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Revisitations, adaptations et confrontations d’ouvrages

Ricezione ed analisi della prima traduzione in spagnolo de La Sicilia, il suo cuore di Leonardo Sciascia

Lorenzo Cittadini et Giovanni Caprara
p. 142-160

Résumés

In questo articolo si intende analizzare l’opera poetica La Sicilia, il suo cuore di Leonardo Sciascia. In particolare, lo studio vuole presentare il primo lavoro di traduzione in spagnolo (Sicilia, su corazón) dell’opera del 1952 edita da Bardi Editore. Tradotta da Lorenzo Cittadini e Giovanni Caprara per El Toro Celeste di Malaga, la raccolta è accompagnata da un’analisi preliminare del prof. Miguel Ángel Cuevas e da un’intervista a Gigi Restivo di Casa Sciascia. Il volume, ventiquattro poesie divise in due sezioni principali, offre al lettore l’intimo esordio poetico dell’autore racalmutese, una panoramica distillata delle domande sui suoi temi più urgenti come la giustizia, la verità, il silenzio, la morte, l’interiorità della Sicilia e l’essere siciliano, a cui, successivamente e in forma di prosa, Sciascia ha cercato di rispondere. La forma poetica della raccolta, raramente oggetto di studio, infatti, tende in modo significativo alla prosa e testimonia, forse, il primo e ultimo caso in cui Sciascia ricorre a se stesso, travestito da poeta-reporter, per decifrare l’enigma dell’essere siciliano, la «sicilitudine». Lo studio, infine, intende rinsaldare quel ponte culturale con la sua amata Spagna, conducendo i versi di Sciascia in quella parte di mondo che egli confessò di avere nel cuore, rendendo ora comprensibile fino in fondo il sentimento poetico che lo legò alla sua terra: la Sicilia profonda, interna, quella lontana dal mare, diventata il centro pulsante, l’osservatorio sul mondo.

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Parole chiave:

Sicilia, Spagna, poesia, traduzione, viaggio

Personnes citées :

Leonardo Sciascia
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Texte intégral

1Il desiderio e il piacere di immergersi nel mondo giovanile di La Sicilia, il suo cuore (Bardi Editore, 1952) di Leonardo Sciascia hanno trovato origine nei momenti più bui e dolorosi della nostra umanità, durante i mesi di chiusura globale a causa di una forza invisibile e distruttrice come il Covid-19. Una condizione che ha ribaltato il consueto modo di relazionarci con gli altri e di vivere i nostri luoghi, rinnovando il rapporto che avevamo con la nostra casa. La lettura del primo ed unico volume che raggruppa i pensieri in versi di Sciascia è stato come un antidoto alla puntura di un mondo malato che d’improvviso ha dovuto fare i conti con se stesso. L’occasione di poter realizzare la prima traduzione ufficiale di queste poesie in spagnolo, una volta viaggiato virtualmente nella Sicilia della giovinezza dell’autore racalmutese e aver raccolto le metafore più sincere di quella terra e i sentimenti legati alle stagioni e all’alternanza fra vita e morte, è stata fornita dalle celebrazioni del centenario della nascita di Sciascia nel 2021 e, ancora di più, da un lavoro di ricerca per il Dottorato presso l’Universidad de Málaga che si struttura proprio attorno alla dimensione del viaggio, fisico, reale ma anche di fantasia e letterario di Leonardo Sciascia e delle sue opere. La Sicilia e la Spagna come assi portanti degli itinerari di Sciascia, non certo un viaggiatore per definizione ma un attento osservatore delle cose del mondo, che dalla Sicilia sembrano trovare specchio e conferma all’interno del quadro mediterraneo. Uno spazio a cui si è deciso di concentrarsi per far emergere maggiormente le dimensioni del viaggio, sia interno alla Sicilia così come lontano da casa, la partenza ed il ritorno, per tracciare una geografia precisa dello scrittore, delle sue opere, delle sollecitazioni del viaggio che queste conservano. Come ebbe da dire lo stesso Sciascia:

Non ho mai potuto amare la Sicilia interamente, senza una controparte di insofferenza, di risentimento, di avversione. Ho sempre dovuto e voluto fare i conti con lei, restandoci. Ho dovuto e voluto fare i conti con quello che c’è in lei di vecchio, di stupido, di tremendo; e col nuovo che diventa vecchio. Per fare un discorso d’amore, di solo amore, dovrei riportarmi agli anni dell’infanzia in cui la scoprivo [Sciascia 2018, 10].

2E da qui siamo partiti, insieme al professore Giovanni Caprara, che ha collaborato alla traduzione e all’edizione, dal cuore della Sicilia di Leonardo Sciascia, da Racalmuto, il suo paese, la campagna, le zolfare, la gente del posto e le storie legate a quei luoghi. Poi, ad intervenire, è stato un altro angolo di cuore, ovvero la Spagna, come già sottolineato, a cui Sciascia riservò realmente uno spazio del suo cuore. Sicilia e Spagna luoghi dell’anima, si potrebbe dire, in cui «hispanidad e sicilitudine costituiscono modulazioni tonali di un analogico, comune sentire» [Zappulla Muscarà 2009, 7]. Queste sollecitazioni provenienti da lontano, insieme a tutte quelle risultanti dai mesi difficili di isolamento che abbiamo dovuto vivere, hanno in qualche modo dato l’impulso per credere in questo progetto editoriale e di concentrare le forze per far emergere una visione personale dell’idea di casa, scommettendo nelle prime «folgorazioni» sciasciane di La Sicilia, il suo cuore, costruendo quel ponte linguistico con la sua amata Spagna, in cui, sino ad oggi, non è stato possibile leggere e comprendere fino in fondo il sentimento che lo legò alla sua terra. Un’isola che è stata il paradigma di una condizione esistenziale, eretta a metafora del mondo, con le sue contraddizioni e ricchezze, con le paure ancestrali provenienti dal mare e la secolare incertezza che ha fatto riparare il popolo siciliano nel cuore del suo territorio. La Sicilia profonda, interna, quella lontana dal mare, è diventata per Leonardo Sciascia il centro pulsante, l’osservatorio sul mondo, da dove l’unica cosa che può ispirare, come l’autore afferma in La Sicilia, il suo cuore, sono solamente «le acque giallo di fango che i greci dissero d’oro» [Sciascia 1997, 11].

3La traduzione de La Sicilia, il suo cuore, pubblicata dalla casa editrice El Toro Celeste di Malaga, include uno studio previo del Prof. Miguel Ángel Cuevas dell’Università di Siviglia e un «dialogo intimo» tra i curatori e il Dott. Gigi Restivo, uno dei referenti e custodi di Casa Sciascia a Racalmuto. Il volume consta di ventiquattro poesie, divise in due sezioni; la prima è composta da diciannove poesie, la seconda composta da cinque. La seconda sezione, chiamata «Foglietti di diario», si colloca in mezzo al blocco principale ed omonimo della prima sezione, dividendo di fatto la raccolta in tre intervalli, otto poesie iniziali seguite da quelle appartenenti ai «Foglietti di diario» e le ultime undici poesie appartenenti alla prima sezione. L’intera raccolta offre al lettore l’esordio poetico dell’autore racalmutese, una panoramica distillata delle domande sui temi più urgenti di Sciascia, come la giustizia, la verità, il silenzio, la morte, l’interiorità della Sicilia e l’essere siciliano, a cui, successivamente e in forma di prosa, l’autore ha cercato di rispondere, dando «l’esatta contezza del paesaggio di una Sicilia che pare quasi un personaggio e non soltanto il fondale di un’azione poetica» [Italia 2009, 144]. La forma poetica della raccolta tende in modo significativo alla prosa e testimonia il primo e ultimo caso in cui Leonardo Sciascia ricorre alla pratica della composizione in versi, travestito da poeta-reporter, per decifrare l’enigma dell’essere siciliano, la sicilitudine. Una visione, una descrizione profonda, un viaggio giovanile «a cuore scoperto», che permette di accedere all’intimità dei siciliani attraverso l’analisi soggettiva dell’autore. La forma poetica di Sciascia, quasi del tutto sconosciuta tanto in Italia quanto in Spagna, si è rivelata l’occasione, complice lo stravolgimento a livello mondiale negli ultimi due anni della consueta relazione con i luoghi e le persone, per rinnovare e far conoscere agli ispanofoni i sentimenti più vivi che legavano Sciascia alla sua terra, alla sua isola, la Sicilia. Il volume in questione, in qualche modo, stravolge

l’immagine consolidata di Sciascia, lo scrittore per antonomasia dell’analisi storica più oculata, della presa sui fatti nella loro particolarità irriducibile, del romanzo-inchiesta, del romanzo saggio, del romanzo-documento, e dunque della testimonianza, della verità, del giudizio. In una parola, lo scrittore della storia, o meglio ancora, della coscienza della storia, presente e passata che sia [Galaverni 2021, 44].

  • 1 Leonardo Sciascia, Una letteratura d’opposizione, in Salvatore Costantino, Aldo Zanca (a cura di), (...)

4Come ebbe a dire lo stesso Sciascia nel suo intervento al «Convegno sulle condizioni di vita e di salute in zone arretrate della Sicilia occidentale», svoltosi nel 1960 a Palma di Montechiaro1, sono chiari i riferimenti verso i maestri ai quali si rivolge, Vittorini e Pavese. Pavese, in particolar modo, scrittore e traduttore, ma anche poeta, sul quale Sciascia si forma grazie proprio agli adattamenti in italiano di Dos Passos e Whitman, per esempio. «Non è dunque sul valore poetico de La Sicilia, il suo cuore che ci soffermiamo bensì sull’evidente influenza che hanno avuto sull’opera i versi di Pavese e, soprattutto, quelli di Lavorare stanca, letti da Sciascia proprio negli anni in cui andava componendo i suoi» [Italia 2009, 144]. Ciò contribuisce a caratterizzare la raccolta poetica sciasciana come rappresentazione mitica e, a tratti, simbolica della realtà, per interpretare il mondo e i protagonisti del luogo vissuto, mettendo al centro la Sicilia, cosa non scontata visti i riflessi ermetici della poesia del suo tempo (che rimangono comunque in diverse parti della raccolta), che tendevano a svincolarsi da ogni determinazione spazio-temporale.

Analisi tematica del volume

5Scendendo nel cuore del processo traduttologico è evidente che ad emergere sono alcuni tratti fondamentali, temi specifici e ricorrenti in tutta l’opera di Sciascia, sia in questo volume di poesie, come nella più ampia collezione di opere narrative e saggistiche. L’analisi del testo ha posto i traduttori di fronte a importanti scelte, considerando l’esistenza di molti termini che, per motivi storici e culturali, contemplavano dei corrispettivi in spagnolo, tali da poter adattare il senso originale di alcuni versi alla comprensione e ricezione dello stesso nella lingua d’arrivo. Andando in ordine, i temi più urgenti di Sciascia sono senza dubbio il paesaggio siciliano, la natura, Racalmuto e i suoi abitanti, che però producono nell’animo e nel cuore del poeta un senso di silenzio e morte, così come «la vicenda della pietà. Un terribile sentimento, la pietà. Un uomo deve amare ed odiare: mai avere pietà» [Sciascia 1991, 56], si pensi alle successive pubblicazioni come Il giorno della civetta (1961), A ciascuno il suo (1966), Il contesto (1971). In La Sicilia, il suo cuore emergono forti i temi del silenzio e della morte, il lettore prende coscienza della volontà dell’autore di svelare l’enigma attraverso un’intima lente d’ingrandimento. Sciascia si traveste da poeta-narratore per decifrare l’anima del popolo siciliano, il loro fare e pensare, prima di servirsi di terze persone come protagonisti e narratori, poliziotti, preti, politici, giudici, per giocare con il genere giallo, genere che, come afferma in Fuoco all’anima (1992), «dà uno schema con un inizio, uno sviluppo e una fine. Anche se la città in cui si svolge la storia, senza che ne sia fatto il nome, è una città siciliana» [Sciascia 2021a, 128], facendone anche un metodo per inquadrare l’Italia, flagellata da «soprusi del potere e della religiosità degradata a inquisizione» [148]. Per questo motivo il volume di poesie tradotto in spagnolo rappresenta un unicum, anche se rimarrà nella prosa quell’inspiegabilità della Sicilia, come costante che non lo abbandonerà mai. Silenzio e morte insistono già dalla prima ed omonima poesia, La Sicilia, il suo cuore, che racconta il suo paese, Racalmuto, e i suoi compaesani. È curioso come il paesino in cui nacque Sciascia venga dall’arabo Rahal-Maut, «città di morti», e come lo stemma comunale di Racalmuto sia rappresentato da

un giovane nudo con l’indice alla bocca, nel gesto di chi voglia imporre o suggerire il silenzio. Di fronte a lui è una torre e intorno la scritta: “Universitas Racalmuti – obmutui et silui – cor meum enituit” (Comune di Racalmuto, stetti muto e silenzioso – il cuor mio si rinvigorì). Tale stemma fu scelto verosimilmente tra il Seicento ed il Settecento - annota Leonardo Sciascia - la scritta e la scena rappresentata hanno significato ambiguo. Potrebbe suggerire la posizione umiliante e subordinata dell’uomo nudo, il cittadino, che è bene taccia per prudenza di fronte al potere rappresentato dalla torre civica, ma nel comune sentire siciliano suggerisce piuttosto, a Sciascia, non un silenzio di quiescenza, ma di preparazione. Per parlare solo quando si sa di poter “essere precisi, affilati, acuti ed arguti…”.2

6Come si può percepire dai dettagli della poesia iniziale, il paesaggio cui si trova davanti Sciascia è lugubre ed inquietante, molto distante dal solito stereotipo idilliaco della Sicilia:

Un miope specchio di pena, un greve destino
di piogge: tanto lontana è l’estate
che qui distese la sua calda nudità
squamosa di luce – e tanto diverso
l’annuncio dell’autunno,
senza le voci della vendemmia.
Il silenzio è vorace sulle cose [Sciascia 2021, 20].

7Qui il silenzio è protagonista, siamo nella stagione in cui il vociare della gente durante la vendemmia è lontano ed il silenzio si fa «vorace», ovvero che riesce ad inghiottire tutto ciò che era presente annullandolo, come una sorta di buco nero che tutto attira a sé e tutto fa sparire, creando un vuoto d’aria. Un quadro desolante è quello che ci consegna Sciascia, sottolineando come gli antichi, le ninfee, gli dei e gli eroi scelsero di non abitare questa terra. Di nuovo nella seconda poesia In memoria, in cui torna la stagione che porta la morte dopo il lungo inverno, così come morti sono i binari vicino alle acque gialle di fango e zolfo, che danno un’idea di stagnazione, di impassibilità ed immobilità della sua terra in cui nulla cambia. Protagonisti sono ora i corpi dei defunti nel terzo poema I morti, che se ne vanno via dal paese «dentro il nero carro incrostato di funebre oro» [Sciascia 2021, 24]. La sequenza di questa poesia è quasi cinematografica, Sciascia descrive attentamente le scene che da sempre si ripetono e perpetuano nella gente del paese lo stesso sentimento di desolazione e morte, di fatalità e dolore. Il carro passa lento accompagnato dalla banda, si chiudono le finestre di casa per non far entrare la nera presenza, sperando che passi oltre e che non si fermi in casa di qualche donna, parente o amico. Il titolo della poesia successiva pare dare uno spiraglio di ottimismo, un cambio di rotta, invece Sciascia si ritrova prigioniero tra il senso di appartenenza che lo lega al suo paese e il rifiuto dello stesso, tra una timida vitalità che lascia subito posto al silenzio, alla rovina, al marcio delle foglie, al senso di morte e quiete, avvicinandosi al cimitero, atmosfera di «perpetua stagione di morte» [2021b, 26]. La prima parte della raccolta termina con una sequenza di quattro poesie legate tra loro da un altro tema, ovvero il senso di distacco che Sciascia prova quando è lontano dalla sua terra e il successivo ritorno a Racalmuto, che però si fa subito luogo cupo che non abbandona mai lo scrittore, sempre presente nei pensieri e nei ricordi. È un senso di appartenenza molto forte ma quasi mai contraddistinto da sentimenti positivi; al contrario, emerge ancora una volta la malinconia struggente che accompagna Sciascia nella descrizione del suo paese, convertendosi in una prospettiva, in un punto di vista dello scrittore. Infatti, i ricordi si legano alla «piazza grande piena di silenziosi uomini neri» [1997, 15] da cui ha appreso i principali insegnamenti e ascoltato le storie più oscure legate alle zolfare e ai campi, «profondi luoghi di morte» [15]. Lo stesso sentimento di immobilismo lo si può percepire in Family Reunion, dove è l’immagine di un orologio fermo da anni che ci fa testimoni del silenzio immutato di una casa, che sembra ingoiare tutto ciò che è presente. Poi in Hic et nunc Sciascia si sente come una statua mutilata, bloccato e spezzato, una «montaliana immobilità», dove è soltanto un tremore delle cose presenti, alberi che salgono al cielo e rapidi voli, che possono indicare una via di fuga allo scrittore, un colpo di coda, uno squarcio nel silenzio che possa «mutare il nulla in parola» [17]. La prima parte della raccolta si conclude con Insonnia, dove ancora una volta silenzio e morte fanno da cornice e il poeta sembra aver perso la sua vitalità, è la notte che ride e fa di Sciascia «una cieca/preda spaurita, senza memoria né speranza di luce» [18]. Ciò che emerge da questo primo gruppo di poesie è il forte coinvolgimento emotivo di Sciascia con il suo paese natale e la sua Sicilia: una relazione ostile che rende difficile il rapporto empatico con i suoi luoghi e con la gente del posto, che però il poeta non può ignorare, deve farci i conti.

  • 3 Roberto Galaverni in Il cuore della Sicilia: l’apprendimento in versi di un narratore, in «Todomodo (...)
  • 4 Si è voluto prendere in considerazione questa interessante opera digitale che sta portando a termin (...)

8La sezione intermedia, chiamata «Foglietti di diario», è un gruppo di cinque poesie in cui Sciascia s’allontana dalla Sicilia. Possono essere considerate quasi tutte delle «poesie-diario», tranne l’ultima, nelle quali è esplicito il paese o la città in cui Sciascia le compone: Rapolano Terme, Siena, San Gimignano e Roma. L’ultima poesia di questo gruppo, interpretando quel «così oggi, / solo nella città grande, / io mi abbandono al muro di una chiesa» [23], può essere attribuita sempre alla città di Roma, anche in base alla sequenza temporale che la pone a chiusura di questa sezione. Un prete che si avvia verso la «pieve», scendendo dal treno, i giovani, le ragazze e i soldati siciliani a Siena, un altro prete ed altre chiese a Roma, sono i protagonisti di questa parentesi fuori dalla Sicilia. Al suo rientro, Sciascia pare avere uno spirito rinnovato, sebbene non scompaia quel velo di malinconia che contraddistingue le precedenti composizioni. Questa nuova inclinazione, forse dovuta all’esperienza del viaggio che rinnova e «pulisce» l’animo dello scrittore, contrasta maggiormente la cupezza e l’immobilità del suo paese natale. In Ballerine in treno [24], Sciascia descrive l’incontro con due ragazze, Monica e Marisa, facendosi coinvolgere dal loro singolare comportamento, le lamentele, la fatica e il sonno che le rapisce durante il viaggio. Uno spiraglio di rinnovamento e positività si trova in Un velo d’acque, dove l’acqua e la primavera alleggeriscono l’animo del poeta, le piante ritrovano energia e sembrano poter riaccendere e dare nuova voce al luogo, come si può dedurre dal verso «E la linfa cerca il secco rancore, / scioglie i nodi del gelido cruccio» [25]. La poesia successiva, Aprile3, ci mette di fronte sin dal primo verso ad un termine particolare, ovvero «camorra». Il termine si pensa derivi dal siciliano «1. camurrìa», ovvero una «scocciatura, rottura di palle; camurrìa f. […] malattia venerea, gonorrea; 2. fig. […] noia, fastidio; 3. […] assillo; persona fastidiosa, che assilla per la sua insistenza e pignoleria», come riporta il glossario CamillerIndex4, che a sua volta cita lo stesso Sciascia, il quale utilizzò questo termine in un’altra sua opera, Occhio di capra, pubblicata nel 1984. Per estensione, e contestualizzando l’utilizzo di questo termine, il verso «Sto a far camorra sulle cose, seduto / al sole d’aprile che in me torna / a un suo azzardo di risentimenti e di inganni» [26] sta a significare un atteggiamento nervoso, febbrile, di noia e di fastidio nel pensare nevroticamente alle cose, come se i pensieri del poeta, seduto al sole primaverile, fossero dei rompicapo, dei crucci a cui pensa in modo angoscioso, assillante, lottando, combattendo quasi fisicamente con i suoi pensieri. La cornice di questa poesia è la campagna, la vegetazione che esplode tutto attorno, mentre Sciascia siede a guardare e ad ascoltare i bambini che giocano, il cui rumore e vivacità sono solamente il riflesso di un’illusione passeggera, poiché al «di là di questo gioco / pieno di voci, è solo un paese di silenzio» [26]. Torna il silenzio, forse diluito da un animo rinnovato ma pur sempre consapevole del contesto in cui vive Sciascia. Il punto di massima vivacità della raccolta si incontra nella poesia Dal treno, giungendo a B***, in cui ad emergere sono i colori e lo spirito del poeta, che sembra momentaneamente accantonare la desolazione e il dolore delle precedenti composizioni.

La casa splende bianca in riva al mare;
e la palma che svetta nell’azzurro,
il verde trapunto del giallo dei limoni,
la fredda ombra sotto la trama dei rami.
I suoni stridono sul cristallo del giorno,
una barca rossa si allontana piena di voci.
La ragazza che esce sulla spiaggia
ha dimenticato i sussurrati segreti della notte;
saluta con la mano alta i clamori della barca,
l’azzurro giorno marino, il sole già alto;
poi si china armoniosa a slacciare i sandali vivaci [27].

  • 5 Roberto Galaverni, Op. cit., p. 45.

9Sciascia scrive osservando dal finestrino di un treno, il mezzo con cui egli riesce maggiormente a godere del paesaggio, dei colori, a riflettere lungo il cammino e a interiorizzare ciò che i suoi occhi percepiscono, uno scorrere di immagini e di elementi. In questo caso il poeta si trova di fronte ad un paesaggio marino dalle note accese, la spiaggia, le barche, una casa. Anche qui il riferimento alla poesia di Eugenio Montale pare sia riuscito, soprattutto nel riferimento ai limoni5. La scena è piena di gioia, forse il suo obiettivo è quello di ricordare con orgoglio i fasti dell’isola, il passato glorioso, in aperto contrasto con la poesia iniziale, che tende a demistificare la storia della Sicilia. Il picco di entusiasmo e di felicità che raggiunge questa poesia viene subito smorzato dalle successive tre composizioni, confermando l’animo altalenante del poeta-narratore, particolarmente suscettibile ai cambi d’umore che i suoi luoghi gli provocano, in perfetta linea con la storia di contrasti e di chiaro-scuri della Sicilia, l’isola al centro del Mediterraneo. Un’isola il cui passato è un macigno per Sciascia, che ha sempre considerato il mare come una minaccia, da cui arrivavano solamente morte e distruzione, un mare che Sciascia e molti siciliani hanno negato e continuano a negare:

No, per noi era come se non fosse mai esistito. Racalmuto è vicina al mare, ma non c’era proprio l’uso […] Il mare non esisteva. Per questo non ho mai imparato a nuotare. […] Il mare in genere fa parte delle paure storiche degli italiani. Voleva dire i saraceni, dal mare veniva il pirata, veniva l’invasore [2021, 125-126].

  • 6 Traduzione nostra.
  • 7 Traduzione nostra.

10Infatti, si rompe subito la vivacità raggiunta per lasciare spazio ad un esteso decadimento autunnale e poi invernale. È la natura, ancora una volta, che dà un certo sollievo e bagliore di speranza al poeta, il quale vive costantemente in questa morsa tra la bellezza spontanea del posto e il silenzio del suo paese, quel velo di pessimismo, fatalità e morte che mai lo abbandona. Lo stesso accade in Fine dell’estate, dove torna la gioia dei giovani in mezzo al paesaggio naturale, per cercare di contrastare l’atmosfera di cupezza: «Dopo la raccolta, ragazzi scalzi invadono / i mandorleti: scettri di miseria / le lunghe canne tentennanti» [1997, 29]. Ancora in Invernale, Sciascia cerca di reagire e contrastare lo «spettro mortale dell’inverno con la natura e gli umani ancora una volta»6 [Cantarello 2019, 52]. Come si evince dai versi, «Il giorno soffiato in un vetro torbido, / le cose fragili e grevi: forse ad un grido / gli alberi crolleranno in un suono stridulo, / crollerà gelida la luce» [Sciascia 1997, 30], l’atmosfera di decadenza è tangibile ma un bagliore di speranza viene dalla luce del sole che giunge in aiuto, «colmando i vuoti lasciati dal vento e dal freddo»7 [Cantarello 2019, 52]. Nel poema Ad un amico, ad emergere è l’idea che difficilmente possono essere gli uomini a cambiare l’atmosfera di mortalità del suo paese; infatti, lo sguardo dell’uomo che ha di fronte è colmo d’odio e di cattiveria, proprio «come un ucciso / in un pozzo, la malizia avvelena / misere cose che senza memoria nascondi» [Sciascia 1997, 32]. Torna il tema della mafia e della morte, dell’odio che contraddistingue il suo interlocutore a cui Sciascia si rivolge dicendogli: «E vivi soltanto per questo» [32]. L’atmosfera cupa si amplifica ancor di più nelle due poesie finali, che riconducono il lettore nel vortice di angustia con cui si apre la raccolta. In Roncisvalle è il corno lugubre che suona in una valle di morte, un «lamento feroce» che ricorda la morte di Orlando, eroico paladino di Carlo Magno, che cade in un’imboscata tesagli dai Mori con l’aiuto del traditore Gano di Maganza. Orlando si rifiuta di suonare il corno per richiamare i rinforzi dei Franchi, facendolo solo quando si accascia morente: al loro arrivo il re Carlo e i suoi uomini spazzeranno via i Mori, inseguendoli fino al fiume Ebro grazie all’intervento divino che prolunga la durata del giorno per consentire la vittoria definitiva. Orlando, sul punto di morte, si mostra guerriero della fede, chiedendo perdono a Dio per i suoi peccati e si preoccupa di mostrarsi comunque vincitore contro gli odiati infedeli musulmani. Infatti il verso conclusivo del poema è esemplare: «E Cristo è vero, e falso Maometto» [33]. Il contrasto è forte, il riferimento storico-letterario è legato alla condanna di coloro che nasceranno nello stesso paese di Sciascia, «la nuova schiera dei nati dalla terra, / a perire nello stesso gorgo» [33]. Risulta interessante il collegamento con la battaglia di Roncisvalle, che rinforza maggiormente la relazione tra Sciascia e la Spagna. La raccolta si conclude con La notte, la quale rinnova il senso diffuso di silenzio e morte, di disperazione come «unica protagonista dei suoi versi» [Cantarello 2019, 53]. La notte «frana cieca sulle case» [Sciascia 1997, 34], eliminando ogni presenza umana, lasciando un «calco atroce», come l’eruzione di un vulcano che tutto distrugge e tutto conserva nei secoli sotto la lava, diventando l’immagine a cui appartiene Sciascia e a cui appartiene la gente del posto, «l’ultimo nostro volto / nell’ultima notte del mondo» [29].

11 Ciò che emerge dall’analisi tematica de La Sicilia, il suo cuore, è sicuramente l’intenzione di Sciascia di poter trasformare il senso di desolazione, di morte, di fatalità e di silenzio in parola, parola scritta, come dice in Hic et nunc, «mutare il nulla in parola», servendosi della memoria, della sua diretta esperienza con le cose, le persone e i paesaggi dell’isola, sentendosi partecipe in prima persona, raccogliendo le sensazioni come un reporter, un viaggiatore, vivendo sulla propria pelle tutto ciò che ha descritto. La poesia di Sciascia risulta così un’esperienza viva e diretta, diversa dall’esperienza della prosa e della saggistica, dove a prevalere sono «documenti prove, fatti, realtà» [Cantarello 2019, 53], sebbene «le brevi liriche di Sciascia risuonano al lettore come stralci narrativi che facilmente potrebbero provenire, ad esempio, dal nucleo più lirico di quella che Sciascia volle considerare la sua prima opera, ovvero Le Parrocchie di Regalpetra» [Italia 2009, 142]. Come ricorda la stessa Mariagiovanna Italia,

è nota la vicenda editoriale della raccolta in versi La Sicilia, il suo cuore […] stampata in soli 111 esemplari con la presenza di cinque incisioni di Emilio Greco. L’opera, che valse il premio Pirandello allo scrittore nel 1953, al pari di tutti i resti anteriori a Le Parrocchie di Regalpetra, non venne accolta per volere di Sciascia nei primi due volumi della raccolta completa delle sue opere, curata da Claude Ambroise [141-142].

12Nonostante questo rifiuto iniziale, quella di Sciascia è una poesia corale, che tocca il cuore del lettore e mette il suo cuore a servizio della comprensione e dell’analisi dell’isola. A risaltare questa prospettiva è l’utilizzo costante dei pronomi io, tu, noi, voi, esso, loro, che provano la vicinanza del poeta alle cose che lo circondano. È una poesia che si fonda sulla memoria, sul senso forte di appartenenza alla vita e alle cose della Sicilia, all’esigenza di conoscere e capire l’isola, non solo di rappresentarla. Una poesia slegata completamente dall’aderenza temporale e spaziale, caratteristica che invece sarà fondamentale nella successiva scrittura narrativa e saggistica di Sciascia. Il titolo della raccolta è esemplare, è un viaggio nel cuore dei sentimenti che lo legano alla Sicilia, un viaggio intimo verso le profondità dell’anima e Sciascia è un passeggero romantico in mezzo al mare, in balia delle maree e delle correnti, dei venti e degli eventi. Nonostante queste considerazioni, la poca critica, che si è espressa nei confronti della poesia di Sciascia, sostiene che sono poesie

poco liriche […] e nel complesso poco riuscite esitanti fra “un’antica solitudine ungarettiana” (parole di Ferdinando Giovale che cita a questo proposito La notte) e tardo ermetismo, al quale riconduce il sottofondo esistenziale, l’attesa della parola risolutrice tipica dei testi migliori [Traina 1999, 204].

13Certo è che, tolta l’esperienza concreta di scrittura poetica, non mancano i continui rimandi ed approfondimenti che Sciascia porta avanti in altre opere. Per un’analisi critica più approfondita si rimanda a contributi come quello di Giuseppe Traina, Leonardo Sciascia (1999), oppure ai saggi Appunti su Sciascia poeta di Massimo Onofri (2009), La tentazione della poesia. Fatti estetici e morali nel giovane Sciascia (2009) di Mariagiovanna Italia o Il cuore della Sicilia: l’apprendistato in versi di un narratore (2021) di Roberto Galaverni.

Analisi traduttologica

  • 8 L’eventuale traduzione e adattamento allo spagnolo si sarebbe rivelata una scelta fuori luogo ed es (...)

14Nella prima parte della raccolta non si sono evidenziate particolari difficoltà nel processo traduttologico se non alcune legate ad espressioni e costruzioni grammaticali poco usate in italiano ed altre nella scelta stilistica di alcuni termini che in spagnolo si sono rivelati più vicini al senso e all’atmosfera che Sciascia desiderava dare a determinati momenti. Tra gli esempi troviamo la scelta di «estío» come traduzione di «estate» nella prima poesia omonima Sicilia, su corazón [Sciascia 2021b, 21]; la costruzione «si la flauta de caña / trata de sonar» per tradurre l’espressione «se il flauto di canna tenta vena di suono» [21]; così come la costruzione «los árboles /no ofrecieron sus frutos a los héroes» è stata scelta per tradurre l’espressione originale «gli alberi non nutrirono frutti agli eroi» [21]. Allo stesso modo si è dovuti intervenire in En memoria per poter rendere in spagnolo la frase «vicino ad acque gialle di fango/ che i greci dissero d’oro. E noi d’oro /diciamo la tua vita, la nostra / che ci rimane»: qui l’espressione che utilizza Sciascia ha trovato traduzione e adattamento in spagnolo attraverso l’utilizzo di un verbo e di un modo verbale differente da quello italiano; nella traduzione i greci non «dissero» ma «creían», ovvero «credevano»; similmente quel «noi» è seguito da «crediamo» e non «diciamo» [23]. Questa scelta è stata presa per un motivo di comprensione e di accesso da parte del lettore ispanofono alla poetica di Sciascia, cercando di mantenere il senso originale dell’azione che il verbo descrive. Una costruzione che ha sicuramente impegnato il processo di traduzione è quella presente in A un pueblo abandonado [29], dove in italiano l’espressione «Mi è riposo il ricordo» è stata tradotta con «Descanso en el recuerdo», scegliendo di non mantenere la corrispondenza sostantivo-sostantivo (riposo – descanso) ma, nel renderlo in spagnolo, il termine è stato utilizzato in forma di verbo alla prima persona dell’indicativo presente, (yo) «Descanso en el recuerdo», nel senso che il ricordo è riposante, fa riposare il corpo e la mente dello scrittore. Nella stessa poesia si è deciso di tradurre l’espressione poco comune «chiese ingramagliate» con un più comprensibile «iglesias enlutadas», per rendere chiara l’idea di chiese parate a lutto. In Hic et nunc, l’espressione «alberi che s’incielano / e rapidi voli» [32], anch’essa di uso estremamente raro e appartenente al linguaggio poetico appunto, è stata adattata e resa più comprensibile in spagnolo con la forma «árboles que se suben al cielo / y rápidos vuelos» [33]. Nella sezione «Foglietti di diario», tutti i riferimenti ai nomi dei paesi e delle città italiane in cui è stato Sciascia sono rimasti tali e quali anche nella traduzione in spagnolo, poiché identificano luoghi precisi in Italia8. Per le stesse ragioni i nomi dei santi delle chiese che Sciascia visita non sono stati tradotti in spagnolo: Rapolano Terme, Siena, San Gimignano, la chiesa di Sant’Agostino e Sant’Ignazio hanno mantenuto le loro forme anche nella traduzione in spagnolo. Nella poesia I, Sciascia utilizza il termine «pieve» [38], che generalmente era la circoscrizione territoriale religiosa e civile facente capo ad una chiesa rurale con battistero, detta «chiesa matrice», «pievana»: in spagnolo si è deciso di proporre la traduzione di «pieve» con «parroquia» [39], poiché il primo termine non è presente nel dizionario spagnolo e si è optato per una traduzione chiarificatrice del termine che indica una chiesetta o piccola parrocchia. In II, Sciascia scrive «E la musica furente del luna park» [40], espressione che, nell’edizione di Adelphi, è stata tradotta in corsivo poiché non italiana ma inglese. Nella proposta di traduzione in spagnolo, essendo presente nel dizionario un’espressione equivalente, è stato inserito «parque de atracciones» [41], omettendo il corsivo poiché appartenente alla lingua spagnola e al dizionario. Sono due le espressioni che hanno messo a dura prova la traduzione, poiché legate profondamente ad usi, italianizzazioni o termini poco comuni in italiano e appartenenti ad un immaginario specifico e delimitato come quello siciliano. La prima è presente nella poesia IV: «la luna /che schiude lenta un ventaglio di luce / sui burrò» [44]. In primo luogo si è cercato di contestualizzare la poesia, affidandosi al fatto che i riferimenti erano espliciti: Sciascia si trova di fronte alla chiesa di Sant’Ignazio a Roma; il termine «burrò», in secondo luogo, così come luna park nella precedente poesia, nell’edizione Adelphi è stato riportato in corsivo e ciò ha sicuramente indirizzato il processo traduttivo. La conoscenza personale della piazza da parte di chi scrive ha permesso di trovare una soluzione al problema: i burrò a cui fa riferimento Sciascia sono dei palazzi presenti in piazza di Sant’Ignazio realizzati

dall’architetto Filippo Raguzzini tra il 1727 e il 1728 con un aspetto rococò […] che tanto ricordano i panciuti mobili d’epoca e per questo soprannominati «canterani» o «burrò», dal francese «bureaux». La tradizione vuole che gli edifici siano stati costruiti appositamente in modo così particolare per attrarre l’attenzione del viandante e distoglierla dalla facciata esageratamente alta della chiesa.9

15Trovandosi di fronte ad un’italianizzazione del termine francese, ed essendo presente anche nel vocabolario spagnolo, è stato adattato nella traduzione con il termine «burós» [45]. La seconda espressione che ha implicato una lunga e difficoltosa ricerca è quella contenuta nel primo verso della poesia Aprile, «Sto a far camorra sulle cose, seduto / al sole d’aprile che in me torna / a un suo azzardo di risentimenti e di inganni» [52]. L’espressione «camorra» risale al termine siciliano «camurrìa», ovvero, come già detto in precedenza, ad un senso di assillo, di noia, di nervosismo e di forte contrasto. In spagnolo, effettivamente, secondo il dizionario della Real Academia Española, esiste l’espressione «armar camorra», una forma colloquiale che sta a significare una lotta, una rissa. Di uso colloquiale è frequente anche l’espressione «buscar camorra», che si riferisce ad un atteggiamento e ad un’attitudine specifica di una persona che va cercando rogne, problemi, fastidi, provoca situazioni di attrito e discussioni particolarmente animate. Stando a queste considerazioni si è optato per la seconda espressione, ovvero «buscar camorra», costruzione che contiene un verbo, «buscar», che è ancora presente nella lingua italiana, come lascito dello spagnolo, nella forma «buscare». Tendenzialmente è di registro piuttosto basso e capita, a livello letterario, di vederlo in Manzoni o in Verga, scrittori cari a Sciascia, che spesso hanno ricercato espressioni vive, appartenenti al popolo. L’espressione scelta per la traduzione implica un’estensione del senso, che va sicuramente ad ampliare e leggermente a discostarsi dalle intenzioni originali di Sciascia ma riesce, allo stesso tempo, a mantenere il termine «camorra», che comunque si rifà ad un atteggiamento di nervosismo, assillo, scocciatura. Se nel caso italiano è Sciascia che «fa camorra sulle cose», in spagnolo la resa è leggermente diversa poiché è Sciascia che «va buscando camorra», nel senso di andare in cerca in prima persona. In Pioggia di settembre ci si è trovati di fronte al solito enigma che la costruzione «Ma ecco» [56] in italiano porta con sé. Risulta sempre il contesto a portare alla soluzione del problema: in questo caso è stata scelta l’espressione «Pero entonces» [57], sottolineando la sfumatura temporale che «ecco» porta con sé, trovando un termine spagnolo equivalente per il contesto. Altra interessante scelta traduttologica è quella presente nella poesia Fine dell’estate, in cui Sciascia scrive «Mi giunge il picchio delle canne, / il lieve tonfo sulla zolla» [58]. È evidente che il picchio in italiano fa riferimento all’uccello che, appunto, picchia sugli alberi. Sciascia in questo caso vorrebbe riferirsi al picchiettio che le canne provocano muovendosi, però decide di utilizzare il termine picchio, forse per enfatizzare e per rendere più concreto il suono delle canne. In spagnolo, evidentemente, non c’è la stessa corrispondenza (il picchio in spagnolo è il pájaro carpintero) e per questo motivo si è deciso di proporre come traduzione l’equivalente italiano di picchiettio, ovvero «golpeteo» [59], derivante dal verbo golpetear, colpire, picchiettare, tamburellare. Un esempio di adattamento alle costruzioni grammaticali spagnole è quello presente nella poesia Ad un amico, nella quale Sciascia dice «quel che di me ti fa diverso» [64]; la stessa costruzione non esiste in spagnolo, o quantomeno, non si capirebbe se fosse tradotta letteralmente, quindi si è optato per semplificare la costruzione e rendere il verso nel seguente modo: «lo que de mí te diferencia» [65], che rende bene la stessa idea che Sciascia vuole dare in italiano.

Conclusioni

16Abbiamo avuto la Spagna nel cuore, parafrasando Leonardo Sciascia, quando ci siamo fatti carico di un impegno letterario e civile come quello della traduzione in spagnolo de La Sicilia, il suo cuore. Perché di impegno si tratta, di legame intenso tra due terre, la Sicilia e la Spagna, che hanno vissuto e continuano a vivere specchiandosi nei tratti di storia e di cultura comune, nei luoghi, nelle espressioni, nel cuore della gente. Il senso di appartenenza e le continue suggestioni spagnole che le scritture di Leonardo Sciascia contengono hanno diretto questo primo lavoro di traduzione e di pubblicazione delle poesie. Una raccolta che conserva l’essenza di tutto il Leonardo Sciascia che abbiamo conosciuto attraverso le sue prose chiare, lucide e ragionate; una raccolta che anticipa i tanti temi che lo scrittore racalmutese ha sviscerato nel corso della sua vita. Spagna e Sicilia come espressioni di un modo di essere, un comune sentire, percepito sin dall’adolescenza in Sciascia, con le letture e con le notizie che da lontano arrivavano sulle questioni della guerra civile in Spagna. A partire da queste considerazioni abbiamo sentito forte l’esigenza di aggiungere un nuovo tassello, la tessera di un mosaico sempre in divenire che è l’opera di Sciascia. In Italia la sua poesia è spesso poco trattata, addirittura sconosciuta ai non addetti ai lavori ed è per questo motivo che la pubblicazione di Sicilia, su corazón non è stata un mero atto celebrativo nell’anno del centenario sciasciano, ma l’occasione per riportare al centro, sia in Italia che in Spagna, la traiettoria poetica di Sciascia, spesso relegata a pochi studi critici. Inoltre, vuole consolidare quella fraterna relazione che Sciascia evidenziò nei suoi viaggi in Spagna: entrare nel cuore della Sicilia di Sciascia significa scorgere il poeta da solo di fronte alla sua storia, alla sua gente, alla sua vita e quindi alla sua memoria. Uno Sciascia nudo che, in prima persona, percorre un itinerario fuori dal tempo e dallo spazio, dove ad emergere sono i versi brevi e appuntiti, spesso ermetici e oscuri, altri più dolenti, alcuni leggeri e chiarificatori. Sono le immagini vive di un poeta-narratore che ripercorre i luoghi che gli appartengono, che si abbandona alla realtà circostante per comprenderla senza spiegarla, senza arrivare ad una effettiva conclusione. Ma Sciascia ha bisogno di portare quella realtà da semplice punto sulla carta geografica, paese dimenticato tra miseria e problemi irrisolti, a realtà rappresentata attraverso l’arte, la scrittura, perché

quando questa realtà viene rappresentata con la forza del sentimento e dello stile, non può essere più ignorata e dimenticata. La coscienza della nazione avrà avanti il paese com’è, le sue strade, le sue case, i suoi contadini, i bambini e le donne, la loro fame e i lori mali. L’omertà ufficiale, quell’omertà che nasconde le piaghe della nazione si ritrae di fronte alla forza della verità [Sciascia 1960, 10-11].

17Una collezione di poesie che rende bene l’idea del giovane Sciascia anche in Spagna, consegnando ai lettori una figura inedita, esposta ai sentimenti più vivi e scarsamente filtrati dai numerosi personaggi che Sciascia ha utilizzato nelle sue successive opere. Il processo di traduzione non si è rivelato particolarmente ostico se non in alcuni casi specifici che hanno richiesto maggiore ricerca sociolinguistica, un approfondimento culturale verso riferimenti concreti, scegliendo con cura, prendendo una posizione, cercando equivalenti, trovando soluzioni valide. Queste traduzioni hanno l’obiettivo di svelare sentimenti sino ad oggi inaccessibili, proprio perché chiusi nel cuore di una lingua differente. Grazie al lavoro e alla collaborazione di persone ed istituzioni, come gli eredi di Leonardo Sciascia, gli enti intermediari e le agenzie, il Dott. Gigi Restivo di Casa Sciascia, il Prof. Miguel Ángel Cuevas dell’Università di Siviglia e la casa editrice El Toro Celeste di Málaga, è stato possibile accedere e condividere i sentimenti più intimi di Leonardo Sciascia, intellettuale e testimone del suo tempo, che con le sue parole continua a rendere vivo il nostro presente, il nostro cuore.

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Bibliographie

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Roma Segreta, Sant’Ignazio, <https://www.romasegreta.it/pigna/s-ignazio.html> (ultimo accesso il 17 giugno 2022).

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Notes

1 Leonardo Sciascia, Una letteratura d’opposizione, in Salvatore Costantino, Aldo Zanca (a cura di), Una Sicilia “senza”. Gli atti del Convegno di Palma di Montechiaro del 27-29 aprile 1960 sulle condizioni di vita e di salute in zone arretrate della Sicilia occidentale, curati da Pasqualino Marchese e Romano Trizzino, pp. 9-12.

2 Artemisia, Regalpetra, <http://www.artemisianet.it/racalmuto.pdf> (ultimo accesso il 17 giugno 2022).

3 Roberto Galaverni in Il cuore della Sicilia: l’apprendimento in versi di un narratore, in «Todomodo», XI, 2021, sostiene che «al momento di scrivere i suoi versi Sciascia abbia adottato una lingua poetica convenzionale, stilizzata, di maniera, e dunque in qualche modo generica. Un codice poetico, una lingua della poesia, dunque, piuttosto che una lingua nata in contatto diretto con la realtà e con l’esperienza». In realtà, riferendosi proprio alla poesia Aprile, come viene qui sopra specificato, Sciascia utilizza un termine non convenzionale, non stilizzato e di maniera, quindi non generico. Il termine «camurrìa» è una parola che ha una chiara ed evidente connotazione e provenienza regionale, in questo caso siciliana, perciò l’analisi che ne scaturisce è diversa da quanto sostenuto da Galaverni, proprio perché identifica uno spazio e un linguaggio specifico, caratterizzante. È più condivisibile il concetto di «poesia generica» se ci si riferisce in generale a tutta la raccolta, che di per sé è appunto «chiusa e depurata, tale da rendere antistorica e astratta quella sua per altro indubbia necessità morale» (ivi, p. 48). Nonostante queste indicazioni, condivisibili su un piano più generale che specifico, non mancano espliciti riferimenti temporali e spaziali, quindi non ermetici, come per esempio nella sezione Foglietti di diario, in cui sono riportati i nomi dei paesi in cui vengono scritte le poesie.

4 Si è voluto prendere in considerazione questa interessante opera digitale che sta portando a termine il Prof. Giuseppe Marci, studioso dell’opera di Andrea Camilleri, in quanto riferimento non solo per gli studi di carattere filologico e linguistico relativi all’opera dell’autore empedoclino, ma anche per i continui richiami e suggerimenti realizzati da Marci circa il vocabolario siciliano e le sfumature di lessico che ben si evidenziano negli esempi analizzati nel presente studio.

5 Roberto Galaverni, Op. cit., p. 45.

6 Traduzione nostra.

7 Traduzione nostra.

8 L’eventuale traduzione e adattamento allo spagnolo si sarebbe rivelata una scelta fuori luogo ed esotizzante.

9 Roma Segreta, Sant’Ignazio, <https://www.romasegreta.it/pigna/s-ignazio.html> (ultimo accesso il 17 giugno 2022).

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Pour citer cet article

Référence papier

Lorenzo Cittadini et Giovanni Caprara, « Ricezione ed analisi della prima traduzione in spagnolo de La Sicilia, il suo cuore di Leonardo Sciascia »Babel, 48 | 2023, 142-160.

Référence électronique

Lorenzo Cittadini et Giovanni Caprara, « Ricezione ed analisi della prima traduzione in spagnolo de La Sicilia, il suo cuore di Leonardo Sciascia »Babel [En ligne], 48 | 2023, mis en ligne le 31 décembre 2023, consulté le 23 avril 2025. URL : http://0-journals-openedition-org.catalogue.libraries.london.ac.uk/babel/15067 ; DOI : https://0-doi-org.catalogue.libraries.london.ac.uk/10.4000/babel.15067

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Auteurs

Lorenzo Cittadini

Universidad de Málaga
Departamento de Filología Española, Italiana, Románica,
Teoría de la Literatura y Literatura Comparada

Giovanni Caprara

Universidad de Málaga
Departamento de Filología Española, Italiana, Románica,
Teoría de la Literatura y Literatura Comparada

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