La mistica di san Giovanni della Croce nella poetica di Cristina Campo
Résumés
L’auteure de cet essai étudie l’influence de Juan de la Cruz sur la poétique de Cristina Campo et son possible lien avec la pensée de Simone Weil, surtout en ce qui concerne les notions d’attention et de vide. Le cadre dans lequel a lieu la rencontre entre ces deux auteurs est approfondi aussi grâce au lien avec la philosophie de María Zambrano.
Entrées d’index
Mots-clés :
mystique, attention, Juan de la Cruz, Simone Weil, María Zambrano, poésie, vide, sacré, renaissance, conte de féesKeywords:
mysticism, attention, Juan de la Cruz, Simone Weil, María Zambrano, poetry, emptiness, sacred, rebirth, fairy taleParole chiave:
mistica, attenzione, Giovanni della Croce, Simone Weil, María Zambrano, vuoto, sacro, rinascita, fiabaTexte intégral
- 1 Riferimento alla Postfazione di G. Ceronetti in C. Campo, Gli imperdonabili, Milano, Adelphi, 2004, (...)
1Cristina Campo, nom de plume di Vittoria Guerrini, definita «un fiore inclassificabile»1, intellettuale di vastissima cultura, fu autrice di pochissimi testi. Testimone di un rispetto quasi maniacale nei confronti della parola scritta, conoscitrice di molte lingue europee e studiosa di testi orientali, è divenuta nota anche per le sue traduzioni oltre che per i suoi saggi e poesie. Sacerdotessa della perfezione, nell’approcciarsi al testo, estremamente severa nella scelta della parola «pura», «essenziale», la sua prosa sconcerta per la bellezza rara e non immediatamente decifrabile, custode di antica sapienza ed estranea al proprio tempo. Per questo ha scritto poco: poiché il rispetto talvolta sconcertante nei confronti della parola scritta non le ha mai permesso di «sprecarla» aggiungendo «troppo» all’essenziale che doveva esprimere.
2Decisivo è il suo incontro, intellettuale e sentimentale, negli anni Sessanta, con Elémire Zolla, sapiente conoscitore di islamismo e misticismo, il quale la condurrà ad approfondire le tematiche che maggiormente le stanno a cuore. Tuttavia, nell’ambito che ci interessa affrontare, è un’altra figura quella che siamo obbligati a ricordare: la filosofa francese Simone Weil, dalla quale Cristina Campo apprenderà, prima di tutto, la pratica dell’attenzione, strettamente collegata alla sua fede mistico-filosofica.
- 2 Le traduzioni da parte di Cristina Campo delle opere di Simone Weil: S. Weil, La source grecque, Pa (...)
- 3 «Simone mi rende tangibile tutto ciò che non oso credere» (C. Campo, Lettere a Mita, Milano, Adelph (...)
- 4 C. Campo, Gli imperdonabili, cit., p. 145.
3Campo diverrà una delle prime lettrici di Weil in Italia, e sua traduttrice2: attraverso la lettura dei suoi testi, l’autrice approfondirà il senso attribuito alla superiorità della dimensione altra, quella invisibile agli occhi della ragione discorsiva3, svelabile solo tramite il simbolo e la liturgia poetica: «La pura poesia è geroglifica: decifrabile solo in chiave di destino»4.
4Ma non solo. Gli scritti di Weil, che Campo fa propri, riflettono argomenti essenziali nella poetica della nostra autrice, e tra questi risalta la via negationis del mistico, attraverso la quale egli raggiunge la Grazia:
- 5 Ivi, p. 83.
Il mistico che ci diede la ratifica tecnica di ogni singolo attimo di vita spirituale, in tratti che nulla hanno da invidiare al più perfetto repertorio scientifico, senza che mai l’ala della parola perda nulla della sua porpora, è san Giovanni della Croce5.
- 6 S. Weil, La connaissance surnaturelle, Paris, Gallimard, 1950; tr. it. di G. Gaeta, Quaderni IV, Mi (...)
5San Giovanni della Croce rappresenta un esempio concreto di ciò che la poetica di Campo e la filosofia di Weil ricercano e impiegano, non solo nella scrittura, ma anche, in parte, nella vita quotidiana. L’ideale di Campo è in definitiva un ideale religioso: la liturgia ripetuta incessantemente, nella dedizione allo studio, alla lettura, alla scrittura, dedicata al raggiungimento della perfezione, che è a un tempo perfezione della parola e perfezione spirituale. La poesia esprime il sacro, ciò che si situa in quell’oltre che lei nomina, prendendo a prestito la definizione di Weil, soprannaturale6.
- 7 S. Weil, Quaderni IV, cit., pp. 134‑135.
C’è una ragione soprannaturale. È la conoscenza, gnosi […] di cui Cristo è la chiave, la conoscenza della Verità […]. Ciò che è contraddittorio per la ragione naturale non lo è per quella soprannaturale, ma questa dispone solo del linguaggio dell’altra. Tuttavia la logica della ragione soprannaturale è più rigorosa di quella della ragione naturale. […] È questa la dottrina fondamentale del pitagorismo, del platonismo e del cristianesimo primitivo, la fonte dei dogmi della Trinità […]. Ma la ragione soprannaturale esiste solo nelle anime che bruciano dell’amore soprannaturale di Dio. […] San Giovanni della Croce sapeva che c’è una ragione soprannaturale, perché scriveva che solo mediante la Croce si penetra nei segreti della Saggezza di Dio7.
- 8 S. Weil, La persona e il sacro, in Morale e letteratura, tr. it. a cura di N. Maroger, Pisa, ETS, 1 (...)
6E proprio le tematiche del santo si riscoprono nei testi di Weil, la quale considera il sacro, identificato con l’amore e la verità, impersonale8. L’indispensabile predisposizione mistica, che condiziona e dirige il suo pensiero così come la sua scrittura, anch’essa impersonale, è conseguenza del bisogno derivante dalla sua profonda religiosità, che invita all’imitazione di Dio poiché solo imitandolo si perviene alla verità.
- 9 Sull’argomento si veda, tra gli altri testi di Weil, in particolare: S. Weil, Attesa di Dio, cit.
- 10 S. Weil, Quaderni, IV voll., Milano, Adelphi, 1982-1993.
7Attraverso la contemplazione del vero, l’esercizio dell’attenzione, la dedizione alla preghiera quale rito che porta alla perfezione dell’anima senonché della scrittura, si raggiunge una purezza che è cifra di verità. Ciò che avviene in questa pratica mistico-filosofica-poetica è anche una spoliazione di sé, ovvero un esercizio d’imitazione di Dio: un vuoto, una epoché radicale della propria personalità che annulla le imponenti griglie edificate dall’istituzione del soggetto e riduce ogni cosa alla propria essenzialità. Di fatto, secondo l’interpretazione della filosofa francese, la creazione dell’umano da parte del divino è avvenuta attraverso una volontaria abdicazione: Dio si è «ritirato», annullando la propria presenza creatrice, per permettere l’esistenza umana9. Anche le annotazioni dei suoi Quaderni10 testimoniano un costante elogio del vuoto, nella ricerca dell’avvicinamento a Dio nella mimesi della sua infinita pietà.
- 11 S. Weil, Quaderni IV, cit., p. 363.
8In una fede che unifica misticismo cristiano e platonismo, la forma d’amore che Weil ammette è quella votata all’assenza dell’oggetto. E il processo conoscitivo risulta dunque un processo contemplativo basato sulla pratica estrema dell’attenzione, poiché la filosofia «consiste nel concepire in modo chiaro i problemi insolubili nella loro insolubilità, quindi nel contemplarli senz’altro, fissamente, instancabilmente, per anni, senza nessuna speranza, nell’attesa»11. Se il soggetto rinuncia a priori al possesso del reale, in tale annullamento si riunifica con la purezza del dato essenziale, la realtà concepita esclusivamente come bellezza, quindi come testimonianza di Dio. Tutto ciò si riscontra nell’esperienza mistica di san Giovanni della Croce e nei suoi poemi, poiché solo attraverso la parola poetica la rivelazione può essere espressa. Come spiega Campo:
- 12 C. Campo, Sotto falso nome, Milano, Adelphi, 1998, p. 151.
Quella di Simone Weil è una grande didattica spirituale via negationis. Opera cioè, come lei stessa dice, della sventura, della virtù, di quasi tutto ciò che opera, fuorché Dio, negativamente. Costruendo una forma cava simile al vuoto mistico di cui parla Giovanni della Croce: nel quale la grazia dovrà cadere necessariamente, in forza della stessa legge che costringe l’aria a precipitarsi nel vuoto pneumatico. Le grandi immagini archetipiche di Simone Weil […] sono immagini negative appunto […]. Rifiuto di una ricerca di Dio che può frenare, come un riflusso, la vera ricerca, quella dell’uomo da parte di Dio. Rinuncia alla propria immaginaria posizione al centro del mondo, eliminazione, nell’arte come nel bene, di tutto ciò che fa schermo, velando il modello inesprimibile e che pur chiede di essere espresso. E così via. Siamo, come si vede, nella forma cava12.
9Dio è dunque assente, ma proprio l’assenza, impermeabile a qualunque seduzione di immaginazione compensatoria, consente di amarlo in modo puro.
- 13 S. Weil, Quaderni III, cit., pp. 188‑190.
In ogni volere, qualunque esso sia, al di là dell’oggetto particolare, volere a vuoto, volere il vuoto. Perché questo bene che non possiamo né rappresentarci né definire è per noi un vuoto. Ma questo vuoto è per noi più di ogni pieno.
Se si arriva a questo punto, non c’è da preoccuparsi, perché Dio colma il vuoto.
Non si tratta affatto di un processo intellettuale […]. L’intelligenza non ha nulla da trovare, deve far pulizia. […] Se noi vogliamo solo il bene assoluto […], orientati verso ciò che non possiamo assolutamente concepire, ne riceviamo una rivelazione. La rivelazione che questo nulla è la pienezza suprema, la fonte e il principio di ogni realtà. Si può allora veramente dire di avere fede in Dio. […] Rinunciare a esistere. […] Volere l’impossibile. Pensare l’assurdo13.
- 14 S. Weil, Quaderni II, cit., p. 150.
10Si tratta di un amore mistico che non chiede né vuole possedere, un amore impossibile, conoscenza soprannaturale che attraverso la rinuncia guadagna la rivelazione: «Nell’ambito dell’intelligenza, il soprannaturale è ciò che è oscuro e fonte di luce»14.
- 15 C. Campo, Fiaba e mistero, in Gli imperdonabili, cit., p. 152. E di nuovo, in Il flauto e il tappet (...)
11San Giovanni della Croce incarna tutto ciò alla perfezione, con una pratica che trova il suo più alto esempio nella sua produzione poetica, ove si esprime la «distruzione» del sé, compiuta nell’atto di trascendenza equivalente al rinascere nella realtà ultima identificata con l’unione col divino — totalità dell’universo. Un nulla «conquistato» dunque, e pertanto non dalla rassegnazione o dalla sconfitta, ma dalla volontà di «farsi vuoto», accogliendo il divino ed esprimendolo con il linguaggio erotico della poesia: «Le canzoni d’amore di san Giovanni della Croce. […] “los ojos deseados / que tengo en mis entrañas dibujados”. Ostinato e felice dimorare dei mistici nel linguaggio erotico. Mentre così pochi amanti osano quello soprannaturale»15.
- 16 María Zambrano ha dedicato a Campo, nella sua opera Dell’Aurora, il saggio La fiamma, alquanto sugg (...)
- 17 Il carteggio tra María Zambrano e Cristina Campo è datato tra il 1961 e il 1975. Le lettere di Camp (...)
- 18 Il fatto è testimoniato dalla stessa Zambrano, che scrive all’amico Augustín Andreu: «Durante media (...)
- 19 Scrive S. Weil in Quaderni IV, cit., p. 313: « Le mitologie, il folklore racchiudono un buon numero (...)
- 20 Il termine viscere [entrañas] è utilizzato da Zambrano per riferirsi alla «sorgente», della vita co (...)
12Tuttavia, un’altra filosofa, María Zambrano16 (spagnola ed esiliata, poiché repubblicana, dalla fine della Guerra Civile Spagnola), rappresenterà un ulteriore ponte tra la Campo e il mistico poeta. L’incontro tra le due avviene probabilmente a Roma sul finire degli anni Cinquanta attraverso l’amica comune Elena Croce17. E non appare un caso, ma un «destino», il fatto che san Giovanni della Croce sia una delle guide spirituali di Zambrano, la quale attinge dai suoi versi l’attitudine poetica capace di «ricevere» la rivelazione della verità. Inoltre, appare quanto mai sorprendente il fatto che Zambrano incontrò di persona Weil a Madrid, mentre la filosofa francese partecipava alla Guerra Civile Spagnola come supporto per i Repubblicani18. Anche se Zambrano non conosceva approfonditamente il pensiero dell’autrice francese prima che l’amica Campo la incitasse alla lettura, nelle tre donne risulta indiscutibile il comune interesse per certe tematiche: le Upanisad, i Veda, i testi gnostici, i Vangeli, la letteratura mistica in generale (in particolare di san Giovanni della Croce e dei mistici sufi)19. Dunque, insieme a Zambrano, appare così una triade di pensieri ‘poetici’, intendendo il poetico con lo specifico significato che Zambrano stessa gli attribuisce e che Campo segue: la capacità di giungere fino alle viscere20 dell’umano e da lì chiarire le dimensioni pre-logiche che ne decretano l’origine. La poesia, chiave di lettura fondamentale per pervenire alle dimensioni soprannaturali, rimane l’indiscussa protagonista degli scritti di queste autrici.
- 21 M. Zambrano, Filosofia e poesia, cit.
- 22 La negazione, la ricerca del nulla, che percorre tutta l’opera di san Giovanni della Croce è nomina (...)
13Già a partire dal 1939, con lo scritto Filosofía y poesía21, Zambrano teorizza (e metterà in pratica con l’originalissima scrittura poetica e simbolica degli ultimi suoi scritti) una tipologia di pensiero che, allontanandosi dalla violenza propria della filosofia razionalista, così come lei concepisce la maggior parte della filosofia occidentale, intende rintracciare un percorso a ritroso, verso le origini, assumendo quell’atteggiamento amoroso, pietoso e caritatevole che lei riconosce nella condizione del poeta. La mistica di san Giovanni rappresenterebbe, in questo senso, l’esempio più fedele di tale vocazione poetica, «annullamento» [des‑hacerse] di sé che ricorda la condizione dell’esiliato (e l’impersonale di Weil), e che conduce a ri‑nascere [re‑nacer] in quella realtà ultima e suprema che si situa «al di là dell’essere». La poesia del santo è un «farsi vuoto» che accoglie l’unione con il divino e viene espresso attraverso la parola poetica22.
- 23 E. Zolla, I mistici, Milano, Garzanti, 1963; con il titolo I mistici dell’Occidente, 7 voll., Milan (...)
14All’inizio degli anni Sessanta, Zolla pubblica un’opera monumentale: I mistici dell’Occidente23. Il testo può essere considerato la più importante collaborazione intellettuale tra Zolla e Campo, e non solo dal punto di vista professionale: in essa è riconoscibile l’amore nutrito nei confronti della dimensione spirituale, derivante da una comune devozione che influisce anche le loro scelte ed azioni quotidiane.
- 24 E. Zolla, I mistici dell’Occidente, vol. I., cit., p. 73.
Il mistico si pone oltre la conoscenza meramente discorsiva, ma non nel senso moderno di una diffamazione dell’intelletto a favore di una intuizione che coincida con il senso comune e lo stereotipo sentimentale […]. La sovra-razionalità mistica e il sacrificio dell’intelletto è invece un invito a non pietrificarsi nelle determinazioni del discorso come se queste esaurissero la realtà; è un porsi dalla parte del mistero senza il quale l’intelletto non avrebbe vita, e che è la fonte dell’intelletto.
Il misticismo è conoscenza completa rispetto all’intelletto discorsivo, che è organizzazione della conoscenza secondo un modello meramente ottico24.
- 25 E. Zolla, I mistici dell’Occidente, vol. II, cit., pp. 739‑790.
15Campo traduce le parti maggiormente significative degli scritti più importanti del santo mistico: Salita al monte Carmelo, Notte Oscura, Fiamma d’amor viva, Strofe scritte sopra un’estasi di alta contemplazione, Somma della perfezione, Cantico spirituale, Avvertimenti e massime spirituali. Detti di luce e d’amore25.
- 26 Ma ben presto Teresa comprese che l’eccessivo interesse di Juan per la contemplazione e la sua indi (...)
16Prima di analizzarne i dettagli ricordiamo brevemente la vita del santo poeta. Juan de Yepes nacque a Fontiveros, in Castiglia, nel 1542. A causa della povertà della famiglia dopo la morte del padre, da bambino venne affidato a un orfanotrofio, il Collegio della Dottrina, che, in cambio di cibo e vestiario, lo costrinse a elemosinare. Tuttavia, in questo luogo imparò a leggere e scrivere. Successivamente entrò in un convento di Carmelitani, per poi perfezionare gli studi di astronomia, musica, grammatica, filosofia ed etica a Salamanca, sede, all’epoca, dell’università più prestigiosa di Spagna. Ordinato sacerdote, Juan tornò a Medina. Nello stesso anno vi giunse Teresa d’Ávila, per fondare il secondo convento delle Carmelitane Scalze. I due si trovarono immediatamente d’accordo sulla rigidità delle regole monastiche, sulla pratica della povertà, del digiuno, la preghiera meditativa e la sofferenza accettata come fonte di redenzione dello spirito26.
- 27 Questo concreto «salto nel buio» dalla finestra, poiché il buio della notte non permetteva a san Gi (...)
17Nel frattempo, l’espansione degli Scalzi in Andalusia, da sempre in ostilità con i Calzati, portò alla rottura tra i due ordini e i primi vennero giudicati «ribelli». Teresa venne condannata alla reclusione in un convento e nel 1576 Juan fu arrestato da alcuni Calzari e condotto nel carcere conventuale di Toledo. Di fronte al tribunale ecclesiastico rifiutò di rinunciare alla riforma e come ribelle fu condannato al carcere. Per nove mesi visse in una minuscola cella, torturato costantemente, in isolamento e condizioni terribili. Juan nominò quel luogo «la balena», identificandosi con il biblico Giona. Le accuse verso di lui vennero giustificate dal fatto che l’uomo osasse considerarsi un santo, ma la verità era che nessuno intendeva accettare la riforma, ritenuta troppo rigida, degli Scalzi. Juan soffrì una crisi profonda, che si riflette nel suo testo più celebre: Notte Oscura. Quando avvertì di non poter più sopportare quella condizione tentò la fuga, calandosi da una finestra con una corda e riuscendo a raggiungere il convento delle Carmelitane27. Per allontanarlo dal pericolo di un nuovo arresto, il Capitolo degli Scalzi lo aiutò a raggiungere l’Andalusia, dove vi restò per dieci anni, costretto a girovagare da un convento all’altro. Si fermò a Granada tra il 1582 e il 1588, dove compose alcune poesie, la prima redazione del Cantico spirituale, Salita al monte Carmelo e Fiamma viva d’amore; e, dopo la morte di Teresa, si batté a favore dell’autonomia dei singoli conventi e difese la regola assiduamente. Ma il personaggio scomodo che rappresentava non fece che aumentare i suoi nemici e fu abbandonato anche dai suoi antichi seguaci. Quando nel 1591 fu dimesso dagli incarichi direttivi nell’ordine e con una grave infezione alla gamba, si recò a Úbeda, dove morì il 14 dicembre 1591 all’età di 49 anni. Nel 1675 sarà proclamato beato da Clemente X, santificato da Benedetto XIII nel 1726 ed eletto patrono dei poeti spagnoli nel 1952.
18Dopo una breve introduzione sulla vita del poeta mistico, Cristina Campo, ne I mistici dell’Occidente, comincia con la traduzione di alcune parti di Salita al monte Carmelo.
19La prima è Modo per arrivare al tutto. Riportiamo qui la traduzione del poema che precede il trattato vero e proprio, ovvero una sorta di spiegazione dottrinale della metafora poetica:
Modo per arrivare al tutto
[XIII, 11] Per arrivare a quello che non sai
devi andare per dove non sai.
Per arrivare a quello che ora non ti piace
devi andare per dove non ti piace.
Per arrivare a quel che non possiedi
devi andare per dove non possiedi.
Per arrivare a quello che non sai
devi andare per dove non sai.
Modo per arrivare al tutto
Per arrivare a sapere tutto
non voler sapere nulla in nulla.
Per arrivare a godere tutto
non voler godere nulla in nulla.
Per arrivare a possedere tutto
non voler possedere nulla in nulla.
Per arrivare a essere tutto
non voler essere nulla in nulla
- 28 San Giovanni della Croce, in I mistici dell’Occidente, cit., pp. 739‑740.
Modo per non ostacolare il tutto
[12] Quando ripari in qualcosa
tu cessi di tendere al tutto,
poiché per giungere del tutto al tutto
devi lasciare del tutto il tutto.
E quando tu giunga tutto ad avere
tu devi averlo senza nulla volere.
Poiché se in tutto vuoi aver qualcosa
Non hai puro in Dio il tuo tesoro28.
- 29 «[…] ammirerà la difficile arte della Preghiera del Nome: ripetere per ore il nome di Cristo finché (...)
20Il monte Carmelo rappresenta il tragitto ascetico che l’anima deve compiere prima di raggiungere, in piena purezza, Dio. Ciò che appare interessante nel contesto che stiamo analizzando è il fatto che san Giovanni creda che l’unico modo per ottenere l’abbraccio divino sia il sacrificio della completa nudità, quel dis‑farsi che le filosofe Weil e Zambrano avevano ben compreso nel loro studio su un nuovo approccio alla filosofia, che fosse un «accogliere», un farsi vuoto, un nulla, per permettere, attraverso la purezza della rinascita, la rivelazione del mistero, ottenibile anche grazie alla ripetizione incessante della preghiera29.
- 30 C. Campo, Attenzione e poesia, in Gli imperdonabili, cit., pp. 166‑167.
Se dunque l’attenzione è attesa, accettazione fervente, impavida del reale, l’immaginazione è impazienza, fuga nell’arbitrario: eterno labirinto senza filo di Arianna. […] la vera attenzione non conduce, come potrebbe sembrare, all’analisi, ma alla sintesi che la risolve, al simbolo e alla figura — in una parola, al destino. […]
L’attenzione è il solo cammino verso l’inesprimibile, la sola strada al mistero. […]
Poesia è anch’essa attenzione, cioè lettura su molteplici piani della realtà intorno a noi, che è verità in figure. E il poeta, che scioglie e ricompone quelle figure, è anch’egli un mediatore: tra l’uomo e il dio, tra l’uomo e l’altro uomo, tra l’uomo e le regole segrete della natura30.
21In altri brani di Salita al monte Carmelo, che la Campo traduce nell’opera I mistici dell’Occidente, si ritrovano continui elogi all’attenzione e al vuoto:
- 31 San Giovanni della Croce, in I mistici dell’Occidente, cit., p. 744.
Oblio di tutto il creato,
memoria del Creatore,
attenzione interiore
e starsene amando l’amato31.
E ancora, nel trattato vero e proprio che segue i poemi:
[II, 6, 2] Le tre virtù teologali producono tutte, come abbiamo detto, il vuoto delle potenze; la fede nell’intendimento, vuoto e oscurità nell’intendere; la speranza, nella memoria, il vuoto di ogni possesso, la carità, vuoto nella volontà e nudità di ogni affetto e godimento di tutto che non è Dio…
- 32 Ivi, p. 750.
[3] Della speranza non v’è dubbio che anch’essa pone la memoria in vuoto e tenebre così di ciò che è come di ciò che è oltre. […] Anche questa virtù dunque fa il vuoto, perché è di ciò che non si ha e non di ciò che si ha32.
22Il processo conoscitivo è dunque un processo contemplativo bastato sulla pratica estrema dell’attenzione e del «farsi vuoto». Il soggetto rinuncia a priori al possesso del reale e nell’annullamento del sé si riunifica con la purezza del dato essenziale, la realtà concepita esclusivamente come bellezza, quindi come testimonianza di Dio.
23Ma come riesce, il fedele intenzionato a raggiungere la Grazia, ad avere il coraggio di osare questo «salto nel buio» e una tale privazione? Secondo Campo, e prima di lei Weil, proprio attraverso la bellezza.
- 33 Weil ritiene la bellezza una trappola di cui Dio si serve perché le anime possano ritrovarlo: «La b (...)
- 34 Ibid.
24La bellezza, cercata e difesa, è anch’essa esperienza di trascendenza, simbolo che conduce alla realtà soprannaturale. Campo scopre in S. Weil un significato amplificato conferito alla bellezza, pur avendo già compreso, grazie al riconoscimento della perfezione poetica, il suo valore spirituale33: essa non è un «attributo» della materia, bensì «un rapporto tra il mondo e la nostra sensibilità, quella sensibilità che dipende dalla struttura del nostro corpo e della nostra anima»34. Non è dunque cosa facile saper riconoscere la bellezza, anch’essa prevede una vigile pratica dell’attenzione, che dunque ci riporta all’abbandono a Dio, alla passività che concede l’ammissione di quella contraddizione che sorregge il mondo ma dietro la quale la presenza di Dio si manifesta.
25Tornando alle traduzioni della Campo riportate ne I mistici dell’Occidente, segue Canzoni dell’anima, il primo poema dell’opera La notte oscura di san Giovanni della Croce. In esso, si scopre, rispetto ad altre ben note traduzioni, la grandiosità poetica che l’autrice riesce a trasmettere nella propria personale traduzione, appassionata eppure quanto mai essenziale, elegante e sublime allo stesso tempo. La Campo, infatti, non aggiunge nulla al testo originale, ma ripropone fedelmente le parole del poeta, però aggiustandone, talvolta, nella traduzione, l’ordine e il ritmo, in modo da ottenerne la medesima simmetria e melodia. Piuttosto, talvolta preferisce eliminare qualche avverbio o virgola, fedele alla sintesi che per lei rappresenta la forma più pura della scrittura.
- 35 Leggiamo l’originale di san Giovanni della Croce:
En una noche oscura
Con ansias en amores inflamada,(...)- 36 L’originale è:
A oscuras, y segura
Por la secreta escala disfrazada,
¡Oh dichosa ventura!,
A oscuras, y (...)- 37 Rispetto all’originale, Campo elimina gli aggettivi possessivi, in italiano superflui; e a nostro p (...)
- 38 Quedéme y olvidéme,
El rostro recliné sobre el Amado,
Cesó todo, y dejéme,
Dejando mi cuidado,
Entre la (...)Canzoni dell’anima che gioisce per essere giunta all’alto grado di perfezione che è l’unione con Dio, per il cammino delle negazioni spirituali.
[1] In una notte oscura,
infiammata d’ansietà d’amore,
o beata ventura!
Uscii, senz’essere notata,
essendo la mia casa addormentata35.
[2] All’oscuro e sicura
per la segreta scala mascherata,
all’oscuro e celata,
o beata ventura!
Essendo la mia casa addormentata36.
[3] Nella notte beata
in segreto — nessuno mi vedeva
né io guardavo cosa —
senz’altra guida e luce
fuori di quella che nel cuore ardeva.
[4] E quella mi guidava,
più certa della luce meridiana,
là dove mi aspettava
chi bene io conoscevo
in luogo ove nessuno si mostrava.
[5] O notte che guidasti,
o notte più preziosa dell’aurora!
Notte che accompagnasti
l’Amato con l’Amata,
l’Amata nell’Amato trasformata!
[6] Nel mio petto fiorente
che a lui solo intero si serbava,
egli restò dormente
ed io lo accarezzavo
e il ventaglio dei cedri ventilava.
[7] L’aria dell’alta torre
mentre i suoi capelli discioglievo
con la mano serena
nel collo mi feriva
e ognuno dei miei sensi sospendeva37.
[8] Dimentico, acquetato,
il volto reclinai sopra l’Amore,
tutto cessò e restai,
lasciando il mio timore,
in mezzo ai gigli obliato38.
- 39 Scrive Weil a proposito: «La nostra anima deve essere unicamente un luogo di accoglienza e di nutri (...)
26Nel poema, san Giovanni della Croce racconta metaforicamente come l’anima, uscendo dal mondo e da se stessa, negando tutte le cose, attraversa quella notte oscura per raggiungere l’Amato, accogliere Dio39.
- 40 Scrive a riguardo Agamben: «La “notte oscura” di san Juan non è però soltanto una metafora, ma anch (...)
27Ai versi segue poi la spiegazione del santo, che nel trattato La notte oscura ha inteso far comprendere ai fedeli che l’Anima è come un innamorato, o un bambino, che cerca le cure di una madre, di un padre, di un divino che accudisce colui che si è spogliato di tutto e che lo cerca purificandosi, disponendosi al suo Amore. E se la notte può essere inizialmente spaventosa, dovendo lo spirito superare una «prova», essa diviene poi il rifugio, trovando la forza nell’abbraccio consolatorio del divino Amore la perfezione dell’Universo40.
28Si tratta di una poesia erotica, come spesso è stata definita, che marca quel tratto carnale esprimibile attraverso la parola, che non contraddice la spiritualità del poema, ma piuttosto la innalza a un trascendere mistico che non intende essere solamente «ideale». San Giovanni soffre con il proprio corpo, oltre che con il proprio spirito, la mancanza dell’Amato, di Dio, ed è esattamente questo ciò che le sue parole intendono rappresentare.
- 41 C. Campo, Della fiaba, in Gli imperdonabili, cit., p. 38.
29È inoltre interessante notare come la notte oscura descritta dalla poesia del santo contenga per la Campo il significato più prezioso e rivelatore della fiaba, considerata custode di «segreti indicibili»: «Mai, certo, come nella fiaba le due direzioni in cui la vita si cerca — verso le sue più buie radici e verso il cielo — apparvero squisitamente, scandalosamente complementari»41.
- 42 Scrive S. Weil in Quaderni IV, cit., p. 134: «San Giovanni della Croce sapeva che c’è una ragione s (...)
30«Scandalosa», quindi, è la fiaba, poiché in essa di narra dell’avventura esistenziale per giungere alla realtà soprannaturale, recuperando, alla fine, il senso della dimensione reale e concreta42.
- 43 Ivi, p. 41.
A chi va nelle fiabe la sorte meravigliosa? A colui che senza speranza si affida all’insperabile. Sperare e affidarsi sono cose diverse quant’è diversa l’attesa della fortuna mondana dalla seconda virtù teologale. […] Vince nella fiaba il folle che ragiona a rovescio, capovolge le maschere, discerne nella trama il filo segreto, nella melodia l’inspiegabile gioco di echi; che si muove con estatica precisione nel labirinto di formule, numeri, antifone, rituali, comune ai vangeli, alla fiaba, alla poesia. Crede costui, come il santo, al cammino sulle acque, alle mura traversate da uno spirito ardente. Crede, come il poeta, alla parola: crea dunque con essa, e ne trae concreti prodigi. […] La lunga fedeltà del folle, da ascetica a mistica, diventa alla fine apostolica43.
31Il santo, il mistico, folle, il poeta, sono tutti incarnati nell’eroe della fiaba: egli si «affida» senza speranza, crede all’incredibile, ascolta la melodia segreta, crea grazie alla parola, alla poesia, raggiungendo l’impensabile. Ed ecco che in colui che la Campo descrive quale portatore di verità soprannaturali, appare la reale ed esistita figura di san Giovanni della Croce. E come il tragitto percorso dall’eroe fiabesco, popolato da pericoli, solitudine, magia, paure, la notte oscura del mistico, trascorsa in estrema pazienza, silenzio e fede, trova, infine, il suo Amato.
- 44 Ivi, p. 156.
Il dio toglie il senno a chi vuol perdere, dicono. Ma con quale accortezza lo toglie a chi vuol salvare. Come potrebbe altrimenti indurre un uomo attraverso la notte oscura, le foreste d’orsi e di serpenti, i fantasmi notturni e il volto delle proprie colpe — tutta l’interminabile processione di orrori necessaria all’incontro?44
32Si notino i termini con cui la notte oscura è descritta nel poema del santo, la scelta realistica delle immagini — «alta torre», «casa addormentata», «segreta scala» —, l’azione intrapresa dal poeta per raggiungere l’Amato, e come egli si china per baciarlo (risvegliarlo?): è certamente plausibile considerare il nesso con le antiche fiabe, in cui il principe partecipa e patisce le prove più dure, spinto ciecamente dal proprio amore, per raggiungere finalmente l’addormentata e unirsi a lei.
- 45 Esattamente ciò che fecero anche Zambrano, attraverso la sua ragione poetica, e Weil nei suoi Quade (...)
- 46 C. Campo, Della fiaba, in Gli imperdonabili, cit., p. 40. Scrive S. Weil sui simboli: «Metodo per c (...)
33Tuttavia, ciò su cui si vuole qui riflettere è pure l’uso della parola poetica, unica via per dire una verità indicibile. Campo, nei suoi pochi scritti, impiegò sempre il simbolo, considerandolo ponte tra la realtà e il soprannaturale45. La parola stessa deve affidarsi al simbolo per scoprire il «linguaggio puro» della rivelazione. Ma per arrivare a questo, è necessario il ripetersi ossessivo del rito, la liturgia che predispone all’attenzione, quindi alla contemplazione delle verità essenziali che tramite il simbolo possono così essere espresse: «[…] quasi che al contatto con i simboli, insieme così totali e particolari, così eccelsi e toccabili, la parola non possa distillare che il suo sapore più puro»46.
34È nel Cantico spirituale di san Giovanni della Croce che Campo trova la metafora simbolica con cui poter giungere a spiegare non solo il valore del percorso mistico ma anche il valore sacrale della scrittura poetica. Nella fiaba, si apre il luogo del soprannaturale; come nelle parabole, avviene quella connessione tra i due mondi altrimenti inesprimibile, se non con la poesia.
- 47 C. Campo, Parco dei cervi, in Gli imperdonabili, cit., p. 159. Scrive S. Weil in Quaderni IV, cit., (...)
La fiaba, come i vangeli, è un ago d’oro, sospeso, imponderabile, sempre diversamente inclinato come l’albero maestro di una nave su un mare mosso. […] Enigma ogni giorno nuovo, proposto e mai risolto, se non nell’ora decisiva, nel gesto puro — non dettato da nulla ma alimentato, giorno per giorno, di pazienza e silenzio47.
35La fiaba è composta da simboli e metafore che illuminano parti del destino che resta per lo più nascosto durante la vita di tutti, a meno che non si pratichi l’attenzione, come Weil, ma anche il santo mistico, le hanno insegnato:
- 48 C. Campo, Attenzione e poesia, in Gli imperdonabili, cit., p. 167.
L’attenzione è il solo cammino verso l’inesprimibile; la sola strada al mistero. I simboli delle sacre scritture, dei miti, delle fiabe, che per millenni hanno nutrito e consacrato la vita, si vestono delle forme più concrete di questa terra: dal Cespuglio Ardente al Grillo Parlante, dal Pomo della Conoscenza alle Zucche di Cenerentola48.
- 49 Si rivela quanto mai esplicita C. Campo quando spiega, riguardo a san Giovanni della Croce: «Se non (...)
36Il Cantico spirituale di san Giovanni della Croce è, di fatto, seppur scritto con la forma del componimento poetico e seguito da lunghi commenti del poeta alle proprie strofe, una fiaba49, che racconta le vicissitudini e le dure prove che l’innamorato (Anima) deve superare per ritrovare l’Amato (Dio).
- 50 Ivi, pp. 22‑33. Scrive la Campo in Il flauto e il tappeto, in Gli imperdonabili, cit., p. 129: «Fig (...)
Il Cantico spirituale di san Giovanni della Croce è una classica storia d’amore e di viaggio alla ricerca del Principe incomparabile, vi si parla di monti e di riviere, di tane di leoni e di isole strane, di superfici argentee nelle quali affiorano occhi, di letti nuziali difesi da scudi d’oro. Si fa voto partendo di non cogliere i fiori, di non temere le fiere, di valicare fortezze e frontiere. […] L’impossibile è aperto all’eroe della fiaba. Ma all’impossibile come arrivare se non attraverso, appunto, l’impossibile? […] Il cammino della fiaba s’inizia senza speranza terrena. L’impossibile è subito figurato dalla montagna, alla semplice risoluzione di affrontarla occorre un sentimento che faccia punto archimedico fuori dal mondo. […] Da questo momento l’eroe della fiaba un folle per il mondo.
Dopo una simile professione di fede — vale a dire di incredulità nella onnipotenza del visibile — le diverse ordalie non saranno che modi di perfezione, confermazioni di quella fede insensata. […] A spiccarsi del pari il cuore dalla carne o, se vogliamo, l’anima dal cuore, è chiamato l’eroe della fiaba, poiché con un cuore legato non si entra nell’impossibile50.
37E ancora, scrive la Campo:
- 51 C. Campo, Della fiaba, in Gli imperdonabili, cit., p. 130.
La totalità della virtù negativa che si richiede all’eroe di fiaba non è diversa da quella del monaco. […] Il viaggiare del cavaliere tra le illusioni e i duelli è, lo sappiamo, un itinerario della mente in Dio. Ma che cosa adombrano le scene all’interno dei castelli, le notti di veglia d’armi, se non i momenti liturgici della vita: quegli spazi sacri dentro e fuori del tempo dove gli uomini si raccolgono a ricomporre, in una mimesi stilizzata, il loro nesso con Dio51.
38Come abbiamo precedentemente specificato, secondo il pensiero filosofico-mistico di Weil, seguito in questo senso da Campo, la bellezza è la «trappola» che Dio impiega per attirare a sé il fedele che intende raggiungerlo. Ed è proprio la bellezza a essere, insieme all’eroe, una protagonista della fiaba, solitamente incarnata nella principessa da ritrovare.
- 52 C. Campo, Il flauto e il tappeto, ivi, p. 30. C. Campo riflette qui sul binomio bellezza-paura, cit (...)
La bellezza, innanzi tutto, nella sua immisurabile portata. Si agisce mai in una fiaba per qualcosa che non sia la bellezza, del tutto astratta, il più possibile delle volte neppure configurata e che palesemente sta per altro, le Tre Melarance che cantano e ballano, la Figlia del Re dal Tetto d’Oro? Bellezza e paura, poli tragici della fiaba, sono i suoi termini, insieme, di contraddizione e conciliazione52.
- 53 In ogni Quaderno di S. Weil si trovano innumerevoli citazioni di fiabe. In particolare, nell’intero (...)
39È necessario ricordare che anche Weil era un’accanita lettrice e studiosa di fiabe e folklore. Le citazioni sono molteplici, specialmente nei suoi Quaderni, dove annotava tutte le fiabe lette, i riferimenti bibliografici e il senso ultimo che vi leggeva in ognuna53. Come Campo, ella era estremamente attratta dalle favole antiche e orientali, e riconosceva in esse l’esempio del tragitto mistico, attraverso la prova impossibile da superare, per eccellenza:
- 54 S. Weil, Attesa di Dio, cit. pp. 227‑228.
La volontà si distrugge mediante l’adempimento di compiti impossibili. Prove sovraumane delle fiabe. Importa poco quale compito io mi assuma se è un po’ al di sopra della mia forza di volontà. […] L’importante è che se si persevera senza orgoglio e malgrado le cadute, la volontà a poco a poco si usura e finisce con lo sparire. Quando è sparita, si è al di là della volontà, nell’obbedienza. […] Solo Dio può fare attenzione a uno sventurato54.
- 55 Una delle letture costanti di Zambrano fu senz’altro quella di Asín Palacios, il sacerdote cattolic (...)
40Insieme alle fiabe, un altro riferimento continuo che si trova spessissimo negli scritti di Weil come di Campo, ma anche in Zambrano55, è quello alla filosofia sufica e alla mistica islamica. Com’è noto il sufismo, corrente mistica di origine coranica, insegna all’iniziato il raggiungimento e la comprensione del mistero divino attraverso il percorso dell’anima secondo «tappe» che comportano una trasformazione interiore tale da condurlo «oltre» i limiti terreni. In ciò, riconosciamo la pratica di san Giovanni della Croce. Ma sono in particolar modo i simboli impiegati nel sufismo a interessarci: essi sono riconoscibili nelle poesie di Giovanni così come negli scritti di Campo. Tra tutti, la melodia segreta, nella mistica spesso rappresentata dal canto degli uccelli, elemento che, come molti altri, torna ciclicamente anche nelle fiabe. Leggiamo dapprima la traduzione di una parte di Notte oscura di san Giovanni della Croce, a opera non della Campo ma di Ottonello:
La melodia segreta
[22] In quel riposo e silenzio della notte suddetta e in quella notizia della luce divina, l’anima riesce a vedere un’ammirabile convenienza e disposizione della sapienza di Dio nella varietà di tutte le creature ed opere sue; perché esse, non solo nel loro insieme, ma anche in particolare hanno una tale corrispondenza con Dio, che ciascuna in sua favella mostra ciò che in essa è Dio; di modo che l’anima sembra sentire un’armonia di musica sublime che sorpassa tutte le danze e le melodie del mondo. Chiama segreta questa melodia perché è un’intelligenza pacifica e quieta senza alcun rumore di voci; in essa, quindi, gode la soavità della musica e la quiete del silenzio. Perciò dice che il suo Diletto è quest’armonia di musica spirituale; e non solo questo, ma che Egli è anche:
- 56 San Giovanni della Croce, Notte oscura, in I mistici dell’Occidente, cit., pp. 776‑777.
Solitudine sonora
[23] Il che è quasi lo stesso che l’armonia segreta; perché, quantunque quella musica sia segreta rispetto ai sensi e alle potenze naturali, è una solitudine molto sonora per le potenze spirituali; le quali, essendo sole e vuote di tutte le forme e apprensioni naturali, possono ben ricevere nello spirito, in modo molto sonoro, il suono spirituale dell’eccellenza di Dio in se stesso e nelle sue creature […]56.
41Non a caso, Cristina Campo scrive, ne Il flauto e il tappeto, sulla «musica segreta» che richiede il massimo livello di attenzione poiché quasi impercettibile, il farsi vuoto per l’ascolto, poiché si tratta della verità divina che si manifesta:
- 57 C. Campo, Il flauto e il tappetto, in Gli imperdonabili, cit., p. 136.
Certo la voce del flauto è remota. È quasi impercettibile. Terribilmente tramata dalle mille voci del tempo, alle musiche discordemente streganti del concerto mondano. Come un suono percepito in sogno, come la voce dell’usignoletto minuscolo, il cui dardo di diamante farà tacere tutti i suoni del bosco, è il suo delicato lamento.
Chi trasale a quell’esile trafittura conosce la contemplazione dell’udito. Ciò richiede una durezza affilata nell’ascesi dell’attenzione, perché quel suono è di continuo travolto via, lacerato e disperso dal sibilo del percepibile e niente è più facile che crederlo una morgana all’orecchio. Altre voci, altri suoni simulano continuamente quel fuoco che si è morti se non si ode, e senza dubbio i concerti spuri furono di rado più persuasivi di oggi57.
42E leggiamo in Quaderni III, quanto scrive Weil:
- 58 S. Weil, Quaderni III, cit., p. 199. La filosofa appunta in Quaderni III, cit., p. 31: «Cfr. San Gi (...)
La libertà soprannaturale deve esistere, ma questa esistenza è un infinitamente piccolo. Ogni realtà soprannaturale è quaggiù un infinitamente piccolo che si accresce in modo esponenziale.
In musica, il silenzio tra le note rappresenta questo infinitamente piccolo.
La musica più bella è quella che accorda il massimo di intensità a un istante di silenzio, che costringe chi ascolta ad ascoltare il silenzio. Dapprima, mediante il concatenamento dei suoni, lo si porta al silenzio interiore; poi vi si aggiunge il silenzio esteriore. […] Dopo il silenzio, il passaggio per il trascendente58.
43Come si è sostenuto precedentemente, questa connessione di pensieri, di Campo, Weil, Zambrano, associati alla mistica-poetica di san Giovanni della Croce, confluisce in un «destino»: tragitti che si incontrano e si fondono per dirigersi verso la medesima direzione, costantemente all’ombra dell’insegnamento, il più antico tra tutti, del santo poeta. La parola poetica, accompagnata dalla pratica dell’attenzione, del vuoto, della predisposizione all’ascolto e all’accoglimento del divino, lega inevitabilmente gli autori presentati, che attingono dal poeta i pilastri su cui erigere la propria visione poetica ed esistenziale.
- 59 Ivi, pp. 117‑119.
In realtà ciò che fa del destino una cosa sacra è lo stesso elemento che distingue il sacro, lo stesso che distingue la poesia: la sua reclusione, segregazione, l’estatico vuoto in cui si compie. […] Un vuoto ricolmato di silenzio, nel quale il destino precipiterà per legge fisica come l’energia nel vuoto pneumatico, è ciò che ci descrive san Giovanni della Croce — e che altro sussurra la fiaba, della quale egli usa così regalmente le figure? Il principe perduto del Cantico spirituale lo si ritrova facendo di sé pellegrino e mendico, l’uomo di cuore vuoto, il morto per terribile amore: ciò che in Oriente si chiama un derviscio o, per l’appunto, un fachiro (e qui, dove nozze così misteriose si compiono, è ragionevole che il nome dell’ammaliatore non sia diverso dal nome dell’ammaliato)59.
44Dunque, la prosa e il suo significato spesso complicatamente svelabile (come deve essere il mistero che si rivela attraverso un lungo e penoso tragitto senza scorciatoie), in questi saggi e traduzioni di Cristina Campo, dimostrano non solo la perfetta conoscenza e comprensione dell’opera di san Giovanni della Croce, ma intendono riproporre la sua sapienza, il suo insegnamento, su come vivere la verità, cercando senza pretendere, grazie al sacrificio del vuoto e alla pazienza dell’ascolto. Evidentemente, la lettura di Simone Weil ha influito sull’enorme interesse della Campo nei riguardi del mistico poeta, ma è forse più probabile che proprio dalle prose di san Giovanni la scrittrice sia partita, per esprimere, con una prosa poetica altrettanto suggestiva, le verità nascoste della realtà altra, quella invisibile agli occhi e all’intelletto, e per far comprendere al lettore il mistero che si cela dietro ogni cosa.
Notes
1 Riferimento alla Postfazione di G. Ceronetti in C. Campo, Gli imperdonabili, Milano, Adelphi, 2004, p. 277.
2 Le traduzioni da parte di Cristina Campo delle opere di Simone Weil: S. Weil, La source grecque, Paris, Gallimard, 1953 (tr. it. di C. Campo e M. Pieracci Harwell, La Grecia e le intuizioni precristiane, Torino, Borla, 1967); S. Weil, Poèmes, suivis de Venise sauvée. Lettre de Paul Valéry, Paris, Gallimard, 1968 (tr. it. di C. Campo, Venezia salva, Brescia, Morcelliana, 1963); brani tratti dai Cahiers (Paris, Gallimard), in «Dell’Arte», «Il Corriere dell’Adda», 12 dicembre 1953, a firma Vittoria Guerrini; S. Weil, Lottiamo noi per la giustizia?, «Tempo presente», no 8, 1956, pp. 605‑610 (traduzione anonima); S. Weil, Canto di Violetta (da Venezia salva), «Letteratura», a. VII, no 39‑40, 1959, p. 9; S. Weil, Monologo di Jaffier sul campanile di San Marco (da Venezia salva), «Letteratura», cit., pp. 9‑10; S. Weil, Pensieri e lettere (da Cahiers, Connaissance surnaturelle, Attente de Dieu, La Personne et le sacré, lettere a vari destinatari), «Letteratura», cit., pp. 11‑33. Campo conobbe l’opera di S. Weil grazie a Mario Luzi, che possiamo considerare una delle figure decisive per la sua formazione. Cfr. C. De Stefano, Belinda e il mostro. Vita segreta di Cristina Campo, Milano, Adelphi, 2002.
3 «Simone mi rende tangibile tutto ciò che non oso credere» (C. Campo, Lettere a Mita, Milano, Adelphi, 1999, p. 49). È necessario ricordare che Campo non seguì mai Simone Weil fino in fondo: le molte differenze tra loro (tra cui la scelta di Weil di non poter «accettare» la Chiesa cattolica, considerata nel suo status sociale) rendono impossibile un pieno riconoscimento della prima nei confronti della seconda. Tuttavia, Campo ha esplicitato numerosissime volte la propria ammirazione nei confronti della pensatrice francese (testimoni anche le sue lettere) e alcuni concetti welliani saranno da lei completamente assorbiti e riproposti all’interno della sua prosa poetica; primo tra tutti, naturalmente, quello di attenzione. Cfr. C. Campo, Lettere a Mita, Milano, Adelphi, 1999; Se tu fossi qui. Lettere a María Zambrano, Milano, Archinto, 2009. Sulle motivazioni di S. Weil nei riguardi della Chiesa, si veda S. Weil, Attesa di Dio, Milano, Adelphi, 2008.
4 C. Campo, Gli imperdonabili, cit., p. 145.
5 Ivi, p. 83.
6 S. Weil, La connaissance surnaturelle, Paris, Gallimard, 1950; tr. it. di G. Gaeta, Quaderni IV, Milano, Adelphi, 1993.
7 S. Weil, Quaderni IV, cit., pp. 134‑135.
8 S. Weil, La persona e il sacro, in Morale e letteratura, tr. it. a cura di N. Maroger, Pisa, ETS, 1990. Cfr. S. Weil, Attesa di Dio, tr. it. di M. C. Sala, Milano, Adelphi, 2008.
9 Sull’argomento si veda, tra gli altri testi di Weil, in particolare: S. Weil, Attesa di Dio, cit.
10 S. Weil, Quaderni, IV voll., Milano, Adelphi, 1982-1993.
11 S. Weil, Quaderni IV, cit., p. 363.
12 C. Campo, Sotto falso nome, Milano, Adelphi, 1998, p. 151.
13 S. Weil, Quaderni III, cit., pp. 188‑190.
14 S. Weil, Quaderni II, cit., p. 150.
15 C. Campo, Fiaba e mistero, in Gli imperdonabili, cit., p. 152. E di nuovo, in Il flauto e il tappeto si legge: «Il Cantico spirituale di san Giovanni della Croce è una classica storia d’amore e di viaggio alla ricerca del Principe incomparabile» (ivi, p. 22); cfr. ivi, p. 119.
16 María Zambrano ha dedicato a Campo, nella sua opera Dell’Aurora, il saggio La fiamma, alquanto suggestivo e ricco di riferimenti mistici. Cfr. M. Zambrano, Dell’Aurora, Genova, Marietti, 2000. È bene rammentare che la fiamma è uno dei simboli ricorrenti in san Giovanni della Croce, attraverso i quali egli costruisce la sua teologia mistica. Il fuoco bruciante, che consuma senza divorare, è impiegato quale immagine dell’amore ardente di Dio, e che fa rifuggire nel buio colui che non confida in esso. Tuttavia, la notte diviene luce (fiamma anch’essa) se accettata e mai respinta. Cfr. Antonio Maria Sicari, Il «Divino Cantico» di san Giovanni della Croce, Milano, Jaca Book, 2011.
17 Il carteggio tra María Zambrano e Cristina Campo è datato tra il 1961 e il 1975. Le lettere di Campo sono state pubblicate nel 2003 sulla rivista Humanitas, a cura di Maria Pertile (M. Pertile, “Cara il viaggio è cominciato”. Lettere di Cristina Campo a María Zambrano, «Humanitas», 3, 2003/5‑6, pp. 434‑474). Successivamente, le lettere sono riapparse in un’ulteriore edizione nuovamente curata da M. Pertile: C. Campo, Se tu fossi qui, Milano, Archinto, 2009. Pertile scrive che l’incontro tra Zambrano e Campo è probabilmente avvenuto sul finire degli anni Cinquanta tramite l’amica comune Elena Croce; non si esclude però che le due donne possano essersi conosciute prima, forse a Firenze, quando Zambrano si recò al Congresso dell’UNESCO nel 1950.
18 Il fatto è testimoniato dalla stessa Zambrano, che scrive all’amico Augustín Andreu: «Durante media hora estuvimos sentadas en un diván en Madrid. Venía ella del Frente de Aragón. Sí, había de ser ella. María Teresa nos presentó diciendo: la discípula de Alain, discípula de Ortega. Tenía el pelo muy negro y crespo, como de alambre, morena de serlo y estar quemada desde adentro. Éramos tímidas. No nos dijimos apenas nada» (M. Zambrano, Cartas de la Piéce, Valencia, Pre-Textos, 2002, p. 128).
19 Scrive S. Weil in Quaderni IV, cit., p. 313: « Le mitologie, il folklore racchiudono un buon numero di parabole simili a quelle del Vangelo, si tratta solo di individuarle».
20 Il termine viscere [entrañas] è utilizzato da Zambrano per riferirsi alla «sorgente», della vita come del sentire; esse rappresentano il legame con ciò che è originario in quanto «fondo ultimo» della realtà. Il significato attribuito al termine entrañas trova una dipendenza dalla terminologia propria di san Giovanni della Croce. Si rimanda, in particolare, alla strofa XII, in Cantico sprituale, Milano, Rizzoli, 1998, p. 66: «los ojos deseados / que tengo en mis entrañas dibuxados!»; e in Romances VIII, in Poesie, Torino, Einaudi, 1974, p. 84: «Que de las entrañas de ella / En su carne recibía: / Por lo cual Hijo de Dios / Y del hombre se decía».
21 M. Zambrano, Filosofia e poesia, cit.
22 La negazione, la ricerca del nulla, che percorre tutta l’opera di san Giovanni della Croce è nominata da Zambrano «autofagia dell’anima»: vuoto di un «Io» che si consola nella pienezza divina cantata dalla poesia. Alla figura di san Giovanni, Zambrano dedica il suo saggio del 1939, San Juan de la Cruz. De la «noche obscura» a la más clara mística; tr. it., San Giovanni della Croce, Dalla notte oscura alla più chiara mistica, in La confessione come genere letterario, Milano, Mondadori, 1997, pp. 109‑126. Scrive Zambrano: «Si dirige l’attenzione verso un campo della realtà per captarla, per ottenere da essa il massimo della sua manifestazione. La prima azione sarà allora una specie di inibizione, paradossalmente, una ritirata del soggetto stesso così da permettere alla realtà, proprio lei, di manifestarsi. In questo momento l’attenzione deve fare una specie di pulizia della mente e dell’animo. Deve vedersela con l’immaginazione e con il sapere. Deve portare la concentrazione del soggetto fino al limite dell’ignoranza, per non dire dell’innocenza» (M. Zambrano, La atención, pubblicato come inedito in «Aurora», 8, 2007, p. 111, e successivamente in Filosofía y educación, Malaga, Ágora, 2007; tr. it. di L. Durante, Per l’amore e per la libertà. Scritti sulla filosofia e sull’educazione, Genova / Milano, Marietti, 2007, p. 52). In Dell’Aurora (p. 31), Zambrano scrive di nuovo sull’attenzione, nominandola «visione poetica», conoscenza che non viene considerata «all’altezza della ragione» ma che deve invece essere recuperata. Appare quanto mai interessante ricordare che Zambrano avesse in mente di tradurre Weil in spagnolo (progetto che non troverà seguito). La testimonianza di ciò si trova nelle lettere della Campo spedite a Zambrano. In particolare, nella lettera del 15 agosto 1965 si legge: «Cara, grazie di avermi annunciato l’uscita del tuo libro — dei tuoi libri — e il tuo progetto di tradurre Simone. Sono tra le poche notizie capaci di rallegrarmi, in questo tempo tenebroso. L’indirizzo di Madame Selma Weil è: rue Auguste Comte, Paris VI. Vorrei annunciarle io stessa la tua lettera, ma non posso assicurarti di averne la forza. Non importa. Su Simone vorrei indicarti un piccolo libro uscito due anni fa: Pensées concernant l’Amour de Dieu […], forse il suo più bel libro. Oppure, gli scritti sulla Grecia. […] Infine, tu sola saprai quel che, di Simone, è tuo» (C. Campo, Se tu fossi qui, cit., 2009, p. 42). Più che la presenza di Weil nell’opera di Zambrano, occorre riconoscere una quanto mai simile linea di pensiero tra le due, rappresentata soprattutto dall’importanza attribuita ai concetti di vuoto e impersonale, così come viene rivelato nella poesia di san Giovanni della Croce. Si può quindi ammettere il santo poeta come collegamento fondamentale tra Weil, Campo e Zambrano.
23 E. Zolla, I mistici, Milano, Garzanti, 1963; con il titolo I mistici dell’Occidente, 7 voll., Milano, Rizzoli, 1976‑1980; I mistici dell’Occidente, 2 voll., Milano, Adelphi, 1997: tutte le citazioni che seguono rimandano a quest’ultima edizione.
24 E. Zolla, I mistici dell’Occidente, vol. I., cit., p. 73.
25 E. Zolla, I mistici dell’Occidente, vol. II, cit., pp. 739‑790.
26 Ma ben presto Teresa comprese che l’eccessivo interesse di Juan per la contemplazione e la sua indifferenza alla realtà quotidiana non lo rendevano la persona giusta per affiancarla nell’impresa della riforma carmelitana. Nominata priora del convento dell’Incarnazione ad Ávila, Teresa scelse Juan come confessore, giudicando quel ruolo più idoneo alla sua indole. E aveva ragione: grazie alla sua infinita sensibilità, Juan si dimostrò un perfetto curatore di anime.
27 Questo concreto «salto nel buio» dalla finestra, poiché il buio della notte non permetteva a san Giovanni di prevedere quanti metri ci fossero sotto di lui, rappresenta la sua metafora poetica della notte oscura da attraversare per raggiungere la luce divina. Cfr. A.‑M. Sicari, Il «Divino Cantico» di san Giovanni della Croce, Milano, Jaca Book, 2011.
28 San Giovanni della Croce, in I mistici dell’Occidente, cit., pp. 739‑740.
29 «[…] ammirerà la difficile arte della Preghiera del Nome: ripetere per ore il nome di Cristo finché non è più la persona a pregare ma il suo cuore, il suo respiro, i suoi muscoli — sorta di yoga cristiano dimenticato per lo più in Occidente ma ancora vivo nella tradizione russa. Ha letto che Simone Weil passava serate intere in ginocchio a recitare il Padre Nostro in greco, ricominciando ogni volta che la sua attenzione si sviava» (C. De Stefano, Belinda e il mostro, cit., p. 83).
30 C. Campo, Attenzione e poesia, in Gli imperdonabili, cit., pp. 166‑167.
31 San Giovanni della Croce, in I mistici dell’Occidente, cit., p. 744.
32 Ivi, p. 750.
33 Weil ritiene la bellezza una trappola di cui Dio si serve perché le anime possano ritrovarlo: «La bellezza del mondo è l’orifizio del labirinto. L’imprudente che vi sia entrato e abbia fatto qualche passo non sa più ritrovare l’apertura. […] cammina a tentoni, privo di speranza, incapace persino di rendersi conto se avanza davvero o gira a vuoto. […] se non si perde d’animo e continua a camminare, è fuor dubbio che infine giungerà al centro del labirinto. E lì lo attende Dio per mangiarlo. In seguito ne uscirà, ma cambiato, oramai divenuto un altro, giacché è stato mangiato e digerito da Dio» (S. Weil, Attesa di Dio, cit., p. 123).
34 Ibid.
35 Leggiamo l’originale di san Giovanni della Croce:
En una noche oscura
Con ansias en amores inflamada,
¡Oh dichosa ventura!,
Salí sin ser notada
Estando ya mi casa sosegada.
Qui, la traduzione di Campo segue fedelmente l’originale, così come nelle strofe 3‑6. Tutti i testi originali di san Giovanni della Croce sono estratti da: Juan de la Cruz, Poesie, Milano, Einaudi, 1974. Cfr. San Giovanni della Croce, in I mistici dell’Occidente, cit., pp. 740‑741.
36 L’originale è:
A oscuras, y segura
Por la secreta escala disfrazada,
¡Oh dichosa ventura!,
A oscuras, y en celada,
Estando ya en mi casa sosegada.
Qui la Campo inverte la terza e la quarta strofa per rendere il testo più elegante e offrire la continuità ritmica.
37 Rispetto all’originale, Campo elimina gli aggettivi possessivi, in italiano superflui; e a nostro parere il testo appare più elegante:
El aire de la almena,
Cuando yo sus cabellos esparcía,
Con su mano serena
En mi cuello hería,
Y todos mis sentidos suspendía.
38 Quedéme y olvidéme,
El rostro recliné sobre el Amado,
Cesó todo, y dejéme,
Dejando mi cuidado,
Entre las azucenas olvidado.
Interessante la scelta di Campo nell’impiegare il termine obliato, assai elegante e ricercato, anziché tradurre con un comune dimenticato. Inoltre ella traduce cuidado, letteralmente «cura », con timore, proprio per rendere maggiormente espressiva la figura poetica che si intende trasmettere.
39 Scrive Weil a proposito: «La nostra anima deve essere unicamente un luogo di accoglienza e di nutrimento per il germe divino. Non dobbiamo dare da mangiare alla nostra anima. Dobbiamo dare da mangiare la nostra anima a questo germe. […] La nostra anima è un uovo in cui il germe divino diventa uccello. L’embrione dell’uccello si nutre dell’uovo; diventa uccello, infrange il guscio […]; il germe del Cristo deposto da Dio nella nostra anima si nutre di essa; quando è abbastanza sviluppato, infrange l’anima, la fa esplodere, ed entra in contatto con la realtà» (S. Weil, Quaderni IV, cit., p. 339).
40 Scrive a riguardo Agamben: «La “notte oscura” di san Juan non è però soltanto una metafora, ma anche un camino, un itinerario che, nel suo gradus, delinea, sia pure in negativo, una dottrina delle potenze dell’anima e una completa e articolata psicologia. Come tale, essa ha due parti: la prima corrisponde alla sfera sensitiva (notte dei sensi) ed è una privazione e mortificazioni di tutti gli appetiti che nascono dai cinque sensi, ognuno dei quali deve essere oscurato nella sua potenza specifica per restituire all’anima la sua nudità originale. Quanto alla seconda parte di questo itinerario nell’ombra, la notte dello spirito, san Juan vi riprende l’elencazione agostiniana delle tre potenze dell’anima […]: intellectus, memoria, voluntas. A ognuna di queste “potenze” corrisponde, per san Juan, una virtù teologale: la fede nell’intelletto, la speranza alla memoria, la carità della volontà. Ma, con un audace rovesciamento della teologia positiva, le virtù teologali sono intese da san Juan come potenze di offuscamento e di negazione, e non come strumenti di edificazione. […] Esponendosi all’azione di queste virtù nullificanti, ciascuna delle potenze dell’anima realizza così quello spossamento integrale dalle sue “proprietà” […] in cui consiste l’esperienza della notte oscura» (G. Agamben, La «notte oscura» di Juan de la Cruz, introduzione a Juan de la Cruz, Poesie, cit., pp. viii‑ix).
41 C. Campo, Della fiaba, in Gli imperdonabili, cit., p. 38.
42 Scrive S. Weil in Quaderni IV, cit., p. 134: «San Giovanni della Croce sapeva che c’è una ragione soprannaturale».
43 Ivi, p. 41.
44 Ivi, p. 156.
45 Esattamente ciò che fecero anche Zambrano, attraverso la sua ragione poetica, e Weil nei suoi Quaderni.
46 C. Campo, Della fiaba, in Gli imperdonabili, cit., p. 40. Scrive S. Weil sui simboli: «Metodo per comprendere le immagini, i simboli, ecc. Non tentare d’interpretarli, ma fissarli finché la luce sgorga. […] Dapprima li si deve prendere del tutto alla lettera, e contemplarli così, a lungo. Poi prenderli un po’ meno alla lettera e contemplarli così, e così di seguito per gradi. Quindi tornare di nuovo a prenderli del tutto alla lettera. E bere la luce, qualunque essa sia, che sgorga da tutte queste contemplazioni» (S. Weil, Quaderni II, cit., p. 292).
47 C. Campo, Parco dei cervi, in Gli imperdonabili, cit., p. 159. Scrive S. Weil in Quaderni IV, cit., p. 227: «La volontà si distrugge mediante l’adempimento di compiti impossibili. Prove sovrumane delle fiabe. L’importante è che se si persevera senza orgoglio e malgrado le cadute, la volontà a poco a poco si usura e finisce con lo sparire. Quando è sparita, si è al di là della volontà, nell’obbedienza».
48 C. Campo, Attenzione e poesia, in Gli imperdonabili, cit., p. 167.
49 Si rivela quanto mai esplicita C. Campo quando spiega, riguardo a san Giovanni della Croce: «Se non avesse scritto quei tre immensi trattati per spiegarcene il senso, che ne avremmo pensato? La sua descrizione […]. Così i narratori di fiabe ci descrivono le loro notti oscure, le loro salite al Carmelo. Solo i commentari essi tralasciano. Spetta a noi ricomporli» (C. Campo, Gli imperdonabili, cit., p. 152).
50 Ivi, pp. 22‑33. Scrive la Campo in Il flauto e il tappeto, in Gli imperdonabili, cit., p. 129: «Figura del destino è la grande foresta: per la paura che veglia le sue alle sue soglie, l’estensione incalcolabile, la moltiplicazione dei sentieri […], la luce fitta e tremante che non è il giorno e non è la notte […]. Fiaba è il destino in lenta formazione, rinascita d’acqua e spirito». Significativo è anche quanto scrive Norbert von Prellwitz nella sua prefazione a Cantico spirituale: «Leggere il Cantico spirituale è come entrare in una foresta. Per evitare lo smarrimento, senza la pretesa di addentrarmi nel giardino né tanto meno nelle caverne della rupe del Cantico, seguirò qui, tra le diverse tracce che il libro propone, una traccia implicita nel testo del commento, ma proclamata dallo scrittore nel prologo: l’itinerario che congiunge l’organismo letterario della poesia alla lettura interpretativa. Il Cantico spirituale, in quanto scrittura, è nato dalla fusione e dallo scambio reciproco (dal matrimonio, se vogliamo usare una metafora giovannea) tra queste due istanze» (N. von Prellwitz, Le isole inesplorate di Giovanni della Croce, prefazione a Giovanni della Croce, Milano, Rizzoli, 1998, p. 22).
51 C. Campo, Della fiaba, in Gli imperdonabili, cit., p. 130.
52 C. Campo, Il flauto e il tappeto, ivi, p. 30. C. Campo riflette qui sul binomio bellezza-paura, citando, al contempo, palesemente Simone Weil, la quale spiega che la bellezza e il dolore sono i due poli attraverso cui si gioca la possibilità umana dell’unione con il divino, quindi con il soprannaturale, non raggiungibile dall’intelligenza: «Nel bello — per esempio il mare, il cielo — c’è qualcosa d’irriducibile. Come nel dolore fisico. Lo stesso irriducibile. Impenetrabile per l’intelligenza» (S. Weil, Cahiers II, Paris, Plon, 1972; tr. it. di G. Gaeta, Quaderni II, cit., p. 262).
53 In ogni Quaderno di S. Weil si trovano innumerevoli citazioni di fiabe. In particolare, nell’intero Quaderno IV e nel Quaderno III (cit.) da p. 419. La fiaba viene inoltre collegata alla capacità di accoglienza propria del bambino. Si legge nel Quaderno IV, cit., p. 226: Marietti, «È con la forza e la fissità del desiderio che dobbiamo diventare bambini. Un bambino tende le mani e tutto il corpo verso ciò che brilla, fosse pure la luna». E leggiamo in C. Campo, Gli imperdonabili, cit., p. 150: «I bambini hanno organi misteriosi, di presagio e di corrispondenza».
54 S. Weil, Attesa di Dio, cit. pp. 227‑228.
55 Una delle letture costanti di Zambrano fu senz’altro quella di Asín Palacios, il sacerdote cattolico il cui studio sulla tradizione islamica fu fondamentale per la sua diffusione in Spagna, ma è soprattutto attraverso i testi di L. Massignon, studioso del mistico iraniano Al-Hallâj (Tur, 857 – Baghdad, 922), e H. Corbin, esperto dell’arabo-andaluso Ibn ‘Arabî (Murcia, 1165 – Damasco, 1240), che l’autrice s’appassionò alla dottrina sufica.
56 San Giovanni della Croce, Notte oscura, in I mistici dell’Occidente, cit., pp. 776‑777.
57 C. Campo, Il flauto e il tappetto, in Gli imperdonabili, cit., p. 136.
58 S. Weil, Quaderni III, cit., p. 199. La filosofa appunta in Quaderni III, cit., p. 31: «Cfr. San Giovanni della Croce, il legno, l’uccello».
59 Ivi, pp. 117‑119.
Haut de pagePour citer cet article
Référence électronique
Adele Ricciotti, « La mistica di san Giovanni della Croce nella poetica di Cristina Campo », Cahiers d’études italiennes [En ligne], 36 | 2023, mis en ligne le 28 février 2023, consulté le 24 janvier 2025. URL : http://0-journals-openedition-org.catalogue.libraries.london.ac.uk/cei/12559 ; DOI : https://0-doi-org.catalogue.libraries.london.ac.uk/10.4000/cei.12559
Haut de pageDroits d’auteur
Le texte et les autres éléments (illustrations, fichiers annexes importés), sont « Tous droits réservés », sauf mention contraire.
Haut de page