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Lo spirituale e il mondano: le versioni dall’inglese

L’equilibrio tra «water» e «marble language». Le traduzioni da William Carlos Williams

L’équilibre entre « water » et « marble language ». Campo traductrice de Williams Carlos Williams
The Balance between “Water” and “Marble Language”. The Translations of William Carlos Williams’ Poems
Nicola Di Nino

Résumés

L’article reconstruit la rencontre de Campo avec la poésie de William Carlos Williams et étudie deux groupes de traductions du poète américain : d’abord celles qui figurent dans le petit volume Il Fiore de 1959 et ensuite celles de l’anthologie de Poesie préparée avec Vittorio Sereni en 1961. La reconstruction du dialogue avec le water language de Williams est suivie d’une analyse approfondie des traductions, où les différentes versions de Campo sont d’abord comparées entre elles et ensuite avec certaines des traductions de Sereni.

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Texte intégral

1. L’incontro e il dialogo poetico

  • 1 W. C. Williams, C. Campo e V. Scheiwiller, Il fiore è il nostro segno. Carteggio e poesie, a cura d (...)

1In una lettera del 1958, Campo confidava a Williams: «L’ho conosciuta nella sala di lettura di un manicomio (non risiedevo lì, comunque) sulle colline di Bellosguardo in Toscana. Poi l’ho persa per quasi quattro anni. Solo lo scorso autunno, sul lago di Bracciano (nell’antica Etruria), mi furono dati i suoi Collected Poems e da allora non faccio che leggerli»1.

  • 2 Sappiamo, al contrario, che le letture di Hofmannsthal e Weil, altri due altri autori molto amati e (...)

2La precisa indicazione di luoghi e tempi della lettura e il ponderato uso di ‘incontrare’ e ‘perdere’ creavano un contesto di familiarità, come se la donna avesse conosciuto il poeta in persona. E la scelta di non indicare chi le diede i Collected Poems ci sembra un’omissione voluta per rafforzare ulteriormente quest’idea di un legame univoco e intimo instaurato con il poeta americano2.

  • 3 A. Spina, Conversazione in Piazza Sant’Anselmo e altri scritti. Per un ritratto di Cristina Campo, (...)

3Per certo, la riscoperta del ’57 dev’esser stata folgorante tanto che Campo avviò subito l’esercizio di traduzione. Una conferma a quest’ipotesi si trova in diverse lettere del periodo in cui la scrittrice riecheggiava delle immagini poetiche di Williams. Quest’assimilazione del lessico di un autore e il suo riutilizzo era una consuetudine, come spiegava l’amico «lontano» Alessandro Spina: «Sapeva […] impossessarsi di un verso del poeta, della frase o di un aneddoto dell’amico, per ridire tutto con le sue parole, pure come quelle del poeta, più belle di quelle dell’amico»3.

  • 4 C. Campo, Lettere a Mita, Milano, Adelphi, 1999, lettera del 25 ottobre 1957.

4Nell’ottobre a Margerita Pieracci Harwell, la Mita con cui intrattenne un lungo e raffinato carteggio, scriveva che le parole del poeta erano perfette per descrivere il suo stato d’animo: «il Williams si forma, lentamente. Potrebbe venire un libro molto bello, poi mi dà tanta gioia. Dice tutto quello che io non oso dire in questi giorni — tutto il mutamento e il pericolo che è in quest’aria di ottobre — come una primavera capovolta nel fiume»4. E, nello stesso periodo, a Gianfranco Draghi descriveva un parco usando lessico e figure williamsiane dimostrando come la ricezione della poesia dell’americano fosse continua:

  • 5 C. Campo, Il mio pensiero non vi lascia. Lettere a Gianfranco Draghi e ad altri amici del periodo f (...)

Viali blu, spade blu, tronchi rosa di gelsi, aceri bianchi piccoli (coni di cristallo bianco, un alone giallo pallido intorno) tra faggi blu-di-pioggia, su prati di un rosa denso, corallo. I rami bassi dei lecci giovani, come inguainati di velluto nero, ma segnati da cima a fondo da una sottile striscia verde — una vena verde, segreta. E gli edifici nel parco, accesi, soprannaturali, da un cielo intricato (blu-giallo-nero) inafferrabile5.

  • 6 Fu inviata insieme ad Estate indiana a Remo Fasani e pubblicata, con Sindbad, su Paragone, a. IX, n(...)
  • 7 Le traduzioni di entrambe le liriche furono inserite nel volume Einaudi del 1961, pp. 126 e 138.

5Inoltre, diverse immagini di Williams servirono da modello per le poesie scritte in questi anni. In Oltre il tempo, oltre un angolo, l’omaggio era esplicito fin dall’esergo preso da Brilliant Sad Sun e riordinato in «What sorrow / beside your sadness / and what beauty»6. Il motivo dell’alternanza tra luce e ombra che scandiva la lirica era il tema guida del poemetto Perpetuum Mobile: The City con il quale condivideva anche i versi conclusivi, «Tearful city / on a summer’s day / the hard grey / dwindling / in a wall of / rain— // farewell!», ripresi nel secondo movimento: «La città da secoli ti divora / ma per te travede, sogno e sfacelo / di luci e piogge, lacrime senili / sulla ragazza che passa / febbrile, indomabile, oltre il tempo, oltre un angolo». Mentre l’ossimorica contrapposizione tra acceso e spento degli ultimi due versi, «e credono al tuo fiore che avvampa, bianco — // poiché tutti viviamo di stelle spente», derivava da «flares of / small fire, white flowers! di Portrait of the Author e da No flame, / a flower spent / with heat— // lovely flower / hanging / in the rain» di To an Elder Poet7.

  • 8 Ivi, p. 130.

6Un altro paio di versi del Portrait, «The yards in a fury / of lilac blossoms are driving me mad with terror»8, servirono d’ispirazione per un’immagine in Sindbad: «io nel terrore / dei lillà, in una vampa di tortore, / sulla mite, domestica strada della follia».

  • 9 C. Campo, Il mio pensiero non vi lascia…, cit, lettera a Draghi dell’autunno del novembre 1957, p.  (...)

7La descrizione di ottobre come una «primavera capovolta nel fiume», evocata nella lettera a Mita su citata e in un’altra a Draghi9, offrì l’abbrivio per i versi di Estate indiana che si aprono appunto con l’immagine, «Ottobre, fiore del mio pericolo — / primavera capovolta nei fiumi», e contengono un altro riferimento a Williams: i vv. 11‑12 «La luce tra due piogge, sulla punta / di fiume che mi trafigge tra corpo / e anima» sembrano esser modellati su «the peartree in full / bloom through which / a light falls as / rain» — di The Flowers Alone e «the light / that enfolds and pierces / them» di The Crimson Cyclamen.

  • 10 In una nota d’autore si legge che Portland Road fu l’«ultima residenza di Simone Weil a Londra». Us (...)

8L’atmosfera sospesa di On this most, «On this most voluptous night of the year […] / the air’s soft […] // No insect yet awake», ispirò invece l’Elegia di Portland Road, dedicata alla Weil10. Nei versi è inserito un altro esplicito riferimento a Williams: i vv. 11‑12 «Io vado sotto le nubi, tra ciliegi / così leggeri che già sono quasi assenti» ricordano «the cherry tree in bloom / makes a blurr on the woods» di On this most… e «Masses of flowers / load the cherry branches / and color some bushes / yellow and some red» di The Widow’s Lament in Springtime.

  • 11 «La saveur des mots : que chaque mot ait une saveur maxima entre le sens qu’on lui donne et tous se (...)
  • 12 «Please let me thank you a thousand of times for all the joy you gave me. I never did anything with (...)
  • 13 «Ho cominciato a copiare certe poesie, buttate giù su foglietti e abbandonate in un cassetto, e mi (...)

9Il peso del modello williamsiano sulla poesia di Campo di fine anni Cinquanta diventa notevole se consideriamo che l’autrice scrisse appena cinque liriche in questo periodo. Questa constatazione induce a pensare che queste trovarono forma proprio durante il dialogo con la poesia dell’americano e la conferma è offerta dalla stessa Campo. Nel ringraziare il poeta per la gioia provata durante la lettura delle poesie (il termine joy è reiterato ben quattro volte in poche righe), aggiunse che questo sentimento le fece ritrovare il piacere della scrittura e «La saveur des mots : que chaque mot ait une saveur maxima», un’espressione weiliana molto amata e usata11. Se queste parole non celavano l’ancor viva amarezza per il silenzio critico seguito all’uscita di Passo d’addio del ’56, la prima ed unica raccolta di liriche pubblicata in vita dalla scrittrice12, allo stesso tempo comunicavano una ritrovata ispirazione poetica e l’idea di riunire le poesie in una raccolta intitolata Le temps revient, fu espressa a Mita13.

2. Le traduzioni del Fiore

  • 14 La versione di Campo fu pubblicata sulla Posta letteraria del Corriere dell’Adda, rubrica fondata c (...)
  • 15 Ricordiamo che fu Elio Vittorini nell’antologia Americana (Milano, Bompiani, 1941) tra i primi a se (...)

10Sul finire del ’57, Campo pubblicò Nebbia sul fiume, la prima traduzione dall’americano, che preparò il terreno per l’uscita del quaderno di traduzioni su cui stava lavorando. Questa poesia apparve quasi in contemporanea ad una plaquette di cinque versioni proposte da Vittorio Sereni14. Una manciata di versi che contribuì a far conoscere l’opera di Williams in Italia e, da qui a qualche anno, a portare i due poeti a collaborare per l’allestimento di un’ampia antologia di traduzioni per Einaudi e sulla quale diremo15.

11Intanto, per tracciare il percorso che portò alla pubblicazione del quaderno di traduzioni Il fiore è il nostro segno per i tipi Scheiwiller del ’59, una guida fondamentale è il carteggio a tre voci tra l’editore, Campo e Williams aggiunto alla riedizione del volume nel 2001.

12La traduttrice inizialmente pensava ad una raccolta di una trentina di poesie, ma la lista si asciugò ad un gruppo di diciassette unite dal motivo floreale colto nel verso «the flower is our sign» di To All Gentleness che fu scelto come titolo del libretto. Questo tema era particolarmente amato da Campo e ricorreva nelle sue poesie del Quadernetto, cartone preparatorio del Passo d’addio, fino a quelle sparse di fine anni Cinquanta.

13Le liriche tradotte, eccetto due frammenti dal lungo poema Paterson, erano tutte dai Collected Poems, due volumi usciti tra il 1950 e il ’51 che raccoglievano i versi scritti da Williams fin dai primi anni del secolo.

  • 16 Nella nota introduttiva che si legge in W. C. Williams, I Wanted to Write a Poem. The Autobiography (...)

14Se in Italia il medico-poeta nato nel New Jersey nel 1883 da genitori d’origine inglese e portoricana era praticamente sconosciuto, negli Stati Uniti era considerato uno degli esponenti della corrente “imagista” avviata da Ezra Pound e godeva di una chiara fama riconosciuta da prestigiosi premi: nel ’50 fu il primo a vincere il National Book Award for Poetry e nel ’63 ricevette, postumi, il Pulitzer e la Gold Medal for Poetry del National Institute of Arts and Letters. Williams, dopo gli acerbi Poems del 1909, raggiunse la notorietà con la successiva raccolta The Tempers (1913) nella quale rivelò una vena poetica del tutto nuova che spinse Pound, amico fin dai tempi del college, a definirlo una «forza cosmica»16.

  • 17 Fiore, pp. 26‑27.
  • 18 «“Riffled whiteness” si riferisce alle increspature formate dall’acqua corrente che diventano bianc (...)

15Campo si accorse presto di questa potenza espressiva e, con due riuscite metafore, manifestò al poeta tutta la difficoltà di rendere nel «marble-language», l’italiano dalle numerose e serrate regole, la purezza del «water-language» di Williams, che scorreva fluido attraverso le lente maglie della grammatica inglese17. Consapevole della complessità della lingua usata, l’anziano poeta risolse alcuni dubbi linguistici di Campo e, alla fine, si complimentò per un lavoro che lo lasciò «senza parole»18.

  • 19 Fiore, p. 48.
  • 20 «Le notizie che mi scrive sul raffinato libretto di traduzioni mi spaventano. Non credevo che nessu (...)

16Il volumetto uscì nel gennaio del ’59 e nel frontespizio fu indicata la data del 17 settembre 1958 per seguire il desiderio di Campo di omaggiare il poeta nel giorno del suo settantacinquesimo compleanno. La scrittrice mandò a Williams una nota di giubilo, «Il libriccino sta riscuotendo successo. A Roma non si trovano più copie […]. Poeti — giovani rivoluzionari e vecchi conservatori — ne scrivono con profonda emozione»19, e l’americano rispose con una toccante lettera in cui diceva di esser rimasto quasi spaventato dalla delicata sensibilità della donna, dalla sua capacità di cogliere gli elementi più intimi della sua poesia. Parole che rievocavano quelle di Campo citate in apertura: i due non si erano mai conosciuti di persona eppure solo attraverso un’attenta lettura la traduttrice era riuscita a dialogare con l’interiorità di Williams che, affascinato da tanto acume, la definì una «maga» e suo «angelo custode»20.

3. L’incontro con Sereni e l’antologia delle Poesie

  • 21 Il «libriccino» fu adocchiato da Giorgio Caproni che lo recensì sulla Fiera letteraria. Lo scrittor (...)
  • 22 Campo spiegava a Williams: «Einaudi, un grande (se non il più grande) editore italiano vuole ripubb (...)
  • 23 In una nota alla sua premessa al volume Einaudi, Sereni scrisse: «Delle mie versioni, esercizio pri (...)

17Il successo del Fiore21 contribuì alla notorietà di Williams in Italia e nel novembre Campo annunciò all’amico l’intenzione di Einaudi, vinta la concorrenza di Guanda e Feltrinelli, di raccogliere in volume le versioni sue e quelle di Sereni22. Sfogliando un inedito carteggio tra Campo e l’editore torinese, si legge che fu Luciano Foà, allora direttore editoriale, a proporre ai poeti di lavorare insieme23.

  • 24 Ringraziamo Giovanna Sereni, il Comitato scientifico e il personale dell’Archivio Chiara-Sereni di (...)
  • 25 In un paio di lettere del carteggio si evince che Campo non conosceva il piccolo quaderno di traduz (...)

18I due si conoscevano appena; sappiamo, da un altro inedito epistolario conservato nell’Archivio Sereni a Luino, che nel 1955 Campo espresse apprezzamento e gratitudine al «Professor Sereni» per le sue poesie e prose che servirono d’ispirazione per la propria scrittura poetica (considerata l’altezza temporale non è difficile pensare che si riferisse al Passo d’addio)24. Quando poi il dialogo riprese nel Sessanta, l’uso del meno formale «caro Sereni» e poi «caro amico», la firma Cristina Campo in luogo di Vittoria Guerrini e lo scambio delle rispettive traduzioni di Williams, lasciano intendere che tra i due si era ormai stabilita confidenza e mutuo rispetto25.

  • 26 Sereni scrisse a Campo «Le invidio molto A Marriage Ritual che a me non era riuscito di tradurre e (...)

19Come con Williams, Campo ebbe un tono ossequioso anche con Sereni il quale, seppur più giovane di lei, era già noto dopo l’uscita di Frontiera (1941) e del Diario d’Algeria (1947). Nelle lettere, la donna elogiava le magistrali traduzioni del collega, da cui lei poteva solo imparare, e manifestava ammirazione per la disinvoltura nell’interpretare, con assoluta naturalezza, i versi di Williams e per la perizia di rendere in italiano lo stile colloquiale, franto e a tratti gergale dell’americano. Anche a Sereni, Campo riferì delle continue difficoltà nel rendere in italiano contenuto e forma della poesia di Williams e si lamentava che i suoi versi risultassero quasi sempre degli endecasillabi, troppo canonici per un poeta che aveva rifiutato la metrica tradizionale. Quest’autocritica la portò ad indicare che nel volume fossero inserite le versioni di Sereni di Descent of Winter e Complaint poiché le riteneva migliori delle proprie26.

  • 27 Cfr. lettera inedita di Vittorio Sereni a Foà del 2 gennaio del 1961. Nel carteggio si legge l’idea (...)

20Nel dialogo con Foà, Campo, consapevole di avere un diverso approccio al testo di Williams rispetto a Sereni, chiese ripetutamente di pubblicare le traduzioni in due blocchi distinti. Una volontà che all’inizio fu motivata da una richiesta di Scheiwiller il quale, seppur avesse ceduto generosamente i diritti al più grande Einaudi, sperava almeno di mantenere unito il corpus come lo aveva pubblicato nel ’59. Per cercare di sostenere questa scelta, Campo ricorse anche ad una motivazione stilistica. L’autrice spiegò a Foà che Williams era un poeta a due facce, molto dissimili tra loro, e lei e Sereni avevano scelto un profilo differente; quindi, per meglio mostrare al lettore questi due volti, era opportuno tener distinte le traduzioni. Quest’insistenza venne meno quando un contrariato Sereni prese la richiesta come un aut aut. La scrittrice fece un passo indietro e lasciò al collega la decisione sull’ordine delle poesie che alla fine furono disposte seguendo la cronologia d’uscita e ognuna siglata in calce con le iniziali del rispettivo traduttore27.

  • 28 Campo allungò la breve premessa del Fiore, mentre Sereni scrisse un testo inedito poi pubblicato co (...)

21È pur vero che entrambi i carteggi contengono conferme alla tesi di Campo e i due traduttori esplicitarono, come indicato, la loro personale interpretazione della poesia di Williams in Due letture28 poste ad apertura dell’antologia.

  • 29 Poesie, pp. 13‑14. Questi primi paragrafi sono quelli usati come premessa nel Fiore.
  • 30 Poesie, p. 15.
  • 31 I versi di Una specie di canto, tradotti da Campo, sembrano contenere la dichiarazione poetica di W (...)
  • 32 Ivi, pp. 16‑17.
  • 33 Ivi, p. 19.

22Campo non tentò di seguire la «tecnica di Williams — nella folle e delicata linea della sua sintassi, nella sua metrica di irriducibile naturalezza: rette entrambe da leggi insieme rudi ed aeree» e spesso sistemò i versi nelle forme metriche tradizionali. Al contrario dimostrò interesse per la lingua dal momento che considerava il poeta «uno dei pochi maestri viventi» in grado di esprimere il «sapore massimo di ogni parola»29. Secondo Campo, il Williams migliore era quello che riusciva a fissare in versi le «insegne luminose, il sincopato, il gergo»30: una poesia dello sguardo capace di cogliere la bellezza in ogni cosa e di descriverla con un lessico preciso e immediato31. A questa poesia del linguaggio si contrapponeva quella che nasceva dall’«altra sua faccia, l’infaticabilmente “umana”, l’americana ad ogni patto». Gli esiti erano pagine scritte «in manica di camicia, il cuore sulla palma della mano» nelle quali, secondo Campo, si smarriva l’originalità della sua voce composta da «una miscela così perfettamente dosata del suo sangue: caraibico, spagnolo-ebraico, inglese puro»32. Ravvisata questa doppia anima, Campo predilesse i versi in cui il poeta riusciva ad esprimere il «sapore massimo d’ogni parola» (frase in refrain alla fine della premessa e con la lettera a Williams su citata), una dote che lo rendeva uno dei «maestri gaudiosi della parola» al pari di Saba, Cavafis e Brecht33.

  • 34 Ivi, p. 25.
  • 35 «Se si riconosce poeta, si riconosce tale solo nell’atto di firmare la poesia finita, per annullars (...)

23Sereni invece non fece alcun distinguo e, considerando tutta la produzione di Williams, riteneva che ogni singola poesia andasse letta come l’«esito della dilatazione della cosa osservata» e l’intera opera riproducesse «in grande questa sorta di proliferazione, per acquisizioni e dilatazioni successive, degli oggetti che hanno costituito la sua esperienza sensibile». Scegliendo di far «nascere le idee dalle cose», Williams era riuscito a togliere dalla sua opera qualsiasi impianto ideologico34. Questa decisione generava altre peculiarità come la capacità di rendere poetabili cose che altri avrebbero scartato come «futili»; il desiderio di imitare e non copiare la natura; la bravura di cogliere dietro la fuggente apparenza il senso delle cose e di descriverlo con la lingua e le immagini di quel preciso momento e, molto apprezzata da Sereni, l’eclissi dell’io‑poetico35.

  • 36 Ivi, pp. 31‑32.

24Tutti questi elementi permettevano all’«artigiano» Williams di collocare l’oggetto al centro della lirica e di descriverlo in tutte le sue sfaccettature. Alla fine, il poeta generava un «prodotto», lo definì Sereni, sempre «attivo, in movimento. Animato» la cui energia si trasmetteva al lettore. Williams era riuscito a creare una poesia, «finalmente!» aggiunse Sereni per inciso e con l’esclamativo, che non era destinata solo ad altri poeti o agli addetti ai lavori ma principalmente al lettore comune36.

  • 37 «Non si traduce solo per presunta affinità. Si traduce anche, se non proprio per opposizione, per c (...)
  • 38 Lettera inedita a Foà del 4 aprile del 1960.

25Questo confronto testimonia che il differente approccio al testo di Williams era conseguente al distinto legame che i traduttori ebbero con Williams. Con lo scambio epistolare, Campo si relazionò anche con l’uomo e la conoscenza della persona forse la spinse a differenziare le due facce del poeta e a dialogare con quella che sentiva più affine (si pensi al comune interesse per il tema floreale, ad esempio). Sereni invece si mantenne a distanza e il colloquio con Williams fu solo attraverso la lettura dei testi; un’obiettività che gli permise di scegliere senza pregiudizi i testi e di tradurli a suo piacimento37. Lo stesso Sereni riconobbe la sua divergenza da Campo come ammise a Foà: «Ho l’impressione che si sia tenuta più stretta di me al tono e al peso delle parole di W. C. W. Io ne ho forse fatto cosa più mia, a volte in un modo che oggi non approverei. Ma tutto sommato anche la Campo ha fatto un lavoro personale, persino privato, e ciò è bene e male al tempo stesso»38. Quando il volume entrò in lavorazione e fu possibile confrontare le versioni dei due traduttori, Renato Solmi mandò il suo parere a Sereni:

Ho letto, in questi giorni, le tue belle traduzioni da Williams, di cui sei riuscito a fare, mi sembra, quasi sempre «poesie italiane», che «parlano» da sé senza bisogno dell’originale (e qualche volta, mi pare, adddirittura poesie «tue»). Ed è un po’ peccato, oserei dire, che non siano sole, poiché le traduzioni della tua collaboratrice (per quanto fedeli) sono un po’ fredde e compassate e non aggiungono molto (mi pare) al contatto che si stabilisce, grazie a te, fra Williams e il lettore.

  • 39 Lettere inedite di Solmi del 26 gennaio del 1961 e di Sereni del 2 febbraio 1961.

26Al severo giudizio, Sereni rispose difendendo il lavoro della collega: «Guardati intorno e pensa agli altri possibili partners, più o meno specializzati in poesia anglo-americana. Debbo anche dirti che proprio alla Campo debbo una serie di osservazioni preziose sull’interpretazione di alcuni brani dell’opera di Williams. Mi ha evitato qualche svarione e parecchie imprecisioni»39.

  • 40 L’antologia fu ristampata nella collana dei Supercoralli nel 1967. Mondadori, Guanda, Feltrinelli, (...)

27L’antologia delle Poesie uscì nel settembre del 1961 sollevando definitivamente l’interesse critico per Williams tanto che diversi editori tentarono di accappararsi i diritti delle ultime raccolte poetiche dell’americano40. Quest’ampia antologia, riproducendo diverse versioni ritoccate rispetto a quelle del Fiore e contenendone di nuove, ci conduce alla seconda parte del nostro scritto, quella dedicata al metodo traduttivo di Campo.

4. La lingua e la metrica di Williams

28Come la stessa traduttrice disse a Williams e Sereni, il principale ostacolo fu quello di mantenere in italiano la fluidità del «water language», di quella lingua che il poeta chiamava American Idiom, per distinguerla dall’inglese, e riteneva fosse parlata negli Stati Uniti. Un aspetto linguistico di una certa importanza che merita un approfondimento.

  • 41 «Everything I wrote was bad Keats» (W. C. Williams, I Wanted to Write a Poem, cit., p. 16).

29Williams, dopo le prove giovanili nate dall’inevitabile confronto con i poeti inglesi, tra cui il Keats di Endymion41, considerò la lingua d’oltremanica insufficiente per esprimere la sua poetica basata sull’osservazione diretta dell’ambiente circostante. La critica concorda nel ritenere che questo rigetto dei modelli d’oltreoceano fosse un modo per affermare la propria indipendenza e volontà di emancipazione culturale; Williams era d’origine britannica e caraibica, un esempio della società multietnica americana che doveva rivendicare l’autonomia dal conquistatore inglese con la creazione di una cultura propria e l’uso di una lingua nazionale.

  • 42 W. C. Williams, Preface in The Roman Sonnets of G. G. Belli, translated by H. Norse, Introduction b (...)

30Purtroppo Williams non raccolse in un saggio coerente le sue idee sulla lingua e sulla poesia che devono essere invece cercate nei suoi numerosi scritti; utile, a questo scopo, è una brevissima prefazione del 1956 che aprì un volume di traduzioni di sonetti dialettali di Belli uscito nel ’60 a cura di Harold Norse42.

  • 43 Ivi, s.i.p.

31Come la critica belliana aveva cominciato a dimostrare in quegli anni, Williams intuì che «la lingua usata nei sonetti era quella del popolo» e il dialetto di Belli usciva «a testa alta» dal confronto con le tradizionali forme classiche e accademiche. Fatta questa premessa, il poeta propose un fondamentale parallelismo: come il trasteverino fu capace di rompere con la tradizione e di affermarsi come lingua poetica, così l’American Idiom, «una lingua paragonabile al dialetto romanesco», doveva rivendicare l’indipendenza dall’inglese: «La lingua parlata in America non è insegnata nelle scuole, ma è usata da uomini e donne che, sebbene non lo sappiano, parlano uno dei più grandi linguaggi moderni in attesa di un genio poetico che lo utilizzi»43.

  • 44 Ivi, s.i.p. Cfr. M. E. Solt, William Carlos Williams: Poems in the American Idiom, «Folio», vol. 25 (...)
  • 45 S. Cushman, William Carlos Williams and the Meanings of Measure, New Haven / London, Yale Universit (...)
  • 46 Ivi, p. 33. Più avanti definisce il poeta non come un moralista ma come uno «che vede le cose, reag (...)

32La differenza con l’inglese era soprattutto nella pronuncia, un elemento che sollecitava una riflessione formale: l’American Idiom non poteva seguire la tradizionale sillabazione inglese, «il “metro” come lo chiama Chaucer», ma piuttosto rifarsi ad una nuova “prosodia” che tenesse in considerazione il ritmo e l’intonazione peculiari della lingua americana44. Su questa idea linguistica, Williams innestò la sua poetica che doveva «imitare e non copiare la natura»: «È sempre importante che io abbia familiarità con ciò di cui scrivo»45. Compito del poeta era quello di fermarsi ad osservare l’ambiente, penetrare la natura degli oggetti che lo componevano, compreso l’uomo, e anticipare nella scrittura i possibili mutamenti: «Quando scrivevo di fiori, io ero il fiore, con tutte le prerogative dei fiori, specialmente il diritto di sbocciare a primavera»46, un atteggiamento che non aveva nulla di panico o trascendentale, ma rifletteva la formazione scientifica del medico-poeta che investigava oggettivamente le cose che aveva di fronte.

  • 47 La bibliografia è estesa e oltre al volume di Cushman, William Carlos Williams and the Meanings of (...)

33Assai più complicato è il discorso sulla forma delle liriche, un argomento a lungo discusso dalla critica47.

  • 48 Del 1932 e aggiunse: «Whitman è stato un magnifico fallimento […]. Per me è stato un colpo di scopa (...)

34Nella citata prefazione ai sonetti di Belli, Williams prendeva le distanze dalla metrica tradizionale inglese senza però offrire una chiara alternativa. Alla celebre frase, «Il verso libero — se sia mai esistito — è morto»48, non seguì mai una precisa spiegazione della “nuova” metrica. Qualche chiarimento, seppur in ordine sparso, si trova nell’autobiografico I Wanted to Write a Poem, in cui sono ricostruiti gli antecedenti di ogni raccolta pubblicata fino agli anni Sessanta.

  • 49 W. C. Williams, I Wanted to Write a Poem, cit., p. 22.
  • 50 Ivi, pp. 26‑27.
  • 51 «Il verso libero non era un verso per me. L’arte è ordine. Eppure le mie prime poesie mi infastidir (...)

35Fu lo scontento nato dall’imitazione delle «rhymed couplets» di Milton e Keats che lo spinsero ad introdurre due novità già in The Tempers, la seconda raccolta del 191349. In queste poesie abbandonò la rima, a modello di Whitman, e scelse di usare il capolettera minuscolo ad inizio di ogni verso in luogo del tradizionale maiuscolo considerato «presuntuoso». Inoltre le poesie erano articolate in «rhythmic unit», un’«esplosione lirica» che, tentando di riprodurre il ritmo del parlato, generava versi di varia lunghezza50. Questi non rientravano nelle misure convenzionali e non erano nemmeno raggruppabili in strofe dal momento che eliminò le demarcazioni tradizionali dell’iniziale maiuscola del capoverso e del punto fermo alla fine di uno o più versi. Ma quando si accorse della somiglianza con il versoliberismo di Whitman, abbandonò la forma definendola confusa e disordinata: «Il verso libero non era un verso per me. L’arte è ordine»51.

  • 52 Ivi, p. 68.
  • 53 Ivi, p. 76.

36Negli anni continuò la ricerca di «una forma per le strofe, strutturate in piccole unità, regolari e ordinate» in modo da concludere la sua «lotta con il verso»52 e quando corresse le bozze dell’antologia The Complete Collected Poems si accorse che nella sua intera produzione aveva spesso costruito le liriche mettendo insieme «piccoli paragrafi di tre versi»53.

  • 54 Ivi, p. 101.

37Questa struttura fu utilizzata nelle poesie di Paterson II (1948) nelle quali credeva di aver finalmente trovato un assetto metrico ordinato e lo chiamò «variable foot»: «il modo per superare l’assenza di struttura del verso libero»54.

  • 55 W. C. Williams, Free verse, in Encyclopedia of Poetry and Poetics, edited by A. Preminger, F. Warnk (...)
  • 56 Ibidem.

38Purtroppo anche in questo caso il poeta offrì diverse e talvolta contraddittorie spiegazioni, così ci limitiamo all’ultima, quella contenuta nella voce «verso libero» scritta per la Encyclopedia of Poetry and Poetics. Riprendendo una vecchia idea, Williams riteneva che «il verso non può essere libero nel senso di non avere alcuna limitazione o regole» e bisognava quindi ragionare sulla misura di esso55. Il vantaggio del versoliberismo era stato quello di aver ampliato «la misura del piede tradizionale in modo che più sillabe, parole o frasi potessero essere incluse» e questa nuova unità era il ‘variable foot’, un verso che «rifiuta la struttura tradizionale del piede fisso e la sua misura varia in base all’idioma impiegato e al tono della singola poesia. Così, come nel parlato, il ritmo prosodico è valutato secondo criteri di efficacia ed espressività piuttosto che dal conteggio meccanico delle sillabe»56.

39Se era chiara l’indicazione che la poesia nascesse dall’ascolto e tentasse di imitare la lingua prodotta in un determinato momento, il significato di variable foot restava oscuro. Buona parte della critica ha ipotizzato che Williams si riferisse alle strofe di tre versi usate in The Desert Music (1954), Journey to Love (1955) e Paterson V (1958): ad un primo verso allineato a sinistra seguiva un secondo rientrato e poi un terzo con un ulteriore rientro. Secondo Cushman, questa struttura triadica s’ispirerebbe a tre modelli: al variable foot di Poe che, nel suo The Rationale of Verse, usò questo termine per sollecitare i poeti a rompere la noiosa metrica tradizionale; al verso suelto spagnolo privo di rime e assonanze; e, infine, rispondesse all’appello di Pound di imitare il ritmo della musica.

  • 57 S. Cushman, William Carlos Williams, cit., pp. 85‑86.
  • 58 C. Campo, Asfodelo…, cit. Il testo citato si legge in Id., Sotto falso nome, cit., pp. 176‑177.
  • 59 S. Cushman, William Carlos Williams, cit., p. 92.

40Inoltre, Cushman ipotizzò che la scelta di articolare le strofe in tre versi potesse essere un omaggio all’amata terzina dantesca o all’haiku giapponese57. Persino Campo tentò di spiegare questo metro quando tradusse il lungo poemetto Asphodel, That Greeny Flower: «Tecnicamente è un modello della forma iniziata da W.[illiams] in Paterson II: la stanza triadica sulla measured line (o variable foot o verso suelto), vale a dire un gioco serrato di terzine sciolte variamente misurate all’interno e una sull’altra»58. Infine, come se non bastasse, la soluzione fu complicata dallo stesso Williams che abbandonò improvvisamente la struttura, usata in appena ventinove componimenti, definendola «esagerata, artificiale, arcaica»59.

5. Le traduzioni

41Di fronte a queste numerose complessità formali della poesia di Williams, Campo scelse di concentrarsi principalmente sulla lingua in modo da ottenere una traduzione che fosse il più possibile fedele al lessico dell’originale.

  • 60 Pioggia, in Fiore, pp. 106‑105 e Poesie, pp. 42‑51.

42Una conferma a questa decisione è offerta dal confronto tra le versioni del Fiore con quelle ritoccate per il volume delle Poesie: quasi tutti gli interventi variantistici sono lessicali. Vediamo, dunque, qualche esempio partendo dal poemetto Pioggia. Le tre correzioni sono migliorative: al v. 16 nonostante «pregiati» sia la traduzione più logica dell’aggettivo fine, la traduttrice lo modifica in «lavorati» dal momento che nell’intera lirica Williams descrive la quotidianità di una casa semplice e non necessariamente benestante come il primo aggettivo poteva indurre. Al v. 39 la sostituzione di «dilata» con «separa», verbo riferito alle «parole», è forse motivata dalla struttura grafica della poesia in cui le parole sono organizzate in brevi versi separati da continui a capo e distanziati da numerosi spazi bianchi che riempiono la pagina più del lessico. Infine, nel v. 51, il cambio del presente «che passano» con il participio «scorrenti», è un esempio dell’attenzione linguistica di Campo. Il verbo richiama il «Vi scorrono» del v. 43 però, scegliendo il participio, è evitata con eleganza un’anafora non presente nell’originale dove i verbi sono running e walking60.

  • 61 Lamento della vedova a primavera, in Fiore, pp. 92‑95 e Poesie, pp. 64‑67.

43Nel Lamento della vedova a primavera i vv. 3‑4 cambiano da «là come un tempo / spesso fiammeggiava» a «là come ha spesso / fiammeggiato». Questa nuova versione, sostituendo l’imperfetto con il passato prossimo, si dimostra più consona all’originale «flames as it has flamed / often before». Il v. 6 è sistemato in «che mi cinge quest’anno», speculare dell’originale «that closes round me this year» (nel Fiore si leggeva da «che quest’anno mi cinge») e, così facendo, è recuperata l’assonanza col verso successivo che termina con «anni». Al v. 15 il grief di Williams è corretto in «pena» da «male», dal momento che il poeta intende riferirsi ad un malessere dell’animo piuttosto che ad uno fisico. Altre revisioni lessicali sono al v. 22. Qui l’aggettivo «pesanti» è sostituito da «grevi», una scelta che, come nel caso appena citato, meglio aderisce al senso figurato espresso da Williams: il poeta sta descrivendo un bosco non pesante in sé quanto la sensazione di pesantezza che esso può indurre alla vista. Inoltre, per porre in rilievo quest’immagine, Campo introduce un elegante enjambement: «che per i prati, agli orli / dei grevi boschi». Un ultimo aggiustamento lessicale s’incontra nei vv. 25‑26: «cadere» e «affondare» sono scelti per fall e sink in luogo dei meno appropriati «affondare» e «annegare» usati nella prima versione61.

  • 62 Primavera eccetera, in Fiore, pp. 96‑99 e Poesie, pp. 122‑125.

44Questo lavoro di limatura continua in Primavera eccetera. Il muddy field diventa «campi fangosi» invece di «infangati», «ritte» sostituisce «dritte» (standing) e l’All along passa da «Per lungo» a «Lungo», ritocco che, eliminando una sillaba, fa sì che il verso diventi endecasillabo62.

  • 63 Uccelli e fiori, in Fiore, pp. 105‑105 e Poesie, pp. 132‑137.

45Nel primo movimento di Uccelli e fiori, Campo invece attinge al repertorio aulico: «sgorgo», «lunati» (a forma curva come quella della luna), «biòccoli» (fiocco simile al cotone non ancora filato), «dardeggianti»; e a questi aggiunge la correzione di fluted in «scannellati» in luogo di «flautati» (termine che non ha lo stesso significato dell’inglese) e il neologismo «snellocremisi» per slendercrimson63.

  • 64 Rito coniugale, in Fiore, pp. 116‑121 e Poesie, pp. 180‑185.

46In Rito coniugale l’avverbio «incontro» è corretto in «accanto», equivalente dell’inglese near (v. 30) e il letterale «figure» è sostituito da «sagome», un sostantivo che rende con maggior efficacia l’ambigua espressione «thievish figures» (v. 39)64.

  • 65 La qualità del cielo, in Fiore, pp. 132‑135 e Poesie, pp. 222‑225.

47In La qualità del cielo il riassetto lessicale dei vv. 13‑14 aiuta ad equilibrare la misura dei versi; l’originale «caldo opprimente. // Polvere a grumi sul verde delle foglie» è mutato in «caldo opprimente. Polvere // raggrumata sul verde delle foglie». Lo stesso accade ai vv. 17‑18 dove lo spostamento di «piletta» fa in modo che i due versi diventino ottonari. Infine la correzione del termine «spaventare» per frightened al posto di «misero in fuga» causa l’effetto opposto: da due senari si passa a un decasillabo65.

  • 66 In questa notte…, in Fiore, pp. 136‑137 e Poesie, pp. 250‑251.

48Un ultimo esempio lo offriamo da In questa notte… Il secondo verso, «the term of the moon is yellow with no light», è tradotto in «la luna è nella fase gialla, senza luce». Questa nuova versione supera quella poco chiara del Fiore «il termine della luna è giallo, senza luce»66.

  • 67 Aprile, in Fiore, pp. 91‑92 e Poesie, pp. 58‑59.
  • 68 Franklin Square, in Fiore, pp. 127‑129 e Poesie, pp. 218‑221.

49In un paio di casi la variante lessicale genera un riassetto metrico. Ad esempio in Aprile, correggendo l’errato «flessibili» con «molli» (come l’inglese limp lascia intendere) il verso diventa un settenario, metro dominante nella lirica67. E in Franklin Square i primi due versi «Invece del / fiore di biancospino» sono aggiustati in «Anziché il fiore / di biancospino» per creare un quinario simmetrico ai successivi vv. 4 e 668.

50Una lettura d’insieme delle traduzioni rivela anche la tendenza di Campo a riutilizzare lo stesso termine per tradurre parole inglesi non identiche ma appartenenti al medesimo campo semantico, un modo per tenere unite le liriche a livello macrotestuale. Ad esempio «fronda» per green thing in Uomo in una stanza e twigs in Uccelli e fiori; «bifido» per horned in Canzone d’amore e forked in Primavera eccetera; l’espressione «bianchi alberi in fiore» per The flower white tree in Uomo in una stanza e trees of white flowers in Lamento della vedova a primavera; «sagoma» per outline in Primavera eccetera e figures in Rito coniugale; «stilla» per drips in Canzone d’amore e falls in I fiori soli; «vello» per wool in Perpetuum mobile: la città e fleece in La qualità del cielo e «querulo» per noisy in Franklin Square e chirping in La qualità del cielo.

  • 69 La traduzione di The Descent of Winter fu inviata a Williams e riprodotta nel Fiore, p. 18; il Lame (...)

51Un’ulteriore conferma della volontà di Campo di mantenersi vicina al testo originale è nelle traduzioni di The Descent of Winter e The Widow’s Lament in Springtime che possiamo confrontare con quelle di Sereni69.

  • 70 La versione è identica a quella pubblicata in Williams, Poesie, cit., pp. 7‑8.

52Nella prima poesia, la scelta del titolo, Discesa dell’inverno, corrobora l’intenzione di Campo di tradurre quasi letteralmente, mentre Sereni opta per un verbo di movimento in luogo del sostantivo, Viene l’inverno70. La seconda quartina contiene differenze esemplari. Nel primo verso entrambi mantegono l’insistenza fonetica sul suono t dell’originale «A center distant from the land»: «Un centro lontano dalla terra» la prima, «Un centro distante dalla terra» il secondo. Nel secondo verso Campo continua con il suono occlusivo «toccato dalle ali», mentre Sereni compie uno scarto preferendo la laterale l per creare un verso più morbido «lambito da ali». Questa scelta si chiarisce negli ultimi due versi in cui il poeta di Luino compie un’altra virata insistendo su suoni vibranti e fricativi esaltati dal sostantivo ‘stridi’ posto a chiusura del v. 3: «di uccelli che rari hanno stridi / e requie sembrano non aver mai». Suoni rs che erano anche nell’originale «of nearly silent birds / that never seem to rest». Campo, al contrario, non ama la forte contrapposizione sonora e, fedele al silent di Williams, gli uccelli non stridono e il loro silenzio è sottolineato dal ripetersi della fricativa s: «di uccelli quasi muti / che sembra non si posino mai».

  • 71 Questa la versione uscita sul Fiore: «l’erba nuova fiammeggia / là come un tempo / spesso fiammeggi (...)

53Qualche altro esempio lo prendiamo dalla seconda poesia. Nei primi sei versi Campo sceglie come dominante l’allitterazione della fricativa f che culmina nell’ossimorico fuoco freddo, «L’erba nuova fiammeggia / là come ha spesso / fiammeggiato, ma non / del fuoco freddo / che mi cinge quest’anno»71. Sereni, al contrario, predilige diverse sonorità e fa allitterare i suoni consonantici c, d, f ed n: «Cordoglio è questa mia corte / in cui l’erba nuova divampa / non diversa da prima, non fosse / il fuoco che freddo mi chiude / quest’anno». In questo modo era riuscito a riprodurre i mutevoli suoni di Williams: «Sorrow is my own yard / where the new grass / flames as it has flamed / often before but not / with the cold fire / that closes round me this year».

  • 72 Nel Fiore questo secondo verso era più aderente all’originale, «Ma il male nel mio cuore / è più fo (...)

54Nei vv. 6‑8 Campo mantiene la quasi rima year-years in «mi cinge quest’anno / Trentacinque anni / vissi con mio marito», mentre Sereni combina i vv. 7‑8 in «Trentacinque ne ho col mio uomo vissuti». Questa soluzione è esemplare di due costanti delle traduzioni del poeta di Luino: la preferenza per ridurre gli enjambements di Williams e l’inversione dell’ordine sintattico: altri due esempi sono il v. 7 «Bianco è oggi il susino» («Oggi il susino è bianco», in Campo) e il v. 13 «Più forte è in me la mia pena» (contro «Ma è più forte la pena nel mio cuore»)72.

55Nella versione di Sereni, alla soppressione di molti inarcamenti si aggiunge la tendenza alla sintesi, laddove Campo traduce ogni singolo verso. Esemplari i vv. 20‑24 ridotti ad appena tre dal primo, «Oggi mio figlio parlava dei prati, / di fiori bianchi sugli alberi / all’orlo dei boschi profondi», e mantenuti nel numero dalla seconda: «Oggi mio figlio mi ha detto / che per i prati, agli orli / dei grevi boschi, / di lontano ha veduto / bianchi alberi in fiore». Una caratteristica che si esplicita meglio se ricordiamo che Sereni riduce a 21 gli originali 28 versi di Williams mentre Campo si tiene vicina al numero con 27.

56Infine questa lirica testimonia la soppressione da parte di Campo dei tratti stilistici ritenuti pesanti che, al contrario, piacevano a Sereni. Ad esempio l’anafora ai vv. 10‑11 «with masses of flowers / Masses of flowers» è mantenuta dal secondo, «gremito di fiori. / Gremito di fiori…», mentre Campo la scioglie e la complica in un elegante chiasmo: «di fiori a cumuli / e cumuli di fiori».

  • 73 Poesie, pp. 126‑131.

57Un altro esempio della raffinata cura lessicale è nei versi dell’Autoritratto dove il movimento delle foglie delle betulle, corrispettivo dell’animo del poeta, è rievocato in ogni strofe da un’allitterazione della fricativa f. Nel primo movimento si legge «le foglie / una per una, le foglie fragili sbocciano / fredde, isolate, una per una. Fiocchi snelli». Nel secondo «fasciati in questa fiamma», nel terzo «una forza / che frantuma» e «fuori, su un freddo mondo». Nel terzo «una furia / di lillà in fiore, mi fanno» e nell’ultimo «freddamente le foglie di betulla si aprono / una per una. Io freddamente le osservo — / E attendo la fine». Le figure sono tutte assenti nell’originale di Williams tranne nel primo e nell’ultimo caso dove l’americano sceglie due rime interne (leaves-leaves e coldly-Coldly)73.

  • 74 Ivi, pp. 140‑157.

58Infine segnaliamo il bell’esito di alcuni versi alla fine del poemetto Perpetuum mobile: la città. Nell’originale, «in bright-edged / clouds / the moon— // bring // silence // breathlessly—», il raggiungimento del silenzio è reso attraverso la disposizione grafica delle parole con un doppio spazio bianco a separare ogni singola parola che compone gli ultimi tre versi. La versione di Campo è molto raffinata: i primi tre versi insistono sulla laterale l «listate di / luce / la luna —» e il suono è messo a tacere con altre due allitterazioni «recano / silenzio senza / respiro» con la seconda particolarmente efficace nell’insistita ripetizione del suono della fricativa alveolare sia sorda che sonora74.

59A questa campionatura aggiungiamo qualche altro esempio preso dalle liriche tradotte per l’antologia Einaudi e non presenti nel Fiore.

60Abbiamo indicato come l’interesse principale di Campo fosse la lingua e s’impegnò affinché la traduzione restasse per quanto possibile fedele al linguaggio fortemente icastico dell’americano. Per questa ragione scelse di muoversi tra diversi registri. A termini colloquiali, regionalismi e volgari, come «sorcio», «babbuccia» in Come un sorcio… e «puttana» in Perpetuum mobile: la città, affiancò quelli aulici come «fiammea», «roridi» in Uomo in una stanza; «bifidi», «stilla», «vinato» in Canzone d’amore; «pomellate» in Primavera eccetera; «queruli» in Franklin Square; «vello» in La qualità del cielo; «attorse» in Perpetuum mobile: la città: «acquetare» nel Ciclamino cremisi; «clamante» in A che parlare… In alcuni casi addirittura elevò il registro di Williams: «dardeggianti» per flitting e «fronde» per twigs in Uccelli e fiori; «queruli» per noisy e chirping in Franklin Square e La qualità del cielo; whiter diventa «più candido» in A un poeta anziano; black sky «velluto del cielo»; sink il raro e figurato «sèntina», wool «vello» (già usato in La qualità del cielo per fleece), cots «case» (ma ‘lettino’, ‘branda’) e pristine (‘puro’, ‘incontaminato’) diventa impropriamente «prische» in Perpetuum mobile: la città e un anonimo small end diventa un «orifizio» in L’universo contratto a un’immagine riconoscibile…

61Infine passò con dimestichezza dal linguaggio tecnico e settoriale, l’ampia nomenclatura botanica, alla creazione di neologismi: «snellocremisi» e «intoccati» per ‘non toccati’ in L’ascoltatore intento, «biancoverdognolo» in Perpetuum mobile: la città.

62L’altro problema formale era la varia e complessa prosodia di Williams: questi era spesso un fiume in piena e nella versificazione il ritmo era costantemente spezzato da continui e nervosi enjambements, la durata delle pause era genericamente indicata con spazi bianchi e il quasi inesistente uso di segni interpuntivi contribuiva a generare un ritmo che repentinamente passava da singulti a momenti verbosi e viceversa.

63Campo, come detto, non amava quest’irruenza e tentò di frenarla dando ai versi uno scorrere lento e ordinato. Ad esempio, quando il discorso era franto in modo troppo brusco, sopprimeva gli enjambements per ottenere un cursus più composto.

  • 75 Ivi, pp. 60‑63.

64In I fiori soli la spezzettata immagine «the cherry trees / white in all back / yards» è ricomposta in «i ciliegi, / bianchi in ogni cortile» dove anche la virgola contribuisce a pausare il nuovo ritmo75.

  • 76 Ivi, pp. 58‑59.

65A questi esempi aggiungiamo qualcun’altro dalla lirica Aprile. Ai vv. 9‑10 l’inarcamento è tolto per evitare l’improvviso stacco di Williams: «too much of sumac buds, pink / in the head» diventa «troppi bocci di súmmaco, rosei sulla cima». In un altro caso l’inserimento di una virgola e lo spostamento della preposizione smussa un ruvido inarcamento: «limp poplar tassels on the / bare branches!», «molli fiocchi di pioppo, / sui rami spogli!». Mentre mantenuto è quello ai vv. 16‑17 dove ‘primavera’ occupa lo spazio di un intero verso dal momento che la stagione è il tema della lirica. Infine i vv. 18‑20 sono sistemati per ottenere una maggiore fluidità rispetto allo spezzettato ritmo di Williams: «The pounding of the hoofs on the / raw sods / stayed with me half through the night» diventa «Il tonfo degli zoccoli / sulle crude zolle mi restava / metà della notte accanto»76. Nei casi in cui l’enjambement creava un ritmo sostenibile per l’orecchio italiano, come ad esempio Canzone d’amore, Rito coniugale e Una specie di canto, esso era mantenuto.

66Questo riassetto della sintassi, per limitare i sussulti williamsiani, continuava con l’aggiunta di segni interpuntivi.

  • 77 Poesie, pp. 40‑41. Identica la versione del Fiore, pp. 86‑87.
  • 78 Poesie, pp. 126‑131.
  • 79 Ivi, pp. 226‑227.

67In Canzone di primavera, due dubitative sono separate con l’inserzione di una virgola «un non so che di strano / e tentatore, / non so quale divario / sottile» (vv. 8‑11). Un’altra virgola è posta nell’ultimo e più lungo verso in modo da mantenere un ritmo costante nella lettura: «da spartire alle nostre / collane funebri — e invece / vorrei solo giacere / con te nel fango, la mano nella mano»77. Un altro esempio in cui la punteggiatura serve a regolare il ritmo frenetico della frase è nell’Autoritratto dove i versi «The yards in a fury / of lilac blossoms are driving me mad with terror» sono pausati con l’inserimento di due virgole ad inciso «I cortili, una furia / di lillà in fiore, mi fanno impazzire di terrore»78. Almeno in una circostanza, però, l’intervento di Campo ci sembra peggiorativo. Ci riferiamo alla traduzione de Il picchio in cui sono persi il lessico colloquiale e il ritmo prosastico, cifre stilistiche della poesia. Il primo è asciugato e semplificato da Campo: l’articolato «Only in that which we do not yet know shall we / be feted, fed. That is to say, with cerimony» è ridotto a «Solo nell’ignoto saremo / festeggiati, nutriti. Ritualmente»; così facendo ci sembra persa la riuscita rappresentazione di Williams del suo pensiero aggrovigliato che lo conduce, nella seconda parte della lirica, a risolversi nel desiderio di diventare un picchio. Mentre il ritmo sincopato, altro correlativo del flusso di coscienza del poeta, viene meno con l’inserzione di numerosi segni interpuntivi79.

68Al termine di questa esemplificazione è chiaro come l’esito sia stato quello di aver prodotto delle traduzioni il cui tasso di letterarietà non fosse esattamente coincidente con quello delle poesie di Williams. Ma questa nuova veste non contrariò l’americano che, invece, ebbe parole di lode per la traduttrice poiché, a suo avviso, era riuscita a cogliere e comunicare il significato più profondo della sua poesia. Williams, quando era interrogato sulla complessità formale dei suoi versi, spiegava che essi assumevano forma sempre diversa in quanto esprimevano le sensazioni di un attimo. Imitando lessico e ritmo del parlato di quel preciso momento, egli intendeva trasferire al lettore l’energia di quell’istantanea in modo che potesse rivivere e continuare quella sensazione. E Campo sembra esser riuscita a proseguire questo dialogo: reinterpretando le immagini di Williams alla propria maniera, le trasferì al lettore italiano in modo da mantenere vivo quel perpetuum mobile che rendeva la poesia un linguaggio universale fuori dal tempo e dallo spazio.

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Notes

1 W. C. Williams, C. Campo e V. Scheiwiller, Il fiore è il nostro segno. Carteggio e poesie, a cura di M. Pieracci Harwell, Milano, Libri Scheiwiller, 2001, p. 26. D’ora in avanti Fiore seguito dal numero di pagina. Le traduzioni dalle lettere e dagli scritti di Williams sono nostre.

2 Sappiamo, al contrario, che le letture di Hofmannsthal e Weil, altri due altri autori molto amati e tradotti, furono sollecitate rispettivamente da Leone Traverso e Mario Luzi.

3 A. Spina, Conversazione in Piazza Sant’Anselmo e altri scritti. Per un ritratto di Cristina Campo, Brescia, Morcelliana, 2002, p. 23.

4 C. Campo, Lettere a Mita, Milano, Adelphi, 1999, lettera del 25 ottobre 1957.

5 C. Campo, Il mio pensiero non vi lascia. Lettere a Gianfranco Draghi e ad altri amici del periodo fiorentino, a cura e con una nota di M. Pieracci Harwell, Milano, Adelphi, 2011, lettera a Draghi dell’autunno del 1957, p. 59.

6 Fu inviata insieme ad Estate indiana a Remo Fasani e pubblicata, con Sindbad, su Paragone, a. IX, no 106, 1958. Nell’originale si legge What beauty / beside your sadness—and / what sorrow.

7 Le traduzioni di entrambe le liriche furono inserite nel volume Einaudi del 1961, pp. 126 e 138.

8 Ivi, p. 130.

9 C. Campo, Il mio pensiero non vi lascia…, cit, lettera a Draghi dell’autunno del novembre 1957, p. 60.

10 In una nota d’autore si legge che Portland Road fu l’«ultima residenza di Simone Weil a Londra». Uscì su «Palatina», a. II, no 8, ottobre-dicembre 1958 nonostante l’autrice fosse rimasta «sconvolta» dal giudizio negativo espresso da Maria Chiappelli. Cfr. C. Campo, Lettere a Mita, cit., lettera del 25 agosto 1957.

11 «La saveur des mots : que chaque mot ait une saveur maxima entre le sens qu’on lui donne et tous ses autres sens, un accord ou une opposition avec le son de ses syllabes, des accords et des oppositions avec les mots d’avant et d’après» (S. Weil, Poèmes, Paris, Gallimard, 1968, pp. 52‑53).

12 «Please let me thank you a thousand of times for all the joy you gave me. I never did anything with such joy. It was hard work, harder than anything I had done before. But the joy lasted to the end and I can’t wait to see the book published to feel that joy again. I was thoroughly disgusted with words before I started. I had been far from anything written for months. You gave me the words back since the moment I re‑opened your book. “La saveur maxima de chaque mot”» (Fiore, p. 22, corsivi nostri). Passo d’addio fu pubblicato per i tipi «All’insegna del Pesce d’Oro» di Scheiwiller (Milano, 1956). Sul silenzio critico: «Leone ha scritto bene sul Passo. Non ho potuto dir niente. È stata certo una debolezza — ma delle 6 persone a cui l’avevo mandato non una mi ha risposto…» (C. Campo, Lettere a Mita, cit., lettera del 6 febbraio 1957).

13 «Ho cominciato a copiare certe poesie, buttate giù su foglietti e abbandonate in un cassetto, e mi sono trovata a lavorarci ogni giorno, per 6‑7 ore a volte. Potrebbe forse diventare un libretto e chiamarsi Le temps revient”, che era il motto di Lorenzo, e che per me significa, molto più che rinascita, riflusso, temps retrouvé, rifiorire di vecchi tronchi» (ivi, lettera del 24 luglio 1958). In un nostro studio abbiamo dimostrato l’unitarietà della raccolta: N. Di Nino, «Le temps revient», una raccolta mancata di Cristina Campo, «Humanitas», 3, 2005, pp. 471‑488 poi in La Bibbia nella letteratura italiana. L’età contemporanea, a cura di P. Gibellini e N. Di Nino, Brescia, Morcelliana, 2009, pp. 433‑452. Le poesie sono antologizzate nel volume: C. Campo, La tigre assenza, Milano, Adelphi, 1991, pp. 3640.

14 La versione di Campo fu pubblicata sulla Posta letteraria del Corriere dell’Adda, rubrica fondata con Gianfranco Draghi nel 1951. La raccolta di Sereni è: W. C. Williams, Poesie; versioni di V. Sereni; immagini di S. Dangelo, Milano, Edizioni del Triangolo, 1957. Le traduzioni erano: Viene l’inverno, La strada solitaria, Lamento della vedova a primavera, Unisono e Le nuvole. Anni dopo il poeta rivelò che fu Luciano Anceschi a spingerlo a tradurre Williams, in V. Sereni, Premessa, in Id., Il musicante di Saint-Merry, Torino, Einaudi, 1981, p. xxxi.

15 Ricordiamo che fu Elio Vittorini nell’antologia Americana (Milano, Bompiani, 1941) tra i primi a segnalare Williams indicandolo come seguace dell’«immaginismo» iniziato da Pound (vol. I, p. 499). Il giudizio fu comunque piuttosto severo: trovò «inutile» il Voyage to Pagany e definì un «libro timido di saggi» la raccolta In the American Grain (vol. II, pp. 606 e 667). Nell’immediato dopoguerra, con la fine dalla censura fascista le cui forbici sfrondarono il volume di Vittorini, uscirono diverse antologie: C. Izzo, Poesia americana contemporanea e poesia negra, Parma, Guanda, 1949; A. Rizzardi, Lirici americani, Caltanissetta / Roma, Edizioni Salvatore Sciascia, 1955; R. Sanesi, Poeti americani: da E. A. Robinson a W. S. Merwin (1900‑1956), Milano, Feltrinelli, 1958 (con alcuni testi di Williams); Poesia straniera del Novecento, a cura di A. Bertolucci, Milano, Garzanti, 1958 (Sereni pubblicò le sue versioni da Williams di Paterson: The Fall, Adam, These, Dedication for a Plot of Ground, mentre la Campo contribuì con due traduzioni da T. S. Eliot).

16 Nella nota introduttiva che si legge in W. C. Williams, I Wanted to Write a Poem. The Autobiography of the Works of a Poet, reported and edited by E. Heal, London, Jonathan Cape, 1967, p. 23.

17 Fiore, pp. 26‑27.

18 «“Riffled whiteness” si riferisce alle increspature formate dall’acqua corrente che diventano biancastre quando passa su ciottoli. “Gall-sting” è una protuberanza come una piccola vescica che si forma sugli steli di certe piante quando sono punti da questi insetti che attaccano la quercia. “To listen hard” significa, a mio avviso, ascoltare attentamente. Grazie delle traduzioni che mi hanno lasciato senza parole» (ivi, p. 36). Nell’esercizio di traduzione, Campo si rivolse anche anche ad un certo Garrett che «mi ha salvato da due o tre equivoci veramente assai gravi» scrisse a Scheiwiller, ivi, p. 43. E l’editore spiegò a Williams che i «molti dubbi della traduttrice» ritardarono l’uscita del volumetto, ivi, p. 53.

19 Fiore, p. 48.

20 «Le notizie che mi scrive sul raffinato libretto di traduzioni mi spaventano. Non credevo che nessuno mi avrebbe mai scoperto, o avrebbe almeno tentato di farlo, attraverso i miei scritti così come ha fatto lei. Mi ha rivoltato, denudato e non provo imbarazzo ma al contrario la accolgo come amante e amica. Niente di passionale dal momento che il sentimento è più profondo ed è per questo che mi spaventa. In questo mondo non concediamo tali intimità e le nascondiamo, ma lei mi ha scoperto e ne sono spaventato perché tale intimità non si concede neppure alla propria moglie. Tuttavia aspiriamo ad essa, e ci struggiamo quando non si trova nello sguardo delle persone che amiamo e da cui siamo amati. […] Non ci siamo mai conosciuti eppure lei ha scoperto una delle mie parti più nascoste e l’ha collocata in un perfetto contesto verbale. Lei è una maga o forse un mio angelo custode» (Fiore, pp. 50‑51).

21 Il «libriccino» fu adocchiato da Giorgio Caproni che lo recensì sulla Fiera letteraria. Lo scrittore elogiava «il buon odore frizzante di aria sincera e sveglia […] ch’esso ha portato nel chiuso della nostra stanza» e, riconoscendo a Campo le doti di una «donna intelligentemente sensibile, dotata d’istinto poetico oltre che di viva cultura», elogiava la traduzione priva di «presunzione» e dominata dalla volontà di comunicare solo «la propria emozione e la propria gioia di lettrice» (G. Caproni, Il fiore è il nostro segno, «La Fiera Letteraria», 1 febbraio, 1959, p. 3 ora in Id., Prose critiche, a cura di R. Scarpa, Torino, Aragno, 2012, vol. 3, pp. 1137‑1140).

22 Campo spiegava a Williams: «Einaudi, un grande (se non il più grande) editore italiano vuole ripubblicare le mie traduzioni e quelle fatte da un altro poeta, Vittorio Sereni» (Fiore, p. 66).

23 In una nota alla sua premessa al volume Einaudi, Sereni scrisse: «Delle mie versioni, esercizio privato o quasi, non avrei mai pensato di fare un volume vero e proprio, se non si fosse poi presentata l’opportunità di unirle a quelle di Cristina Campo e cioè di inserirle in un lavoro più vicino, grazie anche a una più estesa e sicura ricognizione preliminare, alle strutture dell’intera opera del nostro poeta» (W. C. Williams, Poesie, tradotte e presentate da Cristina Campo e Vittorio Sereni, Torino, Einaudi, 1961, p. 24). D’ora in avanti Poesie seguito dal numero di pagina.

24 Ringraziamo Giovanna Sereni, il Comitato scientifico e il personale dell’Archivio Chiara-Sereni di Luino per la cortese disponibilità alla consultazione del materiale inedito.

25 In un paio di lettere del carteggio si evince che Campo non conosceva il piccolo quaderno di traduzioni di Sereni del ’57.

26 Sereni scrisse a Campo «Le invidio molto A Marriage Ritual che a me non era riuscito di tradurre e che mi sembra una cosa molto bella» (lettera del 1 aprile 1960).

27 Cfr. lettera inedita di Vittorio Sereni a Foà del 2 gennaio del 1961. Nel carteggio si legge l’idea di chiedere a Agostino Lombardo o a Sergio Solmi la stesura di una breve introduzione. Campo spinse per il secondo perché meno pedante del primo e ricevette un’acuta risposta di Sereni: «Williams non è solo le poesie che piacciono a noi e che abbiamo tradotto. Ci sono di mezzo fatti di portata culturale che io non so decifrare, e forse, vedere nella loro giusta luce. Pensando a uno studioso, chiedevo una garanzia in più, mettendomi dal punto di vista del lettore che vuole anche essere informato» (lettera inedita a Cristina Campo dell’11 aprile 1960). In seguito, Campo e Sereni si accordarono per scrivere ciascuno una breve premessa, raccolte sotto il semplice ed efficace titolo di Due letture. Infine i traduttori, esausti per un lavoro che durò più a lungo del previsto, respinsero la richiesta di Foà di inserire in appendice la traduzione di alcune lettere del poeta americano che avrebbe potuto rallentare l’uscita del volume.

28 Campo allungò la breve premessa del Fiore, mentre Sereni scrisse un testo inedito poi pubblicato col titolo Una proposta di lettura su «Aut Aut» (no 61‑62, 1961, pp. 110‑118) e infine inserito col titolo La musica del deserto nel volume Id., Letture preliminari, Padova, Liviana, 1973, pp. 65‑76.

29 Poesie, pp. 13‑14. Questi primi paragrafi sono quelli usati come premessa nel Fiore.

30 Poesie, p. 15.

31 I versi di Una specie di canto, tradotti da Campo, sembrano contenere la dichiarazione poetica di Williams: «Attende il serpe sotto / la gramigna / e la scrittura / sia di parole, lente e rapide, affilate / a colpire, quiete ad attendere, insonni — // a conciliare con metafore / le persone e le pietre. / Componi (Niente idee / se non nelle cose) Inventa! / Sassifraga è il mio fiore, che spacca / le rocce» (Fiore, pp. 122‑123 e, con qualche variante interpuntiva, Poesie, pp. 194‑195).

32 Ivi, pp. 16‑17.

33 Ivi, p. 19.

34 Ivi, p. 25.

35 «Se si riconosce poeta, si riconosce tale solo nell’atto di firmare la poesia finita, per annullarsi come poeta immediatamente dopo e rinascere come uomo che guarda» (ivi, p. 31).

36 Ivi, pp. 31‑32.

37 «Non si traduce solo per presunta affinità. Si traduce anche, se non proprio per opposizione, per confronto. Traducendo non tanto ci si appropria, non tanto si fa proprio il testo altrui, quanto invece è l’altrui testo ad assorbire una zona sin lì incerta della nostra sensibilità e a illuminarla […]. In almeno due circostanze, la prima volta a proposito di W. C. Williams, mi è accaduto di confidarmi in questi termini: “Un testo a prima vista enigmatico ci è posto davanti, ne conserviamo appena un frammento, una scaglia, ma è questo segmento, questa scaglia, a lavorare occultamente in noi. Un bel giorno l’esperienza individuale lo fa avvampare: una luce retroattiva si estende alla totalità del testo”» (Sereni, Premessa, cit., pp. xxxii-xxxiii).

38 Lettera inedita a Foà del 4 aprile del 1960.

39 Lettere inedite di Solmi del 26 gennaio del 1961 e di Sereni del 2 febbraio 1961.

40 L’antologia fu ristampata nella collana dei Supercoralli nel 1967. Mondadori, Guanda, Feltrinelli, Lerici, cercarono di acquisire i diritti di Williams da New Directions, suo editore americano. Nel gennaio del ’62, Campo declinò l’offerta di Sereni di mettere assieme un altro volume di traduzioni per la collana mondadoriana dello Specchio spiegando di non sentire più il bisogno di un dialogo con Williams. Qualche giorno dopo scrisse che avrebbe voluto tradurre il Paterson ma sul volume stava già lavorando Alfredo Rizzardi. È possibile che il giudizio sul traduttore mutò; lei stessa lo presentò a Williams: «È un traduttore finissimo e attento […]. Io penso che possa fare il lavoro meglio di chiunque altro qui» (Fiore, p. 75), ma nello stesso periodo scrisse a Traverso: «Rizzardi mi ha mandato le sue bruttissime traduzioni da Pound. Prego Dio che mi mandi quelle da Williams prima di stamparle (visto che ne sono in certo modo responsabile!)» (C. Campo, Caro Bul. Lettere a Leone Traverso (1953‑1967), a cura e con una nota di M. Pieracci Harwell, Milano, Adelphi, 2007, lettera del 14 agosto 1960, p. 109). Il Paterson del Rizzardi uscì nel 1966 per Lerici (poi Milano, Ed. Academia, 1972). Nel carteggio Campo-Sereni si rievoca anche l’esclusione del volume dal Premio Etna Taormina dovuta ad un’improvvisa sparizione delle copie. Ricordiamo che Campo pubblicò le traduzioni del racconto La caduta di Tenochtitlan e dei versi di Asfodelo, il verdognolo fiore su «Questo e altro». La prima nel numero 1, 1963 (pp. 84‑91), la seconda sul numero 3 dello stesso anno (pp. 98‑99). Le note che accompagnarono i due testi sono state riprodotte in C. Campo, Sotto falso nome, Milano, Adelphi, 1998, pp. 174‑177, mentre la prosa fu riedita in appendice al Fiore, pp. 153‑170. Sereni anticipò quattro liriche con minime varianti, Paterson: le cascate, Adamo, Queste sono e Dedica per un pezzo di terra, nell’antologia Poesia straniera del Novecento, a cura di A. Bertolucci, cit., pp. 432‑447. Al volume contribuì anche Campo ritoccando le due traduzioni da T. S. Eliot, New Hampshire e Occhi che vidi ultimamente in pianto, che aveva posto in appendice al Passo d’addio, ivi, pp. 316‑317.

41 «Everything I wrote was bad Keats» (W. C. Williams, I Wanted to Write a Poem, cit., p. 16).

42 W. C. Williams, Preface in The Roman Sonnets of G. G. Belli, translated by H. Norse, Introduction by A. Moravia, Highlands, Jonathan Williams, 1960.

43 Ivi, s.i.p.

44 Ivi, s.i.p. Cfr. M. E. Solt, William Carlos Williams: Poems in the American Idiom, «Folio», vol. 25, no 1, 1960, p. 7.

45 S. Cushman, William Carlos Williams and the Meanings of Measure, New Haven / London, Yale University Press, 1985, p. 96 e in Williams, I Wanted to Write a Poem, cit., p. 97. In precedenza, discutendo le poesie di Al Que Quiere! Del 1917, disse: «I titoli delle poesie dicono come mi sia guardato intorno e abbia trovato qualcosa che suggeriva una poesia Man with a Bad Heart, Child, The Old Man, Dedication for a Plot of Ground» (ivi, p. 37).

46 Ivi, p. 33. Più avanti definisce il poeta non come un moralista ma come uno «che vede le cose, reagisce alla vista di esse e le prende in considerazione» (ivi, p. 92).

47 La bibliografia è estesa e oltre al volume di Cushman, William Carlos Williams and the Meanings of Measure, cit., e di Williams, I Wanted to Write a Poem, cit., ricordiamo: M. E. Solt, William Carlos Williams: Idiom and Structure, «Massachusetts Review», vol. 3, no 2, 1962, pp. 304‑318; L. Garegnani Unali, Mente e misura. La poesia di William Carlos Williams, Roma, Edizioni di Storia e Letteratura, 1970; P. Ramsey, William Carlos Williams as Metrist: Theory and Practice, «Journal of Modern Literature», vol. 1, no 4, 1971, pp. 578‑592; M. E. Solt, The American Idiom, «William Carlos Williams Review», vol. 9, no 1‑2, 1983, pp. 91‑124. E. Berry, William Carlos Williams’ Triadic-Line Verse: An Analysis of Its Prosody, «Twentieth Century Literature», vol. 35, no 3, 1989, pp. 364‑388.

48 Del 1932 e aggiunse: «Whitman è stato un magnifico fallimento […]. Per me è stato un colpo di scopa e niente più. Non poteva andare avanti… […] La sua invenzione finì dove iniziò» (S. Cushman, William Carlos Williams, cit., p. 7). A questo attacco seguì una riabilitazione nel 1960 quando riconobbe a Whitman di essere stato «inconsciamente l’inventore del “variable foot”» (ivi, p. 9).

49 W. C. Williams, I Wanted to Write a Poem, cit., p. 22.

50 Ivi, pp. 26‑27.

51 «Il verso libero non era un verso per me. L’arte è ordine. Eppure le mie prime poesie mi infastidirono. Erano troppo convenzionali, troppo accademiche. Tuttavia, c’era un ordine. I miei modelli, Shakespeare, Milton, risalgono a un’epoca in cui gli uomini pensavano in modo ordinato. Sentivo che la modernità fosse andata oltre; le nostre poesie non potevano essere contenute nel rigoroso ordine classico […]. Il verso libero non era la risposta» (ivi, pp. 75‑76).

52 Ivi, p. 68.

53 Ivi, p. 76.

54 Ivi, p. 101.

55 W. C. Williams, Free verse, in Encyclopedia of Poetry and Poetics, edited by A. Preminger, F. Warnke and O. B. Hardison Jr., Princeton University Press, 1965, p. 289.

56 Ibidem.

57 S. Cushman, William Carlos Williams, cit., pp. 85‑86.

58 C. Campo, Asfodelo…, cit. Il testo citato si legge in Id., Sotto falso nome, cit., pp. 176‑177.

59 S. Cushman, William Carlos Williams, cit., p. 92.

60 Pioggia, in Fiore, pp. 106‑105 e Poesie, pp. 42‑51.

61 Lamento della vedova a primavera, in Fiore, pp. 92‑95 e Poesie, pp. 64‑67.

62 Primavera eccetera, in Fiore, pp. 96‑99 e Poesie, pp. 122‑125.

63 Uccelli e fiori, in Fiore, pp. 105‑105 e Poesie, pp. 132‑137.

64 Rito coniugale, in Fiore, pp. 116‑121 e Poesie, pp. 180‑185.

65 La qualità del cielo, in Fiore, pp. 132‑135 e Poesie, pp. 222‑225.

66 In questa notte…, in Fiore, pp. 136‑137 e Poesie, pp. 250‑251.

67 Aprile, in Fiore, pp. 91‑92 e Poesie, pp. 58‑59.

68 Franklin Square, in Fiore, pp. 127‑129 e Poesie, pp. 218‑221.

69 La traduzione di The Descent of Winter fu inviata a Williams e riprodotta nel Fiore, p. 18; il Lamento della vedova a primavera è ivi, pp. 92‑95 e in Poesie alle pp. 64‑67. Le due versioni di Sereni si leggono nel volumetto del 1957 Williams, Poesie, cit., pp. 6‑8 e 12‑13. La prima, senza varianti, è stata riprodotta in Poesie, pp. 90‑93. Sul Sereni traduttore di Williams esiste un’ampia bibliografia cui rimandiamo: C. Parente, Sulle traduzioni di Sereni da Pound e da Williams: il dare e l’avere, «Studi Medievali e Moderni», no 1, 2008, pp. 107‑126; M. Coppo, Sereni traduttore di Williams, «Studi Novecenteschi», vol. 36, no 77, 2009, pp. 151‑176; D. Castiglione, Sereni e il processo traduttivo: analisi sincronica e diacronica di una versione da William Carlos Williams, «Strumenti critici», a. XXVIII, no 2, 2013, pp. 267‑288; S. Pesatori, «Unisono»: appunti sull’edizione critica di una poesia in traduzione, in M. A. Grignani e A. Longoni (a cura di), Traduzione e Novecento, «Autografo», no 52, 2014, pp. 109‑122; G. Sica, Cristina Campo e Vittorio Sereni, amici e maestri di brevità, in II destino della bellezza: omaggio a Cristina Campo (1923‑1977), «Il Giannone», no 23‑24, 2014, pp. 189‑210.

70 La versione è identica a quella pubblicata in Williams, Poesie, cit., pp. 7‑8.

71 Questa la versione uscita sul Fiore: «l’erba nuova fiammeggia / là come un tempo / spesso fiammeggiava, ma non / del fuoco freddo / che quest’anno mi cinge». Segnaliamo, tra le varianti introdotte per l’edizione delle Poesie, la soppressione di «un tempo», non presente nell’originale, e la sostituzione con il passato prossimo dell’imperfetto «fiammeggiava», tempo non proprio equivalente nell’inglese. Nell’ultimo verso Campo inverte l’ordine lessicale per ripristinare quello di Williams, amante delle inversioni.

72 Nel Fiore questo secondo verso era più aderente all’originale, «Ma il male nel mio cuore / è più forte», un ritmo spezzato dall’enjambement che Campo decide di superare con l’ipermetro della nuova versione.

73 Poesie, pp. 126‑131.

74 Ivi, pp. 140‑157.

75 Ivi, pp. 60‑63.

76 Ivi, pp. 58‑59.

77 Poesie, pp. 40‑41. Identica la versione del Fiore, pp. 86‑87.

78 Poesie, pp. 126‑131.

79 Ivi, pp. 226‑227.

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Pour citer cet article

Référence électronique

Nicola Di Nino, « L’equilibrio tra «water» e «marble language». Le traduzioni da William Carlos Williams »Cahiers d’études italiennes [En ligne], 36 | 2023, mis en ligne le 28 février 2023, consulté le 13 janvier 2025. URL : http://0-journals-openedition-org.catalogue.libraries.london.ac.uk/cei/12836 ; DOI : https://0-doi-org.catalogue.libraries.london.ac.uk/10.4000/cei.12836

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Auteur

Nicola Di Nino

Universitat Autònoma de Barcelona
nicola.dinino@uab.cat

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