e pervasività del corpo nel corso dell’intera narrazione.

  • 21 I. U. Tarchetti, Una nobile follia, cit., p. 115.

14Il racconto della guerra incarna, in tal senso, la storia di uno scontro tra esperienze corporee, singole e collettive: al centro, vi si trovano corpi d’armata contrapposti, spesso esitanti e privi di una guida, come accade al convoglio del generale russo Read; corpi di uomini uccisi, ammassati nella natura «in un amplesso disperato ed orribile»21, dove i cadaveri, posti uno sopra l’altro, divengono «montagne», e i corpi sospesi sull’orlo dei dirupi «stalattiti umane» (p. 104).

15E mentre l’immagine antropomorfizzata della guerra narra di cannoni che spalancano le proprie bocche, pronti a vomitare un’onda di ferro e fuoco (p. 117), il corpo stesso diviene strumento del conflitto, quando carcasse di uomini e di animali vengono disposte a larghi strati incrociati per innalzare una muraglia di cadaveri, utile a riparare i vivi dai colpi dell’artiglieria nemica. Così, Filippo descrive la scena:

Noi ci collochiamo dietro quel vallo di carne; ci afferriamo ai capelli o ai piedi dei morti, e spariamo contro il nemico, spingendo le nostre carabine negli spazi esistenti tra l’uno e l’altro cadavere […]. Talora delle braccia che sembravano pendere inanimate, si muovono ad un tratto, si agitano, afferrano nell’agonia della morte le membra dei soldati appoggiati contro di esse e li trattengono a forza; talora sentiamo palpitare sotto i nostri piedi i polsi degli infelici sui quali siamo saliti, e un gemito flebile e lungo attestare che essi vivono ancora (pp. 122‑123).

16La centralità dei corpi diviene ancor più pervasiva ed evidente al termine della battaglia, quando cadaveri di uomini e di animali invadono la natura, con il loro fetore: «[…] monti di uccisi; battaglioni interi giacciono tra le ginestre; sotto i verdi tappeti delle eriche si vedono scorrere dei piccoli ruscelli di sangue; le punte dei massi che emergono dal terreno sono cosparse di membra e di viscere lacerate» (p. 119); cadaveri «appesi per le vertebre ai rami spezzati […], come serpi rotte nella schiena» (p. 117), coronano la scena.

17Ad accentuare la rappresentazione icastica della morte, al punto da farla apparire «quasi denudata di tutto il suo orrore», contribuisce la cruda descrizione che il narratore fa dell’ «atteggiamento» dei cadaveri disseminati sul campo di battaglia:

[…] le membra irrigidite dal gelo della notte, avevano degli atteggiamenti minacciosi e severi; i fianchi dei dirupi erano segnati di lunghe strisce di sangue, e spesso dai roveti che crescevano lungo le loro gole cadevano dei cadaveri lacerati come frutti avvizziti dagli alberi (pp. 105‑106).

  • 22 La traduzione è ripresa da «Illustrazione italiana. Rivista settimanale degli avvenimenti e persona (...)

18Dal paragrafo, sembra riecheggiare la descrizione fatta da un uomo in visita al campo di battaglia di Inkermann, qualche minuto dopo la fine del conflitto, e pubblicata per la prima volta l’8 novembre 1854 sul giornale inglese «Morning Herald». Vi si legge di «uomini risoluti, coll’arme in mano, nell’atto di caricare alla baionetta col viso energicamente volto al nemico e ancora minaccioso»; di alcuni che «avevano l’attitudine di preghiera, cogli occhi rivolti al cielo, le mani congiunte», e di altri che invece «erano rimasti inginocchiati, stringendo convulsivamente l’arme in pugno colla cartuccia fra i denti». E continua, concludendo: «tutti i visi erano pallidi e il vento, che soffiava con violenza, sembrava rianimare questi cadaveri: si sarebbe detto che quelle lunghe file di morti stavano per rialzarsi e ricominciare la pugna»22.

  • 23 J. Boudin, De la foudre considérée au point de vue de l’histoire, de la médecine légale, et de l’hy (...)
  • 24 J.‑C. Chenu (a cura di), Rapport au Conseil de santé des armées, Paris, Masson, 1865.
  • 25 Citato in I. U. Tarchetti, Tutte le opere, a cura di E. Ghidetti, vol. II, Bologna, Cappelli, 1967, (...)
  • 26 Cfr. nota no 11.
  • 27 Cfr. M. Rovinello, Tra servitù e servizio. Storia della leva in Italia dall’Unità alla Grande guerr (...)

19Il primo a intuire l’interesse che un tale articolo avrebbe potuto suscitare nella comunità medica è stato Joseph Boudin, ufficiale medico del contingente francese, che pubblica un estratto di tale scritto nel 1855, nel suo saggio De la foudre considérée au point de vue de l’histoire, de la médecine légale, et de l’hygiène publique23, poi in parte ripreso nel 1865 all’interno del Rapport au Conseil de santé des armées, opera di statistica medica militare sui fatti di Crimea, commissionata dal governo francese al medico Jean-Charles Chenu, che ne fu il curatore24. In Italia, l’articolo, come sottolineato da Enrico Ghidetti, viene pubblicato per la prima volta il 26 gennaio 1868, sulla rivista «L’Italia militare»25, per poi essere riedito nel 1876 sul popolare giornale «L’Illustrazione italiana»26; questo dimostra quanto diffusa fosse la curiosità sulla vita militare, cosa ulteriormente comprovata dalla vasta produzione che caratterizza, sul finire del XIX secolo, la letteratura di guerra27.

  • 28 È bene notare, tuttavia, che in alcuni passaggi il romanzo adotta toni altri, virando piuttosto ver (...)
  • 29 Cfr. I. U. Tarchetti, Una nobile follia, cit., p. 108.
  • 30 Ibid.
  • 31 Ivi, p. 130. Per esigenza di maggiore esaustività, è bene notare che in questo brano Tarchetti tras (...)

20Distaccandosi totalmente dalla più diffusa visione nazionalizzante propria di tal genere, chiamato — tra le altre cose — a fornire una risposta alla crisi di prestigio che il mondo militare italiano viveva in quegli anni, Tarchetti utilizza un linguaggio icastico, di notevole efficacia rappresentativa, poi non a caso mutuato dalla scienza medica, per denunciare il carattere mortifero e abbruttente di ogni conflitto28. Alla descrizione dell’orrore che segue il termine della guerra, si accompagna il racconto di un analogo sconquasso causato da una tremenda tempesta di terra e di mare, che inghiotte i corpi, travolgendoli, quasi fosse l’ampia mascella di un mostro29. Tra braccia che si agitano, volti lividi e foschi, occhi atterriti, uccelli asfissiati e tronchi spezzati30, ogni elemento vivente — uomini, piante, animali che siano — si riduce a essere «una piccola escoriazione del globo», vomitata dalla natura e restituita ad essa sotto forma di «un immenso cadavere deformato», avviluppato da nebbia mista a fuochi fatui31. Tutto trasuda corporalità, dunque, in un reticolo inestricabile, fatto di carne e di nervi.

21Il clima mortifero del conflitto genera, infatti, un inevitabile malessere straniante nell’animo del protagonista, che si riverbera sul suo corpo. Ne abbiamo la prova, per la prima volta, quando Vincenzo racconta di «una strana convulsione nervosa simile all’epilessia», che colpisce Filippo, alla vista di una marcia di soldati, annunciata dal suono di una fanfara:

[…] i suoi occhi vitrei e spalancati seguivano con una rotazione appena visibile la marcia dei soldati; e quando non giunse più a discernerli, si lasciò cadere sopra una sedia, e chinò il capo sul petto…era svenuto. Dopo una lunga mezz’ora di penosa aspettazione, rinvenne. Il suo volto parevami mutato; mi guardò con espressione di affanno intensissimo […] (p. 56).

22È la prima volta che Vincenzo, già in parte consapevole della singolarità di Filippo, ne esperisce quella che successivamente definirà la sua pazzia «innocente ed ipocondriaca» (p. 62), delineandone un rapido esempio di quadro clinico:

[…] quell’uomo soffriva di un’alienazione mentale che cessava e riappariva, o modificavasi ad intervalli. Tornavami alla mente quel suo volto affilato e severo, quel rapido alternarsi di un rossore vivace e d’un pallore cadaverico, quell’occhio lucido e fisso che dilatavasi nella sua orbita ad ogni pensiero che ne esaltasse la mente; quella rapidità del gesto, quella facile alterazione della voce, quel tutto inesplicabile che si rivela in un uomo la cui ragione è alterata o smarrita (p. 58).

  • 32 F. Saporito, Sulla Delinquenza e sulla pazzia dei militari. Ricerche del Dottor Filippo Saporito – (...)

23Dalle parole del narratore emerge un quadro psico-somatico che, sebbene privo di categorie nosografie specifiche, rappresenta quello che negli anni a seguire sarà unanimemente considerato il sostrato corporeo proprio delle psicopatie dei soldati. Uno dei primi a definirlo in modo chiaro è stato lo psichiatra Filippo Saporito, il quale — basandosi su indagini somatiche e psicologiche fatte su 85 militari rinchiusi nel manicomio di Aversa — descrive i soldati affetti come «[uomini dai] visi scarni e sparuti, dall’occhio vitreo, dai lineamenti dolorosamente contratti». E continua: «sono personalità a cui la malattia ha troncate, più o meno repentinamente, tutte le facoltà attive dello spirito, nel dominio emozionale, volontario e intellettuale»32.

  • 33 Ibid.

24Del detto quadro patognomonico, ciò che maggiormente sorprende lo psichiatra è il constatare che «nessun processo patologico è in atto», ma che è inopinabile la presenza di «qualche cosa» che induce a ritenere questi militari «ammalati principalmente nel fisico e a sospettare che la tanta miseria mentale sia proprio un epifenomeno nella malattia che pervade le funzioni organiche»33.

  • 34 Sul tema, cfr. G. Mamone e F. Milazzo, Deserti della mente. Psichiatria e combattenti nella guerra (...)

25A questo punto, due considerazioni sono d’obbligo: (1) al pari del narratore del romanzo tarchettiano, neanche lo psichiatra Saporito è in grado di stabilire la natura del malessere proprio dei soldati oggetto di diagnosi; (2) se però Vincenzo, protagonista narrante della sequenza esaminata, si limita a ritenere la pazzia «l’unica supposizione che poteva diradare in parte le tenebre di questo mistero» (p. 58), Saporito va oltre: in linea con un contesto positivista che considera la biologia dei corpi strettamente legata alla fenomenologia dei comportamenti, di fronte all’assenza di lesioni organiche evidenti, lo psichiatra attribuisce le cause dell’alienazione e delle sue rilevanze fisiognomiche a elementi «organici», che — fin dall’epoca di Charcot — si ritengono riconducibili a irritazioni locali del midollo spinale34.

26Ciò dimostra come, ancora agli inizi del 1900, la psichiatria si sforzi di attribuire gli sconvolgimenti fisici e psichici dei militari a fattori legati a fenomeni clinici dall’etiologia non immediatamente identificabile e, per questo, sollecitatori di interrogativi nuovi.

27Sebbene nel romanzo tarchettiano non emerga in nessun modo la volontà di sostituire l’indagine letteraria a quella scientifica, è indubbia la capacità dell’autore di fornire un apparato sintomatologico omogeneo, che — attraverso una fine esplorazione del vissuto umano — esamina campi ancora sfuggenti alla nomenclatura psichiatrica.

28Il racconto dei deliri allucinatori che accompagnano la crescente esaltazione immaginifica di Filippo Sporta, spesso alternandosi a «momenti di malinconia tetra» e «prostrazione mortale» (p. 162), anticipa il quadro clinico di malattie come il nervous shock, la psicosi neurastenica o l’isteria traumatica, la cui elaborazione in ambito psico-patologico segna, sin dalla fine dell’Ottocento, l’inizio del lento percorso di riconoscimento culturale, sociale e medico della categoria di ‘trauma bellico’.

29Gli anni ’60 del XIX secolo, periodo in cui si collocano entrambe le edizioni di Una nobile follia, rappresentano — in tal senso — una tappa significativa per il riconoscimento scientifico della psichiatria italiana e il suo lento ingresso nell’ambiente militare: la medicalizzazione e successiva penalizzazione della devianza investono l’alienista di un ruolo fondamentale nel programma di profilassi morale dello Stato.

  • 35 Sul tema, cfr. B. Farolfi, Dall’antropometria miliare alla storia del corpo, «Quaderni storici», vo (...)

30Ciò giustifica l’introduzione nel 1861, ad opera del generale Federico Torre, di fini statistiche militari, volte a restituire una serie di dati di interesse antropometrico e sociale, spesso utilizzati da molti psichiatri per analizzare la natura, la quantità e la distribuzione delle varie forme di neuropatie in Italia35. L’obiettivo è quello di costituire una comunità sana, libera da elementi devianti. In tale contesto, la psichiatria, configurandosi come un mezzo strategico di controllo sociale piuttosto che come una branca specialistica della medicina, diviene uno dei principali baluardi dell’esercito contro l’elemento degenerante. Ecco, allora, giustificato il proliferare di articoli che, a partire dagli anni ’70 dell’Ottocento (non è un caso, infatti, che la Società Freniatrica Italiana nasca proprio nel 1873), si interrogano sulla quantità e sulla natura della pazzia nei soldati.

  • 36 Sul tema, cfr. G. Mamone e F. Milazzo, Deserti della mente, cit., pp. 39‑40.

31A differenza di altri contesti, come la Francia o la Russia, l’Italia degli anni immediatamente successivi alla sua unificazione non ha ancora avuto modo di esperire gli effetti che la guerra moderna avrebbe avuto sui corpi e sulla realtà percettiva dei singoli36. Se a ciò si aggiunge l’assenza, in ambito medico, di una tassonomia consolidata e lo sbarramento linguistico che impediva agli psichiatri di venire a conoscenza delle opere prodotte sul tema da parte di colleghi oltre confine, si comprende quanto limitato e parziale fosse il panorama casuistico e diagnostico a loro disposizione.

32In tale contesto, immersa com’è in una cornice positivista, l’indagine sul corpo diviene il punto di partenza per individuare fattori patognomici in grado di legittimare la presenza di psicosi, non altrimenti giustificabili.

  • 37 Sul tema, cfr. S. Ottolenghi, Il gusto nei criminali in rapporto ai normali, «Giornale medico del R (...)
  • 38 P. Grilli, La pazzia nei militari. Note statistiche intorno ai casi occorsi in un ventennio nel man (...)
  • 39 Ibid.

33Il corpo invaso dalla canizie o dalla calvizie, la forma dei piedi, parimenti alla verifica dell’acuità gustativa o uditiva, divengono elementi sufficienti per la diagnosi di personalità degenerate37. Il primo ad affiancare a tali elementi l’influenza di fattori mesologici (vale a dire, legati all’ambiente vissuto dal malato) sulla psicosi è stato Pietro Grilli, libero docente in psichiatria e medico alienista presso il Regio ospedale San Bonifacio di Firenze. In un suo saggio, pubblicato nel 1870, egli raccoglie una serie di note statistiche, dalle quali ricava alcune delle cause «in cui il servizio militare ebbe una qualche parte, o che, per lo meno, senza di questo avrebbero più difficilmente agito»38. Tra queste, annovera il dispiacere di abbandonare la famiglia e il paese nativo, il patema d’animo per dolorose notizie ricevute da parenti lontani, l’influenza di una lunga carcerazione, l’amore contrariato dal legame della coscrizione39.

34È d’uopo sottolineare come molti di questi elementi vengano citati nel romanzo tarchettiano fin dalla prima edizione del 1866: l’autore, lontano da ogni velleità e pretesa scientifica, si limita a dare voce agli effetti cui conduce «la tirannia delle abitudini militari» (p. 94):

Quel giorno in cui un uomo ha posto il piede in una caserma, conosce che tutto è finito per lui; quelle mura hanno delle terribili rivelazioni; […] sembra che dicano: “Noi abbiamo sepolte migliaia di esistenze, noi abbiamo alimentato molti dolori, noi abbiamo uccise molte anime, noi abbiamo spento molte nobili intelligenze; l’atmosfera che noi racchiudiamo è velenosa; qui si piange, si soffre e si abbruttisce” (p. 89).

35Alla disciplina militare, paragonata a «un mostro enorme e spaventevole» (p. 89), si attribuisce la responsabilità apodittica della degenerazione del corpo e, con esso, della morale: «la fede si estingue, la speranza si estingue, la vita è circoscritta all’ora, l’avvenire sparisce, non si prega più, non si spera più nulla dal cielo […]; l’uomo morale è ucciso» (p. 91).

  • 40 Cfr. I. U. Tarchetti, Una nobile follia, cit., p. 98.

36In Filippo, l’atrofia della vita morale raggiunge la sua acme nel momento dell’uccisione, per sua mano, di un soldato russo, evento cui egli riconduce l’emergere di un suo cronico stato depressivo: «ricordo che da quel momento incominciò in me quella malinconia calma, pensierosa, sofferente, che non mi abbandonò più per tutta l’esistenza» (p. 129). A rendere ancor più irritabile una sensibilità che Filippo stesso riconosce già scossa dalla quotidianità del conflitto40, interviene la notizia della morte di Margherita, la donna da lui amata. Così egli commenta il fatto:

Un grande dolore offusca, ottunde, uccide quasi l’intelligenza; essa non lo può sopportare, comprendere, esaminare […]; tenebre e luce, notte, sprazzi e baleni, ecco la mia intelligenza, ecco la sofferente intelligenza del pazzo (p. 135).

37E mentre l’immaginazione cresce di vigore, alimentandosi con allucinazioni tremende che accompagnano i momenti di insonnia e i lunghi deliri della febbre, il corpo di Filippo deperisce; così egli narra di sé: «era pallido, debole, sofferente, camminava appoggiandomi alla parete, e mi riposava sotto le porte; […] spesso nelle notti d’inverno passava delle lunghe ore seduto presso il focolare, immobile, muto, smarrito in astrazioni profonde» (pp. 137, 139). E più avanti: «mi contemplo in uno specchio; […] vedo me stesso: lo scheletro trasparisce dalla pelle, e sembra sbucciar fuori da tutti gli angoli come la stoppa di un abito logoro ai gomiti ed alle ginocchia» (p. 146).

38Ecco, dunque, che il corpo torna a occupare la centralità della narrazione, facendosi portatore di un carico emotivo e patologico così icasticamente rappresentato da essere difficilmente ignorato. Sbaglieremmo, tuttavia, se ritenessimo i sintomi descritti quale frutto esclusivo dell’avvenuta cristallizzazione di un evento traumatico. Per quanto, infatti, Tarchetti dia prova di aver saputo cogliere e indagare — in Una nobile follia — lati del vissuto nevrotico ancora sfuggenti alla neonata scienza psichiatrica, smentisce, fin dalle pagine iniziali del romanzo, ogni etiologia distrattamente riconducibile a una psicosi da trauma occasionale.

  • 41 E. Comoy-Fusaro, La nevrosi tra medicina e letteratura. Approccio epistemologico alle malattie nerv (...)

39Come egregiamente dimostrato da Comoy-Fusaro41, la follia di Filippo Sporta non è acquisita, ma innata. Così emerge con estrema chiarezza in una delle sequenze iniziali del racconto che egli fa a Vincenzo:

Io non conobbi né mio padre né mia madre […]; io sono un figlio della ruota. Buttato là tra gli uomini come un essere increscioso ed inutile, come un arnese uscito imperfetto dall’officina, come una creatura che si fosse usurpata un’esistenza che non le spettava, e che dovesse essere condannata a scontarla; io mi trovai subito in lotta con gli uomini (p. 69).

40Il fatto che l’origine della psicosi di Filippo venga considerata congenita dimostra come nel 1866 i tempi non fossero ancora maturi per riconoscere il trauma come categoria psico-patologica autonoma.

  • 42 E. J. Leed, Terra di nessuno, Bologna, Il Mulino, 1985, p. 219.

41D’altra parte, come sottolineato da Eric Leed, studioso che per primo ha compreso quanto prolifica si potesse rivelare l’adozione della nevrosi quale categoria epistemologica, riconoscere il trauma, in particolare quello bellico, avrebbe significato «un mutamento di fondo nei presupposti che informavano la disciplina militare, un mutamento nei valori e nell’immagine stereotipa della personalità militare, un mutamento nell’etica di aggressività che sottendeva a quest’immagine»42.

  • 43 F. Saporito, Sulla Delinquenza e sulla pazzia dei militari, cit., p. 77.

42Rinunciando ad attribuire il logoramento psico-fisico di Filippo a un evento traumatico, Tarchetti — in linea col suo tempo — adotta i paradigmi della degenerazione, qui intesa quale naturale predisposizione alla malattia mentale, e della tara ereditaria, per spiegare l’origine dell’alienazione nel militare. Per quanto, infatti, emerga in tutto il romanzo l’abbrutimento straniante che nel corpo e nella psiche del soldato determina l’ambiente militare, la diagnosi letteraria, al pari di quella medica a essa contemporanea, rivela un giudizio non ancora così maturo da distaccarsi dal determinismo fisiologico imperante. La disciplina militare come pure i traumi che spesso si accompagnano alla quotidianità della guerra divengono — in tal senso — dei veri «reattivi mentali»43, disgregatori di un equilibrio di base già ritenuto precario.

  • 44 E. Comoy-Fusaro, La nevrosi tra medicina e letteratura, cit., p. 323.

43Tarchetti, dunque, dando voce letteraria alle convinzioni sedimentate nell’immaginario culturale del suo tempo, ritiene Filippo organicamente predisposto a una nevrosi che, sotto le armi, ne rivela la costituzione fragile, sensibile e — non in ultimo — criminale. Sporta, infatti, come osserva ancora una volta Comoy-Fusaro, incarna il prototipo del delinquente nato: «orfano, sradicato, emarginato, soffre di febbri e deliri cronici, ha un temperamento artistico, una tendenza all’alcolismo e al suicidio; […] è anche un fuorilegge, poiché è un disertore e un profanatore di cimiteri»44.

44La criminalizzazione del disagio psichico e con essa la psichiatrizzazione della criminalità, naturale approdo delle teorie lombrosiane, spianano la strada a una lettura in chiave morale dell’evento traumatico, che considera il logoramento psico-fisico lamentato dai soldati come conseguenza del volersi sottrarre agli obblighi militari. In tale ottica, la diserzione in particolare diviene la più alta espressione negativa del principio di disciplina.

45Pietro Brancaleone-Ribaudo, psichiatra autore del primo studio di antropologia criminale sulla delinquenza militare, edito nel 1894, identifica i disertori come affetti da

[…] nevrastenia fisica, morale ed intellettuale, che impedisce loro di dedicarsi ad un lavoro continuo, regolare e spontaneo, per una specie di sovreccitazione psichica generale congenita, per cui periodicamente sono costretti a cambiar di sede, sperando così di mutare nelle cause del loro malessere.

  • 45 P. Brancaleone-Ribaudo, Studio antropologico del militare delinquente, Torino, Fratelli Bocca, 1894 (...)

E continua: «[sono] individui dall’intelligenza media, senza grande fissità nei sentimenti e nelle idee, sovente dominati da un’immaginazione ardente»45.

  • 46 I. U. Tarchetti, Una nobile follia, cit., p. 150.

46Il tipo dell’organizzazione morbosa qui finemente delineata configura il soldato disertore come un vero ‘invalido morale’, che ripudia la tradizionale etica dell’onore, incapace com’è di porre la propria volontà al servizio del dovere. Mentre la medicina dell’epoca concorda, dunque, nel ritenere il disertore uomo privo di ogni difesa razionale e capacità di intervenire sul mondo, Tarchetti fornisce una chiave di lettura opposta, che — in linea con i suoi intenti antimilitaristi — vede nei disertori «gli iniziatori d’una delle più grandi rivoluzioni sociali»46. Rifiutandosi di vedere la diserzione con la lente morale della codardia o della mancanza di disciplina, Tarchetti sovverte la lettura medica e giuridica imperante della sua epoca, facendo dei disertori i gelosi custodi della libertà e delle passioni più nobili: «l’amore della terra natale, l’affetto del focolare e della famiglia» (p. 132).

47Non è un caso, infatti, che Filippo Sporta riconosca un apparente inizio di guarigione quando — spogliandosi della divisa e indossando gli abiti borghesi — ridiventa padrone della sua volontà:

Mi parve che spogliandomi di quella divisa aborrita, avessi riacquistato la mia dolce libertà, la mia dignità, i miei diritti, la pace consolante della mia coscienza. Fino a quel momento, era stato guidato da un istinto, trascinato da una forza che non era in me, e di cui non sapeva e non aveva voluto chiedere ragione a me stesso; ora la mia volontà aveva ripreso il suo dominio assoluto (p. 131).

48Quello che sembra essere l’inizio di un ritorno alla normalità non tarda, tuttavia, a rivelarsi un’illusione; Filippo, infatti, come abbiamo già detto, è un uomo malato dalla nascita, naturalmente predisposto a uno stato di nevrastenia morale, responsabile di un sovvertimento dei sentimenti («il dolore è la gioia, e la gioia è il dolore», p. 143) e di un logoramento del corpo. Così Vincenzo lo descrive negli ultimi giorni di vita:

[…] il suo viso era ora raggiante ora tetro, più spesso impassibile e muto; […] la sua pupilla era aperta e profonda, sempre inumidita e velata […]; aveva rossori e pallori subitanei, la fronte lucida e asciutta, i capelli sempre scomposti e crespi per mancanza di umori, come avviene nelle costituzioni febbrili e nervose (pp. 158‑159).

L’origine organica e degenerativa dello stato nevrotico di Filippo trova ultima conferma nel suicidio, estremo atto dimostrativo — agli occhi di costui — della sua volontà.

  • 47 E. Comoy-Fusaro, La nevrosi tra medicina e letteratura, cit., p. 325.

49Per quanto, dunque, Tarchetti non riesca attraverso il tentativo letterario del presente romanzo a distaccarsi dai paradigmi medici e culturali del suo tempo, è innegabile come egli individui, grazie alla fine esplorazione dell’umano, aspetti ancora non colti dal rigido approccio positivista, dando così vita al primo testo della letteratura italiana post-unitaria capace di invertire il valore morale delle categorie di follia e ragione. In tal senso, possiamo dire che Filippo Sporta rappresenti un «personaggio-specchio»47, immagine incarnata di una nuova umanità storicamente nevrotica.

50Gli anni della modernità, caratterizzati — tra le altre cose — dalle trasformazioni apportate dalla seconda rivoluzione industriale e dalla presenza sempre più dilagante delle macchine, se, da un lato, suscitano grande entusiasmo, dall’altro, evocano paure ancestrali, legate all’accelerazione dei tempi e alla compressione degli spazi.

51La mente di chi, come Vincenzo, Ugo o Filippo, si trova a vivere in quegli anni è costantemente soggetta a sollecitazioni che minacciano non solo il benessere psichico, ma anche quello fisico. In tale ottica, il corpo e la mente di Filippo Sporta non rappresentano più la devianza da isolare, ma la prova dell’aleatorietà di questa degenerazione, da cui l’umanità non può più essere esente.

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Notes

1 Il romanzo viene ristampato nella sua versione definitiva da Treves solo nel 1869.

2 D. Tongiorgi, «Le fortunate catastrofi di Custoza e Lissa»: Tarchetti, Farina e l’anti-mito della sconfitta militare in area scapigliata, in D. Tongiorgi (a cura di), La vittoria macchiata. Memoria e racconto della sconfitta militare nel Risorgimento, Roma, Edizioni di Storia e Letteratura, 2012, pp. 127‑147, p. 129.

3 La parabola del quotidiano progressista era, infatti, iniziata qualche tempo prima: già nel febbraio 1866 il critico teatrale Paolo Ferrari aveva recensito sulle colonne de «Il Sole», con toni molto elogiativi, il Caporale di Settimana, «una pièce teatrale di Paulo Fambri, che aveva attaccato con pesante ironia, gli abusi e la rigida disciplina gerarchica delle caserme» (ivi, p. 132).

4 R. Carnero, Introduzione, in I. U. Tarchetti, Una nobile follia, Milano, Mondadori, 2004, p. xxv. Fondamentale anche il riferimento all’articolo di E. Comoy-Fusaro, Les coulisses du Risorgimento chez Tarchetti, «Italies», no 15, 2011, online dal 31 dicembre 2013, <https://0-doi-org.catalogue.libraries.london.ac.uk/10.4000/italies.3075>.

5 Cfr. L. Bani, «Un’istituzione che io mi proponevo di abbattere». La rappresentazione del soldato e della vita militare in Una nobile follia di Igino Ugo Tarchetti, «Italies», no 20, 2016, online dal 19 gennaio 2017, <https://0-doi-org.catalogue.libraries.london.ac.uk/10.4000/italies.5624>.

6 Citato in L. Spalanca, Introduzione. Per un ritratto dell’artista martire, in I. U. Tarchetti, Una nobile follia. Drammi della vita militare, a cura di L. Spalanca, Ravenna, Giorgio Pozzi editore, 2009, p. 11. Il saggio di Pisacane non passa inosservato da Tarchetti: l’impietosa disamina dei malcostumi del cameratismo militare ritorna, infatti, pressoché fedelmente citata, in un passo presente fin nella prima edizione di Una nobile follia, dove si legge: «La caserma possiede e favorisce le abitudini e i vizi di tutte le comunanze: il giuoco, la crapula, il vino, la prostituzione del principio morale, la prepotenza, la violenza, l’oppressione del debole, il diritto alla forza, la vendetta privata, la collisione pronta e feroce» (ivi, p. 94). Si specifica che l’edizione del romanzo cui si farà riferimento nel corso del testo è quella curata da Lavinia Spalanca. Per evitare la moltiplicazione delle note, d’ora in poi si indicheranno direttamente dopo le citazioni solo i numeri delle pagine.

7 S. Farina, Tutti militi! Pensieri sull’abolizione degli eserciti permanenti, Milano, Cesare Cioffi, 1866.

8 «L’ultima guerra ha portato un assai benefico frutto; uno di quei frutti che altri eventi, altri tempi, altri popoli non avrebbero di certo prodotto tanto facilmente e rapidamente. L’Italia si è persuasa della propria ignoranza. La vittoria ci avrebbe inebriati» (S. Farina, Teoria e pratica, «Il Sole», 25 ottobre 1866).

9 «All’inventio romanzesca di Tarchetti sembra […] spettare […] il compito di infrangere alcuni degli istituti su cui poggiava la stessa etica risorgimentale e quindi l’identità condivisa del nuovo stato. È noto che il valor bellico, il coraggio guerriero, lo slancio eroico sono gli assi portanti e i miti fondativi di ogni “comunità immaginata” di età moderna. Ecco perché il tentativo di intaccare la retorica della guerra […] assumeva un significato politico che finiva per macchiare il processo stesso di costruzione della nazione» (D. Tongiorgi, «Le fortunate catastrofi di Custoza e Lissa», cit., p. 143).

10 Nello scritto programmatico Idee minime sul romanzo del 1865, in parte ripreso nella prefazione alla seconda edizione di Una nobile follia nel 1869, Tarchetti afferma: «Triste la civiltà di quel paese, in cui la letteratura è un’arte e non una missione» (L. Spalanca, Introduzione. Per un ritratto dell’artista martire, in I. U. Tarchetti, Una nobile follia, cit., p. 43).

11 Per una definizione di scapigliatura democratica, cfr. G. Farinelli, La scapigliatura. Profilo storico, protagonisti, documenti, Roma, Carocci, 2003.

12 «Io l’ho scritto per uno scopo […] e lo rafforzai in pochi giorni per appendici di giornale — non mi importerebbe gran cosa il raggiungere questo scopo anche a prezzo di qualche errore di forma e di sintassi» (I. U. Tarchetti, Una nobile follia, cit., p. 43).

13 Dalle parole scritte da Tarchetti nella prefazione alla seconda edizione del romanzo: «Quando ho pubblicato la prima volta questo libro — or fanno quasi due anni — era ben lungi dallo sperare il successo che egli ha ottenuto […]. Il successo del mio libro fu pieno e completo. L’illustre Dall’Ongaro [noto drammaturgo e patriota italiano, N.d.A.] scriveva tra gli altri queste parole, che riporto qui, non perché ridondino ad elogio del mio lavoro, ma perché fanno fede della giustizia e del possibile trionfo della mia causa: “Quattro o sei volumi, scritti come questo o se vogliamo un po’ meglio, ma immaginati e sentiti con altrettanta vivacità di pensieri e d’affetti, e soprattutto con altrettanto istituto del vero; quattro o sei di questi drammi della vita militare, diffusi nelle caserme e nel popolo, basterebbero a risvegliare la coscienza delle moltitudini per modo che l’Italia sarebbe guarita in poco tempo da questo cancro che divora la vita, gli averi, e qualche cosa di più prezioso, la libertà. Questo non è uno dei soliti racconti che passano inavvertiti […]”» (ivi, pp. 41‑42).

14 S. Jacomuzzi, L’epica “negativa” di Tarchetti: la battaglia della Cernaia, in F. Contorbia (a cura di), Igino Ugo Tarchetti e la Scapigliatura, Atti del convegno di S. Salvatore Monferrato (1‑3 ottobre 1976), Cassa di Risparmio di Alessandria, 1977, p. 362.

15 M. L. Patruno, I romanzi di Igino Ugo Tarchetti, «Annali della Scuola Normale Superiore di Pisa», vol. VII, no 3, 1977, pp. 1215‑1259, pp. 1239‑1240.

16 Ivi, p. 1215.

17 L. Bani, «Un’istituzione che io mi proponevo di abbattere», cit.

18 D’ora in poi, per esigenza di chiarezza e per evitare confusione, ci riferiremo al protagonista dell’opera usando questo nome, e non quello di Vincenzo D., che utilizzeremo invece per indicare esclusivamente il suo interlocutore, quando necessario.

19 «Una nobile follia istituisce esplicitamente, e per la prima volta in assoluto, un rapporto analogico tra modo fantastico e rappresentazione della guerra […]. Il dramma individuale e collettivo della guerra viene rielaborato tramite l’innesto del fantastico nel tentativo di rappresentare l’irrappresentabile» (E. Carta, «Un inganno, un incantesimo, una cosa orribile». Antimilitarismo magico in Una nobile follia di Igino Ugo Tarchetti, in G. Caltagirone e S. Maxia (a cura di), «Italia magica». Letteratura fantastica e surreale dell’Ottocento e del Novecento, Atti del VII Congresso Mod Santa Margherita di Pula (7‑10 giugno 2006), Cagliari, AM&D Edizioni, 2008, pp. 296‑307, p. 297). Per Tarchetti, il rifugio nella narrativa del fantastico riapre, in un certo senso, la possibilità conoscitiva, diventando — per questo — strumento speculativo: «[…] La volontà diagnostico-conoscitiva del narratore fantastico si impegna nello scandaglio dei fenomeni parasensoriali e metapsichici, dimandando all’universo artefatto della novellistica macabro-fantastica il compito ipotetico di una suggestiva ma provvisoria riorganizzazione del programma teorico-speculativo di inchiesta sull’irrazionale» (M. L. Patruno, I romanzi di Igino Ugo Tarchetti, cit., p. 1252). È in questa cornice che occorre inserire i Racconti fantastici, pubblicati dall’autore nel 1869, e Fosca, romanzo tra i più noti dell’intera produzione tarchettiana.

20 Cfr. in particolare M. A. Bazzocchi, Il codice del corpo: genere e sessualità nella letteratura italiana del Novecento, Bologna, Pendragon, 2016; Id., Corpi che parlano: il nudo nella letteratura italiana del Novecento, Milano, Mondadori, 2005.

21 I. U. Tarchetti, Una nobile follia, cit., p. 115.

22 La traduzione è ripresa da «Illustrazione italiana. Rivista settimanale degli avvenimenti e personaggi contemporanei sopra la storia del giorno, la vita pubblica e sociale, scienze, belle arti, geografia e viaggi, teatri, musica, mode, ecc.» (anno III, no 29, 14 maggio 1876, Milano, Treves, p. 463).

23 J. Boudin, De la foudre considérée au point de vue de l’histoire, de la médecine légale, et de l’hygiène publique, Paris, Officier de la Légion d’honneur, 1855.

24 J.‑C. Chenu (a cura di), Rapport au Conseil de santé des armées, Paris, Masson, 1865.

25 Citato in I. U. Tarchetti, Tutte le opere, a cura di E. Ghidetti, vol. II, Bologna, Cappelli, 1967, p. 469.

26 Cfr. nota no 11.

27 Cfr. M. Rovinello, Tra servitù e servizio. Storia della leva in Italia dall’Unità alla Grande guerra, Roma, Viella, 2020, p. 219.

28 È bene notare, tuttavia, che in alcuni passaggi il romanzo adotta toni altri, virando piuttosto verso moduli fantastici. Sulla ‘fantasticizzazione’ attiva in alcuni passi del romanzo, cfr. E. Carta, «Un inganno, un incantesimo, una cosa orribile», cit.

29 Cfr. I. U. Tarchetti, Una nobile follia, cit., p. 108.

30 Ibid.

31 Ivi, p. 130. Per esigenza di maggiore esaustività, è bene notare che in questo brano Tarchetti traspone un passaggio della Storia della guerra d’oriente di Luigi Pagnoni. Sul riferimento, cfr. D. Tongiorgi, Le fortunate catastrofi di Custoza e Lissa, cit., pp. 141‑142.

32 F. Saporito, Sulla Delinquenza e sulla pazzia dei militari. Ricerche del Dottor Filippo Saporito – Medico dei manicomii civile e giudiziario di Aversa, Napoli, Stabilimento tipografico R. Pesole, 1903, p. 93.

33 Ibid.

34 Sul tema, cfr. G. Mamone e F. Milazzo, Deserti della mente. Psichiatria e combattenti nella guerra di Libia 1911‑1912, Firenze, Le Monnier, 2019, pp. 29‑30.

35 Sul tema, cfr. B. Farolfi, Dall’antropometria miliare alla storia del corpo, «Quaderni storici», vol. XIV, no 42, 1979, pp. 1065‑1066.

36 Sul tema, cfr. G. Mamone e F. Milazzo, Deserti della mente, cit., pp. 39‑40.

37 Sul tema, cfr. S. Ottolenghi, Il gusto nei criminali in rapporto ai normali, «Giornale medico del Regio Esercito e della Regia marina», 1890, pp. 925‑926; Id., Nuovi studi sull’identità, «Rivista sperimentale di freniatria e di medicina legale», vol. XV, no 2, 1890, pp. 217‑252; G. Gradenigo, L’orecchio nei delinquenti, «Giornale medico del Regio Esercito e della Regia marina», 1890, pp. 926‑928.

38 P. Grilli, La pazzia nei militari. Note statistiche intorno ai casi occorsi in un ventennio nel manicomio fiorentino raccolte dal Dott. Pietro Grilli, «Giornale di Medicina Militare», 1870, Firenze, Tipografia Fodratti, p. 12.

39 Ibid.

40 Cfr. I. U. Tarchetti, Una nobile follia, cit., p. 98.

41 E. Comoy-Fusaro, La nevrosi tra medicina e letteratura. Approccio epistemologico alle malattie nervose nella narrativa italiana (1865‑1922), Firenze, Edizioni Polistampa, 2007, pp. 320‑326.

42 E. J. Leed, Terra di nessuno, Bologna, Il Mulino, 1985, p. 219.

43 F. Saporito, Sulla Delinquenza e sulla pazzia dei militari, cit., p. 77.

44 E. Comoy-Fusaro, La nevrosi tra medicina e letteratura, cit., p. 323.

45 P. Brancaleone-Ribaudo, Studio antropologico del militare delinquente, Torino, Fratelli Bocca, 1894, pp. 111‑112.

46 I. U. Tarchetti, Una nobile follia, cit., p. 150.

47 E. Comoy-Fusaro, La nevrosi tra medicina e letteratura, cit., p. 325.

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Pour citer cet article

Référence électronique

Nemola Chiara Zecca, « Rappresentazioni e manifestazioni psico-somatiche del trauma bellico in Una nobile follia di Igino Ugo Tarchetti »Cahiers d’études italiennes [En ligne], 38 | 2024, mis en ligne le 01 mars 2024, consulté le 03 décembre 2024. URL : http://0-journals-openedition-org.catalogue.libraries.london.ac.uk/cei/13960 ; DOI : https://0-doi-org.catalogue.libraries.london.ac.uk/10.4000/cei.13960

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Auteur

Nemola Chiara Zecca

Université Côte d’Azur, Università degli Studi di Napoli L’Orientale
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