Cristina Campo ed Eduard Mörike tra poesia e traduzione
Résumés
En prenant comme point de départ le rôle qu’ont joué les classiques des littératures européennes dans la formation de Cristina Campo, l’essai montre que l’écrivaine a consacré une partie importante de sa vie à la traduction. L’essai analyse notamment un texte d’Eduard Mörike, tiré du premier recueil de traductions de poèmes par Campo. Cette analyse, en faisant apparaître des liens étroits avec la poétique des hermétiques florentins, a permis d’identifier quelques lignes de force dans le travail de traduction de Cristina Campo.
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1. Prosa, poesia e altro
- 1 Una biografia della Campo è oggi ripercorribile in C. De Stefano, Belinda e il mostro. Vita segreta (...)
1Nella sua sorvegliata e rattenuta attività di scrittrice, Cristina Campo ha dedicato alla traduzione una parte cospicua del suo impegno. Cresciuta in un favorevole e colto milieu borghese, per necessità di salute la sua formazione avviene privatamente, con l’aiuto di istitutori. Cristina si muove dentro la difficile misura di una personalità forte e volitiva, sorretta da un corpo di straordinaria eleganza e bellezza, ma fragile. Impara le lingue europee moderne, esercitando competenza e sensibilità con letture di testi di autori stranieri e dedicando alla conoscenza delle letterature un impegno costante e assoluto1. Da questa attitudine all’esercizio letterario, coltivata fin dall’infanzia, dipenderà l’impostazione della sua esistenza, condotta nel segno di una mistica del vivere e dello scrivere. Un esercizio inflessibile di «attenzione», un lavoro d’ascesi come strumento di verità e di conoscenza profonda delle cose:
- 2 C. Campo, Attenzione e poesia, in Gli imperdonabili, Milano, Adelphi, 1987, p. 167.
L’arte d’oggi è in grandissima parte immaginazione […] impazienza, fuga nell’arbitrario: eterno labirinto senza filo di Arianna. Per questo l’arte antica è sintetica, l’arte moderna analitica; un’arte in gran parte di pura scomposizione, come si conviene ad un tempo nutrito di terrore. […] L’attenzione è il solo cammino verso l’inesprimibile, la sola strada al mistero2.
2Altra parola chiave della sua esistenza è «perfezione», stigma di chi è definito «imperdonabile» al mondo; argine alla «civiltà della perdita» in cui s’inscrive la nostra epoca:
- 3 C. Campo, Gli imperdonabili, cit., p. 73. Si veda la postfazione di G. Ceronetti, Cristina Campo o (...)
La passione della perfezione viene tardi. O, per meglio dire, si manifesta tardi come passione cosciente. Se era stata una passione spontanea, l’attimo, fatale in ogni vita, del “generale orrore”, del mondo che muore intorno e si decompone, la rivela a se stessa: sola selvaggia e composta reazione3.
3In questo difficile camminare sul baratro, in un tempo di aleatoria bellezza, Cristina scrive che è necessario salvare dalla perdita e dall’indifferenza ciò che è segreto e nascosto al mondo:
- 4 C. Campo, Parco dei cervi, in Gli imperdonabili, cit., p. 151.
Eppure amo il mio tempo perché è il tempo in cui tutto vien meno ed è forse, proprio per questo, il vero tempo della fiaba […] l’era della bellezza in fuga, della grazia e del mistero sul punto di scomparire […] Tutto ciò che di volta in volta si nasconde sotto spoglie più impenetrabili, nel fondo di più orridi labirinti4.
- 5 M. Heidegger, Sentieri interrotti, trad. it. di P. Chiodi, Firenze, La Nuova Italia, 1982, p. 296. (...)
4In riferimento all’idea di un tempo incerto, si ricollega quell’abitare nel «tempo dell’indigenza» che Friedrich Hölderlin, un poeta a lei molto caro, riconosce essere cifra del moderno, mentre attribuisce al poeta, che vive «in dürftiger Zeit», una missione di salvezza: «Was bleibet aber, stiften die Dichter» (Andenken)5.
- 6 M. Cacciari, Introduzione a M. Farnetti e G. Fozzer (a cura di.), Per Cristina Campo, Atti delle gi (...)
5Alla perfezione, che è pienezza di sé (enèrgheia), si arriva con l’estraneità che è dato ontologico dell’aristocrazia. Il poeta è colui che interpreta l’assoluto della tèchne: il «miglior fabbro» è il termine che Cristina attribuisce a tutti i suoi autori, letti, studiati, tradotti e amati6.
- 7 C. Campo, In medio coeli, in Gli imperdonabili, cit., p. 18.
6In veri e propri poèmes en prose, in cui la scrittura si fa speculativa, il tessuto narrativo è punteggiato di riferimenti colti, mai esornativi, dove la relazione tra le parole ha l’andamento musicale di una partitura che coinvolge; un luogo in cui: «l’orecchio è l’occhio dell’anima»7.
7Testi in cui si fa poesia e poetica, letteratura e meta-letteratura in uno spirito critico assoluto. La formazione accurata e non convenzionale struttura la sua immagine di scrittrice elegante e raffinata, artefice di una nuova lingua, specialissima, con la quale non arriverà mai alla distensione romanzesca.
- 8 Gli interventi di Cristina sui giornali e nelle riviste sono quasi tutti raccolti nei volumi Sotto (...)
8Intellettuale a pieno titolo, coraggiosa e provocatrice, Cristina è spesso scomoda per le sue idee che non collimano con il mainstream culturale di quegli anni. La sua vita è segnata da frequentazioni importanti, legate alle tre città che fanno da sfondo alla sua esistenza: Bologna, Firenze e Roma. Cristina è consapevole di appartenere a una ristretta cerchia intellettuale di aristocrazia dello spirito, interprete di profonde innovazioni culturali8.
- 9 C. Campo, Con lievi mani, in Gli imperdonabili, cit., p. 104.
- 10 C. Campo, Detti e fatti dei Padri del deserto, in Gli imperdonabili, cit., p. 215.
- 11 C. Campo, Gli imperdonabili, cit. Nota firmata C.C. alla sezione Il flauto e il tappeto.
9L’indifferenza verso il protagonismo editoriale alla moda viene vissuta da Cristina anche come censura alla propria memoria, dove sta il senso forte della discrezione, del ritrarsi dal dire «Che nulla traspaia dell’intimo cuore, nulla sia noto di noi che il sorriso»9. Le pagine dedicate agli anacoreti, nell’introduzione ai Detti e fatti dei Padri del deserto, parlano di un’etica della solitudine e del silenzio assoluto come vera tensione di «diventare costantemente viventi con Dio nel silenzio»10. Facendo eco alle parole di Marianne Moore, la nota che apre il volume postumo Gli imperdonabili, recita che un libro: «vorrebbe essere […] un piccolo tentativo di dissidenza dal gioco delle forze, “una professione di incredulità nell’onnipotenza del visibile”»11. Risuonano in queste parole gli accenti di Hölderlin, che faceva nascere l’essenza della parola autentica dal silenzio e nel linguaggio riconosceva la doppia modalità di manifestare il mondo e di nasconderlo alla sua intellegibilità.
- 12 C. Campo, Gli imperdonabili, cit., p. 84.
10Raccogliendo le parole dedicate a Djuna Barnes, potremmo chiamare quella di Cristina una condizione di «trappismo della perfezione» che pianifica la sua condizione di ‘sconosciuta’ («Come una che non esiste»)12:
- 13 C. Campo, La tigre assenza, Milano, Adelphi, 1991, p. 28.
Ora rivoglio bianche tutte le mie lettere,
inaudito il mio nome, la mia grazia richiusa;
ch’io mi distenda sul quadrante dei giorni,
riconduca la vita a mezzanotte13.
- 14 Si veda il saggio di G. Scarca, Nell’oro e nell’azzurro. Poesia della liturgia in Cristina Campo, M (...)
11Audacemente e tenacemente Cristina ha fatto scelte radicali nell’accoglimento di una fervente liturgia in un tempo di anticlericalismo e secolarizzazione14.
12Lungo i saggi che compongono il volume degli Imperdonabili, Cristina ci conduce per mano attraverso i sentieri del suo poiein. Al poeta affida il compito di essere medium straordinario, visionario della realtà. Ciò che fa uno scrittore imperdonabile è la bellezza, la perfezione, la leggerezza, la chiarezza nella ricerca della verità:
- 15 C. Campo, Attenzione e poesia, in Gli imperdonabili, cit., p. 166.
Poesia è anch’essa attenzione, cioè lettura su molteplici piani della realtà intorno a noi, che è verità in figure. E il poeta, che scioglie e ricompone quelle figure, è anch’egli un mediatore: tra l’uomo e il dio, tra l’uomo e l’altro uomo, tra l’uomo e le regole segrete della natura15.
2. I rapporti che contano nell’esperienza del tradurre
- 16 Le traduzioni pubblicate in vita comprendono: una raccolta di poesie di Eduard Mörike (1848); Il fi (...)
13Quando inaugura la sua attività di traduttrice, Vittoria è all’ombra del magistero del padre, compositore e apprezzato musicologo. La sua prima traduzione fiorisce sulla spinta della passione musicale: un testo in prosa, nel quale il compositore finlandese Bengt von Törne, allievo di Sibelius, narra la sua esperienza professionale e umana con il grande maestro (Conversazioni con Sibelius, 1843)16.
- 17 Sono a disposizione degli studiosi bibliografie ragionate degli scritti di e su Cristina Campo. Un (...)
14Le traduzioni dall’inglese, francese, tedesco e spagnolo, con le quali si confronterà lungo gli anni, non si caratterizzano per un disegno unitario, ma seguono la cifra della passione letteraria e della simpatia spontanea per l’autore tradotto17. Nella ricca attività di traduttrice si esercita la sua propensione a entrare nella vita del poeta, in perenne intimo colloquio. Margherita Pieracci Harwell, l’amica conosciuta a Firenze nel 1952, scrive:
- 18 M. Pieracci Harwell, Cristina Campo e i suoi amici, Roma, Studium, 2005, p. 3.
Devo dire che io non so di un’amicizia profonda di Cristina Campo (o di un amore) che non sia nata dalla lettura: dalla lettura di pagine in cui colui/colei che le sarebbe diventato amico aveva espresso l’essenza di sé, o dalla risposta dell’altro a scritti di Cristina, o dall’incontro con l’altro sulle pagine di uno scrittore amato18.
- 19 M. Morasso, Un’imperfetta amicizia. Cristina Campo e Rainer Maria Rilke, in M. Farnetti, F. Secchie (...)
15L’incontro sentimentale e culturale con Leone Traverso, illustre germanista, legato al circolo dell’ermetismo fiorentino, segna nel 1947 una svolta nella formazione di Cristina, iniziandola alla conoscenza di Hofmannsthal, passando con gradazioni diverse attraverso Hölderlin, Kleist, Rilke e George, poeti privilegiati del dialogo19. La frequentazione di Traverso e degli ermetici fu per Cristina il terreno fertile per il suo approccio alla traduzione, considerata un nuovo modo per riconoscersi culturalmente e professionalmente.
16La seconda tappa importante nella formazione di Cristina, riverberata anche nel campo della traduzione, si lega alla conoscenza di Simone Weil. Introdotta dal poeta e amico Mario Luzi, nel corso del tempo la scrittrice francese sarebbe diventata il punto di riferimento nella condivisione di valori e ideali.
- 20 M. Dalmati, Il viso riflesso della luna, in Per Cristina Campo, cit., p. 124.
17Il trasferimento a Roma, alla metà degli anni Cinquanta, segna una cesura con la vita precedente nel segno di una volontaria abrasione: «Poi ho scritto un testamento dove pregavo tutti di distruggere ogni mia lettera anteriore al 1957»20. Cristina entra in rapporto con il mondo intellettuale di Bobi Bazlen, Maria Zambrano, Giovanni Battista Angioletti e Alessandro Spina. Conosce Elémire Zolla, anglista, ma soprattutto studioso di storia delle religioni, con il quale intensifica il suo interesse verso il mondo della mistica. Da qui la collaborazione alla pubblicazione dei Mistici d’Occidente, ma anche la versione dei sonetti sacri di John Donne e di Giovanni della Croce. Con la sua adesione al mondo culturale di Zolla, la sua prosa si caratterizza per un’altra definizione chiave, quella di “densità”. Ne definisce i contorni Alessandro Spina, che l’incastona nel trittico lessicale di: «perfezione, densità, brevità»:
- 21 A. Spina, Perfezione e densità, in Per Cristina Campo, cit., p. 272. C. Campo, Lettere a un amico l (...)
Questa parola è preziosa perché distingue la prosa della Campo da vagoni di stagnante prosa d’arte del secolo. […] accanto alla perfezione bisogna parlare della densità di questa scrittura, altrimenti non si coglie l’essenziale21.
- 22 M. Pieracci Harwell, Cristina Campo e gli ultimi anni fiorentini, in M. Augé, L. Beconcini e R. Cre (...)
- 23 C. Campo, Lettere a Mita, Milano, Adelphi, 2008; L’ultima lettera, a cura di M. Pieracci Harwell, « (...)
- 24 Altra opera progettata e non portata a termine è Le temps revient, analizzata da N. Di Nino, Le tem (...)
- 25 C. Koschel, L’urgenza della luce. Traduzioni dal tedesco di Cristina Campo, a cura di A. Anelli, Fi (...)
- 26 Il riferimento va a H. von Hofmannsthal, Il libro degli amici. Appunti e diari. Ad me ipsum, a cura (...)
18La passione comune per la filosofia mistica di Simone Weil avrebbe segnato l’amicizia con Margherita Pieracci Harwell, che individua l’essenza di Cristina nell’«essere perfettamente autentica e intera»22. Margherita è una solerte collaboratrice e la destinataria di un’importante corrispondenza23. Lavora al progetto del Libro delle ottanta poetesse per l’editore Gherardo Casini, apparso in catalogo nel 1953, ma mai realizzato24. Per quest’antologia, tutta al femminile, erano stati coinvolti, oltre a lei stessa, traduttori suoi amici: da Traverso, a Luzi, da Gabriella Bemporad ai poeti svizzeri Remo Fasani e Giorgio Orelli, insieme alla traduttrice russa Raissa Naldi. Tutti dentro quel cerchio di elitaria intellighènzia con cui Cristina si confrontava costantemente, chiedendo e offrendo pareri anche sul tradurre. Come scrive Amedeo Anelli a commento delle traduzioni di Christine Koschel: «La formazione della sua [di Cristina] poesia segue un ordine di naturalezza. […] La traduzione per lei è continua ricerca di interlocutori e sodali, procede per lenta appropriazione e rigenerazione, costituisce una forma di possesso e di necessità»25. Le traduzioni, scrive Margherita, curatrice del volume postumo La tigre assenza, «costituiscono un ideale Libro degli amici»26.
- 27 Lettera del 18 novembre 1959, in C. Campo, Caro Bul. Lettere a Leone Traverso (1953‑1967), Milano, (...)
19Un’amicizia, tutta virtuale, ma fondata su un’assonanza con il proprio modo di intendere l’esistenza, è rappresentata dalla figura di Hölderlin, la cui poetica si modula nella commistione ossimorica di speranza e disillusione, amore e disincanto, nello svolgersi di un destino tragico, che Cristina apparenta al proprio27. Si legge in una lettera a Margherita del 29 aprile 1958:
- 28 C. Campo, Lettere a Mita, cit., p. 99.
Sono stata a Manziana gli ultimi giorni della Settimana Santa e ho letto Hölderlin tutto il giorno e tutta la notte, mentre cantavano nelle chiese i responsori della Passione. E ho cercato di accettare con umiltà il mio destino di vagabonda che in nessun luogo sa trovare risposo — di farne a poco a poco un dovere, un’intima disciplina28.
- 29 R. Fasani, con cui la Campo ha intrattenuto un legame epistolare raccolto in Un ramo già fiorito. L (...)
- 30 C. Campo, La tigre assenza, cit., p. 61.
20Di Hölderlin trascrive e traduce frammenti di poesie che invia a Gianfranco Draghi e a Remo Fasani. Amici ai quali chiede pareri sulle versioni, tuttavia senza mai pubblicarle29. Del poeta lascia solamente la traduzione di una piccola ode (Zu wissen wenig) che è un invito alla pienezza della vita, segnata dall’ansia della perdita: «Oh fossi piuttosto un fanciullo! / e come gli usignoli, in canti senza affanno, / la mia gioia cantassi»30.
- 31 Traduzione pubblicata sulla «Posta», a. I, no 8, 13 giugno 1953. Si veda, a questo proposito, Appas (...)
21Gli amici, ai quali Cristina si consegna totalmente e dai quali pretende un’assoluta sintonia, sono i confidenti dei rapporti epistolari, punteggiati da una continua ansia d’interrogazione. Il significato del suo rapporto d’amicizia sta tutto dentro una lettera che Hofmannsthal scrive al barone Georg Franckenstein nell’agosto del 1903, tradotta da Cristina: «Perché l’amicizia tanto somiglia all’amore — e sceglie con tanto impeto, e tanto si affida all’ignoto, e tanto soffre quando è delusa»31.
22Mettendo in rilievo il tema dell’amicizia come valore intellettuale e umano, coltivato da Cristina, ma legato all’aspetto della precarietà dell’esistenza, abbiamo fatto nostra la scelta di commentare un testo di Eduard Mörike, Erinna an Sappho, tradotto nel 1948 per l’editore Cederna. Un legame non effimero con quel lontano e immaginifico mondo, se nella scheda editoriale del libro delle ottanta poetesse, conservata da Margherita Pieracci, le prime due poetesse citate sono proprio Saffo ed Erinna.
3. Sulla critica del tradurre
23Sulla sua impostazione critica nel campo della traduzione, Cristina non ha scritto molto. Per quanto riguarda le prime traduzioni dal Mörike lirico, si conserva una breve nota nella quale è possibile riconoscere alcune costanti dell’intera sua attività di traduttrice. Per decodificare questi sparuti accenni, riconducendoli a un’impostazione critica traduttologica, partiamo dall’assunto in cui Cristina parla di
- 32 C. Campo, Sotto falso nome, cit., p. 189.
[…] una trascrizione italiana estremamente dimessa e rispettosa dell’originale. Nessuna pretesa di versione poetica: solo un tentativo di indicare al lettore quanto nel testo è pura melodia, col timido suggerimento di qualche ritmo non troppo lontano dall’originale intavolatura, di qualche curva sintattica che rilevi, senza tentare di imitarlo, l’impeccabile disegno del discorso tedesco32.
24Una volontà di sorvegliata reticentia che spesso inizia con la copiatura, un esercizio di modestia nei confronti dell’autore, ma che significa anche attenzione e vigilanza sul testo. In termini di critica traduttologica, le parole di Cristina riecheggiano alcune posizioni che hanno caratterizzato un momento metodologico fondamentale, rappresentato da filosofi del Romanticismo tedesco come Schleiermacher, Schlegel e Humboldt. In questo contesto filosofico, Humboldt e Herder riconoscono una tensione universale del linguaggio che partendo dalla propria Ansicht arriva all’esperienza dell’altro. In particolar modo, nel saggio Über die verschiedenen Methoden des Übersetzens (1813), Schleiermacher individua l’importanza del dato psicologico, riconducendo i pensieri alla totalità della vita dell’autore: non coniugando l’orizzonte finito del linguaggio all’infinito dello spirito, scrive Schleiermacher, l’atto del tradurre rimane incompleto.
25Se l’aspetto semantico ed epistemologico della traduzione è il problema di come si trasformino i significati da una lingua a un’altra, da testo a testo, il nodo interpretativo riguarda il significato e le condizioni in cui avviene il passaggio nei due organismi linguistici messi a confronto. La traduzione si fonda infatti sulla conoscenza e interpretazione profonda del testo nel suo aspetto semantico, nella sua pregnanza metaforica e simbolica, nella sua struttura metrica e prosodica (close reading).
26Il grande tema ermeneutico della comprensione del testo dell’altro, non deve essere visto come un dato di negatività dovuto alla distanza e all’entropia, che è l’inevitabile perdita di senso nel passaggio, ma come uno spazio positivo in cui si mostra l’alterità dell’altro soggetto e dell’altra opera.
27La distanza è vista come la struttura fondamentale del comprendere, come accesso al senso dell’altro. La traduzione naturalizzante che trasforma il testo straniero come se fosse stato scritto nella lingua d’arrivo è la negazione di quest’idea: la traduzione deve presentare lo straniero lasciando che la lingua di accoglienza sia arricchita dall’incontro.
- 33 M. Heidegger, Osservazione sulla traduzione, trad. it. di D. Galasso, inTRAlinea, testi a fronte 19 (...)
28Nel 1941, nelle Osservazioni sulla traduzione, Heidegger riassume e fissa alcuni punti ineludibili per la critica traduttologica. Tenendo ferma la lezione dei romantici tedeschi, il filosofo afferma che non ci deve essere senso di fallimento nel tradurre anche se non esiste la possibilità che una lingua possa essere completamente sovrapponibile nei suoi significati. La traduzione, scrive Heidegger, necessita di un processo che «può portare alla luce connessioni presenti nella lingua tradotta, ma non esplicite. Da qui riconosciamo che ogni tradurre dev’essere un’interpretazione»33. Tuttavia, prosegue Heidegger, è altrettanto importante che l’atto dell’interpretare, nel momento in cui porta alla luce e rende comprensibile il senso, non proceda sulla via dell’assimilazione. Comprensione del testo non si deve intendere come operazione di domesticating (secondo le parole di Lawrence Venuti), ma ricerca della verità dell’opera che emerge dalla disponibilità del traduttore a non rincorrere il senso comune, ma a lasciarsi andare alla distanza. Schleiermacher aveva parlato della comprensione come Verfremdung, straniamento linguistico.
29In un saggio sulla traduzione, Guido Paduano analizza con chiarezza la condizione del traduttore, cui spetta la difficile sfida intellettuale di rispettare l’alterità del testo nella sua forma esclusiva, divenendo, nel contempo, l’artifex della sua rinascita:
- 34 G. Paduano, Tradurre, in M. Lavagetto (a cura di), Il testo letterario. Istruzioni per l’uso, Roma (...)
Da un lato infatti l’approccio del traduttore realizza la massima identificazione […] qualcosa che passa per la carnalità quotidiana dell’esperienza, trasferendovi tutte intere le valenze intellettuali ed emotive che appartengono al sistema espressivo originario. […] Dall’altro lato, è ancora la traduzione l’atto di maggiore distanziamento che possa prodursi nei confronti di un testo: giacché quella medesima ricchezza così conquistata deve riacquistare forma di linguaggio in un universo del tutto estraneo alle condizioni originarie, usando mezzi e seguendo norme che gli sono propri ed esclusivi34.
30Nell’ambiente degli ermetici fiorentini, dove Cristina fa il suo apprendistato alla traduzione, il movimento aveva guardato con grande interesse alle letterature straniere, facendosi promotore di traduzioni importanti, soprattutto poetiche. In questo flusso di conoscenze, la lingua poetica, normata su modelli della tradizione, si apriva verso l’altro, un dato fatto di novità, soprattutto stilistiche. L’interesse dei traduttori era rivolto alla ricerca dei fattori musicali e ritmici, con un’attenzione all’elemento significante come luogo da cui distillare anche il senso. La traduzione guardava alla parola dai confini fluidi che non si definiscono totalmente anche se legati a un campo semantico preciso. Ciò che resta sotto la forza del significato è il senso del mistero che si presta all’interpretazione. In tal modo, gli elementi formali funzionano come reagente per far affiorare il sottinteso, il non detto del discorso, confermando alla parola poetica il suo statuto di plurivocità, che non può essere completamente decifrato.
- 35 M. Domenichelli, Le traduzioni all’epoca degli ermetici, in A. Dolfi (a cura di), L’Ermetismo e Fir (...)
- 36 M. Pieracci Harwell, Senza fine divengo ciò che sono, in A. Dolfi (a cura di), L’Ermetismo e Firenz (...)
31Leone Traverso parlava dell’esercizio traduttivo come di un lavoro “ispirato”, un punto di partenza che trasformava l’anxiety of influence in un vero e proprio campo di prova. Traverso traduce, soprattutto, musica e ritmi, con accenti marcati verso il fluire del suono35. La qualità poetica di Traverso viene evidenziata nelle parole di Carlo Bo che ne parla come di «un poeta che è rimasto segreto», essendosi dedicato principalmente alla traduzione. Tuttavia, in questa attività era «“poeta in proprio” anche quando vestiva gli umili panni del traduttore»36.
- 37 In M. Domenichelli, Le traduzioni all’epoca degli ermetici, cit., p. 246.
32Le versioni di Traverso, fedeli all’originale, ma non per mimesi lessicale, potevano divenire ricreazioni del testo, assecondando, un po’ provocatoriamente, l’idea che la traduzione aveva il compito di migliorare, perfezionare l’originale. La traduzione, dunque, era intensa come un’attività che doveva incentrarsi sulle capacità ermeneutiche, ma non disgiunte da qualità creative, vere «traduzioni poetiche», nelle parole di Carlo Bo. Per Piero Bigongiari, «il traduttore è un fluido entro il quale deve sciogliersi, per ricomporsi su altre basi, quel fragile castello che è la poesia»37.
4. Un esempio di traduzione: il Mörike lirico
- 38 Sul rapporto con Luzi, si veda M. Pieracci Harwell, Senza fine divengo ciò che sono, cit.
- 39 V. Scuderi, La bellezza per soprammercato. Le traduzioni dal tedesco di Cristina Campo, Catania, Cu (...)
- 40 Recente l’edizione: E. Mörike, Poesie, a cura di C. Campo con una premessa di M. Sannelli, Semivirt (...)
33Acclarata dagli studi l’influenza degli amici del circolo fiorentino sulla vita di Cristina e sullo stile della sua scrittura, resta da fare qualche cursoria considerazione in re sulla sua impostazione di traduttrice38. Si è detto del rapporto con Leone Traverso a favorire le prime prove di traduzione dal tedesco, un esercizio di attenzione travasato anche nella poesia in proprio39. In questo interesse per il mondo poetico d’oltralpe, fortemente manifestato dagli ermetici, la prima scelta cade sulla produzione di Eduard Mörike. Nel 1948 viene dato alle stampe, per l’editore Cederna, un volumetto di versioni (venti per la precisione) tratte dalla quarta edizione dei Gedichten (1867)40. Si tratta dello stesso editore con il quale Traverso stava curando le opere di Hofmannsthal. I Lieder di Mörike, messi in musica da Hugo Wolf, erano probabilmente noti al padre di Cristina.
- 41 Mörike si formò all’Evangelisches Stift di Tubinga, il collegio dove avevano studiato Hölderlin, He (...)
- 42 C. Campo, Sotto falso nome, cit., p. 189.
- 43 R. Fasani, Le traduzioni da Mörike, in Per Cristina Campo, cit., pp. 165‑171; M. Baccelli, Autoritr (...)
34Mörike non è presente tra gli autori tradotti da Traverso e, in quegli anni, era ancora poco noto in Italia. In molta sua poesia aleggiano un’aura fiabesca e una musicalità che si affianca alla perizia esercitata sull’eco di metri classici41. Cristina saggia una certa affinità poetica mentre evidenzia i contrasti interessanti della personalità di Mörike: «natura e religione, paganesimo e cristianità, amor sacro e amor profano [si fondono nel] l’ansiosa innocenza di un animo perennemente fanciullo»42. Nelle traduzioni, che risentono degli influssi dell’ambiente fiorentino degli ermetici, rispetto al «severo ellenismo» di Mörike, Cristina riconoscerà di aver usato un «un gusto “troppo prezioso”», prendendo in un secondo tempo caute distanze da quella esperienza43.
- 44 Le traduzioni di Mörike precedenti a quelle della Campo sono: Liriche scelte tradotte da Tomaso Gno (...)
35Negli anni Quaranta, quando Cristina traduce Mörike, le sue poesie avevano conosciuto due edizioni in forma antologica. Nel 1923 Tommaso Gnoli pubblica per Le Monnier Liriche scelte e nel 1939 Emilio Weidlich Canti scelti per Carabba44. Cristina conosce queste due pubblicazioni e inserisce nella sua plaquette antologica la maggior parte delle liriche tradotte da Weidlich. Le poesie di Mörike tradotte da Vittoria sono accompagnate da una nota breve:
- 45 C. Campo, Sotto falso nome, cit., pp. 189‑190.
In questo piccolo volume è riunito quanto della lirica di Mörike ha voluto piegarsi ad una trascrizione italiana estremamente dimessa e rispettosa dell’originale. […] Alle liriche più squisitamente mörikiane — limpide note d’uccello, notturne vibrazioni d’arpe eolie, ove natura e religione, paganesimo e cristianità, amor sacro e amor profano fonde l’ansiosa innocenza di un animo perennemente fanciullo — ho voluto aggiungere qualche saggio della “maniera classica” del poeta. Che d’altra parte, pur lavorandole all’incudine del più severo ellenismo, nulla toglie alle immagini della loro nordica e trasognata luminosità45.
- 46 Ivi, p. 190.
- 47 C. Campo, Parco dei cervi, in Gli imperdonabili, cit., p. 145.
36Dichiarato l’atteggiamento simpatetico per il personaggio Mörike, «colui che prediligeva Mozart quando l’Europa intera apparteneva a Beethoven: che giocava coi bambini, parlava con gli alberi e faceva dell’amicizia una religione»46, Vittoria espone alcune brevi considerazioni sul suo modo di tradurre con l’intenzione di privilegiare una poetica del ritmo, restituendo il testo «non come semplice specchio, ma come un’eco»47. Il grande tema ermeneutico, cioè la comprensione del testo dell’altro, deve unire l’intendimento della lingua all’interesse per l’interiorità, nei modi in cui anche gli elementi inconsci parlano in un testo.
37Analizzando le traduzioni di Mörike, l’amico Remo Fasani formula alcune considerazioni che toccano la qualità estetica dei testi. Fasani parla della poesia di Mörike come di un miracolo per la fusione dei due stili, alto (la musica nobile dei giambi) e popolareggiante (il ritmo del dattilo). Possiamo aggiungere a queste osservazioni come la presenza nelle traduzioni di echi leopardiani («primavera / nuovamente nell’aria»; «Frühling […] / Wieder flattern durch die Lüfte»), o montaliani («dai riccioli ti liberavo la fronte»; «ich strich dir die Locken / Aus der Stirne») sostengano una lingua anche fortemente evocativa.
- 48 R. Fasani, Le traduzioni, cit., pp. 166‑167.
38Attraverso alcuni esempi, Fasani evidenzia quindi nelle traduzioni di Cristina la preferenza per uno stile dotto, che nobilita lessico e sintassi, ma trascura gli aspetti più colloquiali della lingua. Gli esiti vanno spesso nella direzione di una poesia colta, in cui le modulazioni dei vari registri linguistici sono omologate verso l’alto. A conferma, dimostra come spesso Cristina faccia uso di un’aggettivazione in eccesso. A fronte di tali considerazioni, Fasani conclude che si tratta di «traduzioni ben riuscite, e in generale di ottima fattura: ma più nelle poesie in cui i due stili sono fusi e non in quelle dove sono distinti o persino giustapposti»48.
- 49 M. Pieracci Harwell, Il sapore massimo di ogni parola, in La tigre assenza, cit., p. 284. In quel p (...)
39Le traduzioni di Mörike, «un libro tanto vecchio da non esser più di Vie», come scrive nella dedica a Margherita, offrono, in realtà, l’esperienza del passaggio verso l’ideale di «uno stile nudo»49. A parte la posizione in understatement, le aggettivazioni “dimesso” e “rispettoso” della nota indicano che la traduttrice non intende ricreare o migliorare il testo, ma assecondare una posizione di discrezione, adeguandosi al dettato autoriale. Nelle intenzioni di Cristina, il tratto linguistico distintivo si qualifica come trascrizione quasi parola per parola, a sostegno di una sintassi della Verfremdung.
- 50 Deutsches Dichterbuch aus Schwaben, Stuttgart, Ebner, 1864, pp. 278‑280.
- 51 D. Fischer-Dieskau, Mörike-Lieder di Hugo Wolf e altri scritti su Wolf e Mörike, Asti, Analogon, 20 (...)
40Tra queste poesie prendiamo come paradigma di analisi il testo dal titolo Erinna an Sappho che fu pubblicato da Mörike nel 1864 nel Deutsches Dichterbuch aus Schwaben50. La poesia entra quindi nella quarta edizione dei Gedichte del 1867. Il testo tedesco fu musicato da Hugo Wolf come Lied per pianoforte e voce solista51.
41Per semplici tangenze letterarie (linguistiche, metriche, stilistiche) i testi di Erinna vennero accostati a quelli della tradizione precedente, dilatandone i termini cronologici. Questo fece nascere il mito, consolidatosi in età bizantina, di Erinna coetanea di Saffo, come recita la Suda: «Fu compagna di Saffo e sua contemporanea». La convinzione, che rimase salda per tutto l’Ottocento, venne messa in discussione dagli studi filologici dell’inizio del ’900, collocando l’attività di Erinna al IV secolo. Le notizie più antiche su Erinna ci vengono dall’Antologia palatina, in cui sono tramandati due aspetti cardine del suo personaggio: la qualità poetica, simbolicamente rappresentata dalla dolcezza del miele, e la sua morte prematura. L’epigramma di anonimo (IX, 190) recita: «Questo è un favo di Lesbo, d’Erinna: / una piccola cosa, / che le Muse colmarono di miele». Sempre di Anonimo (VII, 12):
Fresco il tuo parto — un maggio ridente di canti di miele
fresca al labbro di cigno la favella,
quando nell’Ade ti spinse, sull’onda larga dei morti,
la Parca, che conocchia regge e fila.
L’alta fatica dei versi proclama che morta non sei,
Erinna, e danzi con le Muse in coro.
42Meleagro (VII, 13) la definisce: «Vergine ape novella fra tutti i poeti, mieteva / fiori di Muse Erinna. All’imeneo / Ade la trasse di forza. Con quanta ragione la bimba / “Ade — diceva — tu maligno sei”!».
- 52 T. De Banville, Érinna, in Les Exilés, Paris, Alphonse Lemerre, 1890, pp. 99‑103.
43Di Erinna parla Théodore De Banville nella lirica intitolata al suo nome (Érinna, 1861)52. Anche Rilke scrive due poesie su modello delle Eroidi: Sappho an Eranna, Eranna an Sappho, dove si testimonia che il nome più comunemente usato per definire la sodale di Saffo era proprio quello della giovane.
44Nel XIX secolo, Saffo era conosciuta come poetessa e signora del Tiaso. Partendo dall’Ode ad Aphrodite in cui invoca la dea e la prega di non farle soffrire pene d’amore, i molti testi di poeti romantici e decadenti rappresentano Saffo come modello dell’intensità dei sentimenti. Della “decima Musa”, secondo le parole di Platone, hanno preferito cogliere l’aspetto di donna innamorata e non ricambiata, che ha saputo raccontare l’amore con accenti dolorosamente profondi. Molta pittura dell’Ottocento la rappresenta nel momento del suicidio dalla rupe di Leucade, mentre Leopardi ne scolpisce le ultime parole (Ultimo canto di Saffo).
- 53 Il quadro è ora esposto alla Tate Gallery di Londra. Swinburne compose una poesia intitolata Anacto (...)
45Nel febbraio del 1864, il pittore preraffaelita Simon Solomon espone un quadro intitolato Sappho and Erinna in a Garden of Mytilene. Salomon e Swinburne esercitarono un ruolo fondamentale per consolidare la tradizione che unisce l’immagine di Saffo come poetessa e amante in un contesto omoerotico53.
- 54 Un dettagliato intervento esegetico, metrico e tematico sul testo Erinna an Sappho è condotto da H. (...)
46Nel poemetto di Mörike, datato 1864, è appariscente la tradizione palatina per la riproposizione dei due temi cardine che definiscono Erinna: la poesia e la morte prematura, che Cristina deve aver sentito suoi. Per il personaggio di Saffo, Mörike non considera l’aspetto omoerotico della biografia, ma solo quello della paideia. Questo, secondo Hans Bernsdorff, deriverebbe dalla datazione più alta della lirica, ascrivibile secondo alcune testimonianze intorno al 1851, quando Mörike stava insegnando al collegio femminile di Stoccarda e fondamentale gli appariva il compito di trasmettere valori educativi anche attraverso testi inseriti nel canone d’insegnamento54.
47Il paratesto della poesia illustra la posizione di Mörike nei confronti della tradizione biografica delle due poetesse:
- 55 Mörike non poteva sapere dell’esistenza del poemetto La conocchia, tramandatoci da un papiro scoper (...)
Erinna, fu una giovane poetessa molto apprezzata nell’antica Grecia, circa 600 a.C., amica e allieva di Saffo a Mitilene in Lesbo. Morì fanciulla all’età di diciannove anni. La sua opera più famosa è un poemetto epico, “Il fuso”, di cui non si sa più nulla. Della sua poesia sono sopravvissuti solo pochi frammenti di pochi versi e tre epigrammi. Le furono erette due statue e l’antologia ha diversi epigrammi in suo onore di autori diversi55.
48Nella traduzione di Tomaso Weidlich l’avantesto è ridimensionato, riducendosi ai due temi cardine: «Erinna, poetessa greca; amica e allieva di Saffo a Lesbo. Morì fanciulla a diciannove anni». Così anche la premessa alla traduzione della Campo che probabilmente riprende Weidlich. L’ambiente è quello del Tiaso, in cui si esercita la paideia, il culto della bellezza e dell’amicizia, due aspetti molto importanti per Cristina, declinati con passione per tutta la sua vita.
- 56 M. Pieracci Harwell, Cristina Campo e i suoi amici, cit., pp. 2‑3.
49In questa poesia forse s’adombra il rapporto con la sua prima grande amica, Anna Cavalletti, morta a diciotto anni sotto le bombe, nel settembre del 1943, a Firenze. Sul loro legame, Margherita Pieracci scrive: «Non mi stanco di ripetere che ogni amicizia di Cristina — fin da quella che rimase per lei il modello, con Anna Cavalletti, degli anni tra fanciullezza e adolescenza — fu innanzi tutto condivisione di letture e di ideali di scrittura»56.
- 57 Ivi, pp. 5‑6.
- 58 H. von Hofmannsthal, Il libro degli amici, cit., p. 226.
50L’amicizia per Cristina è un sentimento complesso che nasce da un’affinità sentimentale e intellettuale, consolidandosi intorno alla lettura. Ancora Margherita: «Come ogni amicizia [...] per Cristina, fu un sodalizio letterario, così ogni sua fervida lettura fu […] amicizia»57. Tradurre la poesia di Mörike era un po’ come parlare di un sentimento di amicizia, sostenuto dalla perfezione della bellezza e della poesia, come sentire a distanza di secoli un rapporto pulsante. L’insegnamento veniva ancora una volta da Hofmannsthal: «Uno dei maggiori privilegi che il sentimento di sé dà all’artista è quello di scegliersi le proprie relazioni spirituali senza esser legato al tempo»58.
51Il titolo Erinna an Sappho rinvia esplicitamente alle epistole amorose delle Eroidi ovidiane. La lamentazione di Erinna, che profetizza la propria morte, riconduce il poemetto anche alla trenodia, che è tema assoluto della lirica della poetessa. Il discorso dell’io poetico, in una successione di momenti meditativi, è rivolto a Saffo. Erinna parla di sé, dei suoi presentimenti di morte, della sua amicizia, ma anche della poesia. Si tratta, dunque, anche di un testo metapoetico, che si conclude con la rappresentazione del dono di Saffo a Erinna: un velo ricamato con api dorate. Nel dono si metaforizza il senso del rapporto di educazione alla poesia, cui allude la simbologia delle api in ripresa dell’Antologia palatina.
5. Il testo in traduzione
- 59 Il testo si compone di 41 versi suddivisi in 5 stanze di varie misure.
- 60 H. Bernsdorff, Eduard Mörike als hellenistischer Dichter, cit., p. 69: «Con Erinna a Saffo, Mörike (...)
52Dal punto di vista metrico, il poemetto di Mörike si presenta in versi sciolti di varie misure, con certe parti abilmente modulate per ritmo e accenti sull’esametro59. Scrive Hans Bernsdorff: «Mit Erinna an Sappho verfasst Mörike ein ‘modernes’ deutsches Gedicht, das in Form und Inhalt besonders stark antikisiert»60. Dove per “antikisiert” si allude all’interesse di Mörike per la poesia ellenistica e arcaica con il ricorso a vari generi poetici classici e a temi mitologici.
53La traduzione di Weidlich è in endecasillabi non rimati, mentre Cristina rende bene il metro libero dell’originale con sciolti di varie lunghezze. Accanto alla traduzione di Weidlich (Gnoli non traduce il testo in questione), Cristina doveva conoscere anche la versione di Ugo Natoli, pubblicata, insieme all’Arpa di Eolo, nella rivista «Maestrale», nel gennaio del 1941.
- 61 V. Mengaldo, Il linguaggio della poesia ermetica, in Id., La tradizione del Novecento, Torino, Eina (...)
54La prossimità di questi esperimenti con la poesia degli ermetici non risiede tanto nella volontà di intervenire sul testo per adattarlo, ma nell’uso di alcuni stilemi sintattici e stilistici61. Questa propensione si manifesta nei preziosismi lessicali, nella presenza dell’ipotassi e di una dispositio inversa, ricca di iperbati e anastrofi. Caratteristico della poesia ermetica è l’uso della preposizione “a” in luogo di altre preposizioni e nella preferenza nell’uso di plurali invece di singolari con effetto evocativo e d’indeterminatezza. Stilemi che permangono nelle traduzioni e anche nella poesia in proprio di Cristina. Alto l’uso delle figure sintattico-retoriche, come l’enallage che è ancora stigma ermetico: «Soave arrida»; l’ipallage: «sangue / nelle vene volubile», dove i termini sono ad alto scarto linguistico: «Notte vertiginosa del baratro». Si registrano anche gli accusativi alla greca: “Pallida ancora la gota”; “Arida ancora la pupilla”; latinismi come “brune anella”. Vicine all’uso degli ermetici sono le soluzioni che vedono il sostantivo assoluto con la soppressione dell’articolo, in particolare quello determinativo: «presagisci morte»; «Come freccia mortale, / nera piuma rade la tempia»; «Rara trama di bisso».
- 62 H. Meschonnic, Critique du rythme. Anthropologie historique du langage, Lagrasse, Verdier, 1982, p. (...)
55Molta attenzione viene riservata anche al ritmo che, scrive Henri Meshonnic, «non è un segno. Esso mostra che il discorso non è fatto solamente di segni»62. Con la scelta di questi elementi, unitamente ad assonanze e allitterazioni, il testo tradotto da Cristina si pone come rispettoso dell’originale e incline a presentarsi nella sua distanza autoriale.
56Il poemetto si apre con la citazione di una vecchia canzone in cui si ricorda agli uomini la caducità della vita: «„Vielfach sind zum Hades die Pfade“, heißt ein / Altes Liedchen — „und Einen gehst du selber, / Zweifle nicht!“». Mörike parla di una “Liedchen”, di una “canzoncina”, ma non si può tuttavia escludere che il richiamo vada al Fedone, in cui si dice che le strade per l’Ade sono molte e non facili:
- 63 Platone, Fedone, trad. e note di N. Marziano, intr. di E. Savino, Milano, Garzanti, 1975, pp. 163‑1 (...)
È chiaro che il cammino non è come dice Telefo in Eschilo, il quale assicura che una strada diritta conduce all’Ade; e, invece, per me, essa non è né semplice, né una sola, perché, in tal caso, non ci sarebbe bisogno di guida e nessuno sbaglierebbe direzione, se così fosse. Pare, invece, che essa abbia molte diramazioni e biforcazioni63.
- 64 Natoli traduce letteralmente «Molteplici sono all’Ade i sentieri»; Gnoli traduce: «Agl’Inferi si va (...)
57Cristina traduce: «“Molteplici sono i sentieri dell’Ade”, ripete / una vecchia canzone “e di quelli tu stessa / uno ne prenderai, non v’è dubbio”». Si coglie bene in Cristina la semantica di “vielfach” che non è semplicemente “molti”, ma anche “diversi”64. Erinna risponde dichiarando il senso profondo del cotidie morimur: «Wer, süßeste Sappho, zweifelt? / Sagt es nicht jeglicher Tag?», che nella traduzione suona letteralmente: «Ma chi, / o dolcissima Saffo, ne dubita? / Forse non lo ripete ogni giorno?». Erinna, tuttavia, ribadisce che il senso di una tale convinzione si affievolisce negli uomini con la quotidianità del vivere. Immagine reificata nella felice similitudine con cui Erinna paragona la dimenticanza dell’essere mortali all’annullamento del suono delle onde per chi vive sul mare:
Doch den Lebenden haftet nur leicht im Busen
Solch ein Wort, und dem Meer anwohnend ein Fischer von Kind auf
Hört im stumpferen Ohr der Wogen Geräusch nicht mehr.
58In questo passaggio, Cristina asseconda la sintassi del testo tedesco, impostata riecheggiando efficacemente l’andamento classicheggiante, con l’uso dell’ipotassi, ma soprattutto attraverso una dispositio inversa ricca di iperbati e anastrofi:
59Notiamo l’uso di preziosismi lessicali come «Ottuso orecchio», desunto dal lessico musicale; più oltre troviamo “Pettine aulente”; il desueto, ma letterale “Velo dei capelli” (“Haarschleier”). Appariscente qui l’uso della preposizione “a” in luogo di altre preposizioni: «Né sente […] All’ottuso orecchio»; e più avanti: «Irrorato alle vette degli alberi»; «Stranamente allo specchio / mi colpì». Erinna prosegue richiamando l’attenzione di Saffo al suo racconto con l’allocutorio: «Vernimm!», «Ascolta!». Tutto accade in un mattino di sole:
Sonniger Morgenglanz im Garten,
Ergossen um der Bäume Wipfel,
Lockte die Langschläferin (denn so schaltest du jüngst Erinna!)
Früh vom schwüligen Lager hinweg.
Mattinale splendore in giardino
Irrorato alle vette degli alberi,
lusingava la lungodormente (così tu celiavi
ancor ieri Erinna) a lasciare
per tempo gli afosi guanciali.
60Cristina traduce con un’attenzione a mantenere alcune peculiarità come l’omerismo “Langschläferin”, “Lungodormente”; mentre addolcisce il significato di “schalten”, “rimproverare” con il verbo colto “celiare”. L’uso del plurale “afosi guanciali” sostituisce il più preciso “Lager” che gli altri traduttori rendono con “giaciglio” (Natoli) e “letto” (Weidlich). Il sintagma ricercato “Mattinale splendore” è anche nella traduzione di Natoli. Erinna definisce il suo stato d’animo:
Stille war mein Gemüth; in den Adern aber
Unstet klopfte das Blut bei der Wangen Blässe
Silenzioso era l’animo mio; ma pulsava il mio sangue
nelle vene volubile, pallida ancora la gota.
61Guardandosi allo specchio, Erinna incrocia il suo sguardo e riflette:
Als ich am Putztisch jetzo die Flechten lös’te,
Dann mit Nardeduftendem Kamm vor der Stirn den Haar-
Schleier theilte, — seltsam betraf mich im Spiegel Blick in Blick.
E come allo specchio le trecce scioglievo
E sulla fronte spartivo col pettine aulente di nardo
Il velo dei capelli: stranamente allo specchio
mi colpì del mio sguardo lo sguardo.
62Quindi intravede alle spalle beffardo il suo dèmone, messaggero di morte:
Augen, sagt’ ich, ihr Augen, was wollt ihr?
Du, mein Geist, heute noch sicher behaus’t da drinne,
Lebendigen Sinnen traulich vermählt,
Wie mit fremdendem Ernst, lächelnd halb, ein Dämon,
Nickst du mich an, Tod weissagend!
Occhi, io dissi, miei occhi, che mai volete?
E tu mio spirito che oggi sicuro li abiti ancora,
fidente sposo dei vivi sensi, oh come
gelido e grave, quasi in un riso, Dèmone,
a me fai cenno e presagisci morte!
63Un sussulto invade improvvisamente la giovane, come se fosse sfiorata da una freccia. L’immagine si contamina con le allegorie medievali della morte che scaglia frecce:
— Ha, da mit Eins durchzuckt’ es mich
Wie Wetterschein! wie wenn schwarzgefiedert ein tödtlicher Pfeil
Streifte die Schläfe hart vorbei
Ah repentino allora il guizzo mi corse
Del lampo! Come freccia mortale,
nera piuma, rade la tempia…
64Quasi impietrita, Erinna vede spalancarsi il baratro in cui si conclude l’esistenza:
- 66 Discorsiva la traduzione di Weidlich: «sì ch’io rimango sbigottita a lungo, / coprendomi la faccia (...)
Daß ich, die Hände gedeckt auf’s Antlitz, lange
Staunend blieb, in die nachtschaurige Kluft schwindelnd hinab.
E, nelle mani il viso, a lungo fissavo, travolta,
la notte vertiginosa del baratro66.
65La traduzione, debitamente rimodulata, accentua i toni tragici, soprattutto in quell’incidentale “travolta” che rende il meno semanticamente carico “Staunend blieb”. Il luogo poetico richiama la condizione estrema del leopardiano Canto notturno, in cui il “vecchierel” conclude la sua esistenza in un «abisso orrido, immenso, / ov’ei precipitando, il tutto obblia» (vv. 35‑36). Al pensiero della caducità della vita si affianca il dolore per la perdita delle amiche e dell’arte poetica:
Und das eigene Todesgeschick erwog ich;
Trockenen Augs noch erst,
Bis da ich dein, o Sappho, dachte,
Und der Freundinnen all’,
Und anmuthiger Musenkunst,
Gleich da quollen die Thränen mir.
E meditai sul mio fato di morte,
arida ancora la pupilla,
finché a te, Saffo, pensai,
e alle compagne tutte,
e all’arte delle Muse leggiadra —
subito mi sgorgarono le lacrime.
66Erinna si riprende dall’incubo guardando il dono di Saffo: “dort”, reso con il frequente deittico “laggiù”, vede una preziosa rete di bisso ricamata con api d’oro, simbolo della poesia:
Und dort blinkte vom Tisch das schöne Kopfnetz, dein Geschenk,
Köstliches Byssosgeweb, von goldnen Bienlein schwärmend.
E laggiù scintillava la fine reticella, il tuo dono,
rara trama di bisso, sciame d’api dorate…
- 67 H. von Hofmannsthal, Il libro degli amici, cit., p. 27.
67Questi versi definiscono il valore dell’amicizia che si manifesta nel dono di un oggetto, forma reificata di un sentimento che si esprime in modo più efficace che non attraverso la parola. Scrive Hofmannsthal nel Libro degli amici: «Ciò che gli amici sono veramente l’uno per l’altro si può spiegare meglio con lo scambio di un anello o di un corno fatato che non con la psicologia»67. Con l’offerta del velo a Persefone, divinità duplice, durante la sua permanenza sulla terra, Erinna trasforma il dono in un atto di sudditanza, nell’intenzione d’ingraziarsi la dea per un futuro felice per lei e Saffo. Erinna sa che la vita è cosa fragile, come pure la poesia, che va protetta.
Dieses, wenn wir demnächst das blumige Fest
Feiern der herrlichen Tochter Demeters
Möcht’ ich ihr weihn, für meinen Theil und deinen;
Così, quando la prossima festa si celebri
fiorente, dell’augusta figlia di Demetra, a lei
io consacrarla vorrei, per la tua sorte e la mia;
- 68 Con il taglio dei capelli, si ricordano riti diversi: alle bambine si tagliavano le chiome quando e (...)
68Erinna scongiura il gesto finale del taglio dei ricci della chioma68:
Daß sie hold uns bleibe (denn Viel vermag sie),
Daß du zu früh dir nicht die braune Locke mögest
Für Erinna vom lieben Haupte trennen.
che a noi soave arrida (molto ella è potente),
che tu le brune anella troppo presto non abbia
per Erinna a recidere dall’amabile chioma.
69Probabile ancora un’eco dal Fedone di Platone, quando Socrate chiede a Fedone di non tagliare i capelli in segno di lutto per la sua prossima morte:
- 69 Platone, Fedone, cit., p. 129.
Cominciò ad accarezzarmi il capo, lisciandomi i capelli che mi scendevano sul collo […] «Forse domani, Fedone, ti taglierai questi bei capelli», mi disse. «Oh, sì Socrate, è naturale», gli risposi. «E invece, no, se mi ascolterai»69.
- 70 C. Campo, Gli imperdonabili, cit., p. 82.
- 71 C. Campo, Lettere a Mita, cit., p. 99.
- 72 W. Benjamin, Il compito del traduttore, in Angelus novus, Torino, Einaudi, 1962.
70Se per suo intrinseco statuto, la traduzione non è assoluta, ma costituita nella provvisorietà, aperta all’imperfezione e alla variazione metamorfica, essa risponde a una lingua che nasce «per virtù di stupore», innervando il concetto platonico del thaumazein70. Il testo di Mörike, nel suo complesso impasto tematico-stilistico, viene reso nella traduzione di Cristina con una sensibilità che richiama l’impostazione dei primi romantici tedeschi per i quali la traduzione non deve far sentire l’estraneo (das Fremde), ma l’estraneità, die Fremdheit, la distanza in cui si fa esperienza dello straniero. Nelle traduzioni campiane, si può affermare che il processo euristico si manifesta nel lasciar ‘scuotere’ la propria lingua al contatto con la lingua dell’altro, riconoscendo come terreno privilegiato d’indagine l’opera di quell’Hölderlin delle traduzioni di Sofocle dal quale Cristina non era riuscita a sollevare gli occhi dalla lettura «tutto il giorno e tutta la notte»71. Per definire questo rapporto di scambio linguistico, Benjamin usa verbi come überleben e fortleben, nel senso di accesso dell’originale a una vita superiore in una sopravvivenza storica72.
- 73 M. Heidegger, Sentieri interrotti, cit., p. 296.
71Anche nell’esercizio del tradurre, Cristina si riconosce in quella cerchia di poeti i quali, scrive Heidegger, «dicono il taciuto» e la parola si fa espressione fondante dell’esserci73. In questi primi esercizi da Mörike, Cristina, dunque, imposta la sua lezione di traduttrice, alla quale, in modo più o meno significativo, resterà fedele negli anni. Puntando l’attenzione al testo, riconosce quale sia il valore poetico e filosofico di cui è portatore, mentre restituisce con la traduzione l’immagine della differenza attraverso quella lingua retoricamente rarefatta e icastica nel contempo, mutuata dai poeti dell’ermetismo fiorentino.
Notes
1 Una biografia della Campo è oggi ripercorribile in C. De Stefano, Belinda e il mostro. Vita segreta di Cristina Campo, Milano, Adelphi, 2002.
2 C. Campo, Attenzione e poesia, in Gli imperdonabili, Milano, Adelphi, 1987, p. 167.
3 C. Campo, Gli imperdonabili, cit., p. 73. Si veda la postfazione di G. Ceronetti, Cristina Campo o della perfezione, ivi, pp. 277‑282.
4 C. Campo, Parco dei cervi, in Gli imperdonabili, cit., p. 151.
5 M. Heidegger, Sentieri interrotti, trad. it. di P. Chiodi, Firenze, La Nuova Italia, 1982, p. 296. F. Hölderlin, Poesie, a cura di G. Vigolo, Milano, Mondadori, 1986, pp. 236‑237: «Ma ciò che resta, fondano i poeti».
6 M. Cacciari, Introduzione a M. Farnetti e G. Fozzer (a cura di.), Per Cristina Campo, Atti delle giornate di studio su Cristina Campo, Milano, All’insegna del pesce d’oro, 1998, pp. 13‑17. Si veda inoltre: A. Donati e T. Romano (a cura di), L’opera di Cristina Campo. Al crocevia culturale del Novecento europeo, Atti del Convegno Nazionale di Studi campiani, Palermo, 28 febbraio-1o marzo 2006, Palermo, Provincia Regionale di Palermo, 2007.
7 C. Campo, In medio coeli, in Gli imperdonabili, cit., p. 18.
8 Gli interventi di Cristina sui giornali e nelle riviste sono quasi tutti raccolti nei volumi Sotto falso nome, La tigre assenza, Gli imperdonabili. Le trasmissioni radiofoniche vanno dal 1956 al 1960.
9 C. Campo, Con lievi mani, in Gli imperdonabili, cit., p. 104.
10 C. Campo, Detti e fatti dei Padri del deserto, in Gli imperdonabili, cit., p. 215.
11 C. Campo, Gli imperdonabili, cit. Nota firmata C.C. alla sezione Il flauto e il tappeto.
12 C. Campo, Gli imperdonabili, cit., p. 84.
13 C. Campo, La tigre assenza, Milano, Adelphi, 1991, p. 28.
14 Si veda il saggio di G. Scarca, Nell’oro e nell’azzurro. Poesia della liturgia in Cristina Campo, Milano, Àncora, 2010.
15 C. Campo, Attenzione e poesia, in Gli imperdonabili, cit., p. 166.
16 Le traduzioni pubblicate in vita comprendono: una raccolta di poesie di Eduard Mörike (1848); Il fiore è il nostro segno (1958) e Poesie (1961) di William Carlos Williams; la seconda in collaborazione con Vittorio Sereni. Di Simone Weil Venezia salva (1963); La Grecia e le intuizioni precristiane (1967), quest’ultima tradotta insieme a Margherita Pieracci Harwell. Seguono le versioni di John Donne, con il titolo Poesie amorose, poesie teologiche (1971). Con Piero Draghi Cristina cura il libro Detti e fatti dei Padri del deserto (1975) traducendo da testi francesi e inglesi.
17 Sono a disposizione degli studiosi bibliografie ragionate degli scritti di e su Cristina Campo. Un lavoro di ricomposizione degli scritti si è concretizzato nei volumi editi postumi da Adelphi: Gli imperdonabili, a cura di Margherita Pieracci Harwell, con una nota di Guido Ceronetti (1987); tutte le sue poesie e molte traduzioni poetiche sono in La tigre assenza, a cura di Margherita Pieracci Harwell (1991); Sotto falso nome, a cura di Monica Farnetti (1998). È in corso una sistematica pubblicazione degli epistolari.
18 M. Pieracci Harwell, Cristina Campo e i suoi amici, Roma, Studium, 2005, p. 3.
19 M. Morasso, Un’imperfetta amicizia. Cristina Campo e Rainer Maria Rilke, in M. Farnetti, F. Secchieri e R. Taioli (a cura di), Appassionate distanze: letture di Cristina Campo, Mantova, Tre Lune, 2006, pp. 243‑251. Cristina critica le traduzioni di Rilke di Vincenzo Errante che giudica troppo dannunziane. Studi mirati hanno messo in luce come la poesia ermetica venne influenzata da Friedrich Hölderlin. Si vedano i lavori di M. Luzi, Gli “Inni” di Hölderlin, «Il Tempo», vol. XVIII, no 11, 15 marzo 1956; P. Bigongiari, Hölderlin e noi, «Paragone», vol. VIII, no 92, agosto 1957, pp. 39‑47. Recenti gli studi di G. Cordibella, Hölderlin in Italia, Bologna, Il Mulino, 2009; A. Comparini, Prolegomeni all’ermetismo. Traverso, Bo, Bigongiari e Luzi lettori di Hölderlin, in A. Dolfi (a cura di), L’Ermetismo e Firenze. Critici, traduttori, maestri, modelli, Firenze, Firenze University Press, 2016, vol. I, pp. 297‑322; Id., Hölderlin e l’ermetismo fiorentino, «Studi Novecenteschi», vol. 43, no 92, 2016, pp. 323‑355.
20 M. Dalmati, Il viso riflesso della luna, in Per Cristina Campo, cit., p. 124.
21 A. Spina, Perfezione e densità, in Per Cristina Campo, cit., p. 272. C. Campo, Lettere a un amico lontano, Milano, Scheiwiller, 1989; A. Spina e C. Campo, Carteggio, Brescia, Morcelliana, 2007.
22 M. Pieracci Harwell, Cristina Campo e gli ultimi anni fiorentini, in M. Augé, L. Beconcini e R. Cresti (a cura di), Cristina Campo. La via dell’interiorità redenta, Panzano in Chianti, Edizioni Feeria, pp. 33‑53. Cit. a p. 37.
23 C. Campo, Lettere a Mita, Milano, Adelphi, 2008; L’ultima lettera, a cura di M. Pieracci Harwell, «Adelphiana», vol. 2, 2003, pp. 23‑27.
24 Altra opera progettata e non portata a termine è Le temps revient, analizzata da N. Di Nino, Le temps revient. Una raccolta mancata di Cristina Campo, «Humanitas», Numero speciale 3/2005, a cura di E. Bianchi e P. Gibellini, Brescia, Morcelliana, pp. 471‑488. Lo stesso numero contiene il saggio di Gibellini sulla Poesia di Cristina Campo.
25 C. Koschel, L’urgenza della luce. Traduzioni dal tedesco di Cristina Campo, a cura di A. Anelli, Firenze, Le Lettere, 2004, p. 16. L’amicizia con la poetessa tedesca risale alla fine degli anni Sessanta.
26 Il riferimento va a H. von Hofmannsthal, Il libro degli amici. Appunti e diari. Ad me ipsum, a cura di G. Bemporad, Firenze, Cederna Vallecchi, 1963. Si tratta di un volumetto di aforismi dello stesso Hofmannsthal e di altri scrittori. Il titolo originale è Buch der Freunde, pubblicato nel 1922.
27 Lettera del 18 novembre 1959, in C. Campo, Caro Bul. Lettere a Leone Traverso (1953‑1967), Milano, Adelphi, p. 95. Ancora sugli epistolari: C. Campo, Il mio pensiero non vi lascia. Lettere a Gianfranco Draghi e ad altri amici del periodo fiorentino, Milano, Adelphi, 2012. M. Pieracci Harwell, Cristina Campo e i suoi amici, Roma, Studium, 2005.
28 C. Campo, Lettere a Mita, cit., p. 99.
29 R. Fasani, con cui la Campo ha intrattenuto un legame epistolare raccolto in Un ramo già fiorito. Lettere a Remo Fasani (Marsilio, 2010), aveva tradotto e commentato Hölderlin nel 1950. L’unica poesia di Hölderlin pubblicata dalla Campo Poco sapere, ma di gioia molto è un frammento di un’ode del tardo periodo di Homburg. La poesia, che apre la sezione delle traduzioni raccolte nel volume La tigre assenza, proviene «da una copia manoscritta inviata a Remo Fasani, datata maggio 1946, 1o aprile-23 giugno 1951», le date della sua elaborazione. La reticenza a pubblicare le sue traduzioni di Hölderlin forse si deve alla presenza ingombrante di Leone Traverso, insigne traduttore del poeta tedesco.
30 C. Campo, La tigre assenza, cit., p. 61.
31 Traduzione pubblicata sulla «Posta», a. I, no 8, 13 giugno 1953. Si veda, a questo proposito, Appassionate distanze: letture di Cristina Campo, cit., p. 49.
32 C. Campo, Sotto falso nome, cit., p. 189.
33 M. Heidegger, Osservazione sulla traduzione, trad. it. di D. Galasso, inTRAlinea, testi a fronte 1998, disponibile al link: <https://www.intralinea.org/translations/item/Osservazione_sulla_traduzione> (Bemerkung zum Übersetzen, in Hölderlins Hymne „Der Ister“, Frankfurt a. M., Klostermann, 1984, pp. 74‑76). Si vedano le pagine di H.‑G. Gadamer, Verità e metodo 2. Integrazioni, tr. it. e cura di R. Dottori, Milano, Bompiani, 2001.
34 G. Paduano, Tradurre, in M. Lavagetto (a cura di), Il testo letterario. Istruzioni per l’uso, Roma / Bari, Laterza, 1996, p. 132.
35 M. Domenichelli, Le traduzioni all’epoca degli ermetici, in A. Dolfi (a cura di), L’Ermetismo e Firenze. Critici, traduttori, maestri, modelli, cit., pp. 241‑252. Traverso fu anche traduttore di letteratura greca classica, da Eschilo a Pindaro a Euripide.
36 M. Pieracci Harwell, Senza fine divengo ciò che sono, in A. Dolfi (a cura di), L’Ermetismo e Firenze. Luzi, Bigongiari, Parronchi, Bodini, Sereni, Firenze, Firenze University Press, 2016, vol. II, pp. 83‑103.
37 In M. Domenichelli, Le traduzioni all’epoca degli ermetici, cit., p. 246.
38 Sul rapporto con Luzi, si veda M. Pieracci Harwell, Senza fine divengo ciò che sono, cit.
39 V. Scuderi, La bellezza per soprammercato. Le traduzioni dal tedesco di Cristina Campo, Catania, Cuecum, 2003.
40 Recente l’edizione: E. Mörike, Poesie, a cura di C. Campo con una premessa di M. Sannelli, Semivirtuosi, Menillmontant, 2005.
41 Mörike si formò all’Evangelisches Stift di Tubinga, il collegio dove avevano studiato Hölderlin, Hegel e Schelling. Autore poco valorizzato dal suo tempo, strinse amicizia con il poeta Wilhelm Waiblinger e con Ludwig Bauer. È autore di testi in cui s’intrecciano fantasia e ironia come in Der letzte König von Orplid, fiaba ambientata in una terra fantastica, popolata da elfi e fate, inserita nel romanzo Maler Nolten. Appassionato classicista, Mörike traduce Anacreonte, Teocrito, Virgilio, Catullo, impegnandosi alla ricostruzione del metro classico in poesia.
42 C. Campo, Sotto falso nome, cit., p. 189.
43 R. Fasani, Le traduzioni da Mörike, in Per Cristina Campo, cit., pp. 165‑171; M. Baccelli, Autoritratto di traduttore. Tradurre e introdurre, «Testo a fronte», III, no 4, 1991, pp. 128‑136.
44 Le traduzioni di Mörike precedenti a quelle della Campo sono: Liriche scelte tradotte da Tomaso Gnoli. Poemetto tradotto da Ettore Romagnoli, Firenze, Le Monnier, 1923. Canti scelti di Eduard Mörike, versione poetica di Emilio Weidlich, in «Scrittori Italiani e Stranieri», no 410, Lanciano, Carabba, 1939. Due poesie di Mörike, L’arpa di Eolo e Erinna a Saffo sono state tradotte da Ugo Natoli e pubblicate su «Maestrale», Rivista di Poesia e Cultura, a. II, gennaio 1941, pp. 58‑59.
45 C. Campo, Sotto falso nome, cit., pp. 189‑190.
46 Ivi, p. 190.
47 C. Campo, Parco dei cervi, in Gli imperdonabili, cit., p. 145.
48 R. Fasani, Le traduzioni, cit., pp. 166‑167.
49 M. Pieracci Harwell, Il sapore massimo di ogni parola, in La tigre assenza, cit., p. 284. In quel periodo, spiega Margherita, “Vie” era il nomignolo di Cristina.
50 Deutsches Dichterbuch aus Schwaben, Stuttgart, Ebner, 1864, pp. 278‑280.
51 D. Fischer-Dieskau, Mörike-Lieder di Hugo Wolf e altri scritti su Wolf e Mörike, Asti, Analogon, 2015.
52 T. De Banville, Érinna, in Les Exilés, Paris, Alphonse Lemerre, 1890, pp. 99‑103.
53 Il quadro è ora esposto alla Tate Gallery di Londra. Swinburne compose una poesia intitolata Anactoria con la quale espose le tematiche care alla poetessa greca, caricandole di una forte sensualità.
54 Un dettagliato intervento esegetico, metrico e tematico sul testo Erinna an Sappho è condotto da H. Bernsdorff, Eduard Mörike als hellenistischer Dichter, Baden Baden, Nomos Verlag, 2020, pp. 61‑120.
55 Mörike non poteva sapere dell’esistenza del poemetto La conocchia, tramandatoci da un papiro scoperto da Evaristo Breccia nel 1928. Grazie a questa scoperta ora possiamo leggere una sessantina di versi dedicati all’amica Bauci. Prima di allora possedevamo solo due esametri tramandati da Stobeo (V, 51).
56 M. Pieracci Harwell, Cristina Campo e i suoi amici, cit., pp. 2‑3.
57 Ivi, pp. 5‑6.
58 H. von Hofmannsthal, Il libro degli amici, cit., p. 226.
59 Il testo si compone di 41 versi suddivisi in 5 stanze di varie misure.
60 H. Bernsdorff, Eduard Mörike als hellenistischer Dichter, cit., p. 69: «Con Erinna a Saffo, Mörike compone una poesia tedesca moderna, che nella forma e nel contenuto è profondamente antichizzata».
61 V. Mengaldo, Il linguaggio della poesia ermetica, in Id., La tradizione del Novecento, Torino, Einaudi, 1991, pp. 132‑157.
62 H. Meschonnic, Critique du rythme. Anthropologie historique du langage, Lagrasse, Verdier, 1982, p. 72.
63 Platone, Fedone, trad. e note di N. Marziano, intr. di E. Savino, Milano, Garzanti, 1975, pp. 163‑164.
64 Natoli traduce letteralmente «Molteplici sono all’Ade i sentieri»; Gnoli traduce: «Agl’Inferi si va per molte strade».
65 Se confrontiamo la traduzione di Cristina con quelle precedenti troviamo che è più vicina a quella di Natoli che appare ancor più incline a usare costrutti classicheggianti: «Ma ai viventi pesa leggero sul petto / il monito, e del pescatore da bimbo al mare adusato / l’orecchio insordito non ode il fragore dell’ondeۛ».
66 Discorsiva la traduzione di Weidlich: «sì ch’io rimango sbigottita a lungo, / coprendomi la faccia con le mani, / presa da la vertigine del vuoto». In Natoli echi di una sintassi classicheggiante: «ed io, stretta le mani al viso, a lungo percossa / rimasi, tremante sul vertiginoso, freddo abisso della notte».
67 H. von Hofmannsthal, Il libro degli amici, cit., p. 27.
68 Con il taglio dei capelli, si ricordano riti diversi: alle bambine si tagliavano le chiome quando entravano nell’adolescenza; le giovani prima del matrimonio offrivano le chiome a Diana o alle Parche. I greci tagliavano i capelli dei moribondi e nel lutto li gettavano sui corpi nei roghi. Esempi si trovano negli epigrammi tombali del VII libro dell’Antologia palatina.
69 Platone, Fedone, cit., p. 129.
70 C. Campo, Gli imperdonabili, cit., p. 82.
71 C. Campo, Lettere a Mita, cit., p. 99.
72 W. Benjamin, Il compito del traduttore, in Angelus novus, Torino, Einaudi, 1962.
73 M. Heidegger, Sentieri interrotti, cit., p. 296.
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Référence électronique
Raffaella Bertazzoli, « Cristina Campo ed Eduard Mörike tra poesia e traduzione », Cahiers d’études italiennes [En ligne], 36 | 2023, mis en ligne le 28 février 2023, consulté le 20 janvier 2025. URL : http://0-journals-openedition-org.catalogue.libraries.london.ac.uk/cei/12349 ; DOI : https://0-doi-org.catalogue.libraries.london.ac.uk/10.4000/cei.12349
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