Bibliographie
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Valerio Paolo e Zito Eugenio, Corpi sull’uscio, identità possibili. Il fenomeno dei femminielli a Napoli, Napoli, Filema, 2010.
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Notes
Un’esaustiva descrizione di come questa figura si presentava negli anni Ottanta viene fornita da Simonelli e Carrano: «I femminielli sono uomini che “vivono” e “sentono” da donna: abbigliati e truccati da donna. Spesso “prostitute” ma non necessariamente: ogni vicolo ha il suo femminiello accettato dalla comunità. Questi può vivere nella famiglia d’origine, attende alle occupazioni tradizionalmente riservate alle donne: cucinare, cucire, lavare la biancheria, fare le pulizie.» (Pino Simonelli e Giorgio Carrano, Le mariage des femminielli à Naples, in «Masques. Revue des Homosexualités», 18, 1983, pp. 105-106.)
Il Santuario di questa Madonna è in provincia di Avellino sul massiccio montuoso del Partenio. L’agiografo Bargellini parlando della fondazione del Santuario di Montevergine da parte di san Guglielmo, riferisce che avvenne sul Partenio presso le rovine di un tempio dedicato alla dea pagana Cibele. I momenti fondanti del culto di Cibele erano: l’ascesa verso il monte sacro, l’adorazione di una pietra sacra e la presenza di fedeli maschi travestiti da donna che manifestavano una devozione frenetica ed estatica con canti e danze sfrenate al suono di tamburi e cimbali, cfr. Piero Bargellini, Mille santi del giorno, Firenze, Edizioni Vallecchi, Massimo, 1977, p. 15.
Anche in tempi recenti la processione verso il Santuario ha conservato antiche peculiarità: «La prima sosta avviene in prossimità di una grotta dove si trova un rozzo sedile in pietra, antico ricordo della pietra sacra del culto di Cibele. Poi si riparte per raggiungere la scala santa, una scalinata di ventitré gradini che spesso si percorrono in ginocchio intonando strofe, infine ci si presenta al cospetto della santa Madre.» (Paolo Valerio ed Eugenio Zito, Corpi sull’uscio, identità possibili. Il fenomeno dei femminielli a Napoli, Napoli, Filema, 2010, p. 67.)
Patrizia Gorgoni e Gianni Rollin, Tammurriata, Napoli, Altra Stampa Edizioni, 1997, p. 14.
Curzio Malaparte, La pelle, Milano, Mondadori, 1991 (prima edizione 1949), pp. 137-138. La scena è ripresa anche dalla Cavani nel film omonimo tratto dal romanzo (1981).
Cfr. Mario Buonoconto, Napoli esoterica. Un itinerario nei «misteri» napoletani, Roma, Newton Compton, 1996.
Abele De Blasio, Nel paese della camorra, Napoli, a spese dell’autore, 1901, p. 78.
Ibid., p. 80. La lettera rappresenta un documento originale dell’epoca.
Se nel primo caso gli indumenti indossati erano generalmente maschili, nel secondo si passa a indumenti evidentemente femminili.
I quartieri di Napoli nei quali si registrava il più alto tasso di femminielli fra i residenti erano: Sanità, Pignasecca, Quartieri Spagnoli, Pallonetto, Borgo Sant’Antonio, Maddalena e Ferrovia.
Annibale Ruccello, Le cinque rose di Jennifer, Milano, Ubulibri, 2005, p. 25.
Ibid., p. 24.
Annibale Ruccello, Il teatro popolare in Campania, in Scritti inediti, a cura di Rita Picchi, Roma, Gremese, 2004, pp. 135-136.
Ibid.
In riferimento al personaggio di Jennifer, Monaco scrive: «La parte negata della persona umana, quel doppio, che pur fondandosi nell’ordine sociale, non trova spazio nell’ordine sociale stesso» (Wanda Monaco, La contaminazione teatrale, Bologna, Pàtron, 1981, p. 225).
Lo stesso Ruccello conferma la sua familiarità con l’opera di Patroni Griffi: «[…] non mi identifico con una drammaturgia nazionale. L’unica che esista, in questo momento, è napoletana. Qui c’è una tradizione, qui ci sono ben due padri spirituali tra i quali scegliere, Viviani ed Eduardo, c’è un suo sviluppo successivo con Patroni Griffi […].» (Titti Marrone, Dalle «Rose» al «Weekend». È il momento di Ruccello, in «Il Mattino», 28 gennaio 1986.)
Giuseppe Patroni Griffi, Persone naturali e strafottenti, in Tutto il teatro, Milano, Mondadori, 1999, p. 391.
Rossella Santilli, Jennifer o dell’ossessione, in «Napoli Oggi», 15 aprile 1981.
Il riferimento è ancora a Patroni Griffi e alla sua prima commedia D’amore si muore (1958).
Annibale Ruccello, Le cinque rose di Jennifer, cit., p. 31. In realtà Mina è presente nel testo anche, e soprattutto come interprete musicale. Nella scaletta musicale indicata dall’autore compaiono cinque suoi brani: Quattr’ore e’ tiempo, Grande grande grande, Ancora ancora ancora, Vorrei che fosse amore, Bugiardo e incosciente.
Il critico De Stefano ipotizza che l’abitazione post-terremoto di Jennifer sia da collocarsi a: «Scampia, alcuni insediamenti di edilizia popolare di Secondigliano, la periferia di San Giovanni, o quella di Ponticelli, la lista purtroppo è lunga» (Stefano De Stefano, Le cinque rose di Jennifer, in Annibale Ruccello e il teatro del secondo novecento, a cura di Pasquale Sabbatino, Napoli, Edizione Scientifiche, 2009, p. 120).
Nel programma di sala del 1986 Ruccello conferma i riferimenti cinematografici e sociali del testo: «L’attuale spettacolo vuole mettere in evidenza innanzitutto la doppia tessitura che hanno sempre i miei testi. Da un lato, appunto, la storia, una storia banale, in questo caso la giornata tipo di una persona in casa, le sue alienazioni, le sue manie, i suoi rituali privati, le sue vergogne e, soprattutto, il suo sentimento. Dall’altro il gioco delle citazioni, dei riferimenti, dei riporti da un fantastico principalmente filmico nella consapevolezza che oggi non è più possibile raccontare una storia se non soltanto per ammiccamenti, virgolettandola quasi, rendendola anch’essa null’altro che un repertorio di un immaginario il più possibilmente collettivo…»
Enzo Moscato, Introduzione, in Orfani Veleni, Milano, Ubulibri, 2007, p. 7.
Gli scambi fra Ruccello e Moscato su questo testo sono confermati da Gliozzi: «Mentre lui provava Scannasurice, nella stanza accanto Annibale lavorava a Le cinque rose di Jennifer. Hanno giocato spesso, in quel periodo, a scambiarsi la regia, contaminando l’uno i testi e le invenzioni sceniche dell’altro.» (Melanie Gliozzi, Nota biografica-artistica di Enzo Moscato, in Comicità negli anni settanta. Percorsi eccentrici di una metamorfosi fra teatro e media, a cura di Eva Marinai, Sara Poeta e Igor Vazzaz, Pisa, ETS, 2005, pp. 97-106; 99.) Non a caso, quando nell 1984 Moscato torna a lavorare su questo testo, allestendone la seconda versione, con diverso finale, a Torre del Greco nel Teatro nel Garage nell’aprile di quell’anno, la regia è curata da Annibale Ruccello. Enzo Moscato, Scannasurice, in Orfani Veleni, cit., pp. 37-39. Un’ulteriore elaborazione del testo avviene nel 1989 dando vita a Scanna-Play-Surice.
Riferimento a Persone naturali e strafottenti di Giuseppe Patroni Griffi, in Tutto il teatro, con una nota introduttiva di Paolo Bosisio, Milano, Mondadori, 1999.
Enzo Moscato, Scannasurice, cit., p. 13.
Così in Moscato: «Va al tavolo rovescia tutto, con disperazione. Afferra i sacchetti della spazzatura e ne rovescia il contenuto per terra. Rompe bottiglie, abiti, oggetti di vetro, tutto quello che gli capita a tiro, un una sorta di furore, al tempo stesso angosciante e liberatorio, da invasato» (ibid., p. 34).
«Quando scoppia quest’orologio? Quando? Allora anche il cielo è un bancone? E Dio è solo uno strozzino con noi?» (Ibid., p. 36)
Ibid.
Annibale Ruccello, Le cinque rose di Jennifer, cit., pp. 42-43.
Dichiarazione di Pier Paolo Pasolini rilasciata ad Antonio Ghirelli nel 1971, in seguito pubblicata in Antonio Ghirelli, La napoletanità, Napoli, Società Editrice Napoletana, 1976, pp. 15-16. Ora in Pier Paolo Pasolini, La napoletanità, in Saggi sulla politica e sulla società, edizione diretta da Walter Siti e Silvia De Laude, vol. I, Milano, Mondadori, 1999, p. 230.
Cfr. Anthony Giddens, Identità e società moderna, Napoli, Ipermedium, 1999.
La definizione di «deviante» da parte di Ambrogio Santambrogio bene esprime la percezione di questa figura da parte della cultura di massa: «Il deviante — se pur non diventa un vero e proprio capro espiatorio — costituisce allora una fonte di sicurezza per l’identità collettiva: quest’ultima, piuttosto che fondarsi su sicurezze in positivo, ricorre a sicurezze in negativo.» (Ambrogio Santambrogio, Introduzione alla sociologia delle diversità, Roma, Carocci, 2003, pp. 93-94.)
La figura del femminiello e/o del travestito ricorre sovente nella drammaturgia e nella narrativa napoletana dal secondo Novecento in poi. Michele Serio ne parla nel suo romanzo Nero metropolitano (Milano, Dalai, 1996) così come Andrej Longo in Adelante (Milano, Rizzoli, 2003); Roberto De Simone nel celebre spettacolo teatrale Gatta Cenerentola inserisce il personaggio del femminiello quale protagonista di due scene chiave dell’opera: il rosario dei femminielli e il suicidio del femminiello. Oltre che in Persone naturali e strafottenti, Giuseppe Patroni Griffi sceglie un travestito (Rosalinda Sprint) quale protagonista del suo romanzo Scende giù per Toledo (1975). Nel 2011 a cura del sottoscritto vengono pubblicati per l’editore Bulzoni di Roma alcuni testi teatrali di Fortunato Calvino. Fra questi c’è Vicolo Sirene. Personaggi principali sono dei travestiti, anche in questo caso vittime di emarginazione culturale e fisica. Segnalo inoltre, quale preziosa fonte d’informazioni per il vissuto dei travestiti a Napoli oggi, il testo di Giuliana Gargiulo, Napoli nuda vestita e travestita, Napoli, Colonnese, 1999. Un’approfondita analisi della figura del travestito nei carnevali campani è sviluppata da De Simone in Il travestimento da donna e altre maschere, in Annabella Rossi e Roberto De Simone, Carnevale si chiamava Vincenzo, Roma, De Luca Editore, 1977, pp. 209-222.
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