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  • 1 Gli scritti di Campo sono stati tutti ripubblicati da Adelphi: Gli imperdonabili, Milano, Adelphi, (...)

1Riservata nella vita, schiva e critica dell’establishment culturale fino a trascorrere gli ultimi anni in un voluto isolamento sull’Aventino, l’opera di Cristina Campo, pseudonimo preferito di Vittoria Guerrini (1923‑1977), passò quasi completamente inosservata fino alla fine degli anni Ottanta quando quei pochi amici che in vita ne avevano apprezzato l’originale qualità sollecitarono Adelphi ad una riedizione dell’opera. I volumi color pastello, dedicati alla poesia propria e a quella tradotta, alla prosa saggistica e agli epistolari che man mano si aggiunsero (alcuni cristallini come quello con Mita, l’amica di una vita Margherita Pieracci Harwell), raggiunsero un pubblico più ampio e finirono sui tavoli di molti studiosi che si accapigliarono a scrivere pagine e pagine su quello che esplose come un caso letterario1.

  • 2 L’infanzia è raccontata nel saggio Parco dei cervi, in Id., Gli imperdonabili, cit., pp. 143‑163.

2Di fronte a questo bailamme, chissà quale sarebbe stata la reazione dell’autrice d’origine bolognese — il padre Guido Guerrini era un noto musicista e direttore prima del conservatorio Cherubini di Firenze, poi di quello di S. Cecilia a Roma e la madre Emilia Putti era nipote dello scrittore Enrico Panzacchi e sorella di Vittorio ortopedico all’ospedale Rizzoli di Bologna — che trascorse l’infanzia tra nosocomi, per un difetto cardiaco congenito, e le stanze di casa dove trovava evasione nelle letture delle storie mitico-fantastiche dei personaggi fiabeschi e di quelli biblici2.

3In questo contesto di assoluta libertà intellettuale, non frequentò alcuna scuola, scelse rapsodicamente le sue letture su cui costruì negli anni un’erudizione che spaziava dalla letteratura di casa nostra (Dante, Leopardi, d’Annunzio) a quella europea (Juan de la Cruz, John Donne, Hugo von Hofmannsthal, Simone Weil, Virginia Woolf) e americana (Emily Dickinson, T. S. Eliot, William Carlos Williams) senza dimenticare che, in anni in cui la nostra cultura era ancora timida ad aprirsi ad altre influenze, introdusse in Italia autori ancora poco noti come Eduard Mörike, Katherine Mansfield, Djuna Barnes, María Zambrano, Christine Koeschel, Hector Murena. L’affinamento continuò poi con la frequentazione di pochi e selezionatissimi amici che arricchirono la sua biblioteca di nuove letture e rafforzarono il suo metodo critico: il germanista Leone Traverso (compagno degli anni fiorentini) suggerì le letture dei mitteleuropei Hofmannsthal, Rilke e Mörike, Mario Luzi (conosciuto a Firenze) la indirizzò alla filosofia della Weil, Elémire Zolla (il compagno degli anni romani fino alla morte) la spinse verso la mistica e Alessandro Spina (l’amico lontano in Libia che avrebbe desiderato avere come fratello) le fece conoscere la letteratura del nord Africa e del vicino Oriente.

  • 3 C. Campo, L’infinito nel finito. Lettere a Piero Pòlito, Pistoia, Via del Vento, 1998; Id., Lettere (...)

4Il rapporto con questi amici si rafforzò con lo scambio epistolare e nuovi ne furono trovati sempre attraverso la lettera che Campo sapeva redigere con eleganza: all’approccio quasi sempre reverenziale seguiva la curiosità di apprendere e il desiderio di condividere le rispettive conoscenze. Un dialogo che spesso durava negli anni come quello quasi trentennale con l’intima confidente Mita, senza dimenticare gli scambi epistolari con Gianfranco Draghi, con cui fondò nel 1951 la rubrica La posta letteraria sul Corriere dell’Adda dove pubblicò alcune tra le sue prime prove di traduzione, María Zambrano, il padre Guido, e poi i ricordati Traverso e Luzi, il filosofo Andrea Emo e Alessandro Spina, l’unica corrispondenza a due voci avendo questi conservato le lettere spedite all’amica3.

  • 4 C. Campo, Passo d’addio, Milano, Scheiwiller, 1956, ora in Id., La tigre assenza, Milano, Adelphi, (...)

5A Roma, dove la famiglia si trasferì nel 1955 per seguire il padre, Campo raggiunse la piena maturità letteraria. Il ricordo degli anni fiorentini, segnati dalla guerra, dalla perdita di amici cari come Anna Cavallotti e da vicende sentimentali che l’avevano amareggiata, si racchiudono nell’acerbo Passo d’addio, titolo di una plaquette di appena undici liriche che l’amico Vanni Scheiwiller pubblicò nel 1956 nel tipico formato minuscolo della sua collana di poesia. Il titolo, preso dalla danza e da quell’amore per la musica che condivideva con il padre, ben indica il contenuto delle poesie scritte per rimeditare e porre fine ad un preciso periodo della vita giovanile; questo desiderio di rinascita si esplicitò nel verso Ora rivoglio bianche tutte le mie lettere e nel privato con la richiesta agli amici di bruciare tutte le lettere del periodo fiorentino4.

  • 5 G. Caproni, Poesia e discrezione, «La fiera letteraria», 17 febbraio 1957 e Id., Il fiore è il nost (...)
  • 6 La Campo scrisse la presentazione «Una voce» per «Il Giornale d’Italia», 4 maggio 1966, p. 3, ora i (...)

6La delusione seguita al silenzio critico, il solo Caproni si dimostrò negli anni lettore attento5, allontanò Campo non solo dalla città toscana ma anche dalla scrittura in versi cui ritornò solo alla fine degli anni Cinquanta, attribuendo a Williams il merito di averle fatto ritrovare il sapore massimo della parola (frase ripresa dalla Weil), prima della stesura del Diario bizantino, pubblicato postumo da Zolla su Conoscenza religiosa nel 1977, confessione letteraria e spirituale di un’autrice che negli ultimi anni aveva scelto l’isolamento — come risposta a un mondo nel quale aveva sempre faticato a riconoscersi e inserirsi — e la pratica del rito ortodosso come reazione alla messa in volgare adottata dalla Chiesa a conclusione del Concilio Vaticano nel 1965. Una scelta che Campo contestò pubblicamente: insieme a Gaspare Barbiellini Amidei, Vittore Branca, Filippo Caffarelli, Margherita Guidacci, Eugenio Montale, Aldo Palazzeschi e Ettore Paratore, fondò il capitolo italiano di Una voce, l’associazione internazionale che si batteva a difesa del rito preconciliare, e con l’aiuto di alcuni cardinali cercò di intercedere con la Santa Sede affinché la liturgia latina fosse ristabilita6. Un attivismo che testimoniava la caparbietà della donna, tagliente nei giudizi, ferma sulle proprie posizioni (emblematico l’allontanamento da Luzi poeta quando questi decise d’invischiarsi Nel magma, metafora del mondano e titolo dell’omonima raccolta del 1963) e pronta a recidere i legami con un modello letterario quando questo non rispondeva più ai propri interessi: il rifiuto tout court del pensiero di Simone Weil, guida letteraria per anni, fu improvviso quanto sorprendente.

7Queste spigolosità di un carattere che pretendeva dagli amici reali o letterari attenzione massima, erano però smussate da una sincera generosità e l’impegno per gli ultimi: seguì da vicino le iniziative di Danilo Dolci in Sicilia raccogliendo fondi e inviando aiuti personali, fu sconvolta dalla tragedia dei minatori italiani a Marcinelle in Belgio e dallo sterminio dei Watussi in Africa.

8Questa donna appartata, solitaria ed estranea al proprio tempo, dal quale si nascondeva con altri pseudonimi oltre a quello di Campo (Giusto Cabianca, Benedetto Padre d’Angelo, Bernardo Trevisano, Puccio Quaratesi, Federica di Palma), coltivò un’intensa passione per la poesia e la prosa ma la scrittura, tra ripensamenti e abbandoni, si limitò, in quasi trent’anni d’attività, a una manciata di poesie e a due esigui volumi di saggi e note critiche.

9Le prime, escludendo quelle raccolte nel Passo d’addio, rimasero sciolte e inviate in lettura agli amici da cui spesso ricevette giudizi freddi e le poche pubblicate su rivista passarono inosservate, un silenzio che, come accennato, mortificò la poetessa. Queste poche liriche, una trentina, scritte tra il Quaranta e il Sessanta risentono quasi tutte — con l’eccezione di La tigre assenza e Missa romana, nate dalla riflessione su due episodi che la segnarono profondamente (la morte dei genitori e la fine della liturgia latina) — dell’influenza di diversi modelli letterari: nel Quadernetto privato per Mita, poi diventato Passo d’addio, si ravvisano temi crepuscolari e topoi riconducibili al d’Annunzio elegiaco e paradisiaco, alla Spaziani e soprattutto agli ermetici (in particolare al primo Luzi), mentre le immagini usate nelle altre liriche sono echi palesi degli autori tradotti, in particolare quelli di lingua inglese: Donne, T. S. Eliot, Williams, Dickinson. Soltanto le sei liriche che costituiscono il Diario bizantino sembrano raggiungere una maggiore indipendenza dai modelli precedenti grazie alla scelta di un tema originale e coerente, la rievocazione del rito ortodosso, e all’uso di immagini e di uno stile finalmente propri.

10La prosa saggistica, anche se è più lecito parlare per molti scritti di prosa d’arte, raccolta nei due esili volumi Fiaba e mistero (Vallecchi, 1962) e Il flauto e il tappeto (Rusconi, 1971) cui possiamo affiancare l’antologia postuma Sotto falso nome (1988), in diversi casi spicca per originalità d’interpretazione e di collegamenti interartistici. Come le esperte mani dei tessitori di tappeti, sapeva creare intricati orditi e una trama di raffinati pensieri che univano temi e autori apparentemente distanti.

11Anche questa scrittura è stata influenzata, seppur rapsodicamente, dalle traduzioni: non a caso la maggioranza degli scritti è dedicata agli autori tradotti. Inoltre, Campo soleva ritoccare, anche a distanza di diversi anni, interi saggi o parti di essi (è sufficiente l’esempio del citato Parco dei Cervi scritto in tre parti di cui le prime due del 1953, poi ampliate nel 1960, e la terza del 1962 in seguito resa autonoma col titolo Della fiaba nel volume Il flauto e il tappeto) con lo scopo di inserirvi le influenze ricevute dai nuovi autori che man mano conosceva e voracemente leggeva.

  • 7 Cfr. lo scritto Con lievi mani, in Campo, Gli imperdonabili, cit., pp. 97‑111.

12È pur vero che i due volumi, nonostante la forte presenza del modello weiliano soprattutto nei concetti ricorrenti di attenzione, grazia e giustizia, contengono letture interessanti su Proust, Manzoni, Čechov, Borges, d’Annunzio, sul motivo della sprezzatura e su autori ancora poco o punto studiati come Furio Monicelli, Marianne Moore, Gottfried Benn, Djuna Barnes, William Carlos Williams, Eduard Mörike. La struttura priva di digressioni, la frequente brevità, lo stile misurato e l’elegante linguaggio, rendono questi saggi decisamente originali nel variegato panorama novecentesco in quanto oltre al contenuto, toccato con lievi mani come Hofmannsthal le aveva insegnato7, il lettore beneficia di uno stile asciutto, preciso e calibrato (non a caso Campo apprezzava la scrittura critica di Gianfranco Contini). Caratteristiche simili si trovano infine negli epistolari e non pensiamo di esagerare nello scrivere che alcuni di questi possano essere considerati dei vertici del genere nel secondo Novecento.

  • 8 S. Weil, Venezia salva, a cura di C. Campo, Brescia, Morcelliana, 1963. Ora in Milano, Adelphi, 198 (...)

13L’esiguità di questa produzione spiega perché nel risvolto di copertina del Flauto e il tappeto fece scrivere di essere un’autrice che ha «scritto poco e vorrebbe aver scritto meno». Una frase che, nella sua seconda parte, contiene un’implicita spiegazione ai pochi lavori pubblicati. La donna, toccata negli anni giovanili dall’indifferenza seguita alla pubblicazione di Passo d’addio che la mantenne lontana dalla poesia quasi per un decennio come confidò a Williams, affidava un suo testo ad un editore solo quando lo riteneva perfetto per forma e contenuto. La causa di questa scelta che, come detto, negli anni la portava a rimaneggiare gli scritti del passato, è negli accennati cambiamenti repentini di giudizio nei confronti di un autore i quali, di conseguenza, comportavano modifiche radicali anche del proprio pensiero poetico e critico (la Weil da «poetessa di eccezionale sapienza» nel 1963 diventò una che «non capiva nulla» appena quattro anni dopo8).

  • 9 A. Spina, Conversazione in Piazza Sant’Anselmo e altri scritti. Per un ritratto di Cristina Campo, (...)

14Questo continuo colloquio letterario con autori distanti nel tempo e nelle idee soddisfaceva Campo che, con frequenza, per «impossessarsi di un verso del poeta, della frase o di un aneddoto dell’amico», come scrisse Spina, si dedicava alla traduzione per poter «ridire tutto con le sue parole, pure come quelle del poeta, più belle di quelle dell’amico»9.

15L’esercizio serviva quindi per affinare il proprio stile e per appropriarsi di immagini e idee. Se le letture erano molte, gli autori tradotti erano selezionati tra i cosiddetti imperdonabili, ossia quelli con cui spartiva una comune ricerca della bellezza e della perfezione. I risultati sono stati spesso notevoli e alcuni lavori, sempre accompagnati da illuminanti premesse, sono ancora nei cataloghi editoriali di Einaudi (le Poesie amorose. Poesie teologiche di John Donne) e Adelphi (la Venezia salva di Simone Weil).

16Questo numero dei Cahiers è interamente dedicato alle traduzioni e, studiando i dialoghi letterari che la fine lettrice tenne con molti scrittori della letteratura europea e mondiale, gli autori intendono ricordare e omaggiare la poetessa nel centenario della sua nascita.

17Questa scelta segue quanto Campo si prefissò in tutta la vita ossia uno scambio interculturale e interartistico tra idee e pensieri che non precludesse nessuno, un messaggio ancor attuale nel nostro mondo sì multiculturale ma dove sembra manchi ancora un vero incontro tra le civiltà fondato sul rispetto e sulla condivisione di valori comuni.

18Le competenze linguistiche di Campo spaziavano dall’inglese al francese e dal tedesco allo spagnolo e su alcuni degli autori tradotti da queste lingue si concentrano i saggi di un manipolo di studiosi di diversa formazione e provenienza.

19I contributi sono sistemati per lingua a cominciare dalle traduzioni dal tedesco, quantitativamente le più numerose per un precoce interesse di Campo poi ampliatosi e perfezionatosi durante la relazione con Traverso, seguite dal francese, dallo spagnolo e dall’inglese.

20Il volume si apre con il lavoro di Raffaella Bertazzoli che, prendendo l’esempio di Mörike, individua alcune linee generali del metodo campiano. La studiosa sottolinea come l’approccio sia anzitutto regolato da una reticentia che produce una sorta di copiatura, frutto dell’attento studio dell’originale. A questa segue la traduzione vera e propria che non vuole ricreare o migliorare il testo ma solo mantenersi il più possibile aderente al dettato autoriale. La lingua trascrive quasi parola per parola, assecondando la sintassi, e la predilezione è per un vocabolario aulico che affonda le sue radici nella tradizione letteraria italiana. Un metodo che si conferma in tutti gli autori tradotti.

21Con lo studio delle versioni da Hugo von Hofmannsthal, Vincenza Scuderi sottolinea la forte affinità che Campo sentiva con l’esteta austriaco, forse unico modello letterario almeno fino alla scoperta della Weil. Con Hofmannsthal l’autrice condivideva l’idea dell’infanzia come spazio mitopoietico e fiabesco riscostruito nella citata prosa autobiografica Parco dei cervi. In Stadi, l’infanzia solitaria del personaggio, alter ego di Hofmannsthal, è riempita da letture che affinano la sua sensibilità artistica, proprio come fu per Campo, sottolinea Scuderi.

22È ancora la purezza dell’infanzia a guidare il dialogo con Hölderlin, forse uno tra i primi poeti tradotti anche se di quest’esercizio restano solo pochi frammenti sottoposti con «umiltà», scrive Sotera Fornaro, all’amico poeta e dantista svizzero Remo Fasani. Nel poeta svevo Campo aveva trovato gli stessi temi su cui stava riflettendo negli anni Cinquanta: la simbologia fiabesca, la dimensione onirica e il dialogo sincero con la natura considerati fondamentali per la formazione di un animo poetico.

23Anche il rapporto con Katherine Koeschel si fonda su una simile condivisione, illustra Daniela Marcheschi, nata anche dalla conoscenza personale della poetessa tedesca. Se i testi tradotti sono un gruzzoletto di appena otto liriche, Marcheschi nota come in essi si trovi un rispecchiamento del pensiero campiano volto alla costante ricerca del dialogo con l’altro senza mancare di fedeltà all’originale.

24La sezione si chiude con il lavoro di Anna Maria Tamburini nel quale si rievocano le letture di Rilke. Seppur Campo non pubblicò mai delle traduzioni del poeta, l’eco costante di alcuni motivi delle Elegie duinesi palesa la conoscenza profonda dell’opera del boemo. Secondo Tamburini, Campo condivideva con Rilke il tema della bellezza mentre più distaccato era l’interesse per le riflessioni materialiste e quelle sull’individualismo dell’uomo contemporaneo sviluppate dal poeta.

25Con il saggio di Chiara Zamboni si apre la sezione delle traduzioni quantitativamente più numerose da un singolo autore, quelle da Simone Weil, indice di una meditazione profonda degli scritti, almeno quelli fino ad allora noti, della pensatrice francese che divenne popolare in Italia nei primi anni Cinquanta grazie alle traduzioni di Franco Fortini per le Edizioni di Comunità e ad un saggio di Anna Maria Chiavacci Leonardi. Campo fu introdotta alla Weil da Luzi che le prestò il libro La pesanteur et la grâce e da quel momento il dialogo fu intenso fino a interrompersi bruscamente negli anni Sessanta. I lavori sulla Weil, e non si dimentichi l’impeccabile traduzione della Venezia salva dalla quale Campo apprese i concetti di attenzione, grazia e bellezza che diventarono cardini della sua poetica, ci ricordano come un’altra costante del pensiero della scrittrice fosse la continua riflessione sulla spiritualità e il sacro, temi che spesso la indirizzavano nella scelte delle letture e degli autori da tradurre.

26Così l’apprendistato alla scuola della Weil, fu fondamentale per lo studio dell’opera di Juan de la Cruz. Secondo Adele Ricciotti, fu attraverso i temi dell’attenzione, dell’attesa e del vuoto che Campo collegò il pensiero della francese con quello del doctor mysticus spagnolo. E questi concetti furono centrali anche nel pensiero di María Zambrano la quale, dopo un lungo periodo d’esilio, si stabilì a Roma dove conobbe e frequentò Campo.

27Questa fitta maglia di collegamenti tra autori distanti nel tempo ma vicini nelle poetiche, apre la sezione delle traduzioni dall’inglese. Il contributo di Anna Botta, rifacendosi alle teorie del New Materialism, segue il filo che unisce in una vibrant kinship la scrittura di Campo con quella di Dickinson e Mansfield.

28Altra eccelsa prova furono le traduzioni da John Donne come dimostra Małgorzata Ślarzyńska. Fu l’interesse per la mistica, sollecitata da Zolla, che allestì un’importante antologia sul tema per Garzanti nel 1963, a spingerla a tradurre i versi del poeta metafisico inglese. Un lavoro lungo e complicato, come si legge in un inedito carteggio con Einaudi, che durò oltre un decennio: l’argomento dei versi, un tormentato amore terreno che diventa spirituale, era in parte stato affrontato nel Passo d’addio. Ma fu soprattutto la netta distinzione tra i due sentimenti — Campo convinse Einaudi a sostituire la congiunzione con un punto fermo nel titolo dell’antologia Poesie amorose. Poesie teologiche — ad interessare la traduttrice, forse in riferimento alla propria esistenza, rivolta, soprattutto dalla seconda metà degli anni Sessanta, all’esclusivo dialogo con il sacro.

29La collaborazione con Einaudi era già nata all’inizio degli anni Sessanta quando l’editore torinese invitò Campo e Sereni ad allestire un’antologia di traduzioni da William Carlos Williams, il poeta americano imagista e allievo di Pound, sul quale entrambi avevano pubblicato due quaderni di traduzioni seguendo quell’interesse per la poesia americana che era rinato nel dopoguerra dopo le censure fasciste patite dalla pioneristica antologia Americana di Elio Vittorini. Se Sereni tradusse rifacendo alla propria maniera i versi dell’americano, Campo anche in questo caso si mantenne fedele all’originale nonostante la grande difficoltà (palesata a quello che era diventato un nuovo amico oltreoceano e con cui intrattenne un rapporto stretto fino alla morte) di rendere in italiano quello che Williams aveva chiamato American Idiom, per distinguerlo dall’inglese britannico. Nei confronti tra le versioni apparse sul Fiore e con alcune di Sereni, emerge chiaramente la preferenza di Campo per un lessico aulico e per un verso privo delle aspre sonorità e delle improvvise inversioni o enjambements caratteristici dell’americano e apprezzati, al contrario, da Sereni.

  • 10 H. von Hofmannsthal, Il libro degli amici, Appunti e diari, Ad me ipsum, a cura di G. Bemporad, Fir (...)

30In tutti questi contributi crediamo emerga la coerenza del metodo traduttivo campiano che, ricordiamolo, non è mai stato illustrato in uno scritto teorico. Dalla lettura, spesso nata da un incontro fortuito, nasceva una prima riscrittura del testo poetico da cui germogliava, se il dialogo continuava, la traduzione vera e propria anticipata in rivista prima di essere raccolta in volume. Gli esiti, come i vari contributi hanno dimostrato, erano sempre volti a mantenere la massima aderenza con l’originale scegliendo le forme metriche della nostra tradizione e omologando i vari registri linguistici verso l’aulicità. Una forma controllata che permetteva al lettore di apprezzare il contenuto e di cominciare quel dialogo con il poeta e la sua poesia che, secondo Campo, era compito del traduttore avviare. Alla fine, come ha ben scritto Margherita Pieracci Harwell, le traduzioni di Campo dovevano costituire, citando Hofmannsthal, un «ideale Libro degli amici»10 da condividere sempre con nuovi sodali.

  • 11 Cristina Campo, a cura di E. Bianchi e P. Gibellini, «Humanitas», cit.

31Il volume s’impreziosisce con degli omaggi. Una generosa testimonianza di Pietro Gibellini, amico di Alessandro Spina che gli aprì le pagine di Campo e sulle quali ha scritto, con finezza d’analisi, importanti contributi, come quello sul Quadernetto, inserito in un numero monografico della rivista Humanitas curato a quattro mani con Enzo Bianchi11. Nello scritto offerto a questo volume, il filologo dimostra l’interrotto dialogo con Campo traducendo prima in francese e poi nel suo dialetto materno, il bresciano di Pralboino, alcuni versi dell’autrice.

32E degli inediti arricchiscono il volume. Dapprima alcune lettere di Vittorio Sereni che pubblichiamo per la prima volta grazie alla cortese generosità di Giovanna Sereni, poi una vera e propria antologia di poesie, nata per caso.

33Quando chiesi a un autore di collaborare a questo volume mi rispose che non avrebbe avuto tempo per dedicarsi alla stesura di un saggio ma avrebbe preferito ricordare Campo con una poesia. E così a quei pochi versi si sono aggiunti uno dopo l’altro, come nella fiaba del pifferaio magico, quelli scritti da alcuni tra i maggiori poeti contemporanei: un’inedita crestomazia in onore di Cristina Campo che dimostra come la scrittrice continui ad essere un riferimento per molti poeti d’oggi. A questi imperdonabili va tutta la gratitudine di chi scrive e, son certo, di quelli che, con profitto, ascolteranno le loro voci.

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Notes

1 Gli scritti di Campo sono stati tutti ripubblicati da Adelphi: Gli imperdonabili, Milano, Adelphi, 1987 (unisce le due raccolte di saggi Fiaba e mistero e altre note, Firenze, Vallecchi, 1962 e Il flauto e il tappeto, Milano, Rusconi, 1971); La tigre assenza, Milano, Adelphi, 1991 (antologia di poesia propria e scelta di traduzioni); Sotto falso nome, Milano, Adelphi, 1998 (antologia di scritti sparsi). Ricordiamo anche la lunga e, per molti tratti romanzata, biografia di C. De Stefano, Belinda e il mostro. Vita segreta di Cristina Campo, Milano, Adelphi, 2002. Della vasta e amplia bibliografia su Campo ci limitiamo a citare i volumi collettanei più significativi: Cristina Campo, «Città di Vita», giugno 1996; M. Farnetti e G. Fozzer (a cura di), Per Cristina Campo, Milano, All’insegna del pesce d’oro, 1998; E. Bianchi e P. Gibellini (a cura di), Cristina Campo, «Humanitas», a. LVI, no 3, giugno 2001. Per una bibliografia più estesa, si veda il nostro Cristina Campo: ritratti e carteggi, «Rivista di Letteratura italiana», a. XXII, no 1, 2004, pp. 185‑199 e la pagina web <www.cristinacampo.it>.

2 L’infanzia è raccontata nel saggio Parco dei cervi, in Id., Gli imperdonabili, cit., pp. 143‑163.

3 C. Campo, L’infinito nel finito. Lettere a Piero Pòlito, Pistoia, Via del Vento, 1998; Id., Lettere a Mita, Milano, Adelphi, 1999; Tradurre Simone Weil. Lettere all’editore, a cura di G. Fozzer, «Humanitas», gennaio-febbraio 2000; A. Emo, Lettere a Cristina Campo, 1972‑1976, a cura di G. Fozzer, «In forma di parole», Città di Castello, dicembre 2001; C. Campo, V. Scheiwiller e W. C. Williams, Il fiore è il nostro segno. Carteggi e poesie, Milano, Scheiwiller, 2001; Id., «Cara, il viaggio è incominciato». Lettere di Cristina Campo a María Zambrano, a cura di M. Pertile, in «Humanitas», a. LVIII, no 3, giugno 2003; A. Spina e C. Campo, Carteggio, Brescia, Morcelliana, 2007; C. Campo, Un ramo già fiorito. Lettere a Remo Fasani, a cura di M. Pertile, Venezia, Marsilio, 2010; Id., Il mio pensiero non vi lascia. Lettere a Gianfranco Draghi e ad altri amici del periodo fiorentino, a cura di M. Pieracci Harwell, Milano, Adelphi, 2012.

4 C. Campo, Passo d’addio, Milano, Scheiwiller, 1956, ora in Id., La tigre assenza, Milano, Adelphi, 1991.

5 G. Caproni, Poesia e discrezione, «La fiera letteraria», 17 febbraio 1957 e Id., Il fiore è il nostro segno. Poesie di William Carlos Williams scelte e tradotte da Cristina Campo, «La fiera letteraria», 1 febbraio 1959.

6 La Campo scrisse la presentazione «Una voce» per «Il Giornale d’Italia», 4 maggio 1966, p. 3, ora in Campo, Sotto falso nome, cit., pp. 119‑123. Il primo numero del bollettino italiano di Una voce uscì nel gennaio 1967.

7 Cfr. lo scritto Con lievi mani, in Campo, Gli imperdonabili, cit., pp. 97‑111.

8 S. Weil, Venezia salva, a cura di C. Campo, Brescia, Morcelliana, 1963. Ora in Milano, Adelphi, 1987, p. 17 e C. Campo, Lettere a Mita, Milano, Adelphi, 1999, lettera del 27 novembre 1967. Il corsivo è della Campo.

9 A. Spina, Conversazione in Piazza Sant’Anselmo e altri scritti. Per un ritratto di Cristina Campo, Brescia, Morcelliana, 2002, p. 23.

10 H. von Hofmannsthal, Il libro degli amici, Appunti e diari, Ad me ipsum, a cura di G. Bemporad, Firenze, Cederna Vallecchi, 1963. Si tratta di un volumetto di aforismi dello stesso Hofmannsthal e di altri scrittori. Il titolo originale è Buch der Freunde, pubblicato nel 1922.

11 Cristina Campo, a cura di E. Bianchi e P. Gibellini, «Humanitas», cit.

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Pour citer cet article

Référence électronique

Nicola Di Nino, « Presentazione »Cahiers d’études italiennes [En ligne], 36 | 2023, mis en ligne le 28 février 2023, consulté le 20 janvier 2025. URL : http://0-journals-openedition-org.catalogue.libraries.london.ac.uk/cei/12403 ; DOI : https://0-doi-org.catalogue.libraries.london.ac.uk/10.4000/cei.12403

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Auteur

Nicola Di Nino

Universitat Autònoma de Barcelona
nicola.dinino@uab.cat

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