«Accentrare nell’ordine politico ed emancipare nell’ordine amministrativo». Le scelte dell’Italia in età risorgimentale
Résumés
Dans les années d’unification, le royaume d’Italie doit créer une nouvelle structure administrative. Les choix portent sur la centralisation, la décentralisation et la création de régions. L’article retrace les phases du débat politique et juridique de ces années.
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royaume d’Italie, administration publique, centralisation, décentralisation, régionalismePlan
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1. Premessa
1Ufficialmente la prima legge sull’ordinamento amministrativo del Regno d’Italia risale al 20 marzo del 1865 e venne promulgata al termine di cinque anni di complesse discussioni sui caratteri stessi dell’unificazione, sulle scelte normative da effettuarsi, sull’assetto complessivo del nuovo Stato. La scelta compiuta in quell’anno non rappresentò però, come accadde anche per i primi codici unitari, un’innovazione, pensata per rispondere ai problemi del nuovo paese, ma venne presentata, anzi, come soluzione d’emergenza, votata senza discussione degli articoli. Sono d’altra parte gli anni di quella ‘codificazione a vapore’, rimproverata da più parti al governo di Torino, accusato di provincialismo e di metodi autoritari e dispotici e volta a trovare soluzioni immediate, ma poco meditate, ai problemi che sorgevano dalla nascita del nuovo stato.
2A partire dal 1859, con il progredire delle annessioni si pose al centro dell’attenzione dei governanti la questione amministrativa,
[…] vale a dire il problema della congruità e compatibilità degli assetti organizzativi di stampo franco-piemontese con l’allargamento del quadro geografico e con la presenza, nelle altre regioni, di tradizioni, istituzionali e burocratiche, nonché di modelli culturali e di condizioni socio-economiche profondamente difformi o addirittura divergenti […]
- 1 P. Aimo, Stato e poteri locali in Italia. 1848‑1995, Roma, Carocci, 1998, p. 29. Ricca la bibliogra (...)
e talvolta anche maggiormente all’avanguardia, come quello della Lombardia austriaca1.
3L’incertezza sulle soluzioni da dare ai problemi scaturenti dall’unificazione derivava anche dalla mancata previsione all’interno dello Statuto albertino di norme specifiche sull’organizzazione e l’attività dell’amministrazione periferica: la Carta costituzionale piemontese si occupava infatti degli enti locali in modo del tutto insufficiente e vago nel solo art. 74 disponendo che «Le istituzioni comunali e provinciali e la circoscrizione dei comuni e delle provincie sono regolati dalla legge». Il dibattito che caratterizzò il periodo, contrapponendo i sostenitori dell’accentramento e del ‘discentramento’, non portò, nella sostanza, ad altra soluzione che estendere a tutto il Regno la riforma che il 23 ottobre 1859 era stata introdotta per decreto, e quindi senza una approfondita discussione in Parlamento, dal ministro Rattazzi; era una riforma però poco originale in quanto a sua volta ricalcava l’ordinamento varato per il Regno di Sardegna nel 1847 che aveva in parte modificato il quadro legislativo vigente negli anni della Restaurazione ispirato al modello francese.
2. Il periodo preunitario
- 2 Al proposito si vedano le considerazioni di P. Aimo, Le origini della giustizia amministrativa. Con (...)
4Come è ampiamente noto, il modello amministrativo napoleonico, pur accogliendo alcuni istituti giuridici del cessato regime rivoluzionario, si basava in sostanza sul principio espresso dallo stesso Bonaparte per cui «l’amministrare è affare d’uno, come il giudicare è l’affare di più; in mano di uno solo l’amministrazione ha unità di vedute e celerità esecutiva»2, cioè su un processo di razionalizzazione, burocratizzazione ed accentramento della pubblica amministrazione, in una rigida struttura piramidale gerarchicamente sovrapposta dalla forte impronta centralistica.
- 3 Nel Regno di Sardegna, che è la realtà che qui maggiormente interessa per gli sviluppi futuri dell’ (...)
- 4 Ai funzionari statali vennero infatti affiancati, soprattutto dopo la promulgazione dello statuto, (...)
5Il sistema di matrice francese della divisione del territorio in dipartimenti retti da un prefetto che la penisola italiana aveva conosciuto durante il periodo napoleonico non venne abbandonato all’indomani del Congresso di Vienna. La caduta di Napoleone non ne determinò il declino e, pur a fronte di alcune difformità nelle modalità organizzative delle diverse amministrazioni locali, con livelli di autonomia più o meno marcati, esso continuò a sopravvivere negli stati restaurati nelle sue linee fondamentali: burocrazia statale gerarchica, controllata dal Ministero dell’Interno e incentrata sulla figura di amministratori modellati sui prefetti francesi3. Anche dove, come accadde per volontà dei sovrani sabaudi, la partecipazione dei sudditi venne progressivamente ampliata, la vigilanza statale non venne mai meno4.
- 5 N. Randeraad, Autorità in cerca di autonomia: i prefetti nell’Italia liberale, cit. Sulle vicende a (...)
6Erano d’altra parte questi gli aspetti fondamentali della concezione di ‘buona amministrazione’ della prima metà dell’Ottocento; un’amministrazione dal duplice volto, fondata sull’idea di un forte legame tra Stato e società e su due presupposti fondamentali: concedere al governo locale una propria sfera d’azione, garantendo la partecipazione dei cittadini e la possibilità di espansione ed emancipazione, ma al tempo stesso vincolare quello stesso governo a norme e regolamenti ovunque uniformi attraverso la presenza continua e costante del potere centrale5.
7In quest’ottica si erano mossi i diversi interventi legislativi che avevano visto la luce negli Stati sabaudi nei decenni precedenti l’unificazione, che avevano in parte modificato il quadro normativo vigente negli anni della Restaurazione.
- 6 Regie Patenti del 26 agosto 1841, 25 agosto 1842, 31 agosto 1843.
- 7 A. Petracchi, Le origini dell’ordinamento comunale e provinciale italiano, Venezia, Neri Pozza, 196 (...)
8La novità più rilevante in quei decenni fu senz’altro la costituzione delle province come enti autonomi realizzata con le Regie Patenti promulgate da Carlo Alberto tra il 1841 ed il 18436 «con finalità essenzialmente ‘conservatrici’, come elemento ‘d’ordine’ e di moderazione, come ponte gettato tra Governo centrale e Comuni progressisti e ribelli»7.
- 8 G. Melis, Storia dell’amministrazione italiana, 1861‑1993, Bologna, Il Mulino, 1996, p. 22. La legg (...)
9Negli anni successivi si succedettero diverse leggi volte ad operare sia una revisione dell’ordinamento comunale e provinciale che a gettare le basi per un nuovo sistema amministrativo; tra queste, la cosiddetta ‘legge Cavour’ del 1853 che aveva provveduto al riordinamento dell’amministrazione centrale dello Stato ‘inaugurando’ il modello ‘ministeriale’ e abbandonando quello ‘misto’ — diviso tra aziende [attività di esecuzione] e ministeri [attività di direzione], degli stati sabaudi prestatutari — che, se pur valido, era ormai superato in presenza del nuovo ordinamento costituzionale8. L’art. 67 dello Statuto albertino, prevedendo la responsabilità ministeriale
- 9 G. Melis, Fare lo stato per fare gli italiani. Ricerche di storia delle istituzioni dell’Italia uni (...)
[…] pretendeva che un apparato amministrativo per definizione «irresponsabile» dovesse dipendere «gerarchicamente» dal ministro, secondo un modello organizzatorio che nell’Ottocento appariva peraltro il più moderno ed efficiente tra quelli disponibili: un modello appunto piramidale-gerarchico, di stretta aderenza tra i vari livelli della piramide, nel quale il livello inferiore obbedisse ciecamente a quello superiore e tutti, secondo uno schema discendente, obbedissero al livello supremo, al vertice politico rappresentato dal ministro […] In questo contesto ideologico anche il rapporto centro-periferia non poteva non prevedere poi la prevalenza del centro9.
- 10 R. Romanelli, Il comando impossibile. Stato e società nell’Italia liberale, cit. Dello stesso autor (...)
10Uno stato centralista, dunque? Da qualche decennio gli storici delle istituzioni vanno conducendo un’opera di rilettura di quella che era l’opinione comune, mettendo in rilievo la complessità dei rapporti centro —periferia ed il ruolo dei ceti dirigenti locali nella definizione del sistema amministrativo. Si parla di ‘centralismo debole’ o, come intitolava Romanelli il suo bel volume, di ‘comando impossibile’10, dove nel concreto funzionamento delle istituzioni, se non nella normativa, ci si stacca sempre più dal modello francese.
- 11 E. Genta, La provincia di Torino dall’antico regime all’avvento del fascismo. Panorama storico-giur (...)
11A livello periferico, già a partire dall’indomani del varo della legge del 1853, Urbano Rattazzi, in qualità di Ministro della Giustizia, reggente ad interim gli Interni nel governo dello stesso Cavour, aveva presentato diversi disegni di legge sull’amministrazione comunale e provinciale: si trattava di progetti che oscillavano tra l’abolizione delle Divisioni amministrative a favore di un rafforzamento dell’ordinamento provinciale (1854) e, al contrario, il loro aumento, in una sorta di grosse circoscrizioni destinate ad esautorare nei fatti le Province (1856), il cui eccessivo numero veniva considerato dallo stesso Rattazzi fonte di moltiplicazione delle spese e «spunto di egoismo e di separatismo»11.
12In ogni caso, sebbene fosse contrario ad ipotesi di tipo federalistico, considerate un pericolo per il Regno e per l’Italia, e più in generale a forme di decentramento, la realtà italiana portava Rattazzi a sposare l’idea di un centralismo cosiddetto relativo a livello centrale, incentrato sulla figura di un Governatore più debole del suo omologo (Prefetto) francese, cui spettava non solo il compito di esercitare il controllo dello stato sulla periferia ma anche quello di mediare le istanze dei notabilati locali, che a loro volta riflettevano in qualche modo quelle popolari e con cui l’amministrazione centrale doveva comunque fare i conti.
3. La legge del 23 ottobre 1859
- 12 Sull’argomento, vd. F. Ingravalle, Urbano Rattazzi e la legge per l’unificazione amministrativa del (...)
13La legge voluta proprio da Rattazzi, che vedrà la luce in Piemonte il 23 ottobre 1859 e sarà destinata a costituire la base di quella unitaria del ’65, sembra riflettere questa idea di centralizzazione12.
- 13 L. 25 aprile 1859, n. 3345.
- 14 Per un panorama d’insieme sugli aspetti legislativi del periodo in questione, sempre validi A. Aqua (...)
- 15 U. Rattazzi, Relazione sul nuovo ordinamento comunale e provinciale fatta a S.M. dal Ministro dell’ (...)
14Come è noto, la Legge sull’ordinamento comunale e provinciale del 1859 (legge Rattazzi) — la «più liberale delle leggi che siano mai state sottoposte alla sanzione» del sovrano, come venne definita dal suo artefice — venne varata in una situazione che potremmo dire di emergenza. Il governo La Marmora in virtù dei pieni poteri conferitigli dal parlamento alla vigilia della guerra con l’Austria nel 1859 («emanare per semplici decreti reali e sotto la responsabilità ministeriale, […] gli atti che saranno necessari per la difesa della patria e delle […] istituzioni»13) e interpretandoli in maniera piuttosto estensiva, si fece infatti artefice, soprattutto per impulso proprio di Rattazzi, di un enorme lavoro legislativo, al di fuori di ogni possibile controllo da parte del Parlamento. Videro così la luce i nuovi codici e diverse riforme politiche14: una rinnovata legge elettorale per la Camera dei deputati, la legge istitutiva della Corte dei Conti e quella di riforma del Consiglio di Stato, la legge di pubblica sicurezza, quella di riforma dell’ordinamento giudiziario, ordinamenti in materia di sanità, lavori pubblici ed istruzione e, come detto, la nuova legge sull’ordinamento comunale ed amministrativo. Si trattava di un testo, cui collaborò una commissione composta da piemontesi e lombardi, introdotto così per decreto, e quindi senza discussione parlamentare, che intendeva, come espresso dallo stesso Rattazzi nella relazione al Re, «accentrare nell’ordine politico ed emancipare nell’ordine amministrativo tutte le parti dello Stato, per forma che ognuna di esse si trovi tanto più libera nel governo delle cose proprie, quanto, coll’altre si sentirà più strettamente avvinta al […] trono per le cose comuni della Nazione e del Regno»15.
- 16 Ibid.
15La legge, proseguiva il ministro alessandrino, si informava da un lato al principio dell’unità politica, «al quale i grandi popoli moderni debbono la loro forza, la loro sicurezza, la loro prosperità»; dall’altro «essa si attempera francamente al principio di libertà, senza il quale l’accentramento politico ad altro non riuscirebbe per avventura che a scemare le sorgenti della vita civile in tutto lo Stato». In questo modo «mentre più contrasta ad ogni tendenza federativa, assicura maggiormente le libertà locali»16.
- 17 Si veda al riguardo quanto riportato da A. Petracchi, Le origini dell’ordinamento comunale, cit., v (...)
16Un’affermazione che sembrava rispecchiare le intenzioni della classe politica dominante che lo stesso Cavour aveva condensato chiaramente ricordando come «noi non siamo federalisti, né vogliamo essere accentratori» e precisando ulteriormente, in un altro contesto che «la centralizzazione amministrativa è una delle più funeste istituzioni dell’età moderna»17.
- 18 C. Schwarzenberg, La formazione del Regno d’Italia, cit., p. 16.
17Per quanto la relazione di Rattazzi sembri lasciare spazio a margini di autonomia, al di là delle formule di maniera e delle dichiarazioni di principio, le innovazioni in essa contenute erano tuttavia in realtà assai limitate e, soprattutto, si veniva consolidando un ordinamento comunque accentrato, nel quale «gli interessi dell’autorità centrale prevalevano nettamente sulle esigenze di sviluppo autonomo della vita locale»18.
- 19 F. Mazzanti Pepe, Profilo istituzionale dello stato italiano. Modelli stranieri e specificità nazio (...)
18Insomma, libertà sì, ma purché «compatibile con una necessaria forte presenza dello Stato»19. L’impressione è che:
- 20 E. Genta, La provincia di Torino, cit., p. 39.
Rattazzi, da abile politico quale era, stia molto attento agli umori delle Camere, cercando di non fronteggiarle troppo apertamente, ma vada dritto per la sua strada, perseguendo quell’obiettivo che già aveva enunciato nel 1854: creare un sistema di efficaci controlli dall’alto e al contempo dare una parvenza di autonomia20.
19Certamente la legge aveva diversi pregi, primo fra tutti l’ampliamento dell’elettorato amministrativo, che rimase comunque su base censitaria, anche se modesta, e quindi meno ristretto di quello politico; venne però accusata di eccessivo autoritarismo e scontentò molte amministrazioni locali che finirono improvvisamente declassate nella nuova riorganizzazione territoriale amministrativa.
- 21 C. Astengo, La guida amministrativa in base alla legge 23 ottobre 1859, Milano, presso Luigi di Gia (...)
20Il decreto, tentando di rispondere anche alle richieste dei lombardi, fino a quel momento inseriti in un sistema amministrativo in cui i comuni godevano di ampia autonomia, e di mediarle con quelle piemontesi, dava, come è noto, origine a un ordinamento che prevedeva l’articolazione statale in province, rette da un governatore con funzione di organo di governo e da un Consiglio elettivo, a loro volta ripartite in circondari «semplici anelli della catena di trasmissione delle direzioni che dà il potere centrale» per usare le parole dell’amministrativista savonese Carlo Astengo21, e retti da un Intendente; i circondari comprendevano a loro volta un certo numero di mandamenti, utili, dal punto di vista amministrativo, unicamente come base per l’elezione dei Consiglieri provinciali, ed erano ulteriormente suddivisi in comuni, ‘corpi morali’ dotati di una propria amministrazione retti da un sindaco scelto dal re tra i componenti il Consiglio, organo comunale elettivo.
- 22 U. Rattazzi, Relazione sul nuovo ordinamento comunale e provinciale, cit., p. 1250.
21È vero che, nella nuova legge, le attribuzioni dell’amministrazione provinciale erano piuttosto ristrette, ma una delle funzioni precipue finiva per comprendere l’esercizio della tutela sui comuni. Lo stesso Rattazzi lo ricordava nella sua relazione quando, pur rilevando l’ampia libertà che a suo parere la legge consentiva agli ordinamenti comunali, ricordava come «la libertà comunale però rimarrebbe, a cagione dell’ineguaglianza degli enti che sono chiamati a parteciparvi, sfornita di sufficienti guarentigie ove questi enti disaggregati avessero a trovarsi soli senza alcun esterno presidio a fronte del potere politico»22. All’uopo la legge — proseguiva Rattazzi —
- 23 Ibid.
[…] istituendo […] la Provincia, attribuisce alle potestà che ne emanano, la rappresentano e ne governano gli interessi, la tutela dei comuni, talché tutti i negozi comunali […] si compiano e finiscano entro la sfera provinciale, dove solo si può avere una cognizione adeguata della natura di simili negozi e dell’importanza vera degli interessi che ne fanno l’oggetto23.
- 24 Ibid.
22Ad assistere i comuni, a tutelarli, ma in definitiva anche a controllarli, veniva così chiamata la provincia, descritta come una «grande associazione di comuni e destinata a provvedere alla tutela dei diritti di ciascuno di essi, ed alla gestione degli interessi morali e materiali che hanno collettivamente fra loro»24.
- 25 P. Aimo, Stato e poteri locali in Italia, cit., p. 32.
23Si trattava nel complesso di un sistema che, come rilevato da Piero Aimo, presentava elementi di contraddittorietà perché da un lato garantiva alcune aperture democratiche, quali l’allargamento del suffragio ed una riduzione nel numero dei controlli, ma dall’altro «accentuava gli elementi di rigidità ed enfatizzava i momenti di guida dall’alto dell’ordinamento esistente»25.
4. Gli anni dell’unificazione: accentramento o ‘discentramento’?
- 26 Ivi, p. 29.
24Naturalmente, con il progredire delle annessioni e la graduale unificazione politica, la questione amministrativa assunse dimensioni ancora più ampie: si trattava in sostanza di risolvere «il problema della congruità e compatibilità degli assetti organizzativi di stampo franco-piemontese con l’allargamento del quadro geografico e con la presenza, nelle altre regioni, di tradizioni, istituzionali e burocratiche, nonché di modelli culturali e di condizioni socio-economiche profondamente difformi o addirittura divergenti», e talvolta anche maggiormente all’avanguardia come, abbiamo visto, quello della Lombardia austriaca26.
- 27 L. Garibbo, Politica, amministrazione e interessi a Genova (1815‑1940), Milano, Franco Angeli, 2000 (...)
25Tra il 1859 e il 1861 la legge Rattazzi venne progressivamente estesa, fatta eccezione per la Toscana, alle regioni entrate a far parte dello stato unitario ma non senza parecchi malumori, soprattutto da parte dei lombardi, e non senza forti critiche alla cosiddetta piemontesizzazione; tali censure si trasformarono in un dibattito più ampio che investiva il tema dell’accentramento e del decentramento o ‘discentramento’ come dicevano alcuni e quello della definizione dei rapporti fra Stato ed Enti locali, centro e periferia. Il problema maggiore che si doveva affrontare era in sostanza quello di salvaguardare l’unità politica finalmente raggiunta e di governare, obiettivo che avrebbe potuto essere raggiunto non con la scelta semplicistica dell’accentramento tout court ma «attraverso una contrattazione continua tra potere centrale e poteri locali: quelli economici dei ceti socialmente dominanti, quelli politici espressi dalla deputazione parlamentare, quelli amministrativi dei consigli e delle giunte comunali e della deputazione provinciale»27.
- 28 R. Romanelli, Centralismo e autonomie, in Id. (a cura di), Storia dello stato italiano dall’Unità a (...)
26Sul piano amministrativo il dibattito che si sviluppò in quegli anni presentò marcati accenti di autonomismo e di difesa delle forme locali di autogoverno da quello che veniva definito il «centralismo dirigista di stampo giacobino»28. La stessa applicazione della legge del 1859 alle nuove province venne per qualche tempo considerata come provvisoria, intesa semplicemente a provvedere fino alla realizzazione di un nuovo e migliore ordinamento, alla cui attuazione si cominciò a lavorare alacremente.
- 29 N. Raponi, L’unificazione legislativa e amministrativa dello Stato, in Il Parlamento italiano. 1861 (...)
27È così che agli inizi degli anni ’60, su impulso del Farini e del Minghetti, vennero presentati nuovi progetti e si affacciarono anche ipotesi — sia pure cautamente — regionalistiche volte, come si diceva, a consolidare l’unità nazionale e, al tempo stesso, «ad emancipare gli interessi e le istituzioni locali dai vincoli della burocrazia centrale», pur senza concedere loro un’eccessiva autonomia che avrebbe potuto porre in discussione l’unità politica e morale del Regno29.
- 30 «Al di sopra della provincia, al disotto del concetto politico dello Stato, io penso che si debba t (...)
- 31 Il testo della Nota, così come gli estratti dei verbali della Commissione istituita presso il Consi (...)
28Nella Nota inviata da Farini alla Commissione istituita nel giugno del 1860 per procedere ad una riforma degli assetti amministrativi del nuovo Stato che si veniva formando, il ministro individuava la via da seguire nel coordinamento tra «la forte unità dello Stato coll’alacre sviluppo della vita locale» e con una progressiva emancipazione di alcuni settori (insegnamento, beneficenza, istituti municipali e provinciali) dalla burocrazia centrale. In tale occasione proponeva, richiamandosi alle condizioni naturali e storiche del passato, la divisione del territorio in sei regioni (e a seguire province, — «arbitre degli interessi propri, dentro i limiti delle leggi d’ordine generale» — circondari, mandamenti e comuni)30; le Regioni, semplici circoscrizioni amministrative, prive di rappresentanze elettive deliberanti per evitare pericolosi ritorni alla frammentazione politica degli antichi Stati a danno dell’unità del paese, dovevano essere rette da un governatore, rappresentante del potere esecutivo, interlocutore diretto del governo, cui spettava anche la nomina dei sindaci e la direzione degli intendenti provinciali31.
29Mentre la Commissione proponeva un progetto più audace, configurando maggiori poteri alle regioni, con Minghetti, il successore di Farini agli Interni, si tornò ad una maggiore cautela e alla preminenza dell’autorità politica, pur senza disconoscere margini di autonomia.
- 32 R. Romanelli, Centralismo e autonomie, cit., p. 132.
30Tra i diversi modelli che i legislatori avevano a disposizione si andava così cercando una ‘terza via’: non — per usare le parole pronunciate dallo stesso Minghetti alla Camera — «la centralità francese», né «una indipendenza amministrativa come quella degli Stati Uniti d’America o come quella della Svizzera» ma piuttosto un ordinamento che conservasse «nel nuovo Stato alcuni elementi specifici delle diverse tradizioni amministrative» e consentisse la creazione di organismi regionali o superprovinciali32.
- 33 «Obietto della presente riforma sarebbe adunque di dare o restituire alla provincia l’amministrazio (...)
- 34 Il discorso ed il progetto di Minghetti sono riportati integralmente in A. Petracchi, Le origini de (...)
31A suo parere il decentramento avrebbe dovuto riguardare solo alcuni ministeri (Interno, Lavori pubblici, Istruzione ed Agricoltura) delegando la competenza in materia non più ai ministri ma ai rappresentanti locali del governo o, in alcuni casi, agli stessi cittadini. Nel disegno di Minghetti la provincia rivestiva un ruolo fondamentale33 mentre le regioni (consorzi di province senza rappresentanza elettiva) avrebbero potuto essere introdotte in via transitoria «per facilitare il trapasso dallo stato di divisione» al nuovo ordinamento34.
32Nella relazione illustrativa ai progetti, Minghetti dichiarava che la regione, considerata come circoscrizione territoriale governativa, avrebbe rappresentato una risposta al desiderio di conservare gli interessi e le tradizioni di ben definite aree territoriali, mentre nella sua veste di ente amministrativo avrebbe consentito una migliore tutela delle esigenze locali.
33Il progressivo allargarsi del Regno per effetto delle annessioni avrebbe in effetti potuto rappresentare l’opportunità per operare una svolta coraggiosa e progressista, troncando i legami con il sistema precedente. Per un attimo sembrò che le cose potessero andare in tal senso, ma il ‘discentramento’ moderato di Minghetti non fu gradito alle forze parlamentari: dei quattro progetti di legge presentati dal ministro il 13 marzo 1861 (sulla ripartizione del Regno e autorità governative; sull’amministrazione e le elezioni comunali e provinciali; sui consorzi tra privati ed amministrazioni degli enti locali, per cause di pubblica utilità; sull’amministrazione regionale) nessuno venne accolto. In un clima politico mutato, caratterizzato dalla annessione della parte meridionale della penisola, si adottò una diversa cautela e nel 1862 i progetti Minghetti vennero ritirati dal nuovo ministro degli Interni Ricasoli.
34La storiografia è piuttosto concorde nel ricondurre, almeno in parte, il fallimento del progetto regionalista alla situazione delle province del Sud, caratterizzata da una fondamentale incapacità degli autonomisti meridionali di rinunciare ai propri interessi localistici e dall’arretratezza economica e sociale di quei territori, unita a una persistente sfiducia nei confronti di una classe dirigente meridionale ancora troppo legata all’aristocrazia di stampo borbonico.
- 35 Si vedano per tutti le critiche ai progetti Farini e Minghetti che Carlo Cattaneo pubblicò sul «Pol (...)
35Il dibattito sulle scelte da operare fu però assai vivace anche al di fuori delle aule parlamentari; sulle riviste, nei manuali, nelle opere dottrinarie gli studiosi del diritto amministrativo valutarono e soppesarono le diverse opzioni35. A essere messe in discussione non erano le sole scelte regionaliste ma l’intera struttura amministrativa decentrata.
- 36 G. E. Garelli, Lezioni di diritto amministrativo date nella R. Università di Torino raccolte e comp (...)
36Una precisa sintesi delle ragioni che militavano a favore dell’accentramento o della ‘libertà’ è contenuta nel compendio delle lezioni che, proprio negli anni della discussione in ambito politico, Giusto Emanuele Garelli tenne nel suo corso di Diritto amministrativo nella regia Università di Torino36. Secondo la sua ricostruzione, i sostenitori di un rigoroso sistema centralistico ritenevano che questo avrebbe contribuito a rafforzare un sentimento nazionale ancora in fieri e a garantire quella continua uniformità di azione propria di una compagine statale. I poteri locali, in quanto tali, non sarebbero stati in grado di garantire tale risultato ed anzi
- 37 G. E. Garelli, Lezioni di diritto amministrativo, cit., p. 21.
[…] abbandonati a se stessi, lungi dal concorrere a formare la nazione, costituiscono […] società essenzialmente con essa in gara, sicchè non solo s’impedisca l’unità nazionale, ma si accendano dissidii, guai, discordie e lotte civili […] I centri locali radunano piccole forze; languida è l’azione parziale e diverse dei Municipii, ed anche delle provincie, e impari a dirigere il popolo al conseguimento di quei beni che costituiscono l’umano progresso e incivilimento37.
- 38 «L’autonomia del Comune è necessaria […] I bisogni locali non sono ben conosciuti se non da chi li (...)
37I teorici del decentramento, per contro, sostenevano come l’autonomia fosse necessaria per dare concrete risposte ai bisogni locali, difficilmente risolvibili da un’autorità lontana distolta da troppi compiti, e per rendere tutti i cittadini concretamente partecipi alla vita pubblica38.
38Garelli assume una posizione intermedia, che riflette anche quelle che erano state le scelte politiche; ancora una volta una ‘discentralizzazione’ nella pura amministrazione materiale ma il mantenimento della centralità per quel che riguarda la direzione politica dello Stato.
- 39 P. Maestri, Del dicentramento amministrativo in Francia, «Il Politecnico», vol. 10, 1861, pp. 288‑3 (...)
- 40 «Una cosa sola è chiara ed evidente; ed è la tendenza incorreggibile d’intrudere per tutto le istit (...)
- 41 F. Daneo, Del rapporto dello Stato coi comuni nell’ordinamento amministrativo del Regno, «Rivista a (...)
39Scorrendo le riviste di quegli anni appare chiaro quanto il dibattito fosse attuale e sentito anche al di fuori dei circoli dei professionisti del diritto; se sulle pagine del Politecnico vi era chi auspicava la realizzazione del decentramento in Francia come propedeutico al suo compimento anche in Italia39 e manifestava il malessere diffuso nelle nuove province annesse per le scelte piemontesi40, nella Rivista amministrativa del Regno pubblicata nel 1861 lo storico astigiano Felice Daneo, che da lì a poco avrebbe dato alle stampe il volume La monarchia italiana, ne anticipava un brano, pubblicando le proprie convinte critiche al progetto di creazione delle Regioni41. Le sue parole sembrano ben riassumere quella che era l’idea di autonomia locale del tempo:
- 42 Ivi, p. 95.
Non si può negare che l’eccesso della centralizzazione nei varii ordini delle cose amministrative dello Stato noccia alla vita delle parti, e le riduca a intisichire e spegnersi […] Tanto meno si dee credere che la vita del comune sia quella di un minore sotto perpetua tutela, come si è praticato fin quasi ai nostri giorni, ma quella di un figlio emancipato, libero di sé stesso, senza che perciò cessi di essere figliuolo docile ed obbediente, se savio, prudente e giusto è il padre. Quanto più libera è l’azione dei comuni, tanto più facile è il compito dello Stato; e se quello non dee vagar fuori della sua cerchia, questo non deve in qualsivoglia modo invadere o farsi grave42.
40Ma — aggiungeva — occorre anche «guardarsi dal vizio opposto e volendo allargare, a non disciogliere e dividere l’Italia in quella che si vuol riunire»: la costituzione delle Regioni proposta da Minghetti veniva avvertita come una creazione artificiale e superflua, pericolosa apertura ad istanze federalistiche, se non municipalistiche, destinate a minare l’unità faticosamente raggiunta.
- 43 G. Alasia, Lettere sul discentramento, Firenze, Tipografia della Gazzetta d’Italia, 1871. Sull’auto (...)
- 44 Il programma si trova in Sul programma dei signori senatori G. Conte Ponza di S. Martino e Comm. St (...)
41Un dibattito destinato a non sopirsi neppure negli anni successivi: nel 1871 Giuseppe Alasia nelle sue Lettere sul discentramento dimostrava, con varie argomentazioni come il decentramento, qualora praticato in modo radicale, fosse ben lontano dall’incarnare un principio liberale, non fosse ‘libertà’, così come l’accentramento se correttamente praticato non rappresentasse l’‘assolutismo’43. Tramontati i progetti regionalistici di Minghetti e Farini la critica di Alasia si rivolgeva al programma «per un decentramento amministrativo» presentato nel novembre del 1870 dai senatori Gustavo Ponza di San Martino e Stefano Jacini, a dimostrazione di quanto la questione rimanesse ancora ampiamente dibattuta44.
5. L’unificazione amministrativa del 1865
- 45 «L’ordinamento messo in atto dalle leggi del ’65 […] segnava la vittoria della linea centralizzatri (...)
42D’altra parte la scelta operata da Ricasoli era stata ancora una volta di accentramento e dettata dall’urgenza. Con il trasferimento nel 1864 della capitale a Firenze, il problema dell’unificazione legislativa ed amministrativa non poteva più essere rimandato: lo Stato aveva bisogno di un assetto uniforme e non poteva più tollerare eccezioni, come quella toscana, ora anche sede della capitale. La strada, come già accaduto nel 1859, fu ancora una volta quella della legge delega e il 20 marzo del 1865 veniva varato una specie di codice amministrativo, destinato a rimanere invariato fino alle riforme di Crispi. Nei sei allegati che componevano la legge trovavano disciplina la Pubblica sicurezza, la Sanità pubblica, il Consiglio di Stato, il contenzioso amministrativo, le Opere pubbliche e, naturalmente, l’amministrazione comunale e provinciale45.
43La legge non faceva altro che ripercorre strade già note.
44Il nuovo Regno continuava così ad essere suddiviso in province, circondari, ridotti a semplici circoscrizioni amministrative senza personalità giuridica, mandamenti e comuni, ossia in diversi livelli amministrativi che dal centro giungevano all’intera periferia, con alcuni organi elettivi ed altri di nomina regia. Pur riconoscendo una certa autonomia locale «l’ordinamento messo in atto dalle leggi del ’65 segnava» — almeno sulla carta —
- 46 N. Raponi, L’unificazione legislativa, cit., p. 102.
[…] la vittoria della linea centralizzatrice e statalista. Questa scelta era effetto innanzitutto della tendenza all’accentramento e alla burocratizzazione degli apparati propria dello stato moderno e specifica del modello francese […] Ad essa concorrevano inoltre l’esigenza dei ceti moderati a rafforzare il centralismo e l’autorità statale per frenare istanze democratiche e il timore che il decentramento dilatasse a tal punto la base sociale dello stato da compromettere la loro egemonia […] il pericolo di compromettere l’appena raggiunta unità nazionale46.
- 47 F. Ingravalle, Urbano Rattazzi e la legge, cit., p. 107.
45Si trattò, in definitiva, di «una sorta di armatura contenitiva finalizzata a limitare l’espansione di forze centrifughe ben presenti e operanti già a partire dal primo quinquennio dell’unità della penisola» necessaria per permettere al neonato stato di esistere e conservarsi47. Fu probabilmente proprio il timore del sorgere in seno ad esso di forze volte a minare l’unitarietà appena raggiunta, cui si aggiunse, come detto, la spinosa ‘questione meridionale’ che portarono al rigetto delle ipotesi regionalistiche.
- 48 R. Romanelli, Storia dello stato italiano dall’Unità a oggi, cit., p. 135.
Nelle condizioni date, in cui profonda rivoluzione non c’era stata, eventuali regioni sarebbero di fatto coincise con gli antichi Stati ed il loro inevitabile carattere statuale, intrinseco all’ente regionale, avrebbe riprodotto nella regione molti dei poteri propri degli antichi regimi e delle loro classi dirigenti. Nell’introdurre un sistema amministrativo uniforme e centralizzato fu quindi giocoforza ignorare la dimensione regionale48.
- 49 G. Melis, Storia dell’amministrazione, cit., p. 79.
- 50 P. Aimo, Amministrazioni locali e grandi città in Italia: uniformità dell’ordinamento e dimensione (...)
- 51 Ibid., p. 29.
46Rispetto a quanto i legislatori prospettavano le cose andarono però diversamente, condizionate dall’innumerevole varietà delle realtà istituzionali esistenti sul territorio del Regno; «la vocazione astrattamente centralistica dell’ordinamento contrastava con le condizioni di fatto e l’ipotesi razionalistica dell’uniformità si scontrava con l’insopprimibile presenza della diversità»49. Se pur come avrebbe detto alcuni anni più tardi Francesco Crispi nell’uniformità vi era la garanzia di più efficace controllo50, lo stesso principio di uniformità degli enti locali era destinato ad arenarsi di fronte all’assurdità della pretesa di «applicare un medesimo schema giuridico-istituzionale ad una realtà profondamente articolata»51.
47L’esistenza di profonde difformità all’interno del tessuto istituzionale del Regno non avrebbe infatti tardato a manifestarsi. Una diversità particolarmente evidente nell’assetto comunale la cui organizzazione
- 52 G. Melis, Storia dell’amministrazione, cit., p. 79.
[…] concepita e regolata dal legislatore in modo astrattamente uniforme, come se riguardasse un oggetto unitario, si rivelò alla prova dei fatti assolutamente inadeguata ad aderire ad esigenze tanto differenziate per dimensioni, popolazione, tradizioni storiche, ambiente economico-sociale […] Ne derivò una prassi amministrativa ambigua, […] condizionata dall’influsso determinante dei contesti locali52.
- 53 F. Ingravalle, Urbano Rattazzi e la legge, cit., p. 111.
48Gli stessi effetti dell’accentramento relativo voluto dalla legislazione del 1865 finirono per essere profondamente differenti; da un lato, infatti, la legge senz’altro favorì lo sviluppo di alcuni comuni assai più di quanto avrebbe fatto una politica di decentramento; nella varietà delle situazioni vi sarebbe stati certamente enti locali incapaci, per condizioni economiche, ma soprattutto culturali, sociali e politiche di badare a sé stessi. Al contempo però divenne presto un «dispositivo di deresponsabilizzazione delle autorità locali che non venivano aiutate a crescere, ma indotte ad appoggiarsi all’amministrazione centrale»53.
49Inoltre, non venne mai sopito il desiderio, per quelli che si ritenevano sufficientemente forti, di affrancarsi da un controllo ritenuto troppo invadente e lesivo della capacità di sviluppo locali.
50Quel che si metteva in discussione era il significato stesso della circoscrizione amministrativa provinciale, di cui si contestava la natura, ma soprattutto i confini, artificiali: le provincie — si legge in una memoria presentata in quegli anni —
- 54 Ragioni sulla necessità della restaurazione della provincia di Savona, Torino, Tipografia De Rossi (...)
non sono opera della volontà del legislatore […] le provincie sono enti naturali create dalla topografia, dalle tradizioni, da un complesso d’interessi che s’aggruppano insieme come per istinto e che reciprocamente si sentono, si intendono, si collegano e s’avvalorano, assumendo così l’aspetto di un interesse solo. Quando questi dati non concorrono a formare la provincia dessa rimane una creazione artificiale ed allora, invece di quell’armonico concorso di forze onde le associazioni provinciali traggono la loro ragione d’essere e la leva dei loro progressi non altro risulta che un fascio violento di aspirazioni riluttanti e cozzanti nel cui urto le minori forze rimangono pressoché distrutte e le prepotenti stese grandemente danneggiate54.
51Come è noto, nonostante le modifiche introdotte dalle riforme crispine, che allargarono il suffragio e posero le premesse per un diverso rapporto tra governo ed élites locali, occorrerà comunque attendere ancora molti anni prima di una nuova radicale riorganizzazione territoriale delle strutture amministrative in Italia.
Notes
1 P. Aimo, Stato e poteri locali in Italia. 1848‑1995, Roma, Carocci, 1998, p. 29. Ricca la bibliografia che si occupa dello studio della storia della amministrazione in Italia e del dibattito sul rapporto centro — periferia negli anni dell’Unificazione; tra le diverse opere che si occupano del periodo che qui interessa si possono ricordare, in ordine cronologico, A. Aquarone, L’organizzazione dello Stato autoritario, Torino, Einaudi, 1965; G. Astuti, L’unificazione amministrativa del Regno d’Italia, Napoli, Morano, 1966; G. de Cesare, La formazione dello stato unitario (1860‑1861), Milano, Giuffrè, 1978; P. Calandra, Storia dell’amministrazione pubblica in Italia, Bologna, Il Mulino, 1978; S. Cassese, Il sistema amministrativo italiano, Bologna, Il Mulino, 1983; S. Cassese (a cura di), L’amministrazione centrale, in Storia della società italiana dall’Unità ad oggi, vol. IX, Torino, Utet, 1984; G. Melis, Due modelli di amministrazione tra liberalismo e fascismo, Roma, Ministero per i beni culturali e ambientali, 1988; R. Romanelli, Il comando impossibile. Stato e società nell’Italia liberale, Bologna, Il Mulino, 1988; R. Ruffilli, Istituzioni società Stato, in G. Nobili Schiera (a cura di), Il ruolo delle istituzioni amministrative nella formazione dello Stato in Italia, Bologna, Il Mulino, 1989; R. Romanelli (a cura di), Storia dello Stato italiano dall’Unità a oggi, Roma, Donzelli, 1995; G. Melis, Storia dell’amministrazione italiana 1861‑1993, Bologna, Il Mulino, 1996; N. Randeraad, Autorità in cerca di autonomia. I prefetti nell’Italia liberale, Roma, Ministero per i beni culturali e ambientali, Ufficio centrale per i beni archivistici, 1997; S. Sepe, L. Mazzone, I. Portelli e G. Vetritto, Lineamenti di storia dell’amministrazione italiana (1861‑2002), Roma, Carocci, 2003; P. Aimo, Il centro e la circonferenza. Profili di storia dell’amministrazione locale, Milano, Franco Angeli, 2005; G. Melis (a cura di), Il Consiglio di Stato nella storia d’Italia. Biografie dal 1861 al 1948, Milano, Giuffrè, 2006; Storia, Amministrazione, Costituzione: 150o dell’unificazione amministrativa italiana (legge 20 marzo 1865, n. 2248), Firenze, Il Mulino, 2015.
2 Al proposito si vedano le considerazioni di P. Aimo, Le origini della giustizia amministrativa. Consigli di Prefettura e Consiglio di Stato nell’Italia napoleonica, Milano, Giuffrè, 1990, p. 86.
3 Nel Regno di Sardegna, che è la realtà che qui maggiormente interessa per gli sviluppi futuri dell’unificazione italiana, i Dipartimenti, trasformati in divisioni rette da un Intendente Generale, a loro volta vennero divisi in Province, rette da un intendente di Provincia, e Comuni, con a capo un sindaco di nomina regia.
4 Ai funzionari statali vennero infatti affiancati, soprattutto dopo la promulgazione dello statuto, con la legge comunale e provinciale del 7 ottobre 1848, organi collegiali rappresentativi, anche se pur sempre ‘filtrati’ grazie «a meccanismi elettorali adatti a garantire soprattutto un predominio alla grande e media possidenza terriera». Cfr. P. Aimo, Introduzione a W. E. Crivellin (a cura di), La Provincia di Torino. 1859‑2009. Studi e ricerche, Milano, Franco Angeli, 2009, p. 14.
5 N. Randeraad, Autorità in cerca di autonomia: i prefetti nell’Italia liberale, cit. Sulle vicende amministrative negli anni dell’unificazione, vd. A. Caracciolo, Stato e società civile. Problemi dell’unificazione italiana, Torino, Einaudi, 1960; C. Ghisalberti, L’unificazione amministrativa del Regno d’Italia, in Id., Contributi alla storia delle amministrazioni preunitarie, Milano, Giuffrè, 1963, pp. 217‑237; C. Pavone, Amministrazione centrale e amministrazione periferica da Rattazzi a Ricasoli (1859‑1866), Milano, Giuffrè, 1964; E. Ragionieri, Politica e amministrazione nella storia dell’Italia unita, Bari, Laterza, 1967. Sullo sviluppo del diritto amministrativo fondamentale il volume di L. Mannori e B. Sordi, Storia del diritto amministrativo, Bari, Laterza, 2001.
6 Regie Patenti del 26 agosto 1841, 25 agosto 1842, 31 agosto 1843.
7 A. Petracchi, Le origini dell’ordinamento comunale e provinciale italiano, Venezia, Neri Pozza, 1962, p. 89, volume a cui si rinvia per un quadro dettagliato dei contenuti degli interventi normativi.
8 G. Melis, Storia dell’amministrazione italiana, 1861‑1993, Bologna, Il Mulino, 1996, p. 22. La legge 23 marzo 1853, n. 1483 e il regolamento per la sua attuazione, il regio decreto 23 ottobre 1853, n. 1611, «fissarono un’articolazione uniforme all’interno di ciascun ministero, basata su una rigida gerarchia, in cui tutti gli impiegati, dal vertice (il segretario generale e i direttori generali, seguiti dai capidivisione) alla base (segretari e applicati delle varie classi, supportati dai volontari), dovevano rispondere del proprio operato ognuno al rispettivo superiore gerarchico, e infine al ministro, senza il riconoscimento di alcuno spazio di autonomia ai singoli livelli amministrativi». A. Meniconi, voce Amministrazione, in Dizionario del liberalismo italiano, vol. 1, Soveria Mannelli, Rubettino, 2011.
9 G. Melis, Fare lo stato per fare gli italiani. Ricerche di storia delle istituzioni dell’Italia unita, Bologna, Il Mulino, 2015, p. 20.
10 R. Romanelli, Il comando impossibile. Stato e società nell’Italia liberale, cit. Dello stesso autore anche Centralismo e autonomie, in R. Romanelli (a cura di), Storia dello Stato italiano dall’Unità a oggi, cit.
11 E. Genta, La provincia di Torino dall’antico regime all’avvento del fascismo. Panorama storico-giuridico, in W. E. Crivellin (a cura di), La provincia di Torino, cit., p. 37.
12 Sull’argomento, vd. F. Ingravalle, Urbano Rattazzi e la legge per l’unificazione amministrativa del Regno d’Italia, «Rivista di Storia, arte, archeologia per le province di Alessandria e Asti», vol. CXIX, 2010, pp. 93‑112. Sulla figura di Rattazzi, si vedano i saggi raccolti nel volume R. Balduzzi, R. Ghiringhelli e C. Malandrino (a cura di), L’altro Piemonte e l’Italia nell’età di Urbano Rattazzi, Milano, Giuffrè, 2009, cui si rimanda per la bibliografia di riferimento.
13 L. 25 aprile 1859, n. 3345.
14 Per un panorama d’insieme sugli aspetti legislativi del periodo in questione, sempre validi A. Aquarone, L’unificazione legislativa e i codici del 1865, Milano, Giuffrè, 1960 e C. Schwarzenberg, La formazione del Regno d’Italia. L’unità amministrativa e legislativa, Milano, Mursia, 1975.
15 U. Rattazzi, Relazione sul nuovo ordinamento comunale e provinciale fatta a S.M. dal Ministro dell’interno il 23 ottobre 1859, in Collezione celerifera delle leggi, decreti, istruzioni e circolari pubblicate nell’anno 1859, Torino, presso Enrico Dalmazzo Tip. Editore, 1859, p. 1249.
16 Ibid.
17 Si veda al riguardo quanto riportato da A. Petracchi, Le origini dell’ordinamento comunale, cit., vol. 1, pp. 262 sgg. e da P. Battilani, Decentramento o accentramento: obiettivi e limiti del sistema amministrativo locale scelto con l’Unità del paese, «Rivista di storia economica», vol. XVII, no 3, 2001, p. 316.
18 C. Schwarzenberg, La formazione del Regno d’Italia, cit., p. 16.
19 F. Mazzanti Pepe, Profilo istituzionale dello stato italiano. Modelli stranieri e specificità nazionali nell’età liberale (1849‑1922), Roma, Carocci, 2004, p. 51.
20 E. Genta, La provincia di Torino, cit., p. 39.
21 C. Astengo, La guida amministrativa in base alla legge 23 ottobre 1859, Milano, presso Luigi di Giacomo Pirola, 1860, p. 11. Sul personaggio, ricordato soprattutto per aver fondato nel 1862 e diretto Il manuale degli amministratori comunali e provinciali e delle opere pie, abitualmente noto come Manuale Astengo che rappresentò uno strumento pratico e una fonte preziosa ed inesauribile di informazioni per gli operatori della burocrazia postunitaria ancora in formazione, si vedano le voci Astengo Carlo di E. Costa in Dizionario biografico degli italiani [DBI], vol. 1, 1992, pp. 270‑271 e di M. Fortunati in Dizionario Biografico dei giuristi italiani (XII‑XX secolo) a cura di I. Birocchi, E. Cortese, A. Mattone e M. Miletti, vol. 1, Bologna, Il Mulino, 2013, p. 119.
22 U. Rattazzi, Relazione sul nuovo ordinamento comunale e provinciale, cit., p. 1250.
23 Ibid.
24 Ibid.
25 P. Aimo, Stato e poteri locali in Italia, cit., p. 32.
26 Ivi, p. 29.
27 L. Garibbo, Politica, amministrazione e interessi a Genova (1815‑1940), Milano, Franco Angeli, 2000, p. 70.
28 R. Romanelli, Centralismo e autonomie, in Id. (a cura di), Storia dello stato italiano dall’Unità a oggi, cit., p. 132. Sulla richiesta di autonomia degli enti locali come riflesso di posizioni ‘austriacanti’ e, per converso, sull’accentramento di stampo francese come sinonimo di idee liberali e patriottiche, vd. A. Petracchi, Le origini dell’ordinamento, cit., vol. 1, p. 260.
29 N. Raponi, L’unificazione legislativa e amministrativa dello Stato, in Il Parlamento italiano. 1861‑1988, vol. 2: 1866‑1869. La costruzione dello Stato da La Marmora a Menabrea, Milano, Nuova CEI informatica, 1988, p. 94. Sui progetti, si veda anche R. Martucci, L’invenzione dell’Italia unita (1855‑1864), Milano, Sansoni, 1999, pp. 403‑417.
30 «Al di sopra della provincia, al disotto del concetto politico dello Stato, io penso che si debba tener conto di questi centri, i quali rappresentano quelle antiche autonomie italiane, che fecero sì nobile omaggio di sé all’unità della nazione. La circoscrizione politica che dobbiamo stabilire non vuol essere né il frutto d’un concetto astratto né un’opera arbitraria, ma deve rappresentare quelle suddivisioni effettive che esistono nelle condizioni naturali e storiche».
31 Il testo della Nota, così come gli estratti dei verbali della Commissione istituita presso il Consiglio di Stato, sono editi in A. Petracchi, Le origini dell’ordinamento comunale, cit., vol. 3, pp. 186‑321. Vedi anche C. Pavone, Amministrazione centrale, cit., pp. 279‑286 e F. Mazzanti Pepe, Profilo istituzionale, cit., pp. 156‑161.
32 R. Romanelli, Centralismo e autonomie, cit., p. 132.
33 «Obietto della presente riforma sarebbe adunque di dare o restituire alla provincia l’amministrazione di quegli affari che sono ad essa connaturati, permettendole di agire indipendentemente dall’autorità governativa salvo quella vigilanza suprema che lo Stato esercita sopra ogni corpo morale. È questo il punto capitale della proposta, oserei dire il solo che mi sembri essenziale».
34 Il discorso ed il progetto di Minghetti sono riportati integralmente in A. Petracchi, Le origini dell’ordinamento comunale, cit., vol. 3, pp. 324‑405. Sul discorso, v. anche C. Pavone¸ Amministrazione centrale, cit., pp. 291‑298 e F. Mazzanti Pepe, Profilo istituzionale, cit., pp. 161‑164.
35 Si vedano per tutti le critiche ai progetti Farini e Minghetti che Carlo Cattaneo pubblicò sul «Politecnico» nel 1861. C. Cattaneo, Scritti politici, a cura di M. Boneschi, Firenze, Felice le Monnier, 1964‑1965, vol. 4, pp. 89‑95 e 112‑114. Per riferimenti sul dibattito e sui diversi contributi, vd. R. Ruffilli, La questione regionale (1862‑1942), Milano, Giuffrè, 1971, pp. 3‑57.
36 G. E. Garelli, Lezioni di diritto amministrativo date nella R. Università di Torino raccolte e compendiate dallo studente Paolo Boselli, Torino, Tip. Cerutti, Derossi e Dusso, 1860. Si tratta di un volume compilato, come ricorda l’allora studente Boselli, «privatamente dal sottoscritto per solo uso e comodo de’ suoi condiscepoli» e non «destinata a maggiore pubblicità che quella indispensabile allo scopo che l’ha determinata». Notizie su Giusto Emanuele Garelli della Morea si trovano nel necrologio a lui dedicato da Alessandro Morelli nell’ Annuario della Regia Università di Torino dell’anno accademico 1893‑1894, Torino, Stamperia Reale, 1894, pp. 151‑154.
37 G. E. Garelli, Lezioni di diritto amministrativo, cit., p. 21.
38 «L’autonomia del Comune è necessaria […] I bisogni locali non sono ben conosciuti se non da chi li sente ed esamina sul luogo stesso»; se li si vuole conoscere e soddisfare occorre che «siano rappresentati da chi è in grado di sentirli ed esporli […] Voglionsi affezionare, o no, i cittadini allo Stato, educarli, o no, alla pubblica vita? Se si vuole da senno, è mestieri di sviluppare gli elementi delle municipali libertà. Il primo affetto alla cosa pubblica il cittadino lo sente nel Comune; in esso egli tenta i suoi primi saggi di capacità amministrativa politica. Togliete di mezzo l’azione del cittadino nel municiio, e in pari tempo, gli interdite ogni azione, ogni sentimento politico» (ivi, pp. 22‑23).
39 P. Maestri, Del dicentramento amministrativo in Francia, «Il Politecnico», vol. 10, 1861, pp. 288‑305: «L’Italia deve desiderare più d’ogni altra nazione il trionfo dell’idea democratica presso la nazione sorella […] Nessuna meraviglia che i nostri disegni di dicentramento finiscano in vane parole, finché il popolo francese, delle idee del quale trae conforto in Italia ogni anima pensante, persiste a versarsi per l’opposta via» (p. 305).
40 «Una cosa sola è chiara ed evidente; ed è la tendenza incorreggibile d’intrudere per tutto le istituzioni e le idee del vecchio Piemonte […] poiché in parlamento i deputati e senatori di Lombardia, Emilia e Toscana si trovano nuovi fra loro e senza alcun accordo, innanzi al nucleo degli uomini del vecchio Piemonte e dei loro aderenti, diretto e disciplinato da un governo in cui l’elemento piemontese è sempre in maggioranza» (ivi, p. 304).
41 F. Daneo, Del rapporto dello Stato coi comuni nell’ordinamento amministrativo del Regno, «Rivista amministrativa del Regno. Giornale ufficiale delle amministrazioni centrali e provinciali, dei comuni e degli istituti di beneficenza», Torino, Favale, vol. XII, 1861, pp. 94‑98.
42 Ivi, p. 95.
43 G. Alasia, Lettere sul discentramento, Firenze, Tipografia della Gazzetta d’Italia, 1871. Sull’autore, deputato e prefetto di Bari, L’Aquila e Ravenna, brevi cenni biografici in <https://storia.camera.it/deputato/giuseppe-alasia-18201130> e ad vocem, in Il Parlamento del Regno d’Italia, a cura di A. Calani, Milano, Stab. di Giuseppe Civelli, 1860, p. 13.
44 Il programma si trova in Sul programma dei signori senatori G. Conte Ponza di S. Martino e Comm. Stefano Jacini. Osservazioni, Firenze, Stab. di Giuseppe Civelli, 1871 e, insieme ad altri scritti, in S. Jacini, La riforma dello Stato e il problema regionale, a cura di F. Traniello, Brescia, Morcelliana, 1968. Per informazioni bio-bibliografiche, vd. per tutti le voci del DBI Jacini Stefano e Ponza di San Martino Gustavo curate rispettivamente da N. Raponi e D. De Franco.
45 «L’ordinamento messo in atto dalle leggi del ’65 […] segnava la vittoria della linea centralizzatrice e statalista. Questa scelta era effetto innanzitutto della tendenza all’accentramento e alla burocratizzazione degli apparati propria dello stato moderno e specifica del modello francese […] Ad essa concorrevano inoltre l’esigenza dei ceti moderati a rafforzare il centralismo e l’autorità statale per frenare istanze democratiche e il timore che il decentramento dilatasse a tal punto la base sociale dello stato da compromettere la loro egemonia […] il pericolo di compromettere l’appena raggiunta unità nazionale […] la questione meridionale […]» (N. Raponi, L’unificazione legislativa, cit., p. 102) e forse anche l’incapacità di proporre un altro sistema. Anche l’ipotesi regionale venne velocemente abbandonata per ritornare d’attualità solo con la costituzione repubblicana. «Nelle condizioni date, in cui profonda rivoluzione non c’era stata, eventuali regioni sarebbero di fatto coincise con gli antichi Stati ed il loro inevitabile carattere statuale, intrinseco all’ente regionale, avrebbe riprodotto nella regione molti dei poteri propri degli antichi regimi e delle loro classi dirigenti. Nell’introdurre un sistema amministrativo uniforme e centralizzato fu quindi giocoforza ignorare la dimensione regionale» (R. Romanelli, Storia dello stato italiano dall’Unità a oggi, cit., p. 135).
46 N. Raponi, L’unificazione legislativa, cit., p. 102.
47 F. Ingravalle, Urbano Rattazzi e la legge, cit., p. 107.
48 R. Romanelli, Storia dello stato italiano dall’Unità a oggi, cit., p. 135.
49 G. Melis, Storia dell’amministrazione, cit., p. 79.
50 P. Aimo, Amministrazioni locali e grandi città in Italia: uniformità dell’ordinamento e dimensione territoriale, in E. Arioti, L. Canepa e R. Ponte (a cura di), La grande Genova 1926‑2006, Atti del Convegno di studi (Genova, 28‑30 novembre 2006), Genova, Fondazione Carige, p. 30.
51 Ibid., p. 29.
52 G. Melis, Storia dell’amministrazione, cit., p. 79.
53 F. Ingravalle, Urbano Rattazzi e la legge, cit., p. 111.
54 Ragioni sulla necessità della restaurazione della provincia di Savona, Torino, Tipografia De Rossi e Dusso, 1862, p. 4.
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Référence électronique
Maura Fortunati, « «Accentrare nell’ordine politico ed emancipare nell’ordine amministrativo». Le scelte dell’Italia in età risorgimentale », Cahiers d’études italiennes [En ligne], 34 | 2022, mis en ligne le 03 mars 2022, consulté le 03 décembre 2024. URL : http://0-journals-openedition-org.catalogue.libraries.london.ac.uk/cei/10394 ; DOI : https://0-doi-org.catalogue.libraries.london.ac.uk/10.4000/cei.10394
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