1Due saggi di L. Gernet a confronto : « La préhistoire d’une vertu morale : la “tempérance” chez les Grecs » (in Les Grecs sans miracle, a cura di R. Di Donato, Parigi, 1983, 48-57) ; « Thucydide et l’histoire » (in Annales. Histoire, Sciences Sociales, 20/3 [1965], 570-575.
- 1 Desideriamo ringraziare Riccardo Di Donato e Vincent Azoulay per avere acconsentito alla riproduz (...)
- 2 Il difficile percorso intellettuale e personale di Louis Gernet, le critiche rivolte alla sua tes (...)
2Pubblicato all’interno del volume Les Grecs sans miracle, curato da Riccardo Di Donato, « La préhistoire d’une vertu morale: la “tempérance” chez les Grecs » di Louis Gernet (Parigi, 1882-1962), di cui qui si propone la rilettura, è uno dei quattro inediti che compongono questa raccolta di scritti minori dello studioso data, per la prima volta, alle stampe in edizione francese nel 1983 e poi uscita in traduzione italiana tre anni dopo1. Il volume, i cui contributi abbracciano quasi tutto l’arco temporale della carriera di Gernet, seguiva, a quindici anni di distanza, l’altra fortunata impresa editoriale, rappresentata dalla pubblicazione di Anthropologie de la Grèce antique (Parigi, 1968). In questa raccolta postuma venivano riproposti una serie di saggi selezionati dallo stesso Louis Gernet, prima della sua morte, insieme ad altri nove articoli precedentemente pubblicati in riviste o in volumi di difficile reperibilità, che i suoi stessi allievi avevano ritenuto di dovere aggiungere, al fine di restituire un ritratto, il più possibile corretto e completo, della riflessione scientifica del loro maestro, così lungamente incompreso2.
- 3 Si vedano le recensioni di A. Puech nella Revue des études grecques, 31 (1918), 103-105 e di G. G (...)
3In un contesto culturale in cui l’attività di uno studioso era riconosciuta solo se perfettamente riconducibile all’interno dei confini di una disciplina, la figura di Gernet, filologo di formazione, studioso di diritto greco, ricettivo verso le sollecitazioni che a quell’epoca venivano dagli studi di psicologia storica condotti da Ignace Meyerson e dall’approccio sociologico al mondo greco, fu considerata troppo eccentrica e restò a lungo marginalizzata tra gli studiosi del mondo antico: la sua tesi di dottorato, Recherches sur le développement de la pensée juridique et morale en Grèce (Paris, 1917) ricevette rilievi molto pesanti che marcarono profondamente la sua carriera di studioso3.
- 4 La datazione è stata proposta da Di Donato 1983, 17.
- 5 Le carte dell’archivio Gernet sono liberamente consultabili al sito: http://lama.fileli.unipi.it/
4« La préhistoire d’une vertu morale: la “tempérance” chez les Grecs » si data, con ogni verosimiglianza, agli anni del rientro di Louis Gernet a Parigi (1948) dopo il lungo periodo di insegnamento ad Algeri, iniziato nel 1921 quando fu chiamato a ricoprire la cattedra di Filologia classica, presso la Faculté de Lettres, di cui divenne preside a partire dal 1933. Si tratta di un testo di poche pagine, quasi completamente privo di note e di riferimenti puntuali alle fonti, che può inserirsi nelle riflessioni che accompagnarono la redazione dell’introduzione alle Leggi di Platone, dato alle stampe nel 1951, nella Collection des Universités de France4. Era un tema che doveva avere occupato a lungo la riflessione dello studioso, come testimoniano gli appunti conservati nei suoi archivi, generosamente resi disponibili in linea sul sito del Laboratorio di Antropologia del Mondo Antico (LAMA, Università di Pisa) da Riccardo Di Donato e dalla sua équipe5: una sessantina di fogli, contrassegnati dalla lettera Σ, in cui Louis Gernet aveva registrato tutto il corredo documentario che doveva servire da base per la sua riflessione. Il saggio è incentrato sul termine sophrosyne che Gernet non esita a identificare con la nozione di “temperanza”, pur ammettendone le difficoltà di traduzione e la possibilità di identificare in esso un rinvio generico alla saggezza o alla sfera più specifica del controllo di sé e della salute mentale.
- 6 La nozione di « virtù cardinale » è stata coniata da Sant’Ambrogio (cf. per esempio Expositio in (...)
- 7 Si trattava forse del testo di una conferenza, come ipotizza Di Donato 1983, 17.
- 8 Gernet 1983, 52.
- 9 Platone, Repubblica, III, 413c-414a.
- 10 Senofonte, Economico, XXI, 12.
- 11 Gernet 1928, 341 (= Gernet 1968, 44-45). Su questa nozione di « preistoria sociale » in Gernet, c (...)
5Egli ne sottolinea subito l’importanza capitale, anzi non ha difficoltà a definirla “virtù cardinale”, ricorrendo a un’espressione estranea al mondo greco, e riconducibile piuttosto a un orizzonte cristiano, in cui il percorso verso la virtù rappresenta tanto un segno di devozione nei confronti del Signore, ma soprattutto una via per assicurarsi la salvezza dell’anima6. Liquidando in modo sbrigativo, e forse non del tutto convincente Aristotele, l’argomentazione di Gernet si concentra essenzialmente sul discorso platonico. L’obiettivo è quello di mostrare come la sophrosyne rappresenti il punto di confluenza di diverse esperienze che appartengono alla preistoria dei Greci e che, pur caratterizzate da contenuti psicologici differenti, non sono senza analogia l’una con l’altra. Il procedere argomentativo, complesso e sincopato, si sviluppa spesso per salti logici e brachilogie, e si segue talora con difficoltà. La mancanza di rinvii ai testi antichi rende, anche dopo ripetute letture, piuttosto vago il ragionamento, confermando la natura ancora provvisoria e forse preparatoria di queste pagine7. Il punto di partenza è Platone e la sua teoria dell’educazione di cui si sottolinea, tanto l’efficacia basata più sulla suggestione che sull’insegnamento formale, quanto le ricadute sulla collettività e la relazione che essa intrattiene con forme e abitudini sociali. Per Platone è proprio l’organizzazione della gioventù per classi d’età, la cui crescita passa per il superamento di diverse prove e la partecipazione a cerimonie religiose, a favorire un quadro adeguato a un’educazione morale. Il modello di riferimento è senz’altro Sparta, sulla cui immagine, per quanto ai nostri occhi aberrante e fuorviante, si è plasmato buona parte del pensiero morale dei Greci. L’organizzazione in classi d’età, le prove cui i giovani erano costretti, il silenzio e il contegno che erano portati a mostrare in certe fasi del loro percorso educativo erano considerati terreno particolarmente fecondo allo sviluppo della sophrosyne. Prove, regole e coercizioni che se caratterizzavano, al di là del contesto spartano, riti di iniziazione anche al di fuori della Grecia stessa, marcavano anche il funzionamento di percorsi di formazione che Gernet individua nell’ambito del cosiddetto « noviziato pitagorico »8. Del sistema educativo spartano – sottolinea Gernet – Platone non condivideva però l’orientamento univoco verso l’addestramento militare. Al contrario, la partecipazione ai banchetti, la musica, l’esposizione ai piaceri che educavano la resistenza alle passioni erano parimenti importanti per il raggiungimento della sophrosyne. Non è difficile leggere in queste affermazioni l’eco del passo della Repubblica sulla formazione dei guardiani della città per i quali Platone raccomanda che i giovani siano esposti alle fatiche, alle paure e agli inganni, per verificare chi di essi, sottoposti a tali prove, riesca a mantenere il controllo di sé, mostrandosi così utili a se stessi e alla città9. La sophrosyne però non è solo una virtù da sollecitare in coloro che sono destinati ad essere governati, ma da ritrovare anche nei capi politici. Lo spiega, secondo Gernet, Senofonte nell’ultima parte dell’Economico10, in cui dichiara che la capacità di comandare e di ottenere obbedienza presuppone un rapporto privilegiato con il divino ed è una prerogativa di coloro che sono veramente iniziati alla saggezza (τοῖς ἀληθινῶς σωφροσύνῃ τετελεσμένοις). Il cammino verso la sophrosyne è dunque un percorso iniziatico che, per Gernet, era certo possibile postulare sulla base di quelle che egli chiama « reminiscenze », ma di cui non era facile intravedere i contorni. Erano tali reminiscenze spie essenziali per ricostruire quella « preistoria sociale » che tanto aveva occupato i suoi interessi, ma di cui egli stesso non poteva che ammettere il carattere « astratto e congetturale »11.
- 12 Gernet 1928, 340.
- 13 Paus. IX, 11, 2.
- 14 Paus. VIII, 34, 1-3.
- 15 Che il Carmide evidenzi la difficoltà di comprendere il senso del termine è importante anche per (...)
- 16 Gernet 1983, 49.
6Le tracce di questo « sfondo primitivo »12 erano individuate in quegli atti cultuali rappresentati all’interno di racconti mitici. Ne è un esempio la saga di Eracle, che recupera la saggezza, o meglio la salute mentale, dopo essere stato colto dalla follia divina, nel momento in cui viene colpito da una pietra lanciata da Atena, che lo fa cadere in un sonno profondo. La pietra con il nome parlante di Sophronister era esposta in un santuario a Tebe13. Altro esempio analogamente significativo era quello di Oreste che riguadagna la lucidità perduta a seguito dell’assassinio della madre e del miasma che lo colpì, tramite rituali finalizzati alla guarigione e al recupero della sanità dello spirito14. Rituali iniziatici, rituali catartici, percorsi ascetici sono dunque altrettante vie capaci di condurre alla temperanza. Proprio per queste relazioni con diverse realtà sociali, dall’addestramento militare ai rituali di iniziazione misterica, fino alle pratiche finalizzate alla guarigione dello spirito, quella della sophrosyne è una nozione complessa che gli stessi Greci facevano fatica a circoscrivere, come del resto dimostrano le aporie messe in campo nel Carmide platonico15. La domanda che però Gernet pone al lettore, alla fine del suo saggio, è un’altra ed è decisamente più ampia e riguarda la nascita di un pensiero etico che presuppone la costruzione di un sistema valoriale e di una disciplina individuale che si afferma e funziona, a prescindere da un’organizzazione sociale basata su obblighi e gerarchie. Se, come lo studioso ha cercato di mostrare nelle poche pagine del suo saggio, le origini di questo percorso sono identificabili in quelle pratiche di addestramento e in quei rituali iniziatici che hanno lasciato traccia nei racconti mitici come la tradizione sul centauro Chirone, maestro di eroi e simbolo di sophrosyne, più difficile è scoprire come, nella Grecia storica, sia avvenuta questa rivoluzione; come cioè si sia operato il passaggio a questa nuova forma di umanità in cui il riconoscimento della sophrosyne coincideva con « il possesso e la conquista di un’eminente dignità »16.
7Con questa domanda capitale, destinata a restare aperta, si chiude il saggio che poneva però agli studiosi una questione non di poco conto, ovvero quella delle condizioni che portarono alla costruzione e alle progressive trasformazioni del sistema valoriale nella Grecia antica.
8È questo un quesito cui, in qualche modo, proprio J.-P. Vernant tenta di dare una risposta, riprendendo le riflessioni del maestro, nel saggio Le origini del pensiero greco all’interno del capitolo intitolato « L’organizzazione del cosmo umano », in cui egli dichiara, nella prima nota a piè di pagina, di avere largamente impiegato le indicazioni date da Gernet in un corso non pubblicato tenuto presso l’École Pratique des Hautes Études nel 195117. In queste poche pagine scompare la definizione della temperanza come « virtù cardinale » e anche il riferimento alla preistoria sociale della Grecia. Quel che resta però è il tentativo di tornare sui passi del maestro per ricostruirne le associazioni di idee, e attraverso la rilettura delle stesse testimonianze documentarie restituire ad esse un percorso più lineare che consentisse anche una precisa contestualizzazione storica dell’affermarsi della sophrosyne come virtù civile e politica. Come tale, essa si distanziava da una concezione tipicamente aristocratica che faceva coincidere la virtù con la nobiltà dei natali e il coraggio in battaglia. Vernant individua con chiarezza due vie per guadagnare la sophrosyne: quella che promettevano i gruppi e le associazioni religiose, intesa come percorso ascetico verso la purezza e il controllo delle passioni, orientata perciò verso la salvezza individuale, e quella civica che a Sparta è l’esito di un quadro educativo coercitivo, finalizzato al controllo di sé; mentre ad Atene è la virtù del « giusto mezzo”. Rappresentativa di una middle class emergente, la sophrosyne è, nella sintesi che J.-P. Vernant fa delle note di Louis Gernet, la virtù del « giusto mezzo », un dispositivo regolatore preposto alle tensioni contrastanti che possono attraversare la polis. È la dote che consente a Solone di trasformare la dysnomia in eunomia, mediando tra un esiguo gruppo di aristocratici che cerca di conservare i suoi privilegi e la maggioranza di nullatenenti che si sforza di ottenere più ampie risorse. I nomoi che Solone assegna alla città, per farne un kosmos armonico, sono espressione esattamente di questa etica del « giusto mezzo », su cui si basa la stessa introduzione della moneta (nomisma), strumento di misurazione che, in forza di un nomos, consente allo Stato di rendere comparabili tra loro beni e servizi e di garantire equità negli scambi, assicurando una pace sociale, sottratta ormai all’arbitrio di un astratto sistema di reciprocità.
9Mentre Gernet dunque indaga sulla preistoria della nozione di sophrosyne presso i Greci, Vernant è più interessato a restituirne il funzionamento, a scrutare il lento affermarsi di essa in una virtù civica che contribuisce a modificare l’universo della polis, facendo da agente di regolazione alle diverse istanze e tensioni contrastanti che l’attraversano.
10Se nelle pagine de « La préhistoire … » Louis Gernet mostra consapevolezza del carattere “astratto e congetturale” di uno scavo all’indietro alla ricerca dello « sfondo primitivo » della sophrosyne, appare però ugualmente attento e sensibile agli scarti funzionali che essa presenta nel lungo e complesso processo storico, dall’alto arcaismo sino al IV secolo. Si spiega così l’attenzione rivolta alla sophrosyne come virtù da esercitare nell’arte del governo, che trova nell’universo spartano il laboratorio privilegiato delle riflessioni politiche del IV secolo, in particolare attraverso la discussione sulla formazione ideale del cittadino e le proposte delineate dal pensiero platonico.
- 18 Negli Archivi Gernet, sotto la rubrica « Thucydide » si trovano due quaderni e un fascicolo: cont (...)
- 19 L’aveva finemente notato Humphreys 1971, 194: « His last work, an unfinished discussion of Jacque (...)
- 20 L’importanza data da Gernet al campo semantico di una nozione al fine di potere cogliere i mutame (...)
- 21 Vernant 1976, 52-53, 109. Sulla sophrosyne di Archidamo cf. anche Mara 2008, 166-177.
- 22 Colpisce il lettore questo legame tra sophrosyne e amathia, visto che i Corinzi nel loro discorso (...)
11L’altro testo qui proposto, « Thucydide et l’histoire », s’incrocia con il precedente da una prospettiva diversa ma in sottile interazione e aiuta a illuminare meglio la riflessione condotta sulla sophrosyne. « Thucydide et l’histoire » appartiene anch’esso all’ultimo periodo di attività dello studioso. Pubblicato postumo nelle Annales (1965), l’intervento di Gernet che la rivista sceglie di far circolare riproduce la parte centrale di uno studio più ampio su Tucidide, ma interrotto dalla morte nel 1962. Rimasto tra le carte inedite, esso era stato stimolato dalla lettura di Histoire et raison chez Thucydide di J. de Romilly, uscito nel 1956, monografia che a sua volta seguiva la pubblicazione della tesi di dottorato della grande ellenista, Thucydide et l’impérialisme athénien (1947). Si può ipotizzare che Gernet attendesse verosimilmente, già da qualche tempo, ad una indagine sullo storico ateniese, anche se le carte rimaste non consentono di aggiungere molto su un possibile progetto complessivo18. Le pagine nelle Annales si concentrano sulla questione della verità in Tucidide e il procedimento antilogico che ne è veicolo, e che lo studioso collega a « les techniques du forum ». Gernet individua nel pensiero sofistico la radice dell’originalità dello storico: ritrovare nella conoscenza storica un nuovo campo d’intervento della spiegazione razionale (571). Questa posizione di Tucidide si colloca perciò stesso oltre la sofistica, pur derivandone. La lettura di Gernet si dimostra tuttavia ultrasensibile ad ogni rischio di attualizzazione e di sovrinterpretazione attualizzante: diversamente da J. de Romilly, per lo studioso la « raison immanente à la réalité historique telle que la perçoit l’historien n’est pas principe d’explication objective au sens où elle le serait pour nous : elle est, elle aussi, λόγος ». Egli coglie con sagacia nella riflessione tucididea la complessità e pluralità di sensi da attribuire all’anthropinon e al ruolo centrale che svolge nell’interpretazione degli eventi. D’altronde, come giustamente lo stesso Gernet sottolinea, pur restando il racconto di una guerra, l’interesse che guida l’opera tucididea è in realtà « la motivation raisonnée de l’action humaine » (572). È in questo quadro che le « qualités morales », tendono a essere messe tra parentesi, anche se non sono del tutto negate: sono però superate dalle forze dell’interesse e della volontà di potenza (574) che caratterizzano le azioni di una parte dei protagonisti, « Athènes, en première ligne, Corinthe, Syracuse … ». Lontane da questo schema, quasi contrapposte, restano altre poleis, in primo luogo – sottolinea Gernet – Sparta: il suo comportamento è, soprattutto in certi momenti critici, deludente, forse perché si tratta di un « comportement archaïque : peut-être parce que Sparte ne s’intéresse pas encore à la guerre de la même façon que les autres ». Il riconoscimento di questo elemento di arcaica singolarità spartana, particolarmente evidente nei dibattiti che precedono la guerra del Peloponneso e ne accompagnano poi gli sviluppi, sembra offrire, a nostro avviso, una testimonianza ulteriore dell’interesse di Gernet per i sistemi valoriali che guidano i comportamenti sociali e orientano i modi in cui le decisioni critiche e di interesse collettivo vengono assunte. In particolare, questa angolazione può coinvolgere la sfera della sophrosyne. La lettura del volume di J. de Romilly conduce infatti il nostro studioso a marcare con lucidità il nodo che segna la distanza tra i due gruppi di poleis e che ruota intorno alla « ‘probabilité’ humaine » (573) : si tratta dell’atteggiamento davanti alla tyche, tra saggia prudenza (Sparta) e audacia del calcolo razionale (Atene). Benché Gernet non nomini qui direttamente la sophrosyne, si può però riconoscere in questo suo interesse il punto d’incrocio tra le pagine dedicate alla “tempérance”, come abbiamo prima visto, e le riflessioni ulteriori che qui si concentrano sull’origine del discorso storico. Non deve stupire che l’opera di Tucidide potesse presentare anche questo elemento di attrazione per gli interessi principali di Gernet e costituire un’occasione di approfondimento della riflessione su sophrosyne 19. Testimone non meno centrale di Platone può infatti essere considerato anche Tucidide, anch’egli al crocevia di quel processo di cambiamento culturale che vede la sophrosyne sottoposta ad un’erosione critica in un contesto che sta mutando profondamente la visione del mondo, cioè gli anni del conflitto esiziale tra Sparta e Atene. Non doveva infatti sfuggire a Gernet, lettore della Guerra del Peloponneso, la disposizione ‘strategica’ delle occorrenze di sophrosyne e del lessico collegato (sophronein, sophron, sophronôs, sophronistes) nelle pagine dello storico ateniese. Basta una rapida occhiata per accorgersi che tutto il campo semantico della sophrosyne connota sistematicamente Sparta e i suoi attori sulla scena, oppure segnala l’invito a distanziarsi dal modus operandi ateniese e in generale dell’audacia intellettuale20. Così come colpisce la nostra attenzione (e a maggior ragione doveva colpire Gernet) il fatto che il solo luogo della narrazione storica in cui sophrosyne ha una duplice occorrenza nello spazio di uno stesso ragionamento è l’intervento di Archidamo, il re spartano che lo storico presenta come l’incarnazione migliore della temperanza, l’uomo capace di accompagnare alla sottile intelligenza la virtù di farne un uso saggio (1.79.2 ἀνὴρ καὶ ξυνετὸς … καὶ σώφρων). Il passaggio tucidideo è noto: dopo aver ascoltato il j’accuse dei Corinzi contro Atene con la critica rivolta al lassismo spartano e la replica orgogliosa degli ambasciatori ateniesi che rivendicano la legittimità del loro impero, gli Spartani riuniti in assemblea convergono ormai sull’inevitabilità della guerra e la necessità di affrontarla subito. Archidamo prende la parola per tentare di correggere questo orientamento e invita i concittadini all’esercizio di una σωφροσύνη ἔμφρων (1.84.1), una temperanza forgiata dalla consapevolezza dei propri autentici interessi e delle scelte migliori per realizzarli, in vista del mantenimento della libertà e della stima degli altri, che insieme formano il principale valore della polis. La forza di Sparta non si basa infatti solo sulla potenza militare ma è anche e soprattutto il risultato di una sophrosyne che modera il polemikon (e il thymos, come sottolinea Vernant21) ed è temperata al fuoco dell’aidos e dell’aischyne (1.84.3). È l’obbedienza alle leggi a rendere σωφρονέστερον Sparta – ricorda Archidamo – mentre un’intelligenza troppo sottile offusca l’analisi della realtà sotto il velo di bei discorsi. Sparta, com’è noto, entrerà ugualmente in guerra, a conferma di un mutamento radicale e inarrestabile dell’orizzonte culturale cui nemmeno i Lacedemoni possono alla lunga sottrarsi. Il deterioramento della sophrosyne proietta Sparta nella necessità di confrontarsi con Atene su un piano ben diverso da quello delineato dal suo re. Che la sophrosyne in Tucidide viva una crisi profonda lo testimonia a sua volta l’uso propagandistico e aberrante che ne fa l’ateniese Cleone, quando è messo alle strette dalla riconvocazione dell’assemblea che rischia di invalidare la vittoria ottenuta poche ore prima, cioè il decreto di messa a morte dei Mitilenesi per punirli della tentata secessione e prevenire con la ferocia di quella decisione altre potenziali scosse centrifughe nell’impero di Atene. Cleone si appella al demos invitandolo a diffidare di coloro che per interesse personale spingono i concittadini a cambiare idea (3.37.3): la città migliore è invece quella che non muta il proposito e si affida all’ignoranza rafforzata dalla savia temperanza (ἀμαθία τε μετὰ σωφροσύνης), non quella dominata dalle sottigliezze intellettuali radicate nell’intemperanza (δεξιότης μετὰ ἀκολασίας)22. Non diversamente, seppur sul fronte opposto ma anch’egli in chiave propagandistica, si esprime il rivale Diodoto (3.42-44): per quest’ultimo la città saggia (σώφρονα πόλιν) è quella che realizza il proprio interesse anche dietro l’apparenza della temperanza; la ragionevolezza (εἰ σωφρονοῦμεν) non è più stabilire il torto e la ragione, ma la capacità di deliberare seguendo solo il proprio interesse in gioco.
- 23 Thuc. 3.82, cf. Rademacher 2004, 218-221. D’altronde val la pena di sottolineare che la prima men (...)
- 24 Cf. North 2019 [1966], 100.
- 25 North 2019 [1966], 106.
12Dopo il passaggio drammatico della stasis di Corcira, con i suoi abissi di crudeltà politica sempre più audace in cui sprofondano insieme e ormai senza più distinzioni tanto l’isonomia politica del popolo (πλήθους τε ἰσονομίας πολιτικῆς) che la saggia moderazione dell’aristocrazia (καὶ ἀριστοκρατίας σώφρονος)23, è il vano appello di Nicia per fermare l’avventata decisione di conquistare la Sicilia a segnare il definitivo deperimento della sophrosyne nella tempesta incontrollabile della guerra (6.11.7) e la sterilità del richiamo al buon senso (εἰ σωφρονοῦμεν) di fronte all’ambizione egoistica degli Ateniesi di accrescere la propria potenza24. D’altronde non deve passare inosservato che Pericle, in certa misura controparte di Archidamo, evita qualsiasi richiamo alla sophrosyne nel suo logos epitaphios, così come lo storico ne evita l’uso nel giudizio finale sul leader ateniese, a conferma che, nella visione tucididea, la sophrosyne è riconosciuta chiave di volta del sistema valoriale di Sparta25. Fino alla svolta paradossale e ironica della mossa di Pisandro che, nel 411, instaura regimi oligarchici nelle città alleate ottenendone però solo la defezione (8.64.5): « in effetti, dopo che le città furono dotate di un regime saggio (σωφροσύνην) e in grado di agire senza timori, si orientarono verso la libertà pura e semplice, senza tenere in alcun conto l’ordinamento ingannevole imposto dagli Ateniesi (τῆς ἀπὸ τῶν Ἀθηναίων ὑπούλου εὐνομίας) » (trad. Moggi). Insomma, la sophrosyne non è un abito che si può indossare o dismettere secondo le convenienze, ma è un modello valoriale sofisticato che richiede uno spazio adatto: proprio perciò, al mutare del quadro generale è destinato a essere riscritto faticosamente, come appunto suggerisce la struttura aporetica del Carmide, cui prima ci si richiamava.
13Nate da un ascolto delle fonti attento e rigoroso, non compromesso da pregiudizi settoriali, meritano di essere rilette queste pagine di Louis Gernet che conservano, a distanza di decenni, una capacità di stimolare il lettore incoraggiandolo a seguire strade non scontate. Ripercorrerne i passaggi, anche attraverso la lucida ripresa che ne fa Vernant, è utile per due ordini di ragioni: in primo luogo, espone lo studioso ad un efficace approccio interdisciplinare al mondo greco, in cui una corretta esegesi storica e filologica guadagna una comprensione più profonda dei suoi meccanismi di funzionamento e delle sue trasformazioni grazie all’apporto di altre discipline, dall’antropologia alla sociologia e allo studio integrato delle sue diverse manifestazioni culturali. In un universo come quello dei Greci in cui politica, storiografia, filosofia, religione, economia, come vasi comunicanti si alimentano l’una dell’altra, uno studio per compartimenti stagni finisce senz’altro per svilirne la complessità, limitando non solo la nostra capacità di comprensione, ma anche riducendo progressivamente la quantità di domande e di questioni su cui è legittimo interrogare il mondo antico. In secondo luogo, significa proseguire una ricerca sulla costruzione e l’evoluzione di un sistema di valori che introiettato nel buon funzionamento della città antica è poi stato integrato, attraverso nuove sensibilità e visioni della condizione umana, nei parametri della devozione cristiana. Quanto sia diversa, nelle cause, negli effetti e nelle pulsioni che la regolavano, la sophrosyne di età arcaica e classica, come la vediamo messa alla prova in Tucidide e Platone, o quella che gli Spartani cercavano di istillare nei loro giovani attraverso il percorso dell’agoge, dalla temperantia cristiana è un’indagine che meriterebbe di essere ulteriormente approfondita.
14Tanto su un versante, quanto sull’altro resta ancora molto da fare.